ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge
 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e  dignita'
 dei  lavoratori,  della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale
 nei  luoghi  di  lavoro  e  norme  sul  collocamento),  promossi  con
 ordinanze emesse:
     1)  il  16  gennaio  1996  dal pretore di Latina nel procedimento
 civile vertente  tra  F.L.A.I.C.A.  Uniti  C.U.B.  e  CO.AL.  S.p.a.,
 iscritta al n. 243 del registro ordinanze del 1996 e pubblicata nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  12, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
     2) il 27 novembre 1995 dal pretore  di  Milano  nel  procedimento
 civile  vertente  tra  Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di
 Milano e Provincia (F.L.M.U.) e FIAT Auto S.p.a., iscritta al n.  332
 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti   gli  atti  di  costituzione  della  Federazione  Lavoratori
 Metalmeccanici Uniti di Milano e Provincia (F.L.M.U.)  e  della  FIAT
 Auto S.p.a. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
 dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1996 il giudice relatore
 Luigi Mengoni;
   Uditi  gli  avvocati  Roberto  Muggia per la Federazione Lavoratori
 Metalmeccanici Uniti  di  Milano  e  Provincia  (F.L.M.U.),  Giacinto
 Favalli,  Paolo  Tosi, Raffaele De Luca Tamajo e Roberto Nania per la
 FIAT Auto S.p.a. e  l'avvocato  dello  Stato  Gaetano  Zotta  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto di fatto
   1.1. - Nel corso di un procedimento promosso ai sensi dell'art.  28
 della  legge  20  maggio  1970,  n. 300, dalla Federazione Lavoratori
 Metalmeccanici Uniti di Milano e Provincia - F.L.M.U., affiliata alla
 Confederazione Unitaria di Base (C.U.B), contro la S.p.a.  FIAT  Auto
 per  denunciare come antisindacale il rifiuto di riconoscimento delle
 rappresentanze sindacali aziendali costituite  dalla  ricorrente,  il
 pretore  di Milano, con ordinanza del 27 novembre 1995, ha sollevato,
 in riferimento agli artt. 3 e 39  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  19 della legge citata n. 300
 del 1970, "nella parte (primo comma) in cui limita il  riconoscimento
 delle  rappresentanze  aziendali  alle  sole organizzazioni sindacali
 firmatarie di contratti collettivi".
   In conformita' dei risultati del referendum indetto con d.P.R.    5
 aprile  1995,  il  d.P.R.  28  luglio  1995,  n. 312, ha parzialmente
 abrogato il primo comma  dell'art.  19,  il  cui  testo  e'  ora  del
 seguente  tenore:  "Rappresentanze sindacali aziendali possono essere
 costituite ad iniziativa dei lavoratori in  ogni  unita'  produttiva,
 nell'ambito  delle  associazioni  sindacali  che  siano firmatarie di
 contratti collettivi di lavoro applicati nell'unita' produttiva".
   La  rilevanza  della  questione  e'  motivata  sul   riflesso   che
 "all'eventuale  pronuncia dichiarativa della Corte nel senso indicato
 dalla F.L.M.U.  corrispondera' la qualificazione antisindacale  della
 condotta denunciata".
   Nel  merito  il  giudice rimettente osserva che con le sentenze nn.
 54 del  1974,  334  del  1988  e  30  del  1990  questa  Corte  aveva
 riconosciuto   l'aderenza   ai   richiamati  principi  costituzionali
 dell'art.  19  nella  formulazione  originaria  che  prevedeva,   con
 ponderato  equilibrio,  due indici alternativi di rappresentativita',
 l'affiliazione  alle  associazioni   aderenti   alle   confederazioni
 maggiormente  rappresentative sul piano nazionale oppure, trattandosi
 di  sindacati  autonomi,  l'avere  stipulato   contratti   collettivi
 nazionali  o  provinciali applicati nell'unita' produttiva. Col nuovo
 testo questo modello ritenuto conforme alla  Costituzione  e'  venuto
 meno,  restando  come  unico  requisito  per  il riconoscimento della
 rappresentativita'   lo   strumento   negoziale,    allargato    alla
 contrattazione   aziendale,   cosi'   che   il  riconoscimento  della
 rappresentanza sindacale aziendale  dipenderebbe  eslcusivamente  dal
 c.d. potere di accreditamento del datore di lavoro.
   Oltre  al  principio  dell'autonomia sindacale sancito dall'art. 39
 Cost., sarebbe violato  anche  l'art.  3  Cost.  perche'  si  sarebbe
 introdotta  la  possibilita' di costituire rappresentanze a favore di
 organizzazioni sindacali prive di effettiva  rappresentativita',  sol
 che  siano  firmatarie  di  contratti  collettivi,  e  di  negarla ad
 organizzazioni  che,  pur  rappresentative   sia   esternamente   che
 nell'ambito aziendale, non abbiano sottoscritto alcun accordo.
   1.2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si e'
 costituita  l'associazione  sindacale  ricorrente  chiedendo  in  via
 principale   la   dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 19 della legge n. 300 del  1970,  in  via  subordinata  una
 sentenza  interpretativa di rigetto nel senso che "la stipulazione di
 contratti  collettivi  di  lavoro  costituisce  una  presunzione   di
 rappresentativita',  che non preclude, al sindacato che sia per altra
 via maggiormente rappresentativo, la prova in ordine alla  ricorrenza
 di   tale   requisito   al  fine  di  legittimamente  costituire  una
 rappresentanza sindacale aziendale".
   Sviluppando  la  motivazione  dell'ordinanza  di'  rimessione,   la
 F.L.M.U.    sostiene  che  la  parziale  abrogazione  referendaria ha
 sovvertito il precedente equilibrio, minando alle radici  le  ragioni
 delle   precedenti   decisioni   di  questa  Corte  nel  senso  della
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  19:  la  norma  di  risulta,
 infatti,    finisce    col    rimettere    il    riconoscimento    di
 rappresentativita' del sindacato  e  della  rappresentanza  aziendale
 costituita  nel  suo ambito al potere di accreditamento del datore di
 lavoro, con violazione non solo dell'art. 39, ma  anche  dell'art.  3
 Cost.  Si aggiunge che l'art. 17 della legge n. 300, il quale reprime
 i sindacati di comodo,  non  e'  un  rimedio  sufficiente  contro  il
 pericolo di arbitrarie discriminazioni a danno di sindacati muniti di
 effettiva rappresentativita' desumibile da altri indici.
   A sostegno della domanda subordinata di una sentenza interpretativa
 di  rigetto e' richiamata la sentenza n. 492 del 1995, nella quale si
 legge  che  dal  referendum  e'  stata  "valorizzata   l'effettivita'
 dell'azione   sindacale   -   desumibile  dalla  partecipazione  alla
 formazione  della   normativa   contrattuale   collettiva   -   quale
 presunzione   di   maggiore   rappresentativita'".  Questo  carattere
 presuntivo non escluderebbe, a detta del ricorrente, la rilevanza  di
 altri  indici,  ove sia fornita una prova adeguata, considerata anche
 la rilevanza del concetto di  "maggiore  rappresentativita'"  a  fini
 istituzionali sovra-aziendali.
   In   prossimita'   dell'udienza   di  discussione  la  F.L.M.U.  ha
 depositato una memoria aggiuntiva.
   1.3. - Si e' costituita la  societa'  convenuta  chiedendo  che  la
 questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
   L'inammissibilita'  e'  dedotta  sotto  il profilo della rilevanza,
 osservando anzitutto che il denunciato comportamento della FIAT Auto,
 pienamente lecito secondo  il  vigente  art.  19  dello  statuto  dei
 lavoratori,  come  riconosce  la  stessa  controparte,  non  potrebbe
 qualificarsi retroattivamente illecito, con le  conseguenze  previste
 dall'art.   28,   per  effetto  di  una  eventuale  dichiarazione  di
 illegittimita' della norma che finora lo autorizza.
   Sotto il medesimo profilo un secondo motivo di inammissibilita'  e'
 ravvisato  nella  mancata  prefigurazione,  sia  nel dispositivo, sia
 nella motivazione dell'ordinanza, del  sollecitato  intervento  della
 Corte.  Comunque la questione sarebbe in ogni caso inammissibile:  se
 diretta  a  una  sentenza  caducatoria,  perche',  sopprimendo   ogni
 criterio  di  selezione, renderebbe inapplicabile l'intero titolo III
 dello statuto; se diretta a una sentenza additiva, perche'  la  Corte
 non  ha  il  potere  di  aggiungere  alla legge criteri alternativi a
 quello da essa esclusivamente  previsto.  D'altra  parte,  il  tenore
 tassativo  della  disposizione  esclude  che  l'aggiunta possa essere
 introdotta in via interpretativa, come chiede in linea subordinata il
 sindacato ricorrente.
   Nel  merito,  la  societa'  obietta  che   il   c.d.   "potere   di
 accreditamento", che il nuovo art. 19 attribuirebbe all'imprenditore,
 e'  immaginato  in  base a una impropria lettura della sentenza n. 30
 del   1990   di   questa   Corte.   In   tale   sentenza    l'ipotesi
 dell'"accreditamento" non si riferiva minimamente alla contrattazione
 collettiva, ma soltanto ad eventuali decisioni unilaterali del datore
 di   lavoro   di'  estendere  tutti  o  parte  dei  diritti  e  delle
 agevolazioni previste dal titolo III dello statuto  a  rappresentanze
 aziendali   costituite   da  associazioni  sindacali  sprovviste  dei
 requisiti legali dell'art. 19. Postulare  che,  per  definizione,  il
 criterio legale di selezione dei sindacati rappresentativi in ragione
 della  partecipazione  alla  stipulazione  dei  contratti  collettivi
 applicati in azienda comporti interferenze  estranee  alla  spontanea
 dinamica  sindacale  significa  mettere  in  discussione  le basi del
 nostro sistema di relazioni  industriali.  Soltanto  una  valutazione
 astratta  della  realta'  di  questo  sistema,  conclude  la societa'
 resistente, puo' affermare  che  la  decisione  dell'imprenditore  di
 contrattare   con  una  piuttosto  che  con  un'altra  organizzazione
 sindacale  dei  lavoratori  sarebbe  un  atto  arbitrario,   anziche'
 determinato   dalla  considerazione  della  rispettiva  capacita'  di
 produrre consenso.
   1.4. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata infondata.
   Ad avviso dell'Avvocatura, poiche' i requisit richiesti dalle lett.
 a) e b) dell'originario art. 19 erano configurati dal legislatore con
 carattere  di  alternativita',  il venir meno di uno di essi non puo'
 comportare  automaticamente  la  contrarieta'  alla  Costituzione  di
 quello  residuo,  rovesciando  il  giudizio espresso da questa Corte.
 D'altra parte non si  vede  come  la  norma,  nel  suo  funzionamento
 fisiologico,  possa  consentire  al  datore  di  lavoro  di  favorire
 un'associazione  sindacale,  alterando  cosi'  la  libera  e   fedele
 espressione  della  volonta'  dei  lavoratori nella dialettica con il
 datore di lavoro.
   2.1. - Analoga questione,  in  riferimento  ai  medesimi  parametri
 costituzionali,  e'  stata  sollevata  dal  pretore  di  Latina,  con
 ordinanza del 16 gennaio 1996, nel procedimento promosso,  sempre  ai
 sensi  dell'art.   28 della legge n. 300 del 1970, dalla F.L.A.I.C.A.
 Uniti  (Federazione  Lavoratori  Agro-Industria  Commercio  e  Affini
 Uniti),  aderente  alla  Confederazione  Unitaria  di  Base (C.U.B.),
 contro la S.p.a. CO.AL., lamentando di essere esclusa, in quanto  non
 firmataria  del  contratto  collettivo  applicato  in  azienda, dalle
 misure di sostegno del sindacato previste nel titolo III della  legge
 n. 300 del 1970.
   La rilevanza della questione e' motivata dal giudice rimettente sul
 riflesso  che,  se  il  comportamento  della societa', legittimo allo
 stato attuale  della  legislazione,  dovesse  continuare  anche  dopo
 l'accoglimento  della  questione di incostituzionalita', nel senso di
 persistere nel rifiuto di riconoscimento del sindacato ricorrente  ai
 fini'  della fruizione dei diritti di cui al titolo III dello statuto
 dei   lavoratori,   "prenderebbe    sostanza    il    profilo    dell
 'antisindacabilita' del comportamento".
   Nel  merito  la  motivazione e' analoga, in termini piu' concisi, a
 quella del pretore di Milano.
   2.2.  -  Non  si  sono  costituite  le  parti  private,  mentre  e'
 intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
 dall'Avvocatura dello Stato,  concludendo  per  l'infondatezza  della
 questione  con  argomentazione  simile  a  quella svolta nell'atto di
 intervento nel primo giudizio.
                        Considerato in diritto
   1.  -  I  pretori  di  Milano  e  di  Latina  hanno  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  39  della  Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge 20
 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante  dall'abrogazione  parziale
 disposta  dal  d.P.R.  28 luglio 1995, n. 312, in esito al referendum
 indetto con d.P.R. 5 aprile 1995, in quanto limita il  riconoscimento
 delle  rappresentanze  aziendali  alle  sole organizzazioni sindacali
 firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unita' produttiva.
   I giudizi promossi dalle due ordinanze, avendo il medesimo oggetto,
 vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
   2. - Devono  essere  preliminarmente  esaminate  due  eccezioni  di
 inammissibilita' sollevate nel primo giudizio dalla S.p.a. FIAT Auto.
   Il  rifiuto di applicazione alle associazioni sindacali ricorrenti,
 prive della qualita' richiesta dall'art. 19, delle norme di  sostegno
 del  sindacato  nei  luoghi  di lavoro contenute nel titolo III dello
 statuto dei lavoratori e' stato  denunciato  come  antisindacale  sul
 presupposto  dell'illegittimita'  costituzionale della limitazione di
 tali norme ai sindacati firmatari di contratti  collettivi  applicati
 nell'unita'   produttiva.   La  FIAT  eccepisce  che,  proposta  come
 incidente di costituzionalita' in un procedimento promosso  ai  sensi
 dell'art.  28 della legge citata, la questione e' irrilevante perche'
 il comportamento del datore di lavoro, pienamente lecito alla stregua
 del vigente art. 19, non potrebbe diventare retroattivamente illecito
 per   effetto   di  una  eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale della norma che attualmente lo permette.
   La  premessa  non giustifica l'argomento di inammissibilita' che si
 vorrebbe trarne. Poiche' l'azione ex art. 28 non  e'  diretta  a  una
 tutela  di  condanna,  ma a una tutela inibitoria di un comportamento
 continuato con effetti permanenti, la prospettazione -  ritenuta  non
 manifestamente  infondata  dal  giudice  a  quo  -  di illegittimita'
 costituzionale della norma permissiva della  condotta  denunciata  e'
 idonea  a  fondare  la domanda di pronuncia dell'ordine giudiziale di
 cessazione  del  comportamento  e   di   rimozione   degli   effetti,
 subordinatamente alla condizione della sopravvenienza di una sentenza
 costituzionale   che  ne  determini  l'illegittimita'.  Ne'  varrebbe
 replicare   che   l'ipotizzata   dichiarazione   di    illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  19 indurrebbe presumibilmente il datore di
 lavoro  a  desistere  spontaneamente,   perche'   anche   in   questa
 prospettiva  l'incidente di costituzionalita' conserverebbe rilevanza
 per la definizione del giudizio principale, il quale  si  chiuderebbe
 con  un  provvedimento  di  merito  motivato  dalla  cessazione della
 materia del contendere.
   In  secondo  luogo  la  societa'  costituita  nel  primo   giudizio
 eccepisce  l'inammissibilita'  sul  riflesso che, comunque intesa, la
 questione mira a un risultato eccedente i poteri  della  Corte,  alla
 quale e' precluso sia di caducare l'art. 19 sopprimendo ogni criterio
 selettivo  e  cosi  rendendo  inapplicabile l'intero titolo III dello
 statuto, sia di aggiungere  criteri  alternativi  a  quello  previsto
 dalla  legge.    La  finalita'  caducatoria e' implicitamente esclusa
 dalla stessa ordinanza  di  rimessione:  la  questione  e'  sollevata
 "secondo  la  prospettazione  del  sindacato ricorrente", chiaramente
 orientata, in linea principale, a una sentenza additiva di  principio
 che  promuova  il ripristino di uno stato di diritto analogo a quello
 anteriore al referendum. Certamente la Corte  non  ha  il  potere  di
 ristabilire in termini specifici una pluralita' di criteri selettivi,
 ma   non   le   sarebbe   inibita  una  pronuncia  di  illegittimita'
 costituzionale che rimetta al legislatore l'individuazione  di  altri
 indici alternativi di rappresentativita'.
   3.1. - Nel merito la questione non e' fondata.
   I giudici rimettenti muovono da due premesse interpretative che non
 possono  essere  condivise:  a)  l'art.  19  priverebbe  il sindacato
 dell'"autonomia del proprio  riconoscimento",  assoggettandolo  a  un
 potere   di  accreditamento  del  datore  di  lavoro;  b)  l'art.  19
 conserverebbe tuttavia la  funzione  di  referente  generale  per  la
 definizione,  anche  ai  livelli  extra-aziendali,  della  nozione di
 maggiore rappresentativita'.
   Asse portante dell'interpretazione sub a) e' la sentenza n. 30  del
 1990  di  questa  Corte,  che  ha  ritenuto non consona alla garanzia
 costituzionale dell'autonomia  sindacale  l'ipotesi  di  "espansione,
 attraverso lo strumento negoziale, del potere di accreditamento della
 controparte  imprenditoriale".  Questo  concetto,  estrapolato  dalla
 motivazione, viene impropriamente applicato all'art. 19 per sostenere
 che il riconoscimento di rappresentativita' del  sindacato,  nel  cui
 ambito  e'  stata  costituita una rappresentanza sindacale aziendale,
 sarebbe rimesso all 'accreditamento discrezionale dell'imprenditore.
   In senso proprio il concetto di "potere di  accreditamento" designa
 il caso in cui il datore  di  lavoro,  nullo  jure  cogente,  concede
 pattiziamente  una  o piu' agevolazioni previste dal titolo III della
 legge  n.  300  del  1970  alla  rappresentanza  aziendale   di   una
 associazione sindacale priva dei requisiti legali per averne diritto.
 E' appunto il caso oggetto del giudizio che ha dato luogo alla citata
 sentenza  (interpretativa  di  rigetto),  la  quale, in adesione alla
 giurisprudenza della Corte di cassazione,  ha  reputato  inderogabili
 detti  requisiti.  La  sentenza  non mette in discussione l'idoneita'
 della contrattazione collettiva quale criterio di accertamento  della
 rappresentativita'  dei  sindacati stipulanti, ma, tutt'al contrario,
 esclude che, per concessione del datore di lavoro,  possano  accedere
 ai   benefici   del  titolo  III  associazioni  sindacali,  prive  di
 rappresentativita' presuntiva ai sensi della lettera a) dell'art.  19
 (ora  abrogata),  le  quali  non  siano  qualificate,  ai sensi della
 lettera  b),  dalla  partecipazione  alla  contrattazione  collettiva
 vigente in azienda.
   Secondo  l'art.  19,  pur  nella  versione  risultante  dalla prova
 referendaria, la rappresentativita' del sindacato non  deriva  da  un
 riconoscimento  del  datore di lavoro, espresso in forma pattizia, ma
 e' una qualita' giuridica attribuita dalla  legge  alle  associazioni
 sindacali  che  abbiano  stipulato  contratti  collettivi (nazionali,
 locali o aziendali) applicati nell'unita' produttiva.  L'esigenza  di
 oggettivita'    del    criterio    legale   di   selezione   comporta
 un'interpretazione rigorosa della fattispecie dell'art. 19,  tale  da
 far  coincidere il criterio con la capacita' del sindacato di imporsi
 al datore di lavoro, direttamente o attraverso la  sua  associazione,
 come  controparte  contrattuale.   Non e' percio' sufficiente la mera
 adesione formale a un contratto  negoziato  da  altri  sindacati,  ma
 occorre  una  partecipazione  attiva  al  processo  di formazione del
 contratto; nemmeno e' sufficiente la  stipulazione  di  un  contratto
 qualsiasi,  ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in
 modo organico i rapporti di  lavoro,  almeno  per  un  settore  o  un
 istituto  importante della loro disciplina, anche in via integrativa,
 a livello aziendale, di un contratto  nazionale  o  provinciale  gia'
 applicato nella stessa unita' produttiva.
   L'art.   19   "valorizza   l'effettivita'   dell'azione  sindacale,
 desumibile  dalla  partecipazione  alla  formazione  della  normativa
 contrattuale  collettiva" (sentenza n. 492 del 1995) quale indicatore
 di  rappresentativita' gia' apprezzato dalla sentenza n. 54 del  1974
 come  "non  attribuibile arbitrariamente o artificialmente, ma sempre
 direttamente  conseguibile  e  realizzabile  da   ogni   associazione
 sindacale in base a propri atti concreti e oggettivamente accertabili
 dal  giudice".  Respinto  dalla  volonta' popolare il principio della
 rappresentativita' presunta sotteso all'abrogata lettera a),  l'avere
 tenuto   fermo,   come   unico  indice  giuridicamente  rilevante  di
 rappresentativita' effettiva, il criterio della  lettera  b),  esteso
 pero'   all'intera   gamma   della   contrattazione   collettiva,  si
 giustifica, in linea storico-sociologica  e  quindi  di  razionalita'
 pratica,  per  la  corrispondenza  di tale criterio allo strumento di
 misurazione della forza di un sindacato,  e  di  riflesso  della  sua
 rappresentativita', tipicamente proprio dell'ordinamento sindacale.
   3.2. - Cosi' interpretata, in conformita' della sua ratio, la norma
 impugnata  non  contrasta  con  nessuno  dei parametri costituzionali
 richiamati. Non viola l'art. 39 Cost. perche' le  norme  di  sostegno
 dell'azione sindacale nelle unita' produttive, in quanto sopravanzano
 la  garanzia  costituzionale  della  liberta'  sindacale, ben possono
 essere riservate a  certi  sindacati  identificati  mediante  criteri
 scelti  discrezionalmente  nei  limiti  della razionalita'; non viola
 l'art.   3   Cost.   perche',   una   volta  riconosciuto  il  potere
 discrezionale del legislatore di selezionare i beneficiari di  quelle
 norme,  le associazioni sindacali rappresentate nelle aziende vengono
 differenziate in base  a  (ragionevoli)  criteri  prestabiliti  dalla
 legge,  di  guisa  che  la  possibilita'  di  dimostrare  la  propria
 rappresentativita' per altre vie  diventa  irrilevante  ai  fini  del
 principio di eguaglianza.
   Del resto, si tratta di una possibilita' astratta, non concretabile
 se non con un intervento legislativo. Escluso, perche' condannato dal
 responso     referendario,    l'indicatore    presuntivo    collegato
 all'affiliazione a una  confederazione  maggiormente  rappresentativa
 sul  piano  nazionale,  in alternativa a quello adottato dall'art. 19
 sono proponibili o l'indicatore previsto dall'art. 39, quarto  comma,
 Cost.,  collegato  al  numero  degli  iscritti  al  sindacato, oppure
 l'indicatore collegato al numero  di  voti  ottenuti  in  elezioni  a
 suffragio universale indette nelle unita' produttive: il primo non e'
 certo  agibile  mediante  semplice  autocertificazione  del sindacato
 interessato (la difficolta' di  organizzare  una  sorta  di  anagrafe
 sindacale  e'  una  delle  ragioni  che hanno ostacolato l'attuazione
 della seconda  parte  dell'art.  39  Cost.);  il  secondo  presuppone
 l'introduzione di una normativa che preveda elezioni aperte a tutti i
 sindacati  (senza  i limiti previsti dall'accordo interconfederale 20
 dicembre  1993  sulla  costituzione  delle  rappresentanze  sindacali
 unitarie),  e  inoltre  fissi  una  soglia di voti il cui superamento
 conferisce al sindacato la qualita' rappresentativa.
   4. - L'interpretazione sopra riferita sub b), essa pure  mirante  a
 screditare la razionalita' della legge, e' palesemente inattendibile.
   Caduta  la  lettera  a)  dell'art.  19,  il  concetto  di "maggiore
 rappresentativita'"   ha   perduto   la   rilevanza   di   fonte   di
 rappresentativita'  presunta ai fini' endoaziendali. Ne' e' possibile
 trasferire alla  norma  residua  (ex  lettera  b),  tanto  meno  dopo
 l'allargamento  alla contrattazione aziendale, la funzione di modello
 di'  riferimento  per  la  determinazione   del   concetto   a   fini
 extra-aziendali:     le     associazioni    sindacali    maggiormente
 rappresentative   sono   qualificate   essenzialmente,   oltre    che
 dall'effettivita'  dell'azione  sindacale, dalla loro articolazione a
 livello  nazionale  e  dai   caratteri   di   intercategorialita'   e
 pluricategorialita'.
   Il  criterio  selettivo  stabilito dall'art. 19 vale esclusivamente
 per l'individuazione dei sindacati le cui rappresentanze nelle unita'
 produttive sono destinatarie dei diritti e delle tutele previsti  nel
 titolo  III  della  legge n. 300 del 1970: era questo l'obiettivo del
 referendum approvato dal corpo elettorale e in  esso  si  esauriscono
 gli effetti della modificazione apportata alla legge.
   Agli   effetti   delle   norme  che,  ai  livelli  sovra-aziendali,
 attribuiscono alle associazioni  sindacali  piu'  rappresentative  la
 legittimazione  a stipulare determinati contratti collettivi (per es.
 artt. 1, comma primo, 2, comma primo, 3, comma terzo,  del  d.-l.  30
 ottobre  1984,  n. 726, convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863;
 art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56; art.  8  del  d.P.R.  23
 agosto 1988, n. 395; artt. 45 e 46 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29)
 oppure  diritti  di  informazione  o di consultazione (per es. art. 5
 della legge 20 maggio 1975, n. 164; art. 47 della legge  29  dicembre
 1990,  n.  428; artt. 1, comma secondo, 4, comma secondo, della legge
 23 luglio 1991, n. 223), la nozione di maggiore rappresentativita' si
 definisce   autonomamente   dall'art.   19,   in  base  alle  singole
 disposizioni che la utilizzano e alla stregua dei requisiti di fondo,
 teste' rammentati, messi in evidenza dall'analisi giurisprudenziale.