ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio promosso con ricorso della regione Lombardia notificato
 il 7 agosto 1995, depositato in  cancelleria  il  14  successivo  per
 conflitto  di attribuzione sorto a seguito del d.P.C.M. 23 marzo 1995
 recante "Determinazione dei compensi da corrispondere  ai  componenti
 delle   commissioni   esaminatrici   e   al  personale  addetto  alla
 sorveglianza  di   tutti   i   tipi   di   concorso   indetti   dalle
 amministrazioni  pubbliche",  ed  iscritto  al  n.  29  del  registro
 conflitti 1995;
   Visto l'atto di  costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1996 il giudice relatore
 Massimo Vari;
   Uditi l'avvocato Giuseppe Franco Ferrari per la regione Lombardia e
 l'avvocato  dello  Stato  Giuseppe  O.  Russo  per  il Presidente del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso ritualmente notificato e  depositato,  la  regione
 Lombardia  ha  proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello
 Stato, in relazione al d.P.C.M. 23  marzo  1995  (Determinazione  dei
 compensi   da   corrispondere   ai   componenti   delle   commissioni
 esaminatrici e al personale addetto alla sorveglianza di tutti i tipi
 di concorso indetti dalle amministrazioni pubbliche).
   La ricorrente, nel rilevare che il  decreto  denunciato  stabilisce
 una disciplina generale delle remunerazioni spettanti ai membri delle
 commissioni  di concorso ed agli addetti alla sorveglianza che l'art.
 8 rende applicabile alle regioni e agli enti pubblici  non  economici
 da  esse  dipendenti,  oltre  che  agli enti locali e agli altri enti
 pubblici non economici, sia pure con facolta' di  operare  aumenti  o
 diminuzioni  dei  limiti  del  20%,  lamenta  l'invasivita'  di detta
 previsione "insieme con le precedenti in quanto da essa  estese  alle
 regioni".  Viene denunciata, anzitutto, violazione degli artt. 5, 117
 e 118 della Costituzione, in relazione al d.P.R. n. 616 del 1977 e ai
 d.P.R. nn. 1-11 del  1972,  rilevando  sotto  tale  profilo  che,  ad
 ipotizzare  che  l'atto  impugnato  sia  un  regolamento, pur atipico
 rispetto alle fattispecie elencate nelle lettere a) ed  e)  dell'art.
 17  della  legge  n.  400 del 1988, esso non potrebbe, secondo quanto
 insegna la giurisprudenza della Corte, porre norme intese a  limitare
 la  sfera  di  competenza  delle  regioni nelle materie alle medesime
 attribuite, tra le quali rientra la competenza legislativa in materia
 di personale di cui all'art. 117 della Costituzione e la parallela  e
 coestensiva  competenza  amministrativa  di  cui  all'art.  118 della
 Costituzione.  E  questo  a  tacer  del  fatto  che,   comunque,   il
 provvedimento  mancherebbe  di  una  base normativa primaria, che non
 puo' essere rinvenuta ne' nell'art. 41 del decreto legislativo n.  29
 del  1993,  il  quale,  ancorche' richiamato nella premessa dell'atto
 impugnato, si riferisce ai differenti profili della disciplina  dello
 stato  giuridico  dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni; ne'
 nel d.P.R. n. 487 del 1994, che ha natura soltanto  regolamentare.  A
 ritenere,   poi,   il  decreto  impugnato  un  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento, difetterebbero i necessari requisiti di sostanza e  di
 forma,  essendo  l'atto  sprovvisto  di idonea base legislativa e non
 essendovi traccia, nelle sue premesse, di  alcuna  deliberazione  del
 Consiglio dei ministri.
   Ulteriore  lesione delle competenze regionali, con violazione degli
 artt. 3, 5, 97 e 118 della Costituzione, in riferimento al d.P.R.  n.
 616 del 1977 e ai d.P.R. nn. 1-11  del  1972,  viene  poi  lamentata,
 sotto  il  profilo della compromissione della capacita' organizzativa
 della regione in  quelle  materie  di  competenza  nelle  quali  sono
 utilizzate  le  risorse  organizzative  rappresentate  dal personale.
 Infatti, l'autonomia  organizzativa  non  puo'  reputarsi  assicurata
 dalla  prevista  percentuale di scostamento del 20%, ne' ad essa puo'
 ridursi - quand'anche si riconoscesse l'esistenza  di  un  fondamento
 normativo  primario - la differenza tra norma di principio e norma di
 dettaglio.
   Da ultimo, si assume che il decreto, in violazione degli artt.   5,
 119  e  81  della  Costituzione, con riferimento al d.P.R. n. 616 del
 1977 e ai d.P.R. nn. 1-11 del 1972,  precluderebbe  -  per  il  fatto
 stesso  di  predeterminare,  con  modesti  margini  di flessibilita',
 l'importo dei compensi da erogare per lo svolgimento dei  concorsi  -
 alla  regione  l'esercizio delle sue autonome scelte finanziarie e di
 spesa.
   La ricorrente chiede, percio', che la Corte dichiari che non spetta
 allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio  dei  ministri  di
 concerto   con   il   Ministro   del  tesoro,  adottare  disposizioni
 regolamentari e/o di indirizzo e coordinamento  in  violazione  degli
 artt.  5,  117,  118,  3,  97,  119  e  81  della  Costituzione,  con
 riferimento al d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616 ed ai d.P.R. 14 gennaio
 1972, nn. 1-6 e 15 gennaio 1972, nn. 7-11, e, per l'effetto,  annulli
 "nel suo insieme e in specie quanto all'art. 8" il decreto impugnato.
   2.  -  Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, facendo riserva di illustrare con successiva memoria i termini
 della  questione,  ai fini della declaratoria di inammissibilita' e/o
 infondatezza del ricorso.
   3. - In prossimita' dell'udienza, la difesa della regione Lombardia
 ha presentato una memoria per evidenziare che l'atto impugnato non si
 ricollega in alcun modo alle finalita' di  contenimento  della  spesa
 pubblica  valorizzate  dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto
 prevede compensi standards per i quali non e' consentito alle regioni
 uno scostamento superiore al 20%, non solo  verso  l'alto,  ma  anche
 verso  il basso, impedendo cosi' alle regioni stesse di imboccare con
 maggiore decisione la strada del contenimento della spesa pubblica.
   Ne' puo' dirsi che l'atto persegua un  altro  scopo  meritevole  di
 considerazione,    quale    quello    della    razionalizzazione    e
 riorganizzazione  degli  apparati  pubblici,  essendo  impedito  alle
 regioni  di  bilanciare, secondo le necessita' di ognuna, le esigenze
 del contenimento della spesa con quelle dell'incentivo alla  migliore
 qualita' delle commissioni esaminatrici.
   4.  -  Anche  l'Avvocatura  generale  dello Stato ha presentato, in
 prossimita' dell'udienza, una memoria nella quale - nel  riconfermare
 la  richiesta  di  declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza
 del ricorso -  deduce  l'infondatezza  della  censura  relativa  alla
 mancanza  di  una  base normativa primaria, giacche' il provvedimento
 impugnato trae la sua fonte dall'art. 18 del d.P.R. n. 487 del  1994,
 a  sua  volta  basato  sull'art. 41 del decreto legislativo n. 29 del
 1993.
   Si  osserva,  altresi',  che  l'atto  impugnato  risulta  meramente
 esecutivo di una disposizione contenuta in altra fonte normativa, non
 contestata  con  il  ricorso  in questione: l'eventuale lesione della
 competenza regionale risulterebbe non tanto dalla misura concreta dei
 compensi,  quanto  -  eventualmente   -   dal   potere   statale   di
 determinarli,  secondo  quanto  previsto  dall'art. 18 del menzionato
 d.P.R. n. 487 del 1994.
   Negato, poi, che la determinazione degli importi  da  corrispondere
 ai   componenti   delle   commissioni   di   concorso   incida  sulla
 organizzazione degli uffici regionali, materia in cui  le  regioni  a
 statuto  ordinario  hanno,  nell'ambito della disciplina del pubblico
 impiego,  competenza  legislativa  concorrente,  si  osserva  che  il
 margine   di  oscillazione  del  20%  lasciato  alle  regioni  appare
 ragionevolmente   sufficiente   a   garantire   il   rispetto   delle
 peculiarita'  dei  singoli  ordinamenti, "non prevedendo l'art. 8 una
 applicazione diretta  del  decreto  alle  amministrazioni  regionali,
 bensi'  riservando  ad  atti della regione la concreta determinazione
 dei compensi".
                        Considerato in diritto
   1. - La regione Lombardia ha sollevato  conflitto  di  attribuzione
 nei  confronti  dello Stato, in riferimento al decreto del Presidente
 del Consiglio dei ministri 23 marzo 1995, recante "Determinazione dei
 compensi   da   corrispondere   ai   componenti   delle   commissioni
 esaminatrici e al personale addetto alla sorveglianza di tutti i tipi
 di  concorso  indetti  dalle amministrazioni pubbliche" che detta una
 disciplina generale della materia, applicabile, in  virtu'  dell'art.
 8,  alle  regioni  (e  agli  enti  pubblici non economici che da esse
 dipendono),  non  diversamente  che  agli  enti  locali  e  agli enti
 pubblici non economici, sia pure con una limitata facolta' di aumento
 o diminuzione delle previste remunerazioni.
   La ricorrente assume  l'invasivita'  di  quest'ultima  disposizione
 che,  "insieme  con  le  precedenti  in  quanto  da  essa estese alle
 regioni", inciderebbe sulla sua sfera di attribuzioni, in violazione:
     degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, anche in riferimento
 al d.P.R. n. 616 del 1977 e ai d.P.R.  nn.  1-11  del  1972,  per  la
 lesione  che  l'atto  apporterebbe  alle sue competenze in materia di
 disciplina del personale;  sia  a  considerarlo  un  regolamento  che
 interviene  in  materia  regionale, senza oltretutto alcuno specifico
 fondamento legislativo, sia  a  reputarlo  un  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento,   sprovvisto   dei   necessari   requisiti  formali  e
 sostanziali;
     degli artt. 3, 5, 97 e 118 della Costituzione, con riferimento al
 d.P.R. n. 616 del 1977  e  ai  d.P.R.  nn.  1-11  del  1972,  per  la
 compromissione  dell'autonomia organizzativa della regione in materie
 nelle quali vengono utilizzate le risorse  organizzative  consistenti
 nel personale, senza che sufficiente garanzia possa essere costituita
 dalla prevista percentuale "di scostamento" del 20%;
     degli  artt.  5,  119  e 81 della Costituzione, in riferimento al
 d.P.R. n. 616 del 1977  e  ai  d.P.R.  nn.  1-11  del  1972,  per  il
 pregiudizio   che   la  predeterminazione,  con  modesti  margini  di
 flessibilita', dell'importo dei  compensi  da  erogare,  arrecherebbe
 all'autonomia finanziaria e di spesa dell'ente.
   2.  -  L'Avvocatura  dello  Stato,  dal canto suo, nel sostenere il
 carattere meramente esecutivo dell'atto denunciato rispetto  all'art.
 18  del  d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, fonte normativa non contestata
 con il ricorso in questione, eccepisce, secondo quanto  espressamente
 riconfermato in udienza, l'inammissibilita' dell'impugnativa.
   3.  -  La valutazione delle censure proposte dalla ricorrente e, al
 tempo   stesso,   dell'eccezione   di   inammissibilita'    sollevata
 dall'Avvocatura  dello Stato, impone una preliminare ricognizione del
 contesto normativo in cui si colloca l'atto  oggetto  del  conflitto.
 Contesto  che,  secondo  quanto  si  desume  anche dalle premesse del
 provvedimento censurato, e' rappresentato, da un lato,  dall'art.  41
 del   decreto   legislativo   n.   29   del   1993,   concernente  la
 razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche
 e la revisione della disciplina in materia di  pubblico  impiego,  e,
 dall'altro,  dall'art.  18  del  d.P.R.   n. 487 del 1994, contenente
 norme  regolamentari  "sull'accesso  agli  impieghi  nelle  pubbliche
 amministrazioni  e  sulle  modalita' di svolgimento dei concorsi, dei
 concorsi unici  e  delle  altre  forme  di  assunzione  nei  pubblici
 impieghi".
   La prima disposizione ha previsto, come e' noto, l'emanazione di un
 regolamento, da adottare, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto
 1988,   n.   400,  nella  forma  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica, per disciplinare i requisiti di accesso agli  impieghi  e
 le  relative  modalita'  concorsuali con riferimento, tra l'altro, ai
 contenuti dei bandi di concorso, alle modalita' di svolgimento  delle
 prove   concorsuali,  alla  composizione  e  agli  adempimenti  delle
 commissioni   esaminatrici.   Peraltro,   come   la   stessa    Corte
 costituzionale  ha  avuto occasione di precisare, in sede di giudizio
 di  legittimita'  costituzionale   in   via   principale   di   detta
 disposizione  (sentenza  n.  359  del  1993),  l'emananda  disciplina
 avrebbe dovuto riguardare il solo impiego statale, stante il divieto,
 anche in relazione al disposto dell'art. 17,  comma  1,  lettera  b),
 della  legge n. 400 del 1988, di interventi regolamentari del Governo
 in materie riservate alla competenza regionale.
   La suddetta disciplina regolamentare e'  stata  introdotta  con  il
 d.P.R.  n.  487  del  1994,  il cui art. 18 ha previsto, a sua volta,
 l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
 da adottare di concerto con il Ministro del tesoro, per  determinare,
 relativamente a tutti i tipi di concorso, i compensi da corrispondere
 al   presidente,   ai   membri  e  al  segretario  delle  commissioni
 esaminatrici, nonche' al personale addetto alla sorveglianza.
   4. - Cosi' ricostruito il quadro normativo nel quale  si  inserisce
 il conflitto sollevato dalla regione Lombardia, va respinta, in primo
 luogo, l'eccezione di inammissibilita' proposta dall'Avvocatura dello
 Stato  in  ragione  del  carattere  meramente  esecutivo  che  l'atto
 impugnato avrebbe rispetto al menzionato art. 18 del  d.P.R.  n.  487
 del  1994.   Non si riscontrano, infatti, in esso quelle connotazioni
 di mera ripetizione del contenuto ovvero  di  puntuale  e  necessaria
 esecuzione  di  un  atto  precedente che danno luogo, per consolidata
 giurisprudenza, all'inammissibilita' del ricorso (sentenza n. 206 del
 1975 e, da ultimo, sentenza n. 215 del  1996),  dal  momento  che  e'
 proprio  al  provvedimento  qui  all'esame  che  occorre far risalire
 l'affermazione di competenza da parte dello Stato di cui si duole  la
 ricorrente,  anziche'  all'art.  18  del precedente d.P.R. n. 487 del
 1994,  il  quale,  invero,  non  offre,  sul  piano   interpretativo,
 significativi elementi nel senso di ricomprendere anche le regioni. E
 questo  a considerare sia il tenore letterale della disposizione, sia
 i limiti che  la  disciplina  regolamentare  da  emanare  sulla  base
 dell'art.  41  del  decreto legislativo n. 29 del 1993 non poteva non
 incontrare nei confronti delle regioni, in quanto,  secondo  la  gia'
 richiamata  sentenza n. 359 del 1993, essa avrebbe dovuto attenere al
 solo impiego statale.
   5. - Nel merito il ricorso e' fondato, palesando  l'atto  caratteri
 di  invasivita' che, a ben vedere, trascendono anche il problema, sul
 quale indugia la ricorrente, della  natura  giuridica  del  medesimo.
 Sia  a  ritenere  il  provvedimento  che  da'  luogo  al conflitto un
 regolamento,  tesi  per  la  quale   sembra   propendere,   ancorche'
 dubitativamente,  la regione Lombardia, sia a considerarlo un atto di
 indirizzo e coordinamento, come la stessa prospetta in subordine, sia
 a reputarlo un atto  governativo  a  contenuto  generale,  esso  lede
 sicuramente la sfera di competenza regionale in materia di personale.
   Secondo  l'orientamento gia' espresso in precedenti pronunzie della
 Corte, la regola di base nei rapporti fra fonti secondarie statali  e
 fonti regionali e' quella della separazione delle competenze, tale da
 porre   le   regioni  al  riparo  dalle  interferenze  dell'esecutivo
 centrale.
   In ragione  di  tale  separazione,  la  Corte  ha  escluso  che  un
 regolamento  (governativo o ministeriale) possa contenere norme volte
 a limitare la sfera di competenza delle regioni  nelle  materie  loro
 attribuite  (sentenze  nn.  482  e  333 del 1995; 461 e 97 del 1992),
 disattendendo le  regole  costituzionali  relative  all'ordine  delle
 fonti  normative,  nonche' i principi espressamente sanciti dall'art.
 17 della legge n.  400  del  1988,  che,  al  comma  1,  lettera  b),
 stabilisce che i regolamenti governativi di attuazione e integrazione
 non  possono  intervenire  nelle  materie  riservate  alla competenza
 regionale, mentre, al comma 3, circoscrive la potesta'  regolamentare
 ministeriale  alle  sole  materie  di  competenza  del  Ministro o di
 autorita' a lui sottordinate.
   Il richiamo a tali principi appare risolutivo  per  la  definizione
 del presente conflitto, senza che occorra soffermarsi sulla questione
 delle  fonti  di  normazione  primaria  su  cui  l'atto  stesso  puo'
 ritenersi  eventualmente  riposare  e  piu'  in   particolare   sulle
 possibili  connessioni  che,  al  di  la' del richiamo che esso fa in
 premessa all'art. 41 del decreto legislativo n. 29 del 1993,  possano
 realmente  stabilirsi  con quest'ultima disposizione e con la materia
 che ne forma oggetto.
   Fermo che tali conclusioni a maggior ragione possono valere  se  si
 considera  il  decreto  impugnato  quale atto governativo a contenuto
 generale, a sottrarre il provvedimento alle  censure  alle  quali  si
 presta  non potrebbe giovare nemmeno il richiamo alla categoria degli
 atti espressione della funzione di indirizzo e  coordinamento.  Detta
 funzione,  come  la  Corte ha avuto piu' volte occasione di affermare
 (sentenze nn. 124, 113 e 26 del 1994;  45  del  1993),  e'  soggetta,
 quanto  a fondamento ed esercizio, a puntuali requisiti di forma e di
 sostanza che nella specie non si riscontrano: di  forma,  perche'  la
 funzione  stessa deve trovare svolgimento in forma collegiale e cioe'
 con una delibera del Consiglio dei  ministri;  di  sostanza,  perche'
 occorre  idonea  base  legislativa  per salvaguardare il principio di
 legalita'  sostanziale,  attraverso  la  previa  determinazione,  con
 legge, dei principi ai quali il Governo deve attenersi.
   6.  -  L'accoglimento  del  ricorso  per  le  ragioni sopra esposte
 assorbe ogni altro motivo di doglianza.