ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1,  2,
 3  e  4,  del  decreto-legge  25  maggio 1994, n. 313 (Disciplina dei
 pignoramenti sulle  contabilita'  speciali  delle  prefetture,  delle
 direzioni  di  amministrazione  delle Forze armate e della Guardia di
 finanza), convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio  1994,
 n. 460, promosso con ordinanza emessa il 17 dicembre 1995 dal pretore
 di  Avellino  nel procedimento civile vertente tra Gennaro Porpora ed
 altri, quali eredi di Lucia Caruso, e il  Ministero  dell'interno  ed
 altro,  iscritta  al  n.  206  del  registro  ordinanze  del  1996  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  11,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti l'atto di costituzione di Gennaro Porpora ed altri, l'atto di
 costituzione  ed  intervento  della  Banca d'Italia nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1996 il giudice  relatore
 Cesare Mirabelli;
   Uditi gli avvocati Alfonso Luigi Marra e Alfredo Alagna per Gennaro
 Porpora  ed  altri,  Pier  Luigi  Lorenti  per  la  Banca  d'Italia e
 l'avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  17 dicembre 1995 nel corso di un
 procedimento di espropriazione forzata presso terzi,  il  pretore  di
 Avellino,  quale  giudice  dell'esecuzione, ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'intero art. 1 del  decreto-legge  25
 maggio  1994,  n. 313 (Disciplina dei pignoramenti sulle contabilita'
 speciali  delle  prefetture, delle direzioni di amministrazione delle
 Forze  armate  e  della  Guardia   di   finanza),   convertito,   con
 modificazioni,  nella  legge 22 luglio 1994, n. 460, denunciandone il
 contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione.
   La   disposizione   sottoposta   a   verifica    di    legittimita'
 costituzionale,   nel   disciplinare  i  pignoramenti  sui  fondi  di
 contabilita' speciale a disposizione  delle  prefetture  o  di  altre
 amministrazioni (Forze armate, Guardia di finanza, Polizia di Stato e
 Corpo  nazionale  dei  vigili  del  fuoco),  stabilisce  che non sono
 soggetti  ad  esecuzione  forzata  i  fondi  destinati  a  servizi  e
 finalita'  di  protezione  civile, di difesa nazionale e di sicurezza
 pubblica, o al pagamento di emolumenti e pensioni dovuti al personale
 amministrato (comma 1). La stessa disposizione prevede, inoltre,  che
 i  pignoramenti  ed  i  sequestri sulle somme affluite nelle apposite
 contabilita' speciali si eseguono esclusivamente, a pena di  nullita'
 rilevabile  d'ufficio, con atto notificato al direttore di ragioneria
 nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, il
 quale vincola l'ammontare della somma dovuta sui fondi a destinazione
 diversa da  quella  che  non  consente  il  pignoramento  (comma  2);
 esclude,  quindi,  e  dichiara  nulli  gli  atti  di  sequestro  o di
 pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato (comma 3).
   La questione di legittimita' costituzionale e' stata sollevata dopo
 che  i  creditori  che  procedevano  nei   confronti   del   Ministro
 dell'interno  avevano  provveduto  al  pignoramento  presso  la Banca
 d'Italia  -  sezione  della  tesoreria  provinciale  dello  Stato  di
 Avellino  - anche su fondi di contabilita' speciale della Prefettura.
 La Banca d'Italia non era comparsa all'udienza stabilita per  rendere
 la dichiarazione del terzo, chiamato a specificare di quali somme del
 debitore si trovasse in possesso (art. 547 del cod. proc. civ.).
   Il  giudice  dell'esecuzione ritiene che la disposizione denunciata
 tenderebbe ad  introdurre  la  impignorabilita'  generalizzata  delle
 somme  di danaro e dei crediti pecuniari dello Stato, mentre i limiti
 di  pignorabilita'  di  tali  somme,  per  loro  natura  fungibili  e
 strumentali, dovrebbero essere individuati, secondo la giurisprudenza
 costituzionale  (sentenza  n. 138 del 1981), in relazione alla natura
 ed alla destinazione degli specifici beni dei quali di volta in volta
 si chiede l'espropriazione.  La disciplina denunciata altererebbe  la
 parita'   di   condizione   dei   creditori   e   derogherebbe  senza
 giustificazione alla competenza  territoriale,  in  violazione  degli
 artt. 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione.
   2.  -  L'ordinanza  di  rimessione del pretore di Avellino e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  11,  prima
 serie speciale, del 13 marzo 1996.
   3.  -  Si  sono  costituite dinanzi alla Corte le parti private che
 hanno promosso il procedimento di espropriazione, facendo  proprie  e
 sviluppando   le   argomentazioni   prospettate   nell'ordinanza   di
 rimessione.
   4. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, eccependo  anzitutto  l'inammissibilita'  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  per  difetto  di rilevanza nel giudizio
 principale.  Difatti, a seguito della mancata comparizione del  terzo
 per  rendere  la  dichiarazione prevista dall'art. 547 del cod. proc.
 civ., non essendo stata promossa dal creditore procedente l'azione di
 accertamento  del  diritto del debitore nei confronti del terzo (art.
 548 del cod.  proc. civ.), il pignoramento avrebbe perduto  efficacia
 ed  il  processo  esecutivo  si sarebbe estinto. L'Avvocatura ritiene
 che, in ipotesi, la pregiudizialita' sarebbe configurabile  solo  nel
 giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo. Ma questo presuppone
 che  il creditore procedente, dopo la mancata comparizione del terzo,
 abbia  assolto  l'onere  di  proporre  istanza  per  promuovere  tale
 giudizio  (art. 548 del cod.  proc. civ.), cosa che nel caso in esame
 non si e' verificata.
   L'Avvocatura deduce, quale  causa  di  inammissibilita',  anche  la
 carenza  di  motivazione  in ordine ai profili di incostituzionalita'
 della disposizione denunciata (quanto meno per i commi 2, 3 e 4),  ed
 il  mancato accertamento, che ritiene necessario da parte del giudice
 rimettente, dell'esistenza di fondi  giacenti  presso  il  terzo  non
 compresi  nelle  contabilita'  speciali,  osservando  che erano state
 pignorate tutte le somme dovute al  Ministero  dell'interno  ed  alla
 Prefettura.
   5.  -  Il  18  aprile  1996  la  Banca  d'Italia,  quale sezione di
 tesoreria provinciale dello Stato di Avellino,  ha  depositato  nella
 cancelleria  della  Corte  memoria  di  costituzione e di intervento,
 assumendo  di  essere   legittimata   a   costituirsi   quale   parte
 "sostanziale"   del   giudizio  principale,  o  di  avere  titolo  ad
 intervenire  nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   quale
 titolare del servizio di tesoreria dello Stato, affidatole per legge,
 ovvero secondo le regole del processo amministrativo, da applicare al
 giudizio di legittimita' costituzionale.
   Nel  merito  la  Banca  d'Italia ha proposto le proprie argomentate
 conclusioni, chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile
 o manifestamente infondata.
   In  prossimita' dell'udienza ha depositato una memoria per ribadire
 e precisare le proprie deduzioni in ordine all'ammissibilita' del suo
 intervento.
   6. - All'udienza del 25 giugno 1996 la Corte, sentite le parti,  ha
 dichiarato,  con  ordinanza, irricevibile l'atto di costituzione e di
 intervento della  Banca  d'Italia,  in  quanto  depositato  oltre  il
 termine  previsto  dall'art.  25  della  legge 11 marzo 1953, n. 87 e
 dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla  Corte
 costituzionale.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  investe  la
 disciplina  del  pignoramento  sulle  contabilita'   speciali   delle
 prefetture,  delle  direzioni di amministrazione delle Forze armate e
 della Guardia di finanza, dettata dall'art. 1  del  decreto-legge  25
 maggio  1994, n.   313, convertito, con modificazioni, nella legge 22
 luglio 1994, n.  460.
   Il pretore di Avellino, quale giudice dell'esecuzione, ritiene  che
 il  divieto  di  pignoramento  sui  fondi  di  contabilita'  speciale
 destinati a servizi e  finalita'  di  protezione  civile,  di  difesa
 nazionale  e  di  sicurezza pubblica, od al pagamento di emolumenti e
 pensioni al personale amministrato, e le modalita'  del  pignoramento
 da eseguire presso l'amministrazione, possano essere in contrasto con
 gli artt.  3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione.
   2.  -  Preliminarmente  deve essere esaminata l'eccezione, proposta
 dall'Avvocatura dello Stato, di  inammissibilita',  per  irrilevanza,
 della questione di legittimita' costituzionale.
   L'eccezione e' fondata.
   La  questione  e'  stata  sollevata nel corso di un procedimento di
 espropriazione presso terzi, dopo che il creditore  procedente  aveva
 provveduto  a notificare l'ingiunzione al debitore e l'intimazione al
 terzo (art. 543 del cod. proc. civ.), citato a comparire  dinanzi  al
 pretore  per  dichiarare  di  quali  somme del debitore sottoposto ad
 esecuzione fosse in possesso (art.  547  del  cod.  proc.  civ.).  La
 mancata   comparizione   del   terzo  conclude  questa  fase,  ed  il
 procedimento  esecutivo  si  estingue,  a  meno  che   il   creditore
 procedente,   a   seguito   della   mancata   (o   della  contestata)
 dichiarazione del terzo,  proponga  istanza  per  l'accertamento  del
 diritto  del  debitore  nei  confronti del terzo. Solo in tal caso la
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  sollevata  dal  giudice
 rimettente,  si  configurerebbe  come  pregiudiziale  rispetto al suo
 giudizio.
   Non risulta dall'ordinanza di  rimessione,  ne'  dagli  atti,  che,
 successivamente  alla  mancata  comparizione  del  terzo  chiamato  a
 rendere la sua dichiarazione, il creditore  abbia  esperito  l'azione
 per  il  giudizio  di  cognizione, proponendo la relativa istanza. La
 questione di legittimita' costituzionale, dunque, nel momento in  cui
 e'  stata  sollevata non era rilevante nel giudizio principale e deve
 essere dichiarata inammissibile.