ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  30  e  32
 della  legge  4  maggio  1983,  n.  184  (Disciplina  dell'adozione e
 dell'affidamento dei minori), promosso con  ordinanza  emessa  il  18
 novembre  1994  dalla  Corte di cassazione, sezione unite civili, sui
 ricorsi riuniti proposti dal procuratore della Repubblica  presso  il
 tribunale  per  i  minorenni  di  Salerno  contro  Giovanni  Battista
 Crescenzo ed altra e da Giovanni Battista Crescenzo ed  altra  contro
 il  procuratore  della Repubblica presso il tribunale per i minorenni
 di Salerno,  iscritta  al  n.  238  del  registro  ordinanze  1995  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 19, prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  29 maggio 1996 il giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza emessa il 18  novembre  1994  nel  corso  di  un
 giudizio   promosso   per   attribuire   efficacia  in  Italia,  come
 affidamento preadottivo, ad un provvedimento di adozione  emesso  nel
 Maryland (Stati Uniti), la Corte di cassazione, sezione unite civili,
 ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
 artt.  6,  30  e  32  della  legge  4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina
 dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui  non
 prevede che il giudice, nel valutare il requisito della differenza di
 eta' tra minore adottando ed adottante non superiore a quaranta anni,
 possa  tenere  conto,  quale  circoscritto  ed  eccezionale motivo di
 ammissibilita' della  declaratoria  di  efficacia  del  provvedimento
 straniero,  del  superamento  di  tale  limite,  da  parte di uno dei
 coniugi adottanti ma non dell'altro, in misura tale che sia  comunque
 rispettata  la  differenza  biologica naturale, ovvero ordinaria, tra
 genitori e figli (alla quale e' ispirata la  convenzione  europea  in
 materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967
 e resa esecutiva con legge 22 maggio 1974, n. 357).
   La  Corte di cassazione era chiamata a pronunciarsi, su ricorso sia
 del pubblico ministero che dei coniugi  adottanti,  sul  decreto  del
 tribunale  per  i  minorenni di Salerno, che, considerato l'interesse
 preminente del minore, aveva attribuito  efficacia  al  provvedimento
 straniero di adozione, calcolando la differenza di eta' tra minore ed
 adottante,  prevista  dall'art.  6  della  legge n. 184 del 1983 e da
 applicare anche all'adozione internazionale  (art.  30  della  stessa
 legge),  non  a  giorni,  ma  in  base agli anni interamente compiuti
 dall'adottante.  Con la conseguenza che il limite di  quaranta  anni,
 altrimenti  superato  di  soli tre mesi da uno dei coniugi adottanti,
 era da considerare rispettato.
   La Corte di cassazione afferma  che  l'accertamento  dei  requisiti
 previsti  dall'art.  6  della  legge  n.  184  del  1983 e' richiesto
 dall'art.   30 della stessa legge  anche  per  l'adozione  di  minori
 stranieri  e comprende, quindi, il requisito della differenza di eta'
 tra coniugi adottanti e minore da adottare. La  specifica  fissazione
 di  tale limite in non piu' di quaranta anni non consente, secondo il
 tenore letterale della disposizione, di fare ricorso, per  attribuire
 efficacia a sentenze straniere di adozione, a valutazioni diverse, in
 ipotesi  compatibili  con  i  principi  di  ordine pubblico italiano,
 quando sia superato il limite di quaranta anni, ma il divario di eta'
 riproduca la differenza biologica naturale e l'adozione risponda, con
 certezza, all'interesse del minore.
   Ad avviso  del  giudice  rimettente,  si  e'  in  presenza  di  una
 disciplina  tassativa  e  rigida,  che non permette in nessun caso di
 attribuire efficacia  al  provvedimento  straniero  di  adozione,  in
 mancanza  del requisito della differenza di eta', anche quando vi sia
 un eccezionale interesse del  minore,  pur  altre  volte  considerato
 dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 183 del 1988 e n. 44
 del  1990)  come  idoneo  a  consentire,  a  seguito  di  un rigoroso
 accertamento giudiziale, di superare la rigidita'  dello  sbarramento
 legislativo.
   La  Corte di cassazione ritiene che la disciplina denunciata sia in
 contrasto con gli artt.  2  e  31  della  Costituzione,  perche'  non
 permetterebbe  al  coniuge  in  possesso  del  requisito dell'eta' di
 realizzare il diritto alla costituzione della  famiglia  adottiva,  a
 causa  di  una  situazione  estranea  alla sfera dei propri diritti e
 doveri, e senza che vi sia un conflitto  con  i  principi  di  ordine
 pubblico.  Inoltre ammettere l'adozione anche in questi casi potrebbe
 far  realizzare  il fondamentale interesse del minore e consentirebbe
 di adempiere al dovere di solidarieta' verso chi versa  in  stato  di
 abbandono.
   La Corte rimettente prospetta anche la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, in quanto il coniuge idoneo ad adottare, sempre che sia
 tutelato   l'interesse  del  minore,  sarebbe  posto,  a  parita'  di
 condizioni personali, in posizione di  diseguaglianza  rispetto  agli
 altri cittadini.
   2.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   L'Avvocatura  ritiene  che  sarebbe  difficile  sottrarre  le norme
 denunciate alla censura di incostituzionalita', se il requisito della
 differenza di eta' dovesse essere inteso ed applicato nel significato
 rigoroso, attribuito dall'ordinanza di rimessione.
   La  questione   potrebbe   essere,   tuttavia,   risolta   in   via
 interpretativa.   E' stata, difatti, gia' dichiarata l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della  legge  n.  184  del
 1983,  nella  parte  in  cui  non  consente  l'adozione di uno o piu'
 fratelli  in  stato  di  adottabilita', quando per uno di essi l'eta'
 degli adottanti supera di piu' di quarant'anni l'eta'  dell'adottando
 e  dalla loro separazione possa derivare ai minori un danno grave per
 il venir meno della comunanza di vita e di  educazione  (sentenza  n.
 148  del 1992). La Corte costituzionale ha, quindi, gia' ritenuto che
 il divario di eta', legislativamente previsto, non si pone come cosi'
 assoluto da non  poter  essere  ragionevolmente  intaccato,  in  casi
 circoscritti   ed   eccezionali,  per  consentire  l'affermazione  di
 interessi, particolarmente attinenti al minore ed alla famiglia,  che
 trovano radicamento e protezione costituzionale e la cui esistenza in
 concreto sia rimessa al rigoroso accertamento giudiziale.
   Ad  avviso  dell'Avvocatura,  il  divario  di eta' vive, nel nostro
 ordinamento, nei limiti entro i quali e' stata  riconosciuta  la  sua
 aderenza  ai  valori  costituzionali di protezione della personalita'
 dei minori. Il caso considerato nel giudizio principale  (superamento
 di  appena  tre  mesi del divario massimo di eta' da parte di un solo
 coniuge) sarebbe  compreso  nell'ambito  di  questa  interpretazione,
 conforme  ai  principi  costituzionali,  che consente alla prudente e
 ponderata valutazione del giudice di attenuare l'apparente  rigidita'
 nella disciplina del divario di eta' legislativamente fissato.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La questione di legittimita' costituzionale investe la norma
 relativa al divario  di  eta'  tra  coniugi  adottanti  ed  adottato,
 fissato  in  non piu' di quaranta anni dalla disciplina dell'adozione
 dei minori.  La Corte di cassazione ritiene che l'art. 6 della  legge
 4  maggio 1983, n. 184, che stabilisce tale requisito, operante anche
 per l'adozione di minori stranieri in forza degli artt. 30 e 32 della
 stessa legge, possa essere in contrasto con gli artt. 2, 3 e 31 della
 Costituzione.  Il dubbio di legittimita' costituzionale e'  formulato
 per  la rigidita' della regola, che non consente al giudice di tenere
 conto, quale circoscritto ed  eccezionale  motivo  di  ammissibilita'
 della  dichiarazione  di  efficacia  del  provvedimento  straniero di
 adozione,  del  superamento,  da  parte  di  uno  solo  dei   coniugi
 adottanti,  del  limite  di  eta'  di  quaranta anni tra adottante ed
 adottato, in maniera tale che sia comunque rispettata  la  differenza
 biologica naturale ovvero ordinaria tra genitori e figli.
   2. - La questione, prospettata nei confronti del combinato disposto
 degli  artt.  6,  30  e 32 della legge n. 184 del 1983 in un caso che
 riguarda  l'adozione  di  un  minore  straniero,   e'   tuttavia   da
 considerare  riferita  all'art. 6, secondo comma, della stessa legge,
 che stabilisce il requisito, generale  e  comune  tanto  all'adozione
 nazionale  che  a  quella  internazionale,  del  divario  di eta' tra
 coniugi adottanti e minore adottato.
   Difatti il legislatore, nel disciplinare l'adozione dei minori,  ha
 stabilito,  tra le disposizioni generali della legge n. 184 del 1983,
 alcuni  requisiti  comuni  per  l'adozione,  sia   quando   essa   e'
 direttamente disposta dal giudice nazionale, sia quando, per i minori
 stranieri, e' disposta dallo stesso giudice, ma sul presupposto di un
 provvedimento di adozione emesso in altri paesi e che solo cosi' puo'
 acquistare efficacia in Italia.
   L'unificazione  dei  requisiti risponde ad un principio al quale si
 ispira l'intera legge n. 184 del 1983: quello della  pari  protezione
 dei  minori  e quindi della omogeneita' di disciplina sostanziale per
 la  loro  adozione,  tanto  che  siano  italiani  quanto   stranieri,
 evitando,  in  danno  di  questi  ultimi,  discriminazioni  ed  abusi
 (sentenza n.  536 del 1989).
   Questo principio risponde all'esigenza di  una  comune  e  generale
 salvaguardia  della  personalita'  e  dei diritti del minore, e trova
 fondamento nella garanzia costituzionale della dignita' della persona
 e nella  speciale  protezione  dell'infanzia  (artt.  2  e  31  della
 Costituzione).   Il medesimo principio ispira le norme internazionali
 che  richiedono,  per  l'adozione  all'estero,   garanzie   e   norme
 equivalenti a quelle previste per l'adozione nazionale (art. 21 della
 convenzione  sui  diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York il 20
 novembre 1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176).
   Tra i requisiti comuni alle due forme  di  adozione,  nazionale  ed
 internazionale,  l'eta'  degli  adottanti,  rispetto  a  quella degli
 adottandi,  ha  un  rilievo  non  secondario.  Essa   e'   presa   in
 considerazione anche dalla convenzione europea in materia di adozione
 di  minori, che prevede la regola generale di una differenza di eta',
 tra adottante e adottato, non diversa da  quella  che  intercorre  di
 solito  tra  genitori e figli (art. 8 della convenzione di Strasburgo
 firmata il 24 aprile 1967, resa esecutiva con legge 22  maggio  1974,
 n. 357).
   L'adozione  di  minori  e',  difatti,  destinata a far cessare ogni
 rapporto tra la famiglia di origine  e  l'adottato,  il  quale  viene
 definitivamente  inserito nella famiglia di accoglienza, assumendo in
 essa la condizione giuridica di  figlio  legittimo.  La  famiglia  di
 accoglienza   e'   chiamata,   quindi,   ad  assolvere  una  funzione
 completamente sostitutiva della famiglia di origine e deve, pertanto,
 avere tutti i requisiti di una famiglia  nella  quale  ordinariamente
 avviene  l'accoglienza della nascita, l'assistenza e l'educazione del
 fanciullo. Cosi' si spiega il divario di eta' tra genitori adottivi e
 minore adottato, che deve essere conforme a tale modello.
   3. - Il legislatore ha ritenuto, facendo uso della discrezionalita'
 che gli e' propria, di stabilire, sia  nel  minimo  che  nel  massimo
 (rispettivamente in diciotto e quaranta anni), il divario di eta' tra
 adottanti  e  adottando  in modo rispondente alle finalita' peculiari
 dell'adozione legittimante e tenendo conto delle  condizioni  sociali
 nelle quali  l'istituto e' destinato ad operare.
   Non  viene  ora  posta  in  discussione  la regola, ragionevolmente
 stabilita dal  legislatore,  ma  la  sua  assolutezza,  tale  da  non
 tollerare  eccezione  alcuna  anche  quando  l'adozione  risponda  al
 preminente  interesse  del  minore  e  la   specifica   famiglia   di
 accoglienza,  giudicata idonea, sia la sola che possa soddisfare tale
 interesse, ma sia superato il divario di eta'  rigidamente  previsto,
 pur  rimanendo  tale  divario  compreso  in quello che di solito puo'
 intercorrere tra genitori e figli, sicche' l'adozione non puo' essere
 disposta ed in concreto ne deriva un danno per il minore stesso.
   Questa Corte ha gia' ritenuto che la regola del divario massimo  di
 eta'  tra  adottante e adottato non puo' essere cosi' assoluta da non
 poter  essere  ragionevolmente  intaccata,  in   casi   rigorosamente
 circoscritti  ed  eccezionali,    per  consentire  l'affermazione  di
 interessi,  attinenti  al  minore  ed  alla  famiglia,  che   trovano
 radicamento e protezione costituzionale, la cui esistenza in concreto
 sia  rimessa al rigoroso accertamento giudiziale (sentenza n. 148 del
 1992).
   Sotto  questo  profilo  non viene in considerazione l'interesse dei
 coniugi ad avere figli legittimi di derivazione  adottiva.  Ne',  per
 gli   aspetti   considerati,   il  limite  di  eta'  stabilito  dalla
 disposizione denunciata per l'adozione di minori puo' essere valutato
 in relazione all'interesse ed alla posizione dell'adottante, giacche'
 l'intero sistema dell'adozione di minori e' eminentemente  incentrato
 sulla   valutazione   e   sulla   protezione   della  personalita'  e
 dell'interesse del fanciullo, alla cui accoglienza e' preordinato  lo
 stesso apprezzamento dell'idoneita' della famiglia adottiva, e quindi
 dei requisiti richiesti ai suoi componenti.
   Occorre,  invece,  considerare  l'interesse  e  la  protezione  del
 minore, che l'ordinanza di rimessione prospetta  quali  elementi  del
 giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  facendo riferimento agli
 artt. 2 e 31 della Costituzione.
   4.   -   In   continuita'   con   la   precedente    giurisprudenza
 costituzionale, relativa al superamento dell'assoluta rigidita' delle
 prescrizioni  normative,  quanto  alla differenza di eta' tra coniugi
 adottanti ed adottando (sentenze n. 183 del 1988, n. 44 del 1990,  n.
 148  del  1992),  deve  essere  riconosciuta  la  possibilita' che il
 giudice valuti, con rigoroso accertamento,  l'eccezionale  necessita'
 di  consentire,  nell'esclusivo  interesse del minore, che questi sia
 inserito nella famiglia di accoglienza  che,  sola,  puo'  soddisfare
 tale  suo  interesse, anche quando, pur rimanendo nella differenza di
 eta' che puo' solitamente intercorrere tra genitori e  figli,  l'eta'
 del  coniuge  adottante si discosti in modo ragionevolmente contenuto
 dal massimo di quaranta anni, legislativamente previsto.
   Tuttavia,  affinche'  non  si  trasformi  in  una  regola,  la  cui
 fissazione  e'  invece rimessa alla discrezionalita' del legislatore,
 l'eccezione deve rispondere ad un criterio di necessita' in relazione
 ai principi ed ai valori costituzionali assunti  quale  parametro  di
 valutazione  della  legittimita'  costituzionale  della  disposizione
 denunciata (artt.  2 e 31 della Costituzione).
   Nel contesto di un istituto preordinato ad assicurare al minore  in
 stato  di  abbandono  una famiglia di accoglienza idonea ad assolvere
 pienamente  la  funzione  di  solidarieta'  propria  della   famiglia
 legittima,  la necessita' della deroga al criterio rigido del divario
 di eta' (fissato dall'art. 6, secondo comma, della legge n.  184  del
 1983)  si  verifica quando l'inserimento in quella specifica famiglia
 adottiva risponde al preminente interesse del minore e dalla  mancata
 adozione  deriva  un  danno  grave  e non altrimenti evitabile per lo
 stesso.
   La questione e' dunque, in questi limiti, fondata.