ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 486, 477,  70
 e 71 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
 30  ottobre  1995  dal  pretore  di  Milano nel procedimento penale a
 carico di Saltini Alfonso, iscritta al n. 949 del registro  ordinanze
 1995  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4,
 prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito nella camera di consiglio  del  2  ottobre  1996  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   Il pretore di Milano, dopo aver premesso di procedere nei confronti
 di  un  imputato nato nel 1907 che presenta - come e' stato accertato
 in sede di perizia medico-legale - una patologia grave, irreversibile
 ed evolutiva al punto da consentire "di ritenere che  nel  futuro  il
 medesimo  non possa presenziare in aula", ha sollevato, dopo numerosi
 rinvii del dibattimento, questione  di  legittimita'  costituzionale,
 per  violazione  degli  artt. 3 e 112 della Costituzione, degli artt.
 486, 477, 70 e 71 del codice di procedura penale "nella parte in  cui
 non  prevedono  la  sospensione  del dibattimento in caso di imputato
 permanentemente impossibilitato in  modo  assoluto  a  comparire  per
 legittimo   impedimento   dovuto   a   malattia   irreversibile,   la
 possibilita' di assumere prove alle condizioni dell'art. 70 comma  2,
 la possibilita' di adottare in esito sentenza di proscioglimento e di
 non  doversi  procedere  e  l'inapplicabilita'  dell'art.  75 comma 3
 c.p.p. quanto alla parte civile". Rileva il giudice  a  quo  che  nel
 caso di specie non e' consentito sospendere il giudizio ne' procedere
 ad  alcuna  attivita'  dibattimentale,  malgrado l'obbligo di fissare
 l'udienza  di  prosecuzione   a   data   fissa,   mentre   l'avvenuta
 costituzione  di  parte  civile  appare  priva di qualsiasi possibile
 esito e alternativa. Si determina, dunque, una situazione di "stallo"
 processuale anomala e  irragionevole,  in  quanto  sacrifica  sia  il
 principio di obbligatorieta' della azione penale, sia il principio di
 eguaglianza,  tenuto  conto  della piu' equilibrata soluzione data al
 caso simile dell'imputato che per infermita' mentale non e' in  grado
 di  partecipare  coscientemente  al  processo, per il quale e' invece
 consentito assumere prove a norma dell'art. 70, comma 2,  cod.  proc.
 pen. e adottare all'esito un pronuncia favorevole all'imputato.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Chiamato  a  celebrare il dibattimento nei confronti di un
 imputato di eta' avanzata e che presenta patologie di  gravita'  tale
 da  rendere  prevedibile  che  anche  in futuro il medesimo non possa
 presenziare alla attivita' di udienza, il  pretore  di  Milano,  dopo
 alcuni  rinvii  disposti  per  impedimento dell'imputato, solleva, in
 riferimento agli artt. 3  e  112  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli art. 486, 477, 70 e 71 del codice
 di  procedura  penale  nella  parte  in  cui  non  prevedono:  a)  la
 sospensione  del  dibattimento  in  caso  di imputato permanentemente
 impossibilitato  a  comparire  per  legittimo  impedimento  dovuto  a
 malattia  irreversibile;  b)  la  possibilita' di assumere prove alle
 condizioni previste dall'art. 70, secondo comma, cod. proc. pen.;  c)
 la  possibilita'  di adottare all'esito sentenza di proscioglimento e
 di non doversi  procedere;  d)  l'inapplicabilita'  della  disciplina
 dettata dall'art. 75, terzo comma, cod. proc. pen., quanto alla parte
 civile.  A  parere  del  giudice  rimettente,  infatti, l'impedimento
 irreversibile   dell'imputato   determinerebbe   una    "paradossale"
 situazione  di  stasi  processuale  che  non  consente  alcun tipo di
 attivita', malgrado l'obbligo di "fissare udienza di proseguimento  a
 data  fissa",  rendendo  al tempo stesso priva di esiti e alternative
 l'avvenuta costituzione di  parte  civile;  il  tutto,  soggiunge  il
 rimettente,  con  effetti  tali  da compromettere sia il principio di
 obbligatorieta' dell'azione penale,  sia  quello  di  uguaglianza,  a
 proposito  del quale evoca la diversa e "piu' equilibrata" disciplina
 che regola il "caso affine" dell'imputato che per infermita'  mentale
 non  sia  in  grado di partecipare coscientemente al processo e della
 quale si chiede, in sostanza, l'estensione alla ipotesi dedotta.
   2. - Il quesito che il giudice a quo  sottopone  quale  tema  dello
 scrutinio  di  costituzionalita'  si  presenta,  dunque,  quanto  mai
 composito sotto il  profilo  dei  riferimenti  normativi  attinti  da
 censura ed altrettanto variegato sul piano degli istituti che vengono
 ad  essere  coinvolti,  richiedendosi  a  questa  Corte un intervento
 manipolativo   sul   tessuto   codicistico   che   rimodelli,   sotto
 differenziati  aspetti,  la  disciplina  dell'impedimento a comparire
 dell'imputato  (art.  486),  la  durata   e   la   prosecuzione   del
 dibattimento  (art.  477),  nonche' il regime e gli effetti stabiliti
 dalla legge per l'ipotesi in cui l'imputato, per infermita'  mentale,
 non  sia in grado di partecipare coscientemente al processo (artt. 70
 e 71). Infine, nel dispositivo, l'ordinanza del giudice rimettente fa
 testuale riferimento all'art.   75, terzo  comma,  cod.  proc.  pen.,
 lamentandone   "l'inapplicabilita'   quanto   alla   parte   civile",
 manifestamente intendendo, con questa sintetica locuzione,  lamentare
 l'inapplicabilita',  alle  situazioni  come quella denunciata, di una
 eccezione alla regola  della  sospensione  del  processo  civile  per
 l'azione  risarcitoria  quando  l'azione stessa sia stata proposta in
 sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte
 civile nel processo penale.
   L'intera gamma dei petita va, pertanto, non solamente valutata  nel
 suo   complesso,   ma   anche  analizzata  in  ciascuno  dei  singoli
 componenti, per verificare se ed in che misura un siffatto intervento
 rientri nei poteri spettanti a questa Corte e se, alla stregua  delle
 differenziate  ragioni  che  stanno al fondo delle censure, le stesse
 risultino in tutto o  in  parte  fondate  sulla  base  dei  parametri
 dedotti.
   Puo'  subito  rilevarsi,  in  linea generale, come il giudice a quo
 abbia posto quale fulcro della questione  una  pretesa  affinita'  di
 situazioni  che, invece, si appalesano fra loro del tutto eterogenee,
 tanto sul piano strutturale che su quello  logico-sistematico.  Dalla
 ordinanza  di  rimessione, infatti, traspare con chiarezza la pretesa
 di sovrapporre l'ipotesi dell'imputato che per malattia irreversibile
 sia legittimamente impedito  a  comparire  sine  die  all'udienza,  a
 quella dell'imputato che, per infermita' mentale, non sia in grado di
 partecipare   coscientemente   al  processo,  al  punto  da  ritenere
 automaticamente trasferibile per piu' profili la peculiare disciplina
 dettata per quest'ultima ipotesi anche alla prima. Ma  e'  del  tutto
 evidente  che  si  tratta  di  situazioni  non comparabili: altro e',
 infatti, l'incapacita' di partecipare coscientemente al processo  che
 ineluttabilmente  compromette  l'idoneita' ad esercitare l'autodifesa
 e, dunque, giustifica la predisposizione di un composito e  peculiare
 assetto   normativo   informato   alla   tutela   della  liberta'  di
 autodeterminazione dell'imputato (v. sentenza  n.    281  del  1995),
 altro  e'  l'impedimento  a comparire, posto che una evenienza di tal
 genere puo' rappresentare, ma  non  necessariamente  rappresenta,  un
 semplice ostacolo all'esercizio del diritto di difesa, che l'imputato
 e'  posto  in  condizione  di  rimuovere  esercitando  la facolta' di
 rinuncia a presenziare al dibattimento. L'accoglimento della premessa
 da  cui  muove  il  giudice  a   quo   comporterebbe,   quindi,   non
 l'armonizzazione   di  disciplina  di  fattispecie  analoghe,  ma  la
 creazione ex novo di un regime  eccezionale  che  invaderebbe  l'area
 delle  scelte  che  l'ordinamento  riserva alla esclusiva sfera della
 discrezionalita' legislativa. Deve pertanto  ritenersi  inammissibile
 la  richiesta  del  giudice  a quo volta ad introdurre nel sistema la
 previsione che il dibattimento  sia  sospeso  "in  caso  di  imputato
 permanentemente  impossibilitato  in  modo  assoluto  a comparire per
 legittimo impedimento dovuto a malattia  irreversibile",  considerato
 anche  a  tal  proposito  che,  generandosi  per questa via una nuova
 ipotesi  di  sospensione  del  processo,  si   determinerebbe,   come
 automatico  effetto  sul piano del diritto sostanziale, l'inserimento
 di un nuovo caso di sospensione  del  corso  della  prescrizione  del
 reato  e,  quindi, la creazione di conseguenze penali contra reum che
 certamente e' inibita a questa Corte (cfr., da ultimo,  ordinanza  n.
 315 del 1996 e le ordinanze ivi richiamate).
   Alle  medesime  conclusioni  deve  pervenirsi  anche  per  cio' che
 concerne quella parte del petitum intesa a sollecitare l'adozione  di
 una pronuncia additiva che consenta la possibilita' di assumere prove
 alle  condizioni  previste  dall'art.  70,  secondo comma, cod. proc.
 pen., e di adottare all'esito "sentenza di proscioglimento o  di  non
 doversi  procedere".    Al di la', infatti, delle considerazioni gia'
 svolte in linea generale,  va  osservato  che  l'art.  70,  comma  2,
 richiamato,  poi, dall'art. 71, comma 4, cod. proc. pen., consente al
 giudice di  assumere,  a  richiesta  del  difensore  o  del  curatore
 speciale,   le   prove   che   possono  condurre  al  proscioglimento
 dell'imputato, e, quando vi e' pericolo nel ritardo, ogni altra prova
 richiesta dalle parti. Un regime, dunque, del tutto eccezionale e che
 si  salda  intimamente  alla  particolare  situazione   di   impedita
 autodifesa in cui versa l'imputato che non e' in grado di partecipare
 coscientemente   al   processo,  ma  che  non  puo'  certo  ritenersi
 replicabile per l'ipotesi di semplice impedimento  a  comparire,  ove
 gli   effetti   preclusivi  alla  celebrazione  dell'udienza  vengono
 collegati anche ad una  libera  e  consapevole  scelta  dell'imputato
 stesso.  L'accoglimento  di  un  simile  petitum,  dunque,  lungi dal
 profilarsi come unica soluzione costituzionalmente imposta, finirebbe
 esso  stesso  per  generare conseguenze di forte disarmonia sul piano
 degli  equilibri  del  sistema,  giacche'   introdurrebbe   una   non
 giustificata compressione del diritto alla prova delle restanti parti
 del processo.
   3. - Le considerazioni sin qui svolte non possono invece valere per
 cio'  che  concerne  l'ultimo  dei  profili  che  il giudice a quo ha
 dedotto a sostegno della pur sintetica ordinanza  di  rimessione.  La
 situazione  di  "stallo" processuale che si determina nel caso in cui
 l'imputato, per malattia irreversibile, si  trovi  impossibilitato  a
 comparire,    effettivamente    determina   per   la   parte   civile
 l'impossibilita'  di  dare  concreto  seguito  alla  propria  domanda
 risarcitoria, giacche', anche nell'ipotesi in cui ritenesse di optare
 per  l'esercizio  della  azione  civile  in sede propria, il processo
 civile  cosi'  introdotto  sopporterebbe   gli   effetti   sospensivi
 stabiliti  dall'art.  75,  comma  3,  cod. proc. pen., non rientrando
 l'ipotesi di specie tra le "eccezioni previste dalla  legge"  che  la
 norma stessa enuncia quali deroghe a quegli effetti.
   Sotto  il  circoscritto  profilo  che  viene  qui  in  discorso, si
 appalesano,  dunque,  forti  analogie  tra  la  stasi  del   processo
 determinata  dalla  incapacita'  psichica  dell'imputato e quella che
 scaturisce dall'impedimento a comparire dell'imputato  il  quale  non
 consenta  che  il  dibattimento  prosegua  in  sua  assenza, giacche'
 entrambe  le  situazioni  di  paralisi  processuale  ineluttabilmente
 determinano  una  sostanziale  sterilizzazione  della  azione  civile
 esercitata nel processo penale. Considerato, quindi,  che  nel  primo
 caso  l'art.  71,  comma 6, cod. proc. pen., fa salvi i diritti della
 parte civile sancendo l'inapplicabilita' dell'art. 75, comma 3, dello
 stesso codice e, dunque, consentendo il trasferimento della azione in
 sede civile senza che il relativo processo venga sospeso,  si  rivela
 fondata  la  doglianza del giudice a quo nella parte in cui sollecita
 l'adozione del medesimo regime anche  nell'ipotesi  che  qui  rileva.
 Come  questa  Corte  ha  infatti  avuto  modo di puntualizzare in una
 fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente giudizio,
 ancorche' riferita alla disciplina  -  peraltro  a  questi  fini  non
 difforme  -  dettata dal codice di rito previgente, "e' certo che una
 stasi  del  processo  che  si  accerti  di   durata   indefinita   ed
 indeterminabile,  non  possa  non vulnerare il diritto di azione e di
 difesa della parte civile cui  pure  l'assetto  del  codice  abrogato
 apprestava  tutela,  svincolandola  dal  processo  penale nel caso di
 sospensione del processo per infermita' di mente  dell'imputato"  (v.
 sentenza  n.  330  del  1994).  Con  cio' il perturbamento del canone
 dell'uguaglianza, che il rimettente deduce  come  parametro,  finisce
 per  assumere  nella  specie  connotazioni  di  ancor  piu'  incisivo
 risalto,  in   quanto   intimamente   correlato   ad   altro   valore
 costituzionale,  quale  e'  il  potere  di  agire a tutela dei propri
 diritti, che nell'ipotesi in  esame  risulta  dunque  compromesso  in
 eguale misura.
   Anche  se il giudice a quo propone quindi, e come gia' si e' detto,
 un articolato quesito inteso a rielaborare la disciplina dettata  dal
 codice  di  rito  per  il  caso  di incapacita' processuale, cosi' da
 includervi anche l'ipotesi dell'imputato permanentemente  impedito  a
 comparire,  il  petitum che nella sostanza si intende perseguire mira
 piu' semplicemente ad iscrivere  quest'ultima  ipotesi,  in  aggiunta
 alla  prima, fra le "eccezioni" che rendono inoperante il particolare
 regime dei rapporti  tra  azione  civile  e  azione  penale  previsto
 dall'art.  75, comma 3, del medesimo codice.
   Tale  disposizione  andra'  pertanto  dichiarata costituzionalmente
 illegittima in parte qua per  contrasto  con  gli  indicati  principi
 costituzionali.