ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  primo  e
 quarto comma, della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di
 enfiteusi  e  prestazioni fondiarie perpetue), promosso con ordinanza
 emessa il 26 settembre 1995 dal pretore di Salerno  nel  procedimento
 civile  vertente  tra  Francesco  Calenda  ed  altro  e Parrocchia di
 Brignano ed altro, iscritta al n. 32 del registro  ordinanze  1996  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 6, prima
 serie speciale, dell'anno 1996.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 12  febbraio  1997  il  giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ordinanza  emessa  il 26 settembre 1995 nel corso di un
 giudizio promosso per la determinazione del capitale di affrancazione
 di un'enfiteusi, costituita anteriormente  al  28  ottobre  1941,  il
 pretore  di  Salerno  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42,
 secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  primo  e  quarto comma, della legge 22
 luglio 1966, n. 607 (Norme in  materia  di  enfiteusi  e  prestazioni
 fondiarie perpetue), nella parte in cui non prevede che ai fini della
 determinazione  del  capitale  di affrancazione il canone enfiteutico
 sia aggiornato, al momento  della  sua  determinazione  in  giudizio,
 mediante l'applicazione di coefficienti idonei a mantenerne adeguata,
 con   una   ragionevole   approssimazione,   la   corrispondenza  con
 l'effettiva realta' economica.
    La  disposizione  denunciata  trova  applicazione,   per   effetto
 dell'art.   18, primo comma, della stessa legge n. 607 del 1966, alle
 enfiteusi costituite anteriormente all'entrata in  vigore  del  nuovo
 libro separato del codice civile della proprieta' (28 ottobre 1941) e
 prevede  che  l'affrancazione  si  opera mediante il pagamento di una
 somma  corrispondente  a  quindici  volte  il   valore   del   canone
 enfiteutico,  il  quale  non  puo' superare il reddito dominicale del
 fondo sul quale grava, determinato a norma del regio decreto-legge  4
 aprile  1939, n. 589 (convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976),
 rivalutato con il decreto  legislativo  del  Capo  provvisorio  dello
 Stato 12 maggio 1947, n. 356.
   Seguendo  questo criterio di calcolo il giudice rimettente dovrebbe
 determinare il capitale di affrancazione in una misura che  considera
 irrisoria,  tale  da far dubitare che l'art. 1, primo e quarto comma,
 della legge n. 607 del 1966 possa violare il principio di eguaglianza
 e la tutela costituzionale della  proprieta'.  Difatti,  non  sarebbe
 giustificata  la disparita' di trattamento delle enfiteusi costituite
 prima  del  28  ottobre  1941,  disciplinate  da  tale  disposizione,
 rispetto  a  quelle costituite successivamente, per le quali opera un
 meccanismo   di   aggiornamento,   per   effetto   della   dichiarata
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 14 giugno 1974,
 n.  270,  nella parte in cui non prevedeva un periodico aggiornamento
 mediante l'applicazione di coefficienti  di  maggiorazione  idonei  a
 mantenere   adeguata,   con   una   ragionevole  approssimazione,  la
 corrispondenza del valore di riferimento per  la  determinazione  del
 canone enfiteutico con l'effettiva realta' economica (sentenza n. 406
 del  1988).  Per  le  enfiteusi  anteriori  al  28  ottobre  1941  il
 meccanismo di determinazione del corrispettivo di  affrancazione  non
 consentirebbe  un  analogo  adeguamento, mediante l'aggiornamento del
 canone sul quale  deve  essere  calcolato,  fondandosi  su  parametri
 fissi,  ancorati  ai  valori  catastali  del  1939  che,  per  quanto
 rivalutati  nel  1947,  sarebbero  del  tutto  remoti  dalla  realta'
 economica  odierna  ed in contrasto con l'ordinamento vigente persino
 ai  limitati  fini  fiscali.  Ad  avviso  del   giudice   rimettente,
 continuare  ad  ancorare  il  capitale  di  affrancazione  ai  valori
 catastali del 1939,  trasformerebbe  l'affrancazione  stessa  in  una
 sostanziale ablazione del diritto del concedente, senza alcun reale o
 idoneo corrispettivo.
   Il  pretore  di Salerno ricorda la sentenza n. 441 del 1991, con la
 quale e' stata dichiarata inammissibile una questione di legittimita'
 costituzionale - che era stata sollevata in riferimento agli artt.  3
 e 42, terzo comma, della Costituzione -  relativa  all'art.  1  della
 legge  n.  607  del  1966,  nella  parte  in  cui,  per  le enfiteusi
 costituite  anteriormente  al  28  ottobre  1941,  non   prevede   la
 rivalutazione  del  capitale  di  affrancazione  del fondo. Lo stesso
 giudice considera, tuttavia, che la dichiarazione di inammissibilita'
 della questione si riferiva alla automatica  rivalutazione  monetaria
 del  capitale di affrancazione, che era stata richiesta, in base alla
 motivazione che non rientra nei poteri della Corte la introduzione di
 limiti all'applicazione del principio nominalistico per i  debiti  di
 valuta.
   La  questione  verrebbe  ora  prospettata  in modo nuovo e diverso,
 giacche' si chiede non gia' l'automatica rivalutazione monetaria,  ma
 l'introduzione di un meccanismo che, ai fini della determinazione del
 capitale   di   affrancazione,   consenta  di  aggiornare  il  canone
 enfiteutico mediante l'applicazione di coefficienti di  maggiorazione
 idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
 corrispondenza con l'effettiva realta' economica.
   2.  -  Nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei Ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
 inammissibile o infondata.
   L'Avvocatura ricorda che la Corte, con la sentenza n. 37 del  1969,
 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma denunciata,
 limitatamente  alla  parte  in  cui  comprende anche i rapporti sorti
 successivamente al 28 ottobre 1941. Quella  data,  con  l'entrata  in
 vigore del libro della proprieta' del nuovo codice civile, segnerebbe
 una importante demarcazione, non solo per l'accadimento di importanti
 fatti  storici  ed  economici,  ma  anche  perche'  solo  i  rapporti
 costituiti dopo quella data hanno risentito della  strutturazione  in
 parte  nuova  che  la  legge  civile ha loro assegnato, prevedendo il
 diritto alla revisione del canone.
   L'Avvocatura ricorda che, per i rapporti sorti in epoca  anteriore,
 la sentenza n. 441 del 1991 ha precisato che la legge n. 607 del 1966
 ha  abrogato  l'art.  144  disp.  att.  cod.  civ.,  ripristinando il
 principio  di  immutabilita'  del  canone,  cui  erano  soggette   le
 enfiteusi  costituite  anteriormente  al  28  ottobre  1941, ferma la
 rivalutazione concessa dal decreto legislativo del  Capo  provvisorio
 dello  Stato  n.  356  del  1947.  Una  volta  determinato con questo
 sistema, il canone enfiteutico sarebbe divenuto un debito  di  valuta
 che,  in  base  al  principio  nominalistico  (art.  1277 cod. civ.),
 esclude  la  possibilita'  di  rivalutazione  monetaria  della  somma
 dovuta.
                        Considerato in diritto
   1. -  La questione di legittimita' costituzionale investe l'art.  1
 della  legge  22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e
 prestazioni fondiarie perpetue), la' dove prevede che l'affrancazione
 dei canoni enfiteutici si opera mediante il pagamento  di  una  somma
 corrispondente  a  quindici  volte  il  loro  valore  (quarto comma),
 comunque  non  superiore  all'ammontare  corrispondente  al   reddito
 dominicale del fondo sul quale gravano, determinato a norma del regio
 decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno
 1939,  n.    976,  rivalutato  con  il  decreto  legislativo del Capo
 provvisorio dello Stato 12 maggio 1947, n. 356 (primo comma).
   Il pretore di Salerno ritiene che questo criterio di determinazione
 del capitale di  affrancazione  possa  essere  in  contrasto  con  la
 Costituzione,   nella   parte  in  cui  non  prevede  che  il  canone
 enfiteutico rilevante ai fini della quantificazione del  capitale  di
 affrancazione  sia  aggiornato,  al  momento  della determinazione in
 giudizio, mediante l'applicazione di  coefficienti  di  maggiorazione
 idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
 corrispondenza con l'effettiva realta' economica.
   Il  contrasto  con la Costituzione viene prospettato in riferimento
 al principio di eguaglianza ed alla tutela della  proprieta'  privata
 (artt.  3  e  42,  secondo  e  terzo  comma,  Cost.), giacche' per le
 enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre  1941  (data  di  entrata  in
 vigore  del  libro  della  proprieta'  del  codice civile) operano, a
 seguito della dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della
 norma  che  non  li  prevedeva  (sentenza  n.  406  del 1988), idonei
 coefficienti di maggiorazione, mentre  non  sarebbe  giustificata  la
 diversita'  di trattamento delle enfiteusi costituite prima di quella
 data. Inoltre, ad avviso  del  giudice  rimettente,  il  capitale  di
 affrancazione,   rimanendo  ancorato  ai  dati  catastali  del  1939,
 considerati inadeguati anche ai fini fiscali, verrebbe determinato in
 un ammontare talmente esiguo da trasformare  l'affrancazione  in  una
 sostanziale ablazione della proprieta' senza idoneo corrispettivo per
 il concedente.
   2.  - La medesima disposizione denunciata dal pretore di Salerno e'
 stata  in  precedenza   sottoposta   a   verifica   di   legittimita'
 costituzionale,  sotto  il  profilo  della  mancata rivalutazione, in
 rapporto al mutato potere di acquisto della moneta, della  somma  per
 l'affrancazione  determinata  in  base  al canone enfiteutico. Veniva
 allora denunciata la violazione sia dell'art.  3  della  Costituzione
 per  disparita'  di  trattamento  tra  concedente  ed enfiteuta e tra
 concedenti, in relazione all'epoca in cui fosse esercitato il diritto
 di affrancazione, sia dell'art. 42, terzo comma,  della  Costituzione
 perche'   la  irrisorieta'  del  capitale  di  affrancazione  avrebbe
 determinato  una  espropriazione,  di  fatto  senza  indennizzo,  del
 diritto del concedente.
   La  questione,  nei  termini  in  cui  era  stata  proposta,  venne
 dichiarata inammissibile. Non essendo contestata la legittimita'  del
 sistema  di  determinazione del canone, la richiesta di rivalutazione
 monetaria del capitale di affrancazione avrebbe portato ad introdurre
 un limite all'applicazione del principio nominalistico per  i  debiti
 di  valuta,  che  esula  dai  poteri della Corte (sentenza n. 441 del
 1991).
   Il pretore di Salerno prospetta ora la questione in termini diversi
 da quelli in precedenza esaminati. Non chiede  la  rivalutazione  del
 capitale  di  affrancazione  in base al mutato valore della moneta ed
 indica un diverso elemento di comparazione in relazione al  principio
 di  eguaglianza.  La  disparita'  di  trattamento  si  verificherebbe
 perche', senza ragioni che giustifichino la diversita' di disciplina,
 alle  enfiteusi  costituite  prima  del  28  ottobre  1941   non   si
 applicherebbe alcun coefficiente di maggiorazione del canone, ai fini
 della   determinazione   del   capitale  di  affrancazione,  tale  da
 mantenerne  ragionevolmente adeguata la corrispondenza con la realta'
 economica, a differenza di quanto e' ora previsto  per  le  enfiteusi
 costituite dopo quella data.
   3. - La questione e' fondata.
   La  giurisprudenza  costituzionale  ha  preso  in  considerazione i
 criteri di determinazione  del  canone  enfiteutico  in  correlazione
 all'ammontare  del capitale di affranco ed ha ritenuto che il ricorso
 al reddito imponibile quale risulta dai dati  catastali,  considerati
 un  mezzo  possibile  per  conseguire il riferimento ad un reddito su
 base orientativa, non sia di per se' illegittimo (sentenza n. 145 del
 1973). Ma ha anche attribuito rilievo, per l'affrancazione del fondo,
 alla dissociazione tra il momento a cui va riferito  il  calcolo  del
 valore  del  diritto, ancorato a valori catastali talvolta remoti nel
 tempo, ed il momento in cui il diritto da indennizzare viene colpito.
 In  questa  prospettiva  e'  stato  ritenuto  in  contrasto  con   la
 Costituzione  il  congegno  determinato  dalla  legge che, per quanto
 riguarda la misura  dei  canoni  e  correlativamente  i  capitali  di
 affranco,  operava  una  dissociazione  profonda  ed  incolmabile tra
 questi due momenti, tale da far scendere il capitale di  affranco  al
 di  sotto  del livello dell'equa valutazione richiesta dall'art.  42,
 terzo comma, della Costituzione (sentenza n. 37 del 1969).
   Queste enunciazioni erano riferite ai  rapporti  enfiteutici  sorti
 successivamente  all'entrata in vigore del libro della proprieta' del
 codice civile (28 ottobre 1941), che  si  e'  ritenuto  segnasse  una
 importante  linea  di  demarcazione,  non  solo  per il mutamento dei
 valori economici ma  anche  per  la  introduzione  del  diritto  alla
 revisione  del  canone,  previsto  dall'art. 962 cod. civ., che aveva
 cosi' innovato nella tradizione, recepita dal codice civile del 1865,
 della inalterabilita' del canone (sentenza n. 37 del 1969).
   Esaminando  la  disciplina  che  il  legislatore  ha  adottato  per
 regolamentare i canoni enfiteutici nei rapporti sorti successivamente
 al  28  ottobre  1941,  a  seguito  della  dichiarata  illegittimita'
 costituzionale  delle  norme  ad  essi  relative,  la  giurisprudenza
 costituzionale  ha  individuato  un ulteriore elemento di riferimento
 per la determinazione dei  capitali  per  l'affrancazione  dei  fondi
 rustici.  Pur  tenendo  conto  che  l'affrancazione determina la sola
 acquisizione del dominio diretto e che i concedenti hanno goduto  dei
 canoni, si e' ritenuto che un limite, al di sotto del quale la regola
 che  determina  il  capitale per l'affrancazione non contrasta con la
 Costituzione, sia costituito dal criterio che  fissi  un  valore  non
 inferiore  a  quello che allo stesso terreno sarebbe stato attribuito
 nel caso di espropriazione, attuata in applicazione  delle  leggi  di
 riforma agraria (sentenza n. 145 del 1973).
   Questi  criteri  non  sono  stati  enunciati  attribuendo  loro  un
 carattere statico. Difatti, esaminando  le  disposizioni  legislative
 che  ne  recepiscono  il  contenuto  per  disciplinare i canoni delle
 enfiteusi sorte successivamente al 28 ottobre 1941, la giurisprudenza
 costituzionale ha affermato che il riferimento al reddito  imponibile
 risultante  dai  dati  catastali non e' illegittimo, a condizione che
 sia  tenuta  distinta  la  funzione  generica  del  ricorso  ai  dati
 catastali dalla misura della loro operativita' in concreto, affinche'
 ne   sia   mantenuta   adeguata,   nei   limiti  di  una  ragionevole
 approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realta' economica
 (sentenza n. 145 del 1973). La Corte ha quindi ribadito che il valore
 di   riferimento  prescelto,  ancorato  ai  dati  catastali,  per  la
 determinazione del canone, in base al quale e' calcolato il  capitale
 per  l'affrancazione,  deve essere periodicamente aggiornato mediante
 l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei  a  mantenerne
 adeguata,  con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con
 la effettiva realta' economica (sentenza n. 406 del 1988).
   L'affermazione di questo principio,  enunciato  nel  dichiarare  la
 illegittimita' costituzionale delle norme in materia di enfiteusi per
 i  rapporti  costituiti  successivamente  al 28 ottobre 1941 (art.  1
 della legge 14 giugno 1974, n. 270), non puo' che venire estesa anche
 ai rapporti costituiti prima di tale  data,  in  quanto,  come  rende
 evidente  l'ordinanza  di  rimessione,  il  capitale  di affranco sia
 divenuto irrisorio o  comunque  inferiore  al  livello  di  una  equa
 valutazione,  quale potrebbe in ipotesi risultare, tra l'altro, anche
 dall'aggiornamento del valore dei fondi disposto dal legislatore  per
 calcolare  le imposte sui redditi (da ultimo: art. 3, comma 50, della
 legge 23 dicembre 1996, n. 662; art. 31,  comma  1,  della  legge  23
 dicembre 1994, n. 724; art. 4 del d.-l. 4 agosto 1987, n. 326).
   La   diversita'   di   trattamento  che  risulta  nelle  regole  di
 determinazione del capitale di affranco per le enfiteusi anteriori al
 28 ottobre 1941, per le quali non e'  previsto  alcun  meccanismo  di
 adeguamento  del  calcolo  in  base  ai  valori  catastali  del 1939,
 rivalutati   nel   1947,   rispetto   alle    enfiteusi    costituite
 successivamente  alla  data  che  segna il discrimine, e per le quali
 opera  a  seguito  della  sentenza  n.  406  del  1988  il  principio
 dell'applicazione  di  un  coefficiente  di  maggiorazione, non trova
 ragionevole giustificazione.
   Difatti  la  regola   della   revisione   periodica   del   canone,
 originariamente  prevista  dall'art.  962 cod. civ. solo per le nuove
 enfiteusi, e' stata soppressa  anche  per  queste  ultime  (art.  18,
 secondo  comma, della legge n. 607 del 1966), mentre comune a tutti i
 rapporti enfiteutici, anzi piu' accentuato per quelli  costituiti  in
 epoca  remota,  e'  il  divario tra il capitale di affrancazione e la
 realta' economica.