ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con cinque ordinanze emesse in data 16 e 18 luglio 1996 dal pretore di Roma, rispettivamente iscritte ai nn. 1285, 1286, 1353, 1354 e 1355 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1996 e n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1997; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1997 il giudice relatore Riccardo Chieppa; Ritenuto che con cinque separate ordinanze di identico contenuto, emesse in data 16 e 18 luglio 1996 in distinti procedimenti penali per i reati di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il pretore di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9, 53 e 112 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), la' dove prevede la rinuncia alla pretesa punitiva per alcuni dei reati sanzionati dalle leggi urbanistiche per i manufatti abusivi; che, a parere del giudice a quo l'omessa verifica e specifica comparazione degli interessi lesi dalla condotta illecita, insita nella realizzazione di abusi edilizi, oggetto della definizione agevolata con la conseguente rinuncia alla pretesa punitiva, oltre ad essere affetta da irrazionalita' per disparita' di trattamento, pregiudica l'assetto del territorio e dell'ambiente presidiati dalla normativa in materia di vigilanza sulle violazioni edilizie; che, inoltre, la natura di misura finanziaria del condono edilizio impone la puntuale parametrazione degli oneri concessori alla capacita' contributiva di colui che fruisce del beneficio in parola; mentre la scissione fra reato e punibilita' costituisce ostacolo ed impedimento all'obbligatorieta' dell'azione penale; che in tre dei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata; Considerato che le questioni sollevate sono coincidenti e investono la medesima norma e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia; che le questioni, nei termini in cui vengono sollevate in riferimento agli artt. 3, 9 e 112 della Costituzione, hanno gia' formato oggetto di esame da parte della Corte con la sentenza n. 427 del 1995 che ha dichiarato l'infondatezza, e in riferimento all'art. 53 della Costituzione con l'ordinanza n. 395 del 1996 che ha dichiarato la manifesta infondatezza; che le ordinanze in epigrafe non introducono profili o argomenti nuovi rispetto a quelli gia' esaminati dalla Corte o, comunque, suscettibili di indurre a diverso avviso, sicche' le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.