ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  68,  ottavo
 comma,   del  d.P.R.  10  gennaio  1957,  n.  3  (Testo  unico  delle
 disposizioni concernenti lo  statuto  degli  impiegati  civili  dello
 Stato),  promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1996 dal Consiglio
 di  Stato   sul   ricorso   proposto   dall'Azienda   unita'   locale
 socio-sanitaria  n.  19  (ora  15) del Veneto contro Lia Pistore ved.
 Tosto, iscritta al n.  948 del registro ordinanze 1996  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visti  gli  atti  di  costituzione   dell'Azienda   unita'   locale
 socio-sanitaria  n. 15 del Veneto e di Lia Pistore ved. Tosto nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1997 il  giudice  relatore
 Cesare Mirabelli;
   Uditi   gli  avvocati  Luigi  Manzi  per  l'Azienda  unita'  locale
 socio-sanitaria n. 15 del Veneto, Giuseppe Cultrera per  Lia  Pistore
 ved.  Tosto e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -   Con ordinanza emessa il  22  marzo  1996  nel  corso  di  un
 giudizio promosso dalla vedova di un medico, dipendente di una unita'
 sanitaria  locale,  per  ottenere  l'equo indennizzo per la morte del
 coniuge dovuta  a  causa  di  servizio,  il  Consiglio  di  Stato  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo
 comma, della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  68,  ottavo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo
 unico delle  disposizioni  concernenti  lo  statuto  degli  impiegati
 civili  dello  Stato), nella parte in cui prevede l'equo indennizzo a
 favore  dei  familiari  superstiti,  o  degli  eredi,  dell'impiegato
 deceduto per causa di servizio, in seguito ad un evento dal quale sia
 conseguita  la  morte  senza  soluzione  di  continuita' con l'evento
 menomante.
   Il Consiglio di Stato precisa che  la  disposizione  denunciata  si
 applica non solo agli impiegati statali, ma anche ai dipendenti delle
 unita'  sanitarie  locali,  giacche'  la  disciplina  del  loro stato
 giuridico prevede che in materia di infermita' dipendenti da causa di
 servizio e per gli accertamenti relativi operano le norme  in  vigore
 per  i  dipendenti civili dello Stato (art. 48 del d.P.R. 20 dicembre
 1979, n. 761), le quali regolano  le  modalita'  e  le  procedure  di
 concessione  dell'equo  indennizzo, la cui misura e' invece stabilita
 dall'accordo  nazionale  unico,  stipulato  con   le   organizzazioni
 sindacali del comparto (art. 30 dello stesso d.P.R. n. 761 del 1979).
   Il  giudice  rimettente ricorda che l'istituto dell'equo indennizzo
 ha   avuto   origine   dall'evoluzione   della    disciplina    della
 risarcibilita'  del danno alla persona, subito dal pubblico impiegato
 a causa dell'esercizio delle sue funzioni.  Inizialmente  l'impiegato
 statale, divenuto inabile a prestare servizio per le ferite riportate
 o  per  le  infermita'  contratte  a cagione dell'esercizio delle sue
 funzioni, aveva esclusivamente diritto ad essere collocato  a  riposo
 ed a conseguire la pensione privilegiata, qualunque fosse la sua eta'
 e la durata del servizio, senza percepire altro risarcimento (secondo
 la disciplina degli artt.  16 e ss. e 100 e ss. del testo unico delle
 pensioni civili e militari approvato con r.d. 21 febbraio 1895, n. 70
 e  dell'art. 1 del r.d.-l.  6 febbraio 1936, n. 313, convertito nella
 legge 28 maggio 1936, n.  1126).
   Le norme che escludevano ogni risarcimento, o  rendevano  meramente
 apparente  l'indennizzo,  per  eventi lesivi di cui l'impiegato fosse
 stato vittima, sono state dichiarate costituzionalmente  illegittime,
 in  riferimento  agli artt. 3 e 28 della Costituzione (sentenza n.  1
 del  1962),  perche'  esoneravano  da  responsabilita'  la   pubblica
 amministrazione  e determinavano una disparita' di trattamento tra il
 privato  che  fosse  vittima   di   un   fatto   colposo   imputabile
 all'amministrazione  ed  il  dipendente  statale vittima dello stesso
 fatto.
   Ma gia' l'art. 68 dello statuto degli impiegati civili dello  Stato
 (d.P.R.  n.  3  del  1957)  aveva introdotto l'equo indennizzo per la
 perdita dell'integrita' fisica eventualmente  subita  dall'impiegato,
 quando l'infermita' sia riconosciuta dipendente da causa di servizio.
 Tale  indennizzo  che  per  un verso include anche le menomazioni non
 imputabili a responsabilita' dell'amministrazione e, per altro verso,
 non esclude che si possa chiedere il risarcimento dei danni dovuti  a
 colpa  dell'amministrazione coprirebbe rischi corrispondenti a quelli
 ai  quali,  nel  settore  privato,   si   riferisce   l'assicurazione
 obbligatoria   per   gli   infortuni   sul   lavoro   e  le  malattie
 professionali.
   Il  giudice rimettente sottolinea che l'equo indennizzo costituisce
 il ristoro di una inabilita' parziale, compatibile con il servizio, e
 quindi  un  diritto   proprio   dell'impiegato.   La   corresponsione
 dell'indennizzo  ai  superstiti,  quando  la  conseguenza dell'evento
 lesivo  sia  la  morte  del  dipendente  statale,  non  e'   prevista
 espressamente.     Tuttavia    l'interpretazione    giurisprudenziale
 consolidata e la  costante  prassi  amministrativa  ritengono  l'equo
 indennizzo  dovuto  anche  per  l'evento  mortale,  che  segua  senza
 soluzione di continuita' alla menomazione, considerando la morte come
 perdita dell'integrita' fisica nel massimo grado.
   Il cumulo  tra  equo  indennizzo  e  pensione  privilegiata  per  i
 superstiti  determinerebbe,  in  violazione dell'art. 3, primo comma,
 della Costituzione, una irragionevole disparita' di trattamento con i
 lavoratori privati, nei cui confronti non e' ammesso  il  cumulo  tra
 pensione  privilegiata e rendita per l'infortunio sul lavoro (art. 12
 della legge 21 luglio 1965, n. 903). L'ingiustificato privilegio  per
 i    superstiti    dei    pubblici   dipendenti   sarebbe   aggravato
 dall'interpretazione giurisprudenziale  che  esclude,  per  essi,  la
 riduzione  dell'equo  indennizzo prevista, invece, quando la pensione
 privilegiata venga attribuita direttamente al dipendente (art. 50 del
 d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686).
   La  disciplina  denunciata  contrasterebbe  anche  con  l'art.  38,
 secondo  comma,  della Costituzione. Ad avviso del giudice rimettente
 la garanzia, per i lavoratori, del  diritto  a  mezzi  adeguati  alle
 esigenze  di vita in caso di infortunio, malattia o invalidita', puo'
 essere violata anche "per eccesso", quando  in  capo  ad  uno  stesso
 soggetto  e  per  uno  stesso  evento  si  cumulano  piu' trattamenti
 concepiti in funzione della copertura di rischi diversi. Tale  cumulo
 determinerebbe,  inoltre,  un maggior onere per le finanze pubbliche,
 che, in presenza di risorse necessariamente limitate, sottrarrebbe  i
 mezzi finanziari per l'adeguata copertura di analoghi rischi di altri
 soggetti.
   2. - Si e' costituita dinanzi alla Corte la ricorrente nel giudizio
 principale, per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata,
 sottolineando,   in  particolare,  che  equo  indennizzo  e  pensione
 privilegiata rispondono a finalita' diverse. Il primo sarebbe diretto
 a riparare il danno prodotto da una menomazione fisica, dipendente da
 causa di servizio, nell'ulteriore  vita  di  relazione  del  pubblico
 impiegato,  indipendentemente  dalla  continuazione  del  rapporto di
 servizio. La pensione, invece, avrebbe sempre carattere  retributivo,
 venendo  corrisposta per il servizio prestato. Il danno cui fa fronte
 l'equo indennizzo non verrebbe riparato dalla pensione  privilegiata,
 caratterizzata  dall'essere  liquidata nella misura massima quando il
 servizio  prestato  dia  gia'  titolo,  come  nel  caso  oggetto  del
 giudizio,  alla  pensione  ordinaria  nella  misura  massima.  Non si
 potrebbe, quindi, affermare che la pensione copra lo  stesso  rischio
 dell'equo indennizzo.
   3.  -  Si  e'  costituita in giudizio anche l'Azienda unita' locale
 socio-sanitaria n. 15  del  Veneto  (Cittadella-Padova),  parte  gia'
 costituita  nel  giudizio  principale,  aderendo  alle argomentazioni
 svolte  nell'ordinanza  di  rimessione  e  sostenendo,  nell'atto  di
 costituzione   ed   in   una   memoria   depositata   in  prossimita'
 dell'udienza,  la  fondatezza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale.
   In  particolare  il  diritto  all'equo  indennizzo compenserebbe la
 menomazione dell'integrita' fisica subita dal dipendente a causa  del
 servizio  e non potrebbe sorgere, quindi, a titolo originario in capo
 agli eredi, i quali potrebbero pretenderne la corresponsione solo  se
 il  diritto  facesse  parte  del  patrimonio del dipendente deceduto.
 Sarebbe, quindi, dubbia la stessa  configurabilita'  dell'indennizzo,
 quando  non  intercorra  un  apprezzabile intervallo temporale tra la
 lesione o la menomazione e la morte. In ogni  caso,  attribuire  tale
 indennizzo  anche ai superstiti dell'impiegato deceduto sarebbe privo
 di razionale  giustificazione  e  determinerebbe  una  situazione  di
 privilegio per gli eredi dei pubblici dipendenti, rispetto agli altri
 cittadini  cui non e' riconosciuto lo stesso vantaggio. La duplicita'
 di prestazioni, per  il  medesimo  evento,  finirebbe  anche  con  il
 sottrarre  risorse finanziarie pubbliche, necessarie per la copertura
 dei medesimi rischi di altri soggetti.
   4. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,   rappresentato   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   Ad avviso dell'Avvocatura non sarebbe possibile alcuna  valutazione
 dell'asserita  violazione  del  principio  di  eguaglianza,  giacche'
 l'ordinanza di rimessione non ha indicato la  normativa  da  assumere
 come elemento di comparazione.
   Quanto  alla denunciata violazione dell'art. 38 della Costituzione,
 la corresponsione di una equa indennita' ai  superstiti  in  caso  di
 decesso  del dipendente costituirebbe la logica e naturale estensione
 all'intero nucleo familiare del principio  di  solidarieta'  posto  a
 base della previdenza sociale.
                         Considerato in diritto
   1.  -    La  questione  di  legittimita' costituzionale riguarda la
 disciplina dell'equo indennizzo per la perdita dell'integrita' fisica
 eventualmente  subita  dall'impiegato  dello  Stato  a   seguito   di
 infermita'  dipendenti  da  causa  di servizio. Il Consiglio di Stato
 considera l'art. 68, ottavo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957,  n.  3
 (Testo   unico   delle  disposizioni  concernenti  lo  statuto  degli
 impiegati civili dello Stato), che  disciplina  questo  istituto,  da
 applicare  anche  ai  dipendenti  delle  unita' sanitarie locali, per
 effetto del d.P.R. 20 dicembre 1979,  n.  761  (Stato  giuridico  del
 personale  delle  unita'  sanitarie  locali),  che  rinvia alle norme
 vigenti per  i  dipendenti  dello  Stato  in  materia  di  infermita'
 dipendenti  da  causa  di  servizio  e  per  la concessione dell'equo
 indennizzo (artt. 48 e 49).
   Lo stesso giudice  ritiene  che  l'equo  indennizzo,  espressamente
 previsto  solo  per  le menomazioni dell'integrita' fisica, comprenda
 anche l'evento mortale che segua senza soluzione di continuita'  alla
 menomazione  stessa,  giacche' l'interpretazione giurisprudenziale da
 tempo consolidata e  la  costante  prassi  amministrativa  -  che  il
 giudicerimettente,  pur  manifestando  riserve,  ritiene di non poter
 contrastare -  considerano  la  morte  come  perdita  dell'integrita'
 fisica  in massimo grado. In caso di morte l'equo indennizzo verrebbe
 a cumularsi, in capo ai familiari superstiti dell'impiegato  deceduto
 per  causa  di  servizio,  con  la  pensione privilegiata che sarebbe
 dovuta per il medesimo evento, sicche' si determinerebbe:
     a) la violazione dell'art. 3, primo  comma,  della  Costituzione,
 perche'  la  corresponsione  dell'equo indennizzo rappresenterebbe un
 irragionevole privilegio ed una disparita' di trattamento  in  favore
 dei  pubblici  dipendenti rispetto ai lavoratori del settore privato,
 per  i quali sarebbe vietato il cumulo tra rendita per infortunio sul
 lavoro e pensione privilegiata;
     b) la violazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione,
 perche' la protezione accordata con l'equo indennizzo eccederebbe  la
 necessita'  di  copertura  del  rischio  protetto, attribuendo per un
 medesimo evento ed in capo allo stesso soggetto  piu'  prestazioni  a
 carico  delle  finanze  pubbliche,  con  la  conseguenza che, essendo
 limitate le risorse disponibili, potrebbero non essere  adeguatamente
 coperti i medesimi rischi per altri soggetti.
   2.  -  La  questione,  nei termini in cui e' stata proposta, non e'
 fondata.
   Il dubbio di legittimita' costituzionale riguarda esclusivamente la
 corresponsione  dell'equo  indennizzo   ai   familiari,   eredi   del
 dipendente  pubblico  deceduto  a  seguito di infortunio derivante da
 causa  di  servizio,  ai  quali  sia  attribuita  anche  la  pensione
 privilegiata  di reversibilita'; non si estende, quindi, alla mancata
 previsione della riduzione dell'ammontare dell'indennizzo, effettuata
 invece quando al dipendente infortunato sia corrisposta  la  pensione
 privilegiata.
   3.   -   Il   diritto   all'equo   indennizzo  per  la  menomazione
 dell'integrita' fisica viene riconosciuto anche  in  caso  di  morte,
 considerando che la menomazione non e' necessariamente correlata alla
 capacita'  lavorativa  e  che  il  diritto all'indennizzo, dovuto per
 legge, sorge nel momento  stesso  in  cui  si  manifesta  la  perdita
 dell'integrita'  fisica; momento che necessariamente precede la morte
 dell'infortunato, giacche' il decesso presuppone l'infermita',  anche
 se lo stato patologico possa essere di brevissima durata.
   Questa    ricostruzione    della   disciplina   -   operata   dalla
 giurisprudenza,   seguita   dalla   prassi   amministrativa   e   non
 contraddetta  dall'ordinanza  di  rimessione  -  offre  il  contenuto
 prescrittivo della disposizione denunciata, quale  e'  effettivamente
 applicata  ed  operante.  In  coerenza  con  questa  ricostruzione si
 afferma che il  diritto  all'equo  indennizzo  precede  la  morte  ed
 appartiene  alla  sfera  patrimoniale  dell'infortunato; da questi e'
 acquisito in vita ed e' trasmesso agli eredi,  ai  quali  spetta  per
 diritto di successione e non come diritto proprio.
   Muovendo  in  questo  contesto  normativo  ed interpretativo, fatto
 proprio anche dal giudice  rimettente,  l'indennizzo,  non  privo  di
 connotazioni  equitative oltre che risarcitorie, rimane temporalmente
 e concettualmente collegato ad un evento lesivo distinto dalla  morte
 e ad uno stato patologico che la precede. L'attribuzione patrimoniale
 riguarda,   quindi,   direttamente   l'impiegato  che  ha  subito  la
 menomazione cosi' indennizzata, anche  se,  a  seguito  della  morte,
 l'importo dell'indennizzo venga corrisposto agli eredi.
   Sulla    base    di   questa   premessa   interpretativa,   diritto
 all'indennizzo e diritto alla pensione  privilegiata,  nonostante  la
 immediata  successione temporale dei rispettivi momenti genetici, non
 si sovrappongono e sorgono, anzi, direttamente  in  capo  a  soggetti
 diversi.
   Difatti   la   pensione  di  reversibilita',  quando  ricorrano  le
 condizioni per la sua concessione, e' un diritto proprio del  coniuge
 o  degli  altri congiunti che ne abbiano titolo. Sicche', seguendo la
 interpretazione della disciplina dalla  quale  muove  l'ordinanza  di
 rimessione,  e'  da  distinguere l'indennizzo, dovuto al dipendente e
 corrisposto ai  suoi  eredi,  dalla  pensione  privilegiata,  che  e'
 diritto  proprio  del  coniuge o degli altri aventi titolo. In questa
 prospettiva le due prestazioni sono diverse  e  non  determinano  una
 irragionevole  duplicazione  di  attribuzioni patrimoniali in capo al
 medesimo soggetto e per il medesimo evento.
   La duplicita' di prestazioni non consente neppure di  ritenere  che
 sussista  la  denunciata  disparita'  di  trattamento  tra dipendenti
 pubblici  e  privati.  Le  analoghe  finalita'  di   protezione   dei
 lavoratori  in  caso  di  infortunio,  malattia  ed  invalidita' sono
 perseguite, nell'ambito dei due settori, con sistemi di garanzia  che
 danno   corpo   a  differenti  discipline  degli  indennizzi  per  le
 menomazioni dell'integrita' fisica o per l'invalidita' permanente. La
 comparazione tra le discipline non puo'  essere  fatta  prendendo  in
 considerazione uno solo degli elementi che concorrono a differenziare
 i due diversi sistemi.