ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e  3  della
 legge  20  settembre  1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale
 forense) promosso con ordinanza emessa il 3 aprile 1996  dalla  Corte
 di cassazione, nel procedimento civile vertente tra Giacomini Mario e
 Cassa  nazionale  di  previdenza e assistenza avvocati e procuratori,
 iscritta al n. 969 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
   Visti gli atti di costituzione di Giacomini  Mario  e  della  Cassa
 nazionale  di previdenza e assistenza avvocati e procuratori, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1997 il giudice  relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi  gli avvocati Luigi Esposito per Giacomini Mario, Maurizio de
 Stefano e Maurizio Cinelli per la Cassa  nazionale  di  previdenza  e
 assistenza  avvocati  e  procuratori  e  l'avvocato  dello Stato Pier
 Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio promosso contro la Cassa nazionale di
 previdenza  ed  assistenza  per  gli  avvocati   ed   i   procuratori
 dall'iscritto  Mario  Giacomini,  la  Corte  di  cassazione,  Sezione
 lavoro, con ordinanza emessa  il  3  aprile  1996  ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  3,  4 e 38 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 2 (modificato dalla  legge  2
 maggio 1983, n. 175 e dalla legge 11 febbraio 1992, n. 141) e 3 della
 legge  20  settembre  1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale
 forense).
    Con ricorso in Cassazione, l'avvocato Mario Giacomini  -  titolare
 di  pensione  di  anzianita'  con  decorrenza 27 gennaio 1987 e dalla
 stessa   data   cancellato   dall'albo   professionale   -   chiedeva
 l'annullamento della sentenza del tribunale di Novara depositata l'11
 ottobre  1994  che  confermava la decisione del pretore del lavoro di
 Novara, sezione  distaccata  di  Borgomanero,  con  la  quale  veniva
 rigettato  il  ricorso  diretto  ad  ottenere - avendo egli raggiunto
 l'eta' di 65 anni ed essendo sua intenzione reiscriversi  all'albo  -
 il  riconoscimento  del diritto alla reiscrizione all'albo medesimo e
 la concessione, in luogo della pensione di anzianita', della pensione
 di vecchiaia.
   Secondo l'avviso del giudice a quo che condivide  l'interpretazione
 seguita  in  primo  e  in  secondo  grado,  al  ricorrente non poteva
 riconoscersi il diritto alla pensione  di  vecchiaia,  in  quanto  la
 concessione  della  stessa  presuppone  l'attualita'  dell'iscrizione
 all'albo professionale - elemento che, come  si  desume  dall'art.  3
 della  legge  n.  576 del 1980, non puo' ricorrere per chi goda della
 pensione di anzianita' - ed altresi' richiede  l'applicazione  di  un
 criterio  di  calcolo inapplicabile al caso di specie (l'art. 2 della
 legge n. 576 del 1980 prevede infatti che la pensione di vecchiaia e'
 pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all'1,75
 per  cento  della  media dei piu' elevati dieci redditi professionali
 dichiarati  dall'iscritto  ai  fini  dell'Irpef,   risultanti   dalle
 dichiarazioni   relative  ai  quindici  anni  solari  anteriori  alla
 maturazione del diritto a pensione).
   Da quanto precede, ad avviso del collegio rimettente,  discende  la
 rilevanza  della questione di legittimita' costituzionale degli artt.
 2 e 3 della legge n. 576 del 1980, in riferimento agli artt.  3, 4  e
 38  della  Costituzione,  sollevata sulla scorta della considerazione
 che, "se si giustifica, come ha ritenuto la Corte costituzionale,  la
 incompatibilita'  della  pensione  di  anzianita' con la prosecuzione
 nella stessa  attivita'  professionale,  non  si  comprende  perche',
 raggiunta   l'eta'  pensionabile,  l'avvocato  non  possa  riprendere
 quell'esercizio  professionale,  invece  permesso  all'iscritto  che,
 conseguita  la pensione di vecchiaia, intenda proseguire nella stessa
 attivita', con la possibilita' anche  di  incrementare,  per  effetto
 dell'ulteriore contribuzione, il trattamento pensionistico".
   Sotto  il  profilo della non manifesta infondatezza, nell'ordinanza
 di  rimessione  si  prospetta  il  contrasto  con  l'art.   3   della
 Costituzione,  in  quando non appare al giudice a quo giustificata la
 disparita' di trattamento tra il professionista  che,  godendo  della
 pensione di anzianita', vi rinunci per iscriversi nuovamente all'albo
 professionale  al compimento del sessantacinquesimo anno e riprendere
 l'attivita' senza il supporto di  alcuna  prestazione  previdenziale,
 rispetto   al  professionista  coetaneo  il  quale,  ancora  iscritto
 all'albo, prosegua nell'attivita' professionale dopo aver maturato il
 diritto alla pensione di vecchiaia.
   Il contrasto con l'art.  4  della  Costituzione  deriverebbe  dalla
 circostanza  che  all'iscritto  titolare  di  pensione  di anzianita'
 "viene di fatto impedita la  possibilita',  al  compimento  dell'eta'
 pensionabile,  di riprendere quell'attivita' per la quale ha comunque
 acquisita una specifica professionalita',  con  menomazione  del  suo
 diritto al lavoro".
   Il  collegio  rimettente prospetta altresi' la violazione dell'art.
 38 della Costituzione, poiche'  il  professionista  che  versi  nella
 situazione  del  ricorrente  nel  giudizio  a  quo  nonostante  abbia
 maturato  la  dovuta  anzianita'  contributiva  e  raggiunto   l'eta'
 pensionabile,   nel   caso   intenda   riprendere  ad  esercitare  la
 professione, "viene ad essere privato di ogni forma di previdenza, in
 quanto non solo perde il diritto alla pensione di anzianita', ma  non
 puo' nemmeno ottenere quella di vecchiaia".
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  a questa Corte si sono costituite le
 parti del procedimento civile a quo.
   2.1. - Con l'atto di costituzione, Mario  Giacomini  aderisce  alle
 argomentazioni  svolte  nell'ordinanza  di rimessione, insistendo nel
 denunciare  la  iniquita'  della   situazione   in   cui   versa   il
 professionista il quale, al compimento del sessantacinquesimo anno di
 eta', "per non perdere la pensione di anzianita' finisce per non fare
 l'avvocato  quando tutti gli avvocati pensionati di vecchiaia possono
 pacificamente percepire la pensione e restare iscritti agli albi".
   2.2. - La Cassa di previdenza ed assistenza forense  convenuta  nel
 procedimento  a  quo  deduce  innanzitutto  l'inammissibilita'  delle
 questioni sollevate per irrilevanza.
   Nell'atto  di  costituzione  si  osserva  a  questo riguardo che il
 ricorrente ha agito per ottenere la corresponsione della pensione  di
 vecchiaia  in  luogo  della  pensione  di  anzianita'. Egli, in altri
 termini, senza previamente reiscriversi all'albo  professionale,  "ha
 fatto questione del diritto al mutamento del titolo della pensione in
 godimento", non disciplinato dalle disposizioni impugnate.
   Per  quanto  riguarda il merito delle questioni sollevate, la Cassa
 convenuta richiama innanzitutto la sentenza di questa Corte n. 73 del
 1992, che  ha  ritenuto  non  ingiustificata  l'incompatibilita'  del
 trattamento  di  anzianita'  con  l'esercizio  della  professione, ed
 osserva che la lamentata disparita'  di  trattamento  troverebbe  una
 ragionevole giustificazione nel differente regime giuridico riservato
 alle pensioni di vecchiaia e di anzianita'. In particolare, ad avviso
 della  Cassa  di  previdenza  ed  assistenza  forense il rigore della
 disciplina impugnata troverebbe la sua giustificazione nel  principio
 di  solidarieta',  tendendo  le  condizioni che limitano l'accesso al
 trattamento di anzianita' a bilanciare l'interesse del professionista
 a godere dei frutti della  propria  contribuzione  con  quello  della
 Cassa  "a  che  la  frequenza  statistica  del  ricorso  a tale forma
 anticipata di pensionamento sia  contenuta  in  limiti  fisiologici",
 anche  al  fine  di  non compromettere l'equilibrio finanziario della
 gestione. In merito alla prospettata  violazione  dell'art.  4  della
 Costituzione,  il convenuto nel procedimento civile a quo osserva che
 il diritto al lavoro non puo'  considerarsi  leso  "solo  perche'  la
 norma  non  ha  previsto che l'esercizio di questo (o la sua ripresa)
 sia ''assistito'' dalla concorrente  erogazione  di  una  prestazione
 pensionistica".  In  ordine al prospettato contrasto della disciplina
 impugnata con l'art. 38 della Costituzione, la Cassa osserva che "sia
 la richiesta di pensione di anzianita', sia  la  decisione,  ottenuta
 quest'ultima,  di  riprendere  l'attivita',  e'  frutto di una libera
 scelta, rimessa alla discrezionalita' dell'interessato, il  quale  e'
 in  condizione  di  poter pienamente valutare a priori le conseguenze
 dei suoi atti volitivi e determinarsi in conseguenza".
   3. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, per  chiedere  che  le  questioni  sollevate  dalla  Corte  di
 cassazione  siano  dichiarate  infondate.  Nell'atto di intervento si
 sottolinea in particolare che "la scelta  liberamente  effettuata,  e
 certamente non revocabile una volta che se ne siano goduti i vantaggi
 previdenziali,  determina  legittimamente  un  diverso destino quanto
 alla   possibilita'   e   alle   conseguenze   di   uno   svolgimento
 dell'attivita' professionale oltre il sessantacinquesimo anno".
   4.  -  Nell'imminenza  della  data fissata per l'udienza, sia Mario
 Giacomini sia la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza  forense
 hanno  depositato ulteriori memorie illustrative, per sviluppare piu'
 ampiamente le deduzioni gia' svolte in sede di costituzione.
                         Considerato in diritto
   1. - La Corte di cassazione, Sezione lavoro, dubita, in riferimento
 agli  artt.  3,  4  e  38  della  Costituzione,  della   legittimita'
 costituzionale  degli  artt. 2 (modificato dalla legge 2 maggio 1983,
 n. 175, e dalla legge 11 febbraio 1992, n. 141), e 3 della  legge  20
 settembre  1980,  n.  576 (Riforma del sistema previdenziale forense)
 che disciplinano, rispettivamente, la  pensione  di  vecchiaia  e  la
 pensione  di anzianita' erogate dalla Cassa nazionale di previdenza e
 assistenza forense.
   Le   disposizioni  impugnate  appaiono  al  giudice  rimettente  in
 contrasto con  l'art.  3  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
 prevedono,  in  caso  di  reiscrizione  nell'albo  professionale  del
 titolare di  pensione  di  anzianita',  da  un  lato,  la  revoca  di
 quest'ultima  pensione  (art.    3,  quarto  comma), dall'altro lato,
 l'esclusione del trattamento di vecchiaia,  anche  in  considerazione
 del  particolare  criterio  di  liquidazione di quest'ultimo (art. 2,
 primo comma): cio' comporterebbe una disparita' di trattamento tra il
 professionista che, godendo della pensione di anzianita', vi  rinunci
 per iscriversi nuovamente, al compimento del sessantacinquesimo anno,
 all'albo  professionale  al  fine  di  riprendere  l'esercizio  della
 professione - perche' sarebbe privato in  tal  caso  di  ogni  tutela
 previdenziale,   sia   contestuale  all'esercizio  professionale  sia
 successiva - ed il professionista coetaneo il quale, avendo mantenuto
 ininterrottamente  l'iscrizione  all'albo,  prosegua   nell'attivita'
 professionale   dopo  aver  maturato  il  diritto  alla  pensione  di
 vecchiaia,  percependo  quest'ultima  sia  durante  la   prosecuzione
 dell'attivita'  oltre  la soglia dei sessantacinque anni sia nel caso
 di cessazione dell'attivita' professionale.
   Della legittimita' costituzionale degli artt. 2 e  3  la  Corte  di
 cassazione  dubita  anche in relazione all'art. 4 della Costituzione,
 in quanto, di fatto,  tali  disposizioni  impedirebbero  all'iscritto
 gia'  titolare  di  pensione  di  anzianita', al compimento dell'eta'
 pensionabile ai fini del  trattamento  di  vecchiaia,  di  riprendere
 quell'attivita'   per   la   quale   ha   acquisito   una   specifica
 professionalita', con conseguente menomazione del diritto al lavoro.
   Le denunciate disposizioni appaiono infine  al  giudice  a  quo  in
 contrasto  con  l'art.  38  della Costituzione, in quanto, in caso di
 reiscrizione nell'albo professionale, priverebbero il  professionista
 titolare   di   pensione  di  anzianita'  di  ogni  forma  di  tutela
 previdenziale, giacche' egli perderebbe  in  modo  irreversibile  non
 solo  il diritto alla pensione di anzianita', ma altresi' quello alla
 pensione di vecchiaia.
   2.    -    Preliminarmente,    occorre    esaminare     l'eccezione
 d'inammissibilita',   per   irrilevanza  delle  questioni  sollevate,
 opposta  dalla  Cassa  di  previdenza  ed  assistenza  forense.  Tale
 eccezione  si  basa  sull'assunto  che  le disposizioni impugnate non
 disciplinerebbero la fattispecie concreta dedotta nel giudizio a quo,
 cioe' la pretesa al mutamento del titolo della pensione da parte  del
 ricorrente  (che  ha  agito  per  ottenere  il  riconoscimento  della
 pensione di vecchiaia in luogo della pensione di anzianita').
   L'eccezione  non  puo'  essere  accolta.  Il  collegio  rimettente,
 mostrando di condividere le argomentazioni dei giudici di merito, con
 motivazione  che  non  puo'  ritenersi insufficiente, individua nelle
 disposizioni denunciate la ragione  ostativa  all'accoglimento  della
 pretesa  avanzata dal ricorrente: sia perche' dagli artt. 2 e 3 della
 legge n. 576 del 1980 non e' dato desumere alcuna deroga al principio
 generale  di  immutabilita'  del  titolo  della  pensione;   sia   in
 considerazione  del  criterio di calcolo della pensione di vecchiaia,
 che ad avviso  della  Corte  di  cassazione  presuppone  l'attualita'
 dell'iscrizione  nell'albo  professionale,  oltre  alla permanenza in
 tale posizione nel quindicennio precedente la maturazione del diritto
 alla pensione di vecchiaia.
   3. - La prima questione - sollevata in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione - non e' fondata.
   Nel  prospettare  tale  dubbio  di  legittimita' costituzionale, la
 Corte rimettente  presuppone  un'interpretazione  delle  disposizioni
 denunciate  secondo  la quale, per un verso, esse non consentirebbero
 di superare il principio generale  -  pacifico  nella  giurisprudenza
 della  Sezione  lavoro  della  Corte  di  cassazione - del divieto di
 mutamento del titolo della pensione,  salvo  le  ipotesi  eccezionali
 espressamente   previste   dalla   legge;   per   un   altro   verso,
 precluderebbero, a prescindere dal menzionato divieto, ed a causa del
 particolare criterio di liquidazione  della  pensione  di  vecchiaia,
 l'accesso  dell'avvocato  gia'  titolare di pensione di anzianita' al
 trattamento di vecchiaia, pur in  presenza  del  duplice  presupposto
 della   richiesta   anzianita'   contributiva  e  del  raggiungimento
 dell'eta' pensionabile.
   Risultando, in ordine a tali due aspetti,  ormai  individuabile  un
 diritto  vivente  conforme  alle richiamate scelte interpretative del
 collegio rimettente, appare superfluo considerare opzioni  esegetiche
 alternative   volte   a   smentire   l'assunto   che  configura  come
 irreversibile il rapporto di alternativita' e di mutua esclusione tra
 pensione di  vecchiaia  e  pensione  di  anzianita';  la  tesi  della
 necessaria  attualita'  dell'iscrizione nell'albo degli avvocati come
 presupposto   per   accedere   al   trattamento   di   vecchiaia   al
 raggiungimento   del   sessantacinquesimo   anno;   la  constatazione
 dell'inapplicabilita' al caso  di  specie  ed  a  casi  analoghi  del
 criterio  di  liquidazione  della  pensione di vecchiaia (che, stando
 alla lettera dell'art. 2,  richiede  almeno  dieci  anni  di  reddito
 professionale   dichiarato   ai  fini  dell'Irpef,  nel  quindicennio
 precedente alla maturazione del diritto a pensione).
   Pur assunta nella interpretazione offerta dal collegio  rimettente,
 la   disciplina   impugnata   non   introduce  una  irragionevole  ed
 ingiustificata disparita' di trattamento tra il  professionista  che,
 godendo  della  pensione  di  anzianita',  vi  rinunci per iscriversi
 nuovamente    all'albo    professionale     al     compimento     del
 sessantacinquesimo  anno per riprendere l'esercizio della professione
 di avvocato, ed il professionista coetaneo il quale, ancora  iscritto
 all'albo, prosegua nell'attivita' professionale dopo aver maturato il
 diritto alla pensione di vecchiaia.
   Questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo di illustrare le ragioni della
 incomparabilita' delle due forme di tutela previdenziale  di  cui  si
 tratta, osservando, da un lato, che "la pensione di anzianita' non e'
 un'ipotesi  particolare  della pensione di vecchiaia, ma e' una forma
 previdenziale  affatto  diversa,  indipendente  dall'eta'  e  fondata
 esclusivamente   sulla   durata  dell'attivita'  lavorativa  e  sulla
 correlativa anzianita' di contribuzione effettiva" (sentenza  n.  194
 del 1991); dall'altro lato, con riferimento all'art. 3 della legge n.
 576  del  1980,  che "l'abbandono della professione, comprovato dalla
 cancellazione dagli albi degli avvocati e  dei  procuratori,  e'  una
 condizione  strettamente  inerente  alla  ratio  di  questa  forma di
 pensione"  (sentenza  n.  73  del  1992),  l'erogazione  della  quale
 consegue ad una libera scelta dell'interessato.
   Anche  successivamente  al  compimento del sessantacinquesimo anno,
 l'onere di astenersi dall'esercizio  dell'attivita'  professionale  -
 che   non  interessa  i  titolari  di  pensione  di  vecchiaia  -  e'
 riconducibile alla scelta dell'assicurato che abbia optato per questo
 tipo  di prestazione previdenziale, basata su di un maggior numero di
 annualita' di contribuzione.
   Non  travalica  i  limiti  della  ragionevolezza   il   legislatore
 previdenziale   che,  nel  delineare  il  regime  della  pensione  di
 anzianita'  degli  avvocati,  anche  a  salvaguardia  dell'equilibrio
 finanziario   della   gestione,   ha  discrezionalmente  ritenuto  di
 contenere  il  ricorso  a  questa   particolare   forma   di   tutela
 previdenziale   anticipata,  concessa  anche  in  considerazione  del
 presumibile  logoramento  psico-fisico  sopravvenuto  dopo  un  lungo
 periodo  di attivita' professionale, e subordinata alla cancellazione
 dall'albo.
   Se si considera, come in altra occasione questa Corte ha  rilevato,
 che  "nel  sistema riformato dalla legge n. 576 del 1980 il principio
 solidaristico  non  esclude,   ma   concorre   col   ''principio   di
 proporzionalita'  della  pensione  ai contributi personali versati''"
 (sentenza n. 1008 del 1988), non  puo'  ritenersi  irragionevole,  in
 assenza  di    un'espressa  deroga  al principio di immutabilita' del
 titolo della pensione, precludere l'erogazione di una nuova  pensione
 di  vecchiaia all'avvocato gia' titolare di pensione di anzianita' il
 quale,   avendo   incominciato   a   beneficiare   di   quest'ultima,
 eventualmente  per  vari  anni,  ha  modificato  - transitando da una
 posizione  debitoria  ad  una  posizione  creditoria  -  il  rapporto
 assicurativo,    compromettendo    l'integrita'    della    provvista
 contributiva alla quale dovrebbe ricondursi  una  nuova  pensione  di
 vecchiaia.
   Occorre  aggiungere  che le conseguenze paventate nell'ordinanza di
 rimessione non  sono  necessariamente  destinate  a  verificarsi  nei
 termini  delineati  dalla  Corte rimettente. Se il diritto vivente e'
 orientato nel senso di escludere la possibilita' di erogare una nuova
 pensione di vecchiaia all'assicurato che avesse gia'  optato  per  il
 trattamento  di  anzianita', in ordine all'interpretazione del quarto
 comma  dell'art.  3  della  legge  n.  576  del   1980   non   consta
 giurisprudenza.    La  privazione  di  ogni tutela previdenziale come
 conseguenza della reiscrizione nell'albo professionale  del  titolare
 di  pensione  di  anzianita' puo' evitarsi interpretando la revoca di
 cui all'art.   3, quarto  comma,  della  pensione  di  anzianita'  in
 godimento  come  misura  provvista  di  effetti meramente sospensivi,
 destinati  a  perdurare  sino  alla   cessazione   della   causa   di
 "incompatibilita'".
   4.  -  Quanto  precede  impone di dichiarare infondata la questione
 sollevata con l'ordinanza in epigrafe, anche sotto il  profilo  della
 prospettata violazione degli artt. 4 e 38 della Costituzione.
   Per  quanto  riguarda  il  dubbio di costituzionalita' sollevato in
 riferimento all'art. 4 della Costituzione,  alle  considerazioni  che
 precedono  occorre  aggiungere che questa Corte ha gia' avuto modo di
 rilevare, in merito ai condizionamenti  che  possono  derivare  dalla
 disciplina  previdenziale  forense,  in  generale,  che  "particolari
 circostanze di fatto soggettive, in relazione a qualunque  normativa,
 possono sempre rendere difficile la scelta di un certo tipo di lavoro
 sotto il profilo della convenienza economica ... senza che per questo
 la  liberta' della scelta sia esclusa o compromessa" (sentenza n. 132
 del 1984); in ordine  ai  presupposti  per  il  riconoscimento  della
 pensione  di  anzianita',  che  l'art.  3 della legge n. 576 del 1980
 risultava  eccessivamente limitativo delle possibilita' di lavoro del
 pensionato per tutto il resto della sua  vita,  nella  parte  in  cui
 prevedeva  l'incompatibilita'  della corresponsione della pensione di
 anzianita'  con  qualsiasi  attivita'  di  lavoro  dipendente  e  con
 l'iscrizione  ad  albi o elenchi di lavoratori autonomi diversi dagli
 albi di avvocato e di procuratore (sentenza n. 73 del 1992).