ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 315, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1996 dalla Corte d'appello di Bologna, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1997; Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il giudice relatore Carlo Mezzanotte. Ritenuto in fatto 1. - La Corte d'appello di Bologna, nel corso di un procedimento per riparazione di ingiusta detenzione, con ordinanza in data 14 novembre 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo e quarto comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 315, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione deve essere proposta, a pena d'inammissibilita', entro diciotto mesi dal giorno in cui il provvedimento di archiviazione e' stato pronunciato, anziche' dalla notifica di detto provvedimento all'interessato, che abbia subito custodia cautelare, ovvero dalla conoscenza effettiva dell'archiviazione comunque da costui diversamente acquisita. Il remittente premette che la questione deve ritenersi senz'altro rilevante, in quanto la domanda di equa riparazione e' stata proposta nel giudizio a quo oltre il termine di diciotto mesi dalla pronuncia del provvedimento di archiviazione. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo rileva che, ai sensi dell'art. 314, comma 1, cod. proc. pen., chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche' il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perche' il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Lo stesso diritto, a norma del comma 2 del medesimo art. 314, spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura e' stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilita' previste dagli artt. 273 e 280. Tali disposizioni si applicano, alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione (art. 314, comma 3) e, tuttavia - osserva il remittente - il sistema normativo vigente non prevede alcun adempimento inteso a portare a conoscenza dell'interessato ne' la pronuncia del provvedimento di archiviazione, ne' altri atti che a quella pronuncia preludano. In questo quadro, secondo la Corte d'appello di Bologna, l'art. 315, comma 1, cod. proc. pen. solo in apparenza regolerebbe in maniera eguale casi che di eguale trattamento necessiterebbero, dal momento che l'interessato e' posto in grado di conoscere l'esistenza soltanto dei provvedimenti pronunciati nei suoi confronti nella forma della sentenza - attraverso il sistema delle notifiche previsto a pena di nullita' nell'ambito dei relativi processi - e non anche del provvedimento di archiviazione. La disposizione censurata determinerebbe, inoltre, una irrazionale compressione del diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione per chi sia stato destinatario di un provvedimento di archiviazione, poiche' in questo caso "il diritto alla riparazione nasce, e il termine per il suo esercizio inizia a decorrere, ad insaputa dell'interessato". Considerato in diritto 1. - La Corte d'appello di Bologna dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 315, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la domanda per la riparazione per l'ingiusta detenzione deve essere proposta, a pena di inammissibilita', entro diciotto mesi dal giorno in cui il provvedimento di archiviazione e' stato pronunciato, anziche' dalla notifica di detto provvedimento all'interessato, che abbia sofferto custodia cautelare, ovvero dalla conoscenza effettiva dell'archiviazione da lui comunque acquisita. Secondo il giudice a quo, la disposizione censurata contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, per il trattamento deteriore riservato a chi proponga domanda di riparazione a seguito di pronuncia di provvedimento di archiviazione, rispetto a chi avanzi la medesima domanda a seguito di sentenza di proscioglimento o di condanna divenuta irrevocabile, o di sentenza di non luogo a procedere divenuta inoppugnabile, poiche' solo in queste ultime ipotesi, attraverso le notifiche, l'interessato sarebbe posto in grado di conoscere tempestivamente il momento in cui inizia a decorrere il termine per la proposizione di detta domanda. Alla base delle argomentazioni del remittente sta la constatazione che il sistema normativo vigente non prevede alcun adempimento inteso a portare a conoscenza dell'interessato ne' la pronuncia del provvedimento di archiviazione, ne' altri atti che a quella pronuncia preludono. Di conseguenza, secondo il giudice a quo, l'art. 315, comma 1, del codice di procedura penale, contrasterebbe anche con l'art. 24, primo e quarto comma, della Costituzione, per l'irrazionale compressione che, in caso di archiviazione, subirebbe il diritto all'equa riparazione, in quanto tale diritto sorgerebbe (e il termine per il suo esercizio inizierebbe a decorrere) "ad insaputa dell'interessato". 2. - La questione e' fondata. La disciplina vigente crea la disparita' di trattamento censurata dal giudice a quo, in una materia in cui vengono in considerazione il principio di riparazione dell'errore giudiziario insieme al diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale. Nonostante che la decorrenza e la durata del termine per il promovimento dell'azione siano regolate in maniera apparentemente eguale per tutte le situazioni previste dall'art. 315, comma 1, cod. proc. pen., queste risultano tra loro diverse proprio in relazione alle differenti opportunita' che l'ordinamento offre all'interessato di conoscere con tempestivita' il momento in cui il diritto all'equa riparazione e' sorto ed e' azionabile. Nelle ipotesi in cui il diritto nasce a seguito di una sentenza irrevocabile di proscioglimento o di condanna, o a seguito di una sentenza inoppugnabile di non luogo a procedere, l'interessato, come rileva il giudice remittente, e' a conoscenza delle diverse fasi del processo attraverso le quali si perviene alla irrevocabilita' o alla inoppugnabilita' della decisione: dapprima e' avvertito dell'udienza preliminare, se vi e' stata richiesta di rinvio a giudizio, ovvero della data dell'udienza dibattimentale a seguito del decreto che dispone il giudizio, o del decreto di giudizio immediato; la sentenza viene pubblicata e, se vi e' contumacia, notificata; quindi dei successivi gradi di giudizio, delle relative sentenze e delle eventuali ordinanze di inammissibilita' dei mezzi di gravame proposti, egli ha notizia grazie al sistema delle notifiche, la cui regolarita' e' garantita all'imputato dalle sanzioni di nullita' previste dal codice di procedura. La diligenza che si richiede in questi casi all'interessato e' davvero minima: per conoscere il momento in cui il suo diritto alla riparazione sorge, gli e' sufficiente, se non vuole essere presente al momento della pubblicazione della sentenza, prestare attenzione alle notifiche e agli avvisi che via via riceve durante il processo. Non cosi' nel caso di provvedimento di archiviazione: il diritto all'equa riparazione sorge e il termine per la proposizione della relativa domanda inizia a decorrere all'insaputa del titolare; per lui nessun mezzo appresta l'ordinamento per favorire la conoscenza del provvedimento. 3. - Il principio secondo il quale, una volta stabilito un termine di decadenza, l'interessato deve essere posto in condizione di conoscerne la decorrenza iniziale senza l'imposizione di oneri eccedenti la normale diligenza e' stato affermato piu' volte dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze nn. 185 del 1988, 134 del 1985, 14 del 1977, 255 del 1974 e 159 del 1971). Si trattava, e' vero, di fattispecie in cui il termine di decadenza, sostanziale o processuale, era piu' breve di quello previsto dall'art. 315, comma 1, del codice di procedura penale. Ma in questo caso ulteriori e decisivi argomenti inducono a valutare con maggior rigore una vicenda in cui nessuna agevolazione e' data all'interessato ai fini della conoscenza che e' affidata esclusivamente al suo impegno personale. E' risolutiva, per dimostrare l'assenza di un ragionevole fondamento della disparita' di trattamento ora evidenziata, la considerazione delle peculiarita' della fattispecie, che la differenziano profondamente dalle altre, pure astrattamente comparabili, sulle quali questa Corte si e' in passato pronunciata in materia di congruita' di termini stabiliti a pena di inammissibilita' e di doveri di diligenza delle parti; peculiarita' che fanno apparire manifestamente irrazionale, in relazione ad essa, il fatto che il legislatore abbia mancato di apprestare un qualche ausilio idoneo a favorire la conoscenza tempestiva del provvedimento da parte dell'interessato ed abbia scelto in proposito di gravare quest'ultimo di ogni onere. Ne e' risultata in effetti una distribuzione a senso unico degli oneri processuali, che non si addice all'insieme dei valori coinvolti nella vicenda della ingiusta detenzione e all'equilibrato e coerente bilanciamento che essa richiede. Il solo fatto che operi nel nostro ordinamento, come innovazione introdotta nel 1988, l'istituto regolato dagli artt. 314 e ss. del codice di procedura penale dimostra indubbiamente che, nella visione del legislatore, al rapporto tra cittadini e Stato in relazione all'esercizio della giurisdizione penale cautelare, per la quale sono essenziali poteri coercitivi incidenti sulla liberta' personale, non sono estranei momenti di solidarieta'. Infatti, l'esborso a cui lo Stato e' tenuto per ingiusta detenzione, nella ormai consolidata elaborazione della giurisprudenza dei giudici comuni, si configura non come risarcimento del danno derivante da un fatto illecito ascrivibile ad alcuno a titolo di dolo o di colpa o anche subiettivamente non imputabile, ma come misura riparatoria e riequilibratrice, e in parte compensatrice della ineliminabile componente di alea per la persona, propria della giurisdizione penale cautelare. La riparazione dell'ingiusta detenzione e' dunque dotata di un fondamento squisitamente solidaristico: in presenza di una lesione della liberta' personale rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post, la legge, in considerazione della qualita' del bene offeso, ha riguardo unicamente alla oggettivita' della lesione stessa. 4. - Se questa e' la natura dell'istituto, la previsione della notificazione del provvedimento di archiviazione - in assenza di qualsiasi avviso che preannunci l'eventualita' di un simile epilogo del procedimento - non solo si addice al suo inequivoco significato solidaristico ma e' da ritenere, in una ideale gerarchia degli atti di riparazione, il primo fra quelli ai quali lo Stato e' tenuto nei confronti di chi, innocente, abbia subi'to ingiusta detenzione; primo e, si aggiunga, indefettibile alla luce del canone di ragionevolezza, anche in considerazione della tenuita' degli oneri organizzativi che la notificazione comporta per l'amministrazione della giustizia, al raffronto con il ben piu' gravoso impegno che rappresenta per il cittadino l'attivita' di informazione e di ricerca della notizia. Il rimettere dunque interamente all'interessato l'onere di iniziativa finalizzata alla conoscenza del provvedimento di archiviazione altera profondamente la fisionomia dell'istituto, suona come odioso aggravio della situazione di ingiustizia che si e' determinata, e rende oscura e contraddittoria la complessiva ratio della disciplina: da un lato, questa suscita l'idea di uno Stato che di fronte a ingiuste compressioni della liberta' personale ispira la sua azione a principi di solidarieta', che lo inducono a concepire, nell'alveo scavato dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione, una riparazione in assenza di fatti illeciti o di responsabilita' imputabili ad alcuno; dall'altro, evoca l'immagine opposta: uno Stato cosi' dimentico delle vicissitudini della liberta' personale dei cittadini che non avverte neppure l'esigenza di dar notizia ad essi del fatto che la coercizione subi'ta a causa dell'esercizio della giurisdizione penale cautelare si e' appalesata obiettivamente ingiusta. Tanto piu' irragionevole appare l'omissione se si considera che essa riguarda proprio il provvedimento di archiviazione che, nell'elencazione dell'art. 315, rappresenta l'ipotesi nella quale piu' evidente risulta l'ingiustizia della detenzione e piu' manifesta l'esigenza di rendere noto all'interessato l'esito favorevole del procedimento. Negli altri casi previsti dal citato art. 315 cod. proc. pen. (sentenza di proscioglimento o di condanna divenuta irrevocabile; sentenza di non luogo a procedere divenuta inoppugnabile), infatti, il sacrificio imposto alla liberta' personale e' comunque connesso all'esercizio dell'azione penale che si presume essere intervenuto; per di piu' l'interessato, come detto, ha piu' facilmente modo di conoscere, attraverso le notificazioni previste in relazione a un processo poi definito, il momento iniziale della decorrenza del termine stabilito per l'esperimento dell'azione riparatoria. Nel caso del provvedimento di archiviazione, invece, ne' vi e' stato esperimento dell'azione penale, ne' e' prevista notificazione della decisione di non esercitarla, con la conseguenza che chi ha subi'to detenzione viene lasciato completamente all'oscuro dell'esistenza dell'atto che ne determina l'oggettiva ingiustizia, con l'onere, irragionevole in questo contesto, di scoprirlo da solo; quasi che nei confronti della liberta' personale dei cittadini lo Stato, resosi attivo per comprimerla, possa rimanere passivo ed inerte quando si tratti di rendere piu' agevolmente esperibili rimedi riparatori o compensativi nei casi in cui quella liberta' sia stata ingiustamente offesa.