ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 317-bis del
 codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile
 promosso con ordinanza emessa il 17 giugno 1996 dal tribunale  per  i
 minorenni di Genova iscritta al n. 1118 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 42, prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito nella camera di consiglio  del  1  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un procedimento in camera di consiglio instaurato
 dalla  madre naturale di una minore nei confronti dell'altro genitore
 il tribunale per i minorenni di  Genova  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 30 della
 Costituzione, degli artt.  317-bis  del  codice  civile  e  38  delle
 disposizioni di attuazione del codice civile.
   Premette   il  giudice  a  quo  di  essere  stato  investito  dalla
 ricorrente di una duplice domanda, l'una di affidamento della  figlia
 naturale  e  l'altra di determinazione della prestazione economica da
 porre a carico del padre naturale  a  titolo  di  contributo  per  il
 mantenimento  della bambina. Aggiunge, quindi, di essersi pronunciato
 soltanto sulla prima delle due.
   In ordine alla seconda, che costituisce il  fulcro  della  presente
 questione,  il  tribunale  rimettente  rileva che le norme impugnate,
 nonostante l'esistenza di  una  prassi  contraria  seguita  da  altri
 tribunali  per i minorenni, non consentono di ritenere sussistente la
 competenza di tale giudice per le questioni patrimoniali tra genitori
 naturali relative al mantenimento dei figli minori. In altre  parole,
 mentre  per  i  procedimenti  di  separazione  e di divorzio la legge
 prevede  che  sia  un  unico giudice, ossia il tribunale ordinario, a
 decidere sia sull'affidamento dei figli che sui relativi obblighi  di
 carattere economico, analoga disposizione non c'e' per la rottura del
 rapporto   more  uxorio;  in  tal  caso,  infatti,  le  questioni  di
 affidamento  dei  figli  sono  di  competenza  del  tribunale  per  i
 minorenni, mentre quelle di carattere economico (tra i genitori) sono
 devolute al tribunale ordinario.
   Osserva  il  tribunale  ligure  che  tale  divaricazione, sulla cui
 legittimita' costituzionale  questa  Corte  si  e'  gia'  pronunciata
 (sentenza  n.  23  del  1996)  in  modo  da  lasciare  impregiudicata
 l'attuale  prospettazione,  crea  un'ingiustificata   disparita'   di
 trattamento  tra  situazioni  che  sono  omogenee.  Ed  infatti, aver
 sottratto al giudice che si occupa dei figli il  potere  di  statuire
 anche   sulle   relative   questioni   economiche  obbliga  la  parte
 interessata ad adire due giudici diversi per  la  cognizione  di  una
 realta'   unica,   impone   l'adozione  del  rito  ordinario  per  le
 controversie patrimoniali - con inevitabile  allungamento  dei  tempi
 del  processo  -  ed infine assoggetta la pronuncia su tali questioni
 all'iniziativa  di  parte,  mentre  tale  pronuncia  dovrebbe  essere
 indisponibile.
   In  conseguenza  di  cio',  il  tribunale rimettente osserva che le
 norme impugnate determinano una  disparita'  tra  figli  legittimi  e
 figli    naturali,    con   violazione   degli   indicati   parametri
 costituzionali.
   2. - Non si sono costituite  le  parti  private,  ne'  ha  prestato
 intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  tribunale per i minorenni di Genova dubita che gli artt.
 317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di  attuazione  del
 codice  civile  siano  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  30 della
 Costituzione nella parte  in  cui,  assegnando  al  tribunale  per  i
 minorenni  la competenza a statuire sull'esercizio della potesta' dei
 genitori di  figli  naturali,  non  attribuiscono  a  detto  giudice,
 unitamente alla competenza in materia di affidamento dei figli minori
 e  di  regolamentazione dei rapporti tra i predetti e il genitore non
 affidatario, anche la competenza a  pronunciarsi,  con  provvedimento
 avente  contenuto  ed  effetto  di  titolo esecutivo, sulle questioni
 relative  all'obbligo  dei  genitori  di  mantenere  la  prole,   con
 particolare  riferimento  alla determinazione di un assegno mensile a
 carico del genitore non affidatario.
   2. - Il contenuto sostanziale della doglianza sta  nel  fatto  che,
 mentre   nell'ambito  del  giudizio  di  separazione  e  divorzio  il
 tribunale ordinario assomma in se' tutti i poteri  decisionali  circa
 la dissoluzione del rapporto coniugale - ivi compresi i provvedimenti
 economici  e  quelli  relativi all'affidamento ed al mantenimento dei
 figli legittimi -, altrettanto  non  si  verifica  nell'ambito  della
 convivenza  more  uxorio  e  dei  provvedimenti  concernenti  i figli
 naturali  riconosciuti.    Per  questi  ultimi,  infatti,  le   norme
 impugnate  stabiliscono  la  competenza del tribunale per i minorenni
 per le sole decisioni relative all'affidamento, mentre ogni questione
 patrimoniale circa il mantenimento e' devoluta  alla  competenza  del
 tribunale  ordinario. E tale divaricazione, ad avviso del rimettente,
 e' tanto piu' irrazionale nel caso in esame, nel quale la domanda  di
 affidamento  e quella di determinazione di un assegno di mantenimento
 a carico dell'altro genitore sono state proposte contestualmente.
   3. - La questione non e' fondata.
   Questa  Corte,  pur  non avendo affrontato l'attuale problema negli
 esatti  termini  nei  quali  oggi   e'   presentato,   ha   elaborato
 sull'argomento  numerosi  principi  che  e'  opportuno richiamare. E'
 stato costantemente affermato, infatti, che il legislatore - al quale
 va riconosciuta la  piu'  ampia  discrezionalita'  nella  regolazione
 generale degli istituti processuali (v. sentenze n. 295 del 1995 e n.
 65  del  1996)  -  e'  in  particolare  arbitro  di dettare regole di
 ripartizione della competenza  fra  i  vari  organi  giurisdizionali,
 sempreche'  le  medesime  non risultino manifestamente irragionevoli.
 Nell'ambito di tale giurisprudenza, si  e'  anche  ribadito  che  "il
 simultaneus processus e' mero espediente processuale mirato a fini di
 economia  dei  giudizi  e  di  prevenzione  del pericolo di eventuali
 giudicati contraddittori", onde la sua inattuabilita'  non  viola  il
 diritto  di difesa "una volta che la pretesa sostanziale del soggetto
 interessato possa  essere  fatta  valere  nella  competente,  pur  se
 distinta,  sede  giudiziaria  con  pienezza  di  contraddittorio e di
 difesa" (ordinanza n. 308 del 1991).
   In  relazione  alla  specifica  questione  sollevata  dal   giudice
 rimettente  questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  135  del  1980, ha
 dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  155 cod. civ. sollevata sotto il profilo - in qualche modo
 speculare - per cui la competenza del tribunale  ordinario  (anziche'
 del  tribunale  per  i  minorenni)  in  relazione  alle  questioni di
 maggiore interesse per la prole avrebbe violato  gli  artt.  3  e  25
 della  Costituzione.   In motivazione, tra l'altro, e' stato ribadito
 che "il riparto fra la competenza del tribunale  per  i  minorenni  e
 quella  del  tribunale  ordinario  non  puo' non ricadere nell'ambito
 della discrezionalita' legislativa" (v. sul punto anche  le  sentenze
 n. 193 del 1987 e n.  429 del 1991).
   In tempi recenti, infine, con la sentenza n. 23 del 1996 la Corte -
 decidendo  una  questione  di  legittimita' costituzionale identica a
 quella odierna, con la  sola  differenza  che  in  quel  giudizio  la
 domanda  di  natura patrimoniale (contributo al mantenimento a carico
 del genitore non affidatario di  figlio  naturale  riconosciuto)  era
 stata  avanzata  in  un momento successivo rispetto alla richiesta di
 affidamento  -  e'  pervenuta  alla  declaratoria  di   infondatezza,
 sottolineando  il  fatto  che  in un simile caso la domanda coinvolge
 solo "due soggetti maggiorenni", per cui e' del tutto ragionevole che
 la competenza spetti al tribunale ordinario.
   4.  -  Rispetto  a  quest'ultima  pronuncia  -  che  il   tribunale
 rimettente  dimostra  di  tenere  presente  -  il  novum dell'odierna
 questione sarebbe rappresentato dalla contestualita' della domanda di
 natura patrimoniale con  quella  relativa  all'affidamento;  ma  tale
 diversita' non e' sufficiente a modificare i termini del problema.
   In  realta'  il  tribunale  per i minorenni, per la sua particolare
 composizione e per la specificita' delle competenze, e' un giudice al
 quale sono devolute le questioni concernenti direttamente il  minore;
 e'  per  questo che la composizione di quest'organo e le peculiarita'
 del  processo  tengono  conto  delle  esigenze  di  persone  la   cui
 evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede nel
 magistrato adeguata ponderazione e determinate specializzazioni.
   Ben   diversa   e'   l'ipotesi   in   cui,   sia   pure   in  vista
 dell'assolvimento dei compiti genitoriali  conseguenti  all'esercizio
 esclusivo  della  potesta'  sul  figlio, la questione proposta sia di
 natura patrimoniale, come quella prospettata dal giudice  rimettente;
 in  tal  caso,  invero,  la lite tra i genitori - secondo quanto gia'
 rilevato nella citata sentenza n. 23 del  1996  -  e'  una  lite  tra
 soggetti  maggiorenni,  sia  pure  con  effetti  sugli  interessi del
 minore, e per di piu' di contenuto economico,  sicche'  il  tribunale
 ordinario  e'  stato  ritenuto  piu'  adatto,  in  quanto  dotato  di
 esperienza specifica.
   E'  pur  vero  che  il  sistema  attribuisce  al  tribunale  per  i
 minorenni,  nel  caso di cui all'art. 277 cod. civ., anche competenze
 di natura patrimoniale; ma  tale  eccezione  e'  stata  espressamente
 stabilita   dalla   legge   in  considerazione  della  particolarita'
 dell'azione  per  la  dichiarazione  giudiziale   di   paternita'   e
 maternita' naturale e non puo' valere come principio generale.
   5.  -  L'argomentazione fondamentale sulla quale poggia l'ordinanza
 di rimessione sta nel confronto tra la posizione dei figli  legittimi
 e quella, ritenuta deteriore, dei figli naturali riconosciuti, tenuti
 a   rivolgersi  (tramite  il  genitore  affidatario)  a  due  diverse
 autorita'  giudiziarie  ed  a  subire  conseguenti  rallentamenti   e
 difficolta'.    Tale  ragionamento  tuttavia  non  appare persuasivo,
 stante la diversita' strutturale delle posizioni.
   A ben vedere, infatti, la situazione dei coniugi  che  decidono  di
 allentare  e  poi di sciogliere il vincolo coniugale non coincide con
 quella  dei  conviventi  more  uxorio.  Senza  soffermarsi  sui  vari
 caratteri   differenziali,   costantemente   affermati   anche  dalla
 giurisprudenza costituzionale, ai fini della  presente  questione  e'
 sufficiente  osservare  che  e'  lo  stesso intervento dell'autorita'
 giudiziaria  ad  atteggiarsi  in  modo  diverso  nelle  due  predette
 ipotesi.  Mentre  in  presenza  di persone unite in matrimonio non e'
 possibile che il legame giuridico tra  loro  esistente  venga  reciso
 senza  l'intervento  del  giudice  (con  la  separazione  prima e col
 divorzio  poi),  la  convivenza  more   uxorio   puo'   interrompersi
 immediatamente  sulla  base  della  semplice decisione unilaterale di
 ciascuno dei conviventi; sicche' tale rapporto puo' venir meno  senza
 che  il  giudice  intervenga  in  alcun modo, salvo che per eventuali
 questioni relative ai figli naturali riconosciuti.  L'obbligatorieta'
 dell'intervento  giudiziario  fin  dal  momento  della   separazione,
 quindi,  rende ulteriormente ragionevole la scelta del legislatore di
 affidare al tribunale ordinario tutti i  provvedimenti  di  cui  agli
 artt. 155 e 156 cod. civ; e parimenti l'attribuzione al tribunale per
 i  minorenni  delle decisioni relative alla sorte dei figli minori si
 palesa come una conseguenza - plausibile e non irrazionale - di detta
 diversita'.
   6. - Va comunque osservato che la necessita' di adire  due  diversi
 organi  giudiziari  non  si  traduce in una diminuzione della tutela,
 come lo stesso tribunale rimettente deve avere avvertito nel  momento
 in cui non ha richiamato come parametro l'art. 24 della Costituzione.
 E'  sufficiente considerare che, qualora dovessero sussistere ragioni
 di urgenza tali da rendere indifferibile l'adozione di  provvedimenti
 di carattere economico, la pendenza del giudizio davanti al tribunale
 per i minorenni non impedirebbe il ricorso agli strumenti cautelari.
   A  conferma  delle  conclusioni  cui la Corte e' giunta puo' infine
 osservarsi che la divaricazione di competenze tra due diversi  organi
 giudiziari  non  e'  del  tutto  estranea neppure ai figli legittimi.
 Dalla coordinata lettura degli artt. 330 e 333 cod. civ. e  38  disp.
 att.  cod.  civ.  emerge  che  anche  per  costoro  e'  possibile  un
 intervento  del  tribunale  per  i  minorenni,  qualora  il  giudizio
 riguardi  la domanda di decadenza dalla potesta' genitoriale, essendo
 apparso opportuno alla discrezionalita' del legislatore devolvere  la
 competenza al giudice ritenuto piu' "specializzato" nella risoluzione
 di simili delicate questioni.
   Va  pertanto  riaffermata  la  ragionevolezza  del  sistema nel suo
 complesso,  tale  da  rendere  infondate  le  lamentate  censure   di
 illegittimita' costituzionale.