ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4, n. 8 del
 d.lgs.lgt. 21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all'ordinamento  del
 Corpo degli agenti di custodia delle carceri), nonche' dell'art.  126
 della  legge  18  febbraio 1963, n. 173; dell'art. 29, comma 2, della
 legge 15 dicembre 1990, n. 395; dell'art. 1, comma 3, del d.-l.    29
 gennaio 1992, n. 36, convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213,
 e  dell'art. 17, comma 2, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito
 dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con ordinanza emessa  l'8
 novembre  1996 dal tribunale amministrativo regionale della Calabria,
 iscritta al n. 103 del registro ordinanze  1997  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  12, prima serie speciale,
 dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 novembre 1997 il giudice
 relatore Valerio Onida;
   Ritenuto che, con ordinanza emessa l'8 novembre 1996,  pervenuta  a
 questa  Corte  il  25  febbraio  1997,  il  tribunale  amministrativo
 regionale della  Calabria  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  agli  artt. 4, primo comma, 3 e 52,
 secondo comma, della Costituzione, dell'art. 4, n. 8, del  d.lgs.lgt.
 21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all'ordinamento del Corpo degli
 agenti  di  custodia delle carceri), nonche' "delle norme legislative
 che ne estendono l'operativita'", indicate nell'art. 126 della  legge
 18  febbraio  1963,  n.  173,  nell'art.  29, comma 2, della legge 15
 dicembre 1990, n. 395, nell'art. 1, comma 3,  del  d.-l.  29  gennaio
 1992,  n.  36,  convertito  dalla  legge  29 febbraio 1992, n. 213, e
 nell'art. 17, comma 2, del d.-l. 8 giugno 1992,  n.  306,  convertito
 dalla  legge  7 agosto 1992, n. 356, "nella parte in cui condizionano
 l'arruolamento nel Corpo degli  agenti  di  custodia  (ora  Corpo  di
 polizia  penitenziaria: art.  1 della legge 15 dicembre 1990, n. 395)
 al possesso del requisito di "non aver riportato qualifiche inferiori
 a quella di buono durante il servizio militare"";
     che il giudice a quo riferisce come al  ricorrente  nel  giudizio
 incidentato  sia  stato negato, con provvedimento dell'8 maggio 1993,
 l'arruolamento nel Corpo di polizia penitenziaria,  per  difetto  del
 requisito predetto, ancorche' egli avesse sostenuto favorevolmente le
 prove psico-attitudinali;
     che,  ad  avviso  del remittente, le norme denunciate contrastano
 anzitutto con il diritto al lavoro sancito dall'art. 4, primo  comma,
 della  Costituzione, in quanto, da un lato, porrebbero all'accesso ad
 un posto di lavoro un limite discriminatorio e privo  di  ragionevole
 giustificazione,  in  ragione di valutazioni conseguenti ad attivita'
 svolte durante il servizio di leva, anche, come nel caso  di  specie,
 in  settori  non  attinenti  all'ambito  dell'addestramento  e  della
 disciplina militare, in relazione  ad  incarichi,  espletati  durante
 detto   servizio,  non  coerenti  con  la  preparazione  culturale  e
 professionale  dell'interessato;  dall'altro  lato,  imporrebbero  un
 requisito  non  giustificabile in base ad alcuna esigenza collettiva,
 trattandosi di accedere ad un corpo ormai civile, ed essendo previste
 modalita' di accertamento dell'idoneita' fisica e attitudinale  degli
 aspiranti,  la  valutazione  della  cui sussistenza dovrebbe togliere
 rilievo alla qualifica riportata durante il servizio militare;
     che,  in  secondo  luogo,  l'autorita'  remittente  dubita  della
 conformita' delle norme  impugnate  al  principio  costituzionale  di
 eguaglianza,   in  quanto  esse  introdurrebbero  per  gli  aspiranti
 all'arruolamento nel Corpo in questione una disciplina  differenziata
 rispetto  ad  altre  categorie  di  lavoratori,  priva di ragionevole
 giustificazione per le ragioni gia' dette;
     che infine, secondo il giudice a quo sussisterebbe  un  contrasto
 con  l'art. 52, secondo comma, della Costituzione, in quanto verrebbe
 pregiudicata  dal  servizio  militare  la  posizione  di  lavoro  del
 cittadino,   in   assenza   di   un  interesse  pubblico  o  comunque
 superindividuale meritevole di tutela;
     che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o
 comunque infondata, in quanto non sarebbe ravvisabile nella normativa
 impugnata alcun contrasto con i parametri costituzionali invocati;
   Considerato  che  il  remittente  afferma  che  l'art. 4, n. 8, del
 decreto legislativo luogotenenziale n. 508  del  1945  sarebbe  stato
 mantenuto  in  vigore dalle disposizioni insieme ad esso impugnate, e
 sarebbe stato abrogato solo dall'art. 5 del d.lgs. 30  ottobre  1992,
 n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria,
 a norma dell'art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395),
 ma  non  argomenta  in alcun modo circa la compatibilita' della norma
 impugnata con la legge n. 395 del  1990  (Ordinamento  del  Corpo  di
 polizia  penitenziaria),  che  ha  disciolto  il Corpo militare degli
 agenti di  custodia  e  ha  istituito  il  Corpo  civile  di  polizia
 penitenziaria:    compatibilita' alla quale l'art. 29, comma 2, della
 stessa legge di riforma condizionava  la  perdurante  applicabilita',
 nel  periodo  precedente l'entrata in vigore del nuovo regolamento di
 servizio, della previgente normativa recata, fra l'altro, dal decreto
 legislativo luogotenenziale n. 508 del 1945;
     che, soprattutto, il remittente non spiega in base a  quale  iter
 logico   abbia  ritenuto  applicabile  alla  specie  la  disposizione
 dell'art.  4, n. 8, del decreto legislativo  luogotenenziale  n.  508
 del  1945,  tenendo  conto  che l'atto amministrativo dinanzi ad esso
 impugnato - datato 8 maggio  1993  -  e'  posteriore  all'entrata  in
 vigore  del  nuovo  ordinamento  del  personale,  recato  dal decreto
 legislativo n.   443 del 1992, il  cui  art.  5,  che  ridefinisce  i
 requisiti  per  l'accesso  al  Corpo  di  polizia  penitenziaria,  e'
 sicuramente incompatibile  con  la  predetta  disposizione,  come  lo
 stesso  giudice  a  quo  avverte;  e  che  l'art.  1,  comma  3,  del
 decreto-legge n. 36 del 1992 a cui fa rinvio anche l'art.  17,  comma
 2,   del   decreto-legge   n.   306   del   1992   "come  del  resto,
 successivamente, l'art. 2, comma 1, del d.-l. 28 maggio 1993, n. 163,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1993, n. 254, e,
 implicitamente, l'art. 1, comma 1, del d.-l.  10 giugno 1994, n. 356,
 convertito dalla legge 8 agosto 1994, n.  488 - disponeva bensi'  che
 l'assunzione  di  nuovo  personale nel Corpo di polizia penitenziaria
 avvenisse, in via transitoria, seguendo le "procedure" previste dalla
 normativa anteriore alla  riforma  del  Corpo,  ma  non  in  base  ai
 requisiti richiesti da tale normativa per l'assunzione;
     che  per  verificare  l'applicabilita'  della norma denunciata si
 sarebbe altresi' dovuto tenere conto  del  fatto  che  le  assunzioni
 previste dalla citata normativa transitoria non avvenivano in base ad
 un  procedimento  concorsuale, nell'ambito del quale fosse fissato un
 termine  di  presentazione delle domande, alla cui scadenza dovessero
 essere posseduti i requisiti richiesti, bensi' in base a  domande  di
 arruolamento  e  ad  accertamenti  di idoneita' fisica e attitudinale
 (cfr. artt. 6 e 7 del r.d. 30 dicembre 1937,  n.  2584;  art.  5  del
 decreto  legislativo  luogotenenziale   21 agosto 1945, n. 508; artt.
 127 e 128 della legge 18 febbraio 1963, n. 173); e del fatto che alle
 domande di assunzione gia' presentate, anche prima della riforma  del
 Corpo,  la medesima legislazione transitoria attribuiva ultrattivita'
 ai fini delle procedure di assunzione da essa regolate (cfr. art.   2
 del decreto-legge n. 163 del 1993; art 1 del decreto-legge n. 356 del
 1994);
     che  la  motivazione  sulla  rilevanza, offerta dal giudice a quo
 risulta dunque insufficiente;
     che pertanto la questione deve essere  dichiarata  manifestamente
 inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.