ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 54  del  d.P.R.
 29  settembre  1973,  n.  602  (Disposizioni  sulla riscossione delle
 imposte sul reddito), promosso con ordinanza  emessa  il  31  ottobre
 1996 dal tribunale di Catania sui ricorsi proposti da Giuseppe Romano
 ed  altri  contro  il  Consorzio  di bonifica della Piana di Catania,
 iscritta al n. 7 del  registro  ordinanze  1997  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,  prima serie speciale,
 dell'anno 1997;
   Udito nella camera di consiglio  del  1  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Giuseppe Romano ed altri, nel corso del giudizio promosso per
 l'accertamento negativo del loro obbligo contributivo  nei  confronti
 del  Consorzio  di  bonifica  della Piana di Catania, chiedevano, con
 ricorso ex  art.  700  cod.  proc.  civ.,  "la  sospensione,  in  via
 d'urgenza,  della  riscossione dei contributi consortili gia' avviata
 (...) a mezzo di esecuzione esattoriale".
   Il giudice istruttore dichiarava inammissibile la domanda cautelare
 per difetto di  giurisdizione,  in  quanto  riteneva  che  il  potere
 cautelare  fosse  riservato  ad  un organo amministrativo "in base al
 combinato disposto degli artt. 39, 53, 54 d.P.R. n. 602 del 1973 e 21
 r.d.   n. 215 del 1933". I  ricorrenti  proponevano  reclamo  avverso
 l'ordinanza,  eccependo  l'irragionevolezza delle norme che escludono
 il potere cautelare del giudice pur chiamato a decidere la domanda di
 merito.
   Il tribunale, con ordinanza  del  31  ottobre  1996,  ha  sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 54 del d.P.R. 29
 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle  imposte
 sul   reddito)   in   riferimento  agli  artt.  3,  24  e  113  della
 Costituzione.
   I  giudici  premettono  che  il  principio  affermato  dalla  Corte
 costituzionale  con  la  sentenza n. 318 del 1995, benche' "abbia una
 portata assai generale", non sarebbe applicabile nella  specie,  dato
 che  i contributi consortili configurano "prestazioni patrimoniali di
 natura pubblicistica (...) equiparabili a imposte dirette che gravano
 sui fondi dei contribuenti come oneri reali".  L'inapplicabilita'  di
 siffatto  principio,  a  loro avviso, fonda il dubbio di legittimita'
 costituzionale della disposizione  che  esclude  "la  competenza  del
 giudice  ordinario  a  emanare  provvedimenti cautelari in materia di
 riscossione esattoriale dei tributi".
   I rimettenti  assumono  che  e'  gia'  "una  compiuta  applicazione
 dell'art.     113  della  Costituzione  a  postulare  che  il  potere
 dell'Autorita' giudiziaria ordinaria, dotata  di  competenza  per  la
 tutela  di  situazioni  giuridiche  soggettive  perfette,  si estenda
 sempre  fino  a  comprendere  il  momento cautelare della cognizione,
 poiche', secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  la  protezione
 anticipata  del  diritto e' strumentale all'effettivita' della tutela
 giurisdizionale in vista della garanzia  piena  di  cui  all'art.  24
 della  Costituzione.  Inoltre,  l'esclusione del potere cautelare del
 giudice ordinario che conosce del merito di  una  pretesa  tributaria
 sarebbe irragionevole e violerebbe anche l'art. 3 della Costituzione,
 dato  che,  anche  in  sede  di  tutela degli interessi legittimi, il
 giudice dell'atto impugnato e', invece,  munito  della  capacita'  di
 sospenderne  gli  effetti.  Una  diversa soluzione, osserva ancora il
 Tribunale, non puo' neppure essere affermata a seguito della  novella
 di  cui  agli  artt. 669-bis ss. cod. proc. civ., poiche' la legge di
 riforma n. 353 del 1990, e' lex generalis incapace di  derogare  alla
 speciale  combinazione  degli  artt.  39,  53,  54  del  decreto  del
 Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 e 21 del regio decreto n.
 215 del 1933 che disciplina il caso  concreto.  I  giudici  a  quibus
 concludono,  individuando  nell'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973,
 n. 602, anziche'  nel  combinato  disposto  da  ultimo  indicato,  la
 disposizione  che  "affida al solo Intendente di finanza il potere di
 sospendere la procedura esecutiva nei confronti del  contribuente"  e
 che, quindi, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della
 Costituzione.
   2.  -  Nel  giudizio  incidentale  non  vi e' stata costituzione di
 parte, ne' intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione di  legittimita'  costituzionale,  sollevata  con
 l'ordinanza  in  epigrafe,  investe l'art. 54 del d.P.R. 29 settembre
 1973, n. 602, nella parte in cui esclude "la competenza  del  giudice
 ordinario a emanare provvedimenti cautelari in materia di riscossione
 esattoriale  di  tributi".  Secondo  il giudice a quo, va individuata
 proprio nell'art. 54 "la disposizione-norma della  quale  appare  non
 manifestamente infondata la incompatibilita' con i principi contenuti
 negli  artt.  3,  24 e 113 della Costituzione, poiche' affida al solo
 Intendente di finanza il potere di sospendere la procedura  esecutiva
 nei confronti del contribuente".
   Si  determinerebbe  cosi'  una irragionevole riduzione, nell'ambito
 della procedura di riscossione coattiva di contributi dei consorzi di
 bonifica, delle forme di tutela  dei  diritti  del  contribuente  nei
 confronti    della   pubblica   amministrazione,   sottraendo   cosi'
 l'indispensabile  complemento  del  potere   cautelare   al   giudice
 ordinario, che abbia giurisdizione sul rapporto controverso.
   2.  -  In  via  preliminare, questa Corte deve meglio precisare, ai
 fini della valutazione della  rilevanza  della  questione,  il  thema
 decidendum  prospettato  dall'ordinanza  di rinvio ed in proposito si
 conferma  il  precedente  indirizzo  giurisprudenziale,  secondo  cui
 spetta  proprio alla Corte di individuare le disposizioni sulle quali
 effettivamente convergono  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
 esposti  nell'ordinanza  di  rimessione,  anche  al di la' del tenore
 letterale delle espressioni usate (ex plurimis: sentenza n.  155  del
 1990).
   Cio'  premesso,  nell'ordinanza  in  esame  i giudici rimettenti si
 riferiscono al "combinato  disposto"  degli  artt.  39,  53,  54  del
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n. 602 del 1973 e 21 del
 regio decreto n. 215 del 1933, che essi dubitano  che  contrasti  con
 gli  indicati  parametri  della Costituzione, ma appuntano la propria
 formale censura soltanto su uno dei termini normativi  del  combinato
 disposto  stesso,  e cioe' sull'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973,
 n. 602. Vero e' infatti che e' proprio questa norma a determinare  la
 lamentata  "esclusione  della  competenza  del  giudice  ordinario  a
 emanare provvedimenti cautelari", ma e' altrettanto vero  che  questa
 disposizione non e' invocabile ex se, in quanto puo' essere applicata
 nel  giudizio  a  quo,  esclusivamente  in  forza  del rinvio operato
 dall'art. 21, secondo comma del r.d.  13 febbraio 1933, n.  215  alle
 "norme  che  regolano l'esazione delle imposte dirette", tra le quali
 specificamente  il  citato  art.  54.    Quindi  proprio  l'art.  21,
 disciplinando,  sia  pure attraverso la tecnica del rinvio normativo,
 la  procedura  di   riscossione   dei   contributi   consortili,   e'
 immediatamente  applicabile nel giudizio a quo, in cui si controverte
 sulla  procedura  di  esazione  di  contributi  consortili  ricadente
 appunto nell'ambito previsionale dell'art. 21 medesimo.
   Il  prospettato  criterio  logico  e temporale di applicazione, nel
 concorso  delle  norme  suddette,  induce  pertanto  questa  Corte  a
 ritenere,  anche  sulla  base  delle  enunciazioni  dell'ordinanza di
 rimessione, che la questione di legittimita' sia appunto da riferire,
 nei suoi piu' esatti termini, all'art. 21, secondo comma, del r.d. 13
 febbraio 1933, n. 215, nella parte in cui, rinviando alle "norme  che
 regolano   l'esazione   delle   imposte  dirette"  e  rendendo  cosi'
 applicabile l'art.  54 del decreto del Presidente della Repubblica n.
 602 del 1973, non consente all'autorita' giurisdizionale ordinaria di
 sospendere la procedura di riscossione dei contributi consortili.
   Del resto, come ha gia' rilevato questa Corte, l'accoglimento della
 prospettata questione di  costituzionalita'  sulla  norma  di  rinvio
 rende,  oltre tutto, necessariamente irrilevante la quaestio relativa
 alla norma rinviata, cosicche' la questione incentrata sull'art.   21
 e'   astrattamente   idonea  ad  assorbire  le  proposte  censure  di
 costituzionalita', senza compromettere la  perdurante  vigenza  della
 norma   oggetto   del   rinvio  nell'ambito  applicativo  proprio  di
 quest'ultima (sentenze n. 239 del 1997 e n. 318 del  1995,  ordinanza
 n. 359 del 1997).
   3. - Nel merito la questione e' fondata.
   Nella giurisprudenza di questa Corte e' ormai principio consolidato
 quello  secondo  il  quale e' discriminatoria ed arbitraria, sotto il
 profilo della violazione dei  mezzi  di  difesa  giurisdizionale,  la
 disciplina  mediante  rinvio alle norme, che regolano la procedura di
 riscossione delle imposte dirette, disposta nei confronti di  entrate
 di  natura  non tributaria (sentenze n. 318 del 1995, n. 239 e n. 372
 del 1997).
   Ai fini dell'applicabilita' di questo  principio  giurisprudenziale
 nella  fattispecie  in  esame  assume  dunque  peculiare  rilievo  la
 qualificazione  dei  contributi  pretesi  dagli  enti  di   bonifica,
 formulata   dalle  Sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  che,
 confermando un  precedente  orientamento,  hanno  statuito  che  "pur
 dovendosi   collocare   le   prestazioni  patrimoniali  in  questione
 nell'area    applicativa    dell'art.    23    della    Costituzione,
 l'assimilazione  dei contributi consortili ai tributi erariali non si
 profila come assoluta, ma limitata piuttosto  a  taluni  fondamentali
 aspetti,  tra  cui quello dell'esazione" (Cass., sez. unite, sentenza
 n. 5443 del 1991).
   Lo  stesso  giudice  rimettente,  d'altronde,  sembra conformarsi a
 questo indirizzo giurisprudenziale,  se  e'  vero  che  qualifica  le
 entrate  degli  enti  di  bonifica  come  prestazioni patrimoniali di
 natura pubblicistica soltanto  "equiparabili"  alle  imposte  dirette
 "che gravano sui fondi dei contribuenti come oneri reali".
   4.  -  In  definitiva,  il  quadro  normativo  e  giurisprudenziale
 esaminato conduce a valutazioni non dissimili da quelle poste a  base
 dell'indirizzo   di  questa  Corte,  gia'  ricordato.  Ed  invero,  i
 contributi  in  questione  non  sono  configurabili,  per   caratteri
 ontologici,  come  prestazioni patrimoniali aventi la identica natura
 giuridica dei tributi erariali e non rientrano  quindi  integralmente
 nel  sistema disciplinare delle imposte dirette, cosicche' al massimo
 si puo' riscontrare -- come gia' rilevato dalle Sezioni  unite  della
 Cassazione  -  una  loro  "assimilazione"  alle  entrate  tributarie,
 peraltro solo parziale e  limitata,  per  quanto  qui  interessa,  ai
 profili  procedimentali  della riscossione coattiva.  Anche in questo
 caso,  quindi,  appare  evidente   l'incongruita'   di   una   scelta
 legislativa  che  prefigura  un  sistema  privilegiato  di esazione a
 carico del debitore, senza pero' che risulti applicabile, in caso  di
 contestazione    giudiziaria,    quella    graduazione    ope   legis
 dell'esecutorieta', che,  nella  disciplina  positiva  delle  entrate
 tributarie,  si attua in "riferimento alla probabilita' di fondamento
 della pretesa  tributaria  rilevabile  in  base  alle  decisioni  che
 intervengono  nei  vari  gradi di giudizio"; graduazione che, in quel
 sistema, appunto "bilancia la mancata previsione di misure  cautelari
 giurisdizionali" (sentenza n. 318 del 1995).
   In  questa  ottica,  l'art. 21, secondo comma, del regio decreto n.
 215 del 1933 si pone pertanto in contrasto con gli artt. 3 e 24 della
 Costituzione, proprio perche' estende  arbitrariamente,  mediante  la
 tecnica  del  rinvio normativo, la particolare disciplina di esazione
 delle imposte dirette sul reddito oltre lo stretto  ambito  d'origine
 in  assenza  di  un'identita' di ratio, escludendo irragionevolmente,
 nelle  controversie  sulla  riscossione  esattoriale  dei  contributi
 consortili,  il  potere  cautelare del giudice ordinario, che pure ha
 giurisdizione sul merito. La devoluzione,  nei  termini  prospettati,
 all'autorita'    giurisdizionale    ordinaria   delle   contestazioni
 riguardanti il potere impositivo dei consorzi di bonifica  -  indotta
 dalla mancata previsione, nell'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
 546,   tra   gli   oggetti   della   giurisdizione  tributaria  delle
 controversie concernenti  la  peculiare  categoria  dei  "contributi"
 consortili (Cass. sentenza n.  9534 del 1997) - da' luogo, quindi, ad
 una  disciplina  incongrua  e discriminatoria, sotto il profilo della
 limitazione degli strumenti di difesa  giurisdizionale  del  debitore
 assoggettato  a procedura di riscossione coattiva, imponendogli cosi'
 "un sacrificio assolutamente sproporzionato rispetto alle finalita' e
 alla natura dell'ente creditore" (sentenza n. 239 del 1997).
   5. - La proposta questione di costituzionalita' va  dunque  accolta
 per  i  motivi esposti, restando cosi' assorbiti gli altri profili di
 illegittimita' prospettati.