ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 39 e 47,
 comma 6, del d.lgs.  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
 processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
 nell'art.  30 della legge 30 dicembre 1991,  n.  413),  promosso  con
 ordinanza  emessa  l'11  gennaio  1997  dalla  Commissione tributaria
 provinciale di Como sui ricorsi riuniti proposti da Cattaneo  Santino
 ed  altri  contro l'Ufficio delle imposte dirette di Como iscritta al
 n.  169  del  registro  ordinanze  1997  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 15,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 26  novembre  1997  il  giudice
 relatore Annibale Marini.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l'impugnativa degli
 avvisi di accertamento di redditi di partecipazione non dichiarati la
 Commissione  tributaria  provinciale  di  Como  con ordinanza dell'11
 gennaio 1997 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24,  secondo
 comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 39  del  decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546
 (Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
 Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
 "nella  parte  in  cui  non  prevede  la  sospensione  del   processo
 tributario  ove altro giudice debba procedere alla definizione di una
 controversia dalla quale dipende la decisione del ricorso".
   Con la  medesima  ordinanza  e'  stata  sollevata,  in  riferimento
 all'art.    24,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 47,  comma  6,  del  menzionato
 d.lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, "nella parte in cui non prevede che
 la trattazione della controversia possa essere fissata oltre  novanta
 giorni  dalla  pronuncia  ove  altro  giudice  debba  procedere  alla
 definizione di una controversia dalla quale dipende la decisione  del
 ricorso".
   2.  -  Premette  la  Commissione rimettente che, in relazione ad un
 processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia  di  Finanza,
 l'ufficio delle imposte dirette territorialmente competente, ritenuta
 l'esistenza  in  capo  ai  ricorrenti di una societa' di fatto, aveva
 proceduto  ad  accertare  il  patrimonio  del   preteso   gruppo   e,
 conseguentemente,  a  determinare  il  reddito societario e quello di
 partecipazione dei singoli soci.
   Nel corso del giudizio a quo i ricorrenti, nel produrre copia della
 decisione di altra Commissione tributaria che aveva accolto i ricorsi
 proposti dalla societa' di fatto e dai soci relativamente ad esercizi
 precedenti, chiedevano - ai sensi dell'art.  47  del  citato  decreto
 legislativo  n.  546  del  1992  -  la  sospensione dei provvedimenti
 impugnati dichiarando, a tal fine, che  la  trattazione  del  ricorso
 della  societa'  relativo all'esercizio in esame non era stata ancora
 fissata  dalla  Commissione   tributaria   provinciale   di   Varese,
 territorialmente competente dal 1 aprile 1996.
   La  Commissione  rimettente,  nell'accogliere  l'istanza cautelare,
 rileva che l'art.  39  del  d.lgs.  31  dicembre  1992,  n.  546  non
 contempla,   tra   le   cause   di   sospensione,   il   rapporto  di
 pregiudizialita' tra due controversie. La  previsione  -  nel  citato
 articolo  39  -  di  specifiche  cause di sospensione, comporterebbe,
 d'altra parte, ai sensi di quanto disposto dal comma  2  dell'art.  1
 dello  stesso  decreto  legislativo,  l'inapplicabilita'  al processo
 tributario dell'istituto della sospensione necessaria di cui all'art.
 295 del codice di procedura civile. Con la conseguenza che il giudice
 tributario  dovrebbe,  nell'ipotesi,  come  quella   in   esame,   di
 pregiudizialita'   tra   due   controversie,   decidere   il  ricorso
 pregiudicato indipendentemente dall'esito di quello pregiudiziale.
   Da  cio'  deriverebbe una illegittima disparita' di trattamento tra
 coloro che  nell'ipotesi  di  pregiudizialita'  possono  chiedere  ed
 ottenere la riunione dei giudizi pendenti dinanzi allo stesso giudice
 tributario  e la loro decisione con unica sentenza, e coloro ai quali
 tale possibilita' e' preclusa pendendo i giudizi  dinanzi  a  giudici
 tributari   territorialmente   diversi.   Inoltre,  ad  avviso  della
 Commissione  rimettente,  sussisterebbe  una  del  pari   illegittima
 limitazione  del  diritto  di  difesa  del  ricorrente  nel  giudizio
 pregiudicato, "non sempre in grado di apprestare  le  difese  che  il
 ricorrente  del  ricorso pregiudiziale presentera' successivamente al
 giudice  investito  della  relativa   decisione".   Con   conseguente
 violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.
   L'inapplicabilita'  della  sospensione  necessaria, nell'ipotesi di
 pregiudizialita', inciderebbe, infine,  a  parere  della  Commissione
 rimettente,  anche  sulla  disciplina della tutela cautelare prevista
 dall'art.  47  del  d.lgs.  31  dicembre  1992,  n.  546  in  quanto,
 stabilendo  il  comma  6  di tale articolo l'obbligo di fissare - nel
 caso di  sospensione  dell'atto  impugnato  -  la  trattazione  della
 controversia non oltre novanta giorni dalla pronuncia di sospensione,
 ove  cio'  non  fosse  possibile  -  per  la  pendenza  di un ricorso
 pregiudiziale  -  il  provvedimento  cautelare  non  potrebbe  essere
 concesso   o   se  concesso  dovrebbe  essere  revocato.  Conseguenza
 quest'ultima  necessitata,  a  parere  del  giudice  a   quo,   anche
 nell'ipotesi  in  cui si ritenesse applicabile al processo tributario
 l'art. 295 cod. proc. civ. (in forza del rinvio di cui all'art. 1 del
 citato decreto legislativo n. 546 del 1992), risultando il termine di
 novanta giorni comunque incompatibile con l'esercizio del  potere  di
 sospensione  dell'atto  impugnato.  Con  violazione,  in  entrambe le
 ipotesi, del diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma,
 della Costituzione.
   La rilevanza delle questioni di costituzionalita', sollevate  dalla
 Commissione  rimettente,  discenderebbe,  poi,  dal fatto che essendo
 stata  disposta   la   sospensione   dei   provvedimenti   impugnati,
 occorrerebbe fissare la data di trattazione della controversia pur in
 assenza   della   definizione  del  ricorso  (pregiudiziale)  avverso
 l'accertamento del reddito societario.
   3. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo per l'infondatezza delle questioni.
   La difesa erariale ritiene che la disposizione di cui all'art.   39
 del decreto legislativo n. 546 del 1992 legittimerebbe le commissioni
 tributarie    a   decidere,   incidenter   tantum,   ogni   questione
 pregiudiziale civile o amministrativa, non potendosi  procedere  alla
 sospensione  del  processo  tributario  se non nei casi espressamente
 previsti dalla citata norma. Cio', tuttavia,  non  escluderebbe  che,
 ove  ricorra  un'ipotesi di sospensione necessaria per la risoluzione
 di una questione pregiudiziale con efficacia di  giudicato,  potrebbe
 comunque  farsi  applicazione  dell'art. 295 cod. proc. civ. in forza
 del generale  rinvio  alle  norme  del  codice  di  procedura  civile
 contenuto nell'art. 1 del decreto legislativo n. 546 del 1992.
   Tuttavia,  rileva  l'interveniente, la necessita' della sospensione
 del processo non si verificherebbe nel caso in esame poiche' i  soci,
 essendo  vincolati, ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986,
 n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte  sui  redditi),  a
 quegli  atti  (dichiarazione, accertamento, giudicato) con i quali si
 determina  il  reddito  della   societa',   sarebbero   privi   della
 possibilita'  di  contestare  il  proprio  reddito di partecipazione;
 sicche' i ricorsi in tal senso proposti dovrebbero essere  dichiarati
 inammissibili.
   Ad   avviso   della   difesa  erariale,  infine,  la  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 47, comma 6, del decreto  legislativo  n.
 546  del 1992 sarebbe, oltre che irrilevante, infondata, in quanto il
 previsto termine di novanta giorni non  inciderebbe  sulla  validita'
 della   sospensione   dell'atto  impugnato  nell'ipotesi  in  cui  la
 trattazione  della  controversia  non  fosse  -  giustificatamente  -
 fissata.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Le  questioni  sottoposte  all'esame  della  Corte hanno per
 oggetto gli artt. 39 e 47, comma 6, del d.lgs. 31 dicembre  1992,  n.
 546  (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega
 al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
 413),  che disciplinano, rispettivamente, la sospensione del processo
 tributario e la sospensione, in via cautelare,dell'atto impugnato.
   2. - L'art. 39 del citato  decreto  legislativo  n.  546  del  1992
 dispone  che  il  processo tributario e' sospeso quando e' presentata
 querela di falso oppure debba essere decisa in via pregiudiziale  una
 questione  sullo  stato  o  la  capacita' delle persone, salvo che si
 tratti della capacita' di stare in giudizio.
   La Commissione tributaria provinciale  di  Como  ritiene  che  tale
 norma,  nella  parte  in cui non prevede "la sospensione del processo
 tributario ove altro giudice debba procedere alla definizione di  una
 controversia dalla quale dipende la decisione del ricorso", contrasti
 con  l'art. 3 della Costituzione per la disparita' di trattamento tra
 coloro che, nell'ipotesi di  pregiudizialita',  possono  chiedere  ed
 ottenere la riunione dei giudizi pendenti dinanzi allo stesso giudice
 tributario,  e coloro ai quali tale possibilita' e' preclusa pendendo
 i giudizi dinanzi a giudici territorialmente diversi.
   Ad avviso della Commissione rimettente, la disposizione  denunciata
 sarebbe  altresi'  in  contrasto  con l'art. 24, secondo comma, della
 Costituzione, per l'illegittima limitazione del diritto di difesa del
 ricorrente  del  giudizio  pregiudicato  "non  sempre  in  grado   di
 apprestare  le  difese  che  il  ricorrente del ricorso pregiudiziale
 presentera'  successivamente  al  giudice  investito  della  relativa
 decisione".
   2.1.  -  Il  giudice  a  quo  dubita,  inoltre,  della legittimita'
 costituzionale dell'art. 47, comma 6, del decreto legislativo n.  546
 del 1992.
   Detta  norma,  nel  disciplinare il procedimento cautelare, prevede
 che nei casi di sospensione dell'atto impugnato la trattazione  della
 controversia   debba   essere  fissata  entro  novanta  giorni  dalla
 pronuncia di sospensione.
   Ove tale termine non possa essere rispettato, per  la  pendenza  di
 altro  procedimento  pregiudiziale,  ne  conseguirebbe, ad avviso del
 giudice  a  quo,  l'impossibilita'  di  concedere  o,  se   concesso,
 l'obbligo  di revocare il provvedimento cautelare. Con violazione del
 diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione.
   3.  -  L'Avvocatura  dello  Stato ritiene che entrambe le questioni
 siano infondate.
   Riguardo  alla  prima,  si   assume   che   la   norma   denunciata
 riconoscerebbe  alle  commissioni  tributarie  il  potere di decidere
 incidenter tantum ogni questione pregiudiziale alla  controversia  ad
 esse  devoluta e che sarebbe comunque possibile applicare al processo
 tributario - in forza del generale rinvio alle norme  del  codice  di
 procedura civile contenuto nell'art. 1 del citato decreto legislativo
 n. 546 del 1992 - la sospensione per pregiudizialita' di cui all'art.
 295 del codice di procedura civile.
   Quanto  alla  seconda,  non  vi  sarebbe,  ad  avviso  della difesa
 erariale, un obbligo di revoca del provvedimento cautelare qualora il
 termine  imposto  dalla  disposizione  denunciata  non  fosse  -  per
 giustificati motivi rispettato.
   Le  questioni  sarebbero,  comunque,  irrilevanti  in quanto i soci
 accomandanti,  essendo   vincolati   all'accertamento   del   reddito
 societario,  sarebbero  privi di autonoma legittimazione a contestare
 l'accertamento del proprio reddito di partecipazione.
   4. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di irrilevanza  delle
 questioni    prospettata    dalla   difesa   erariale   nei   termini
 precedentemente esposti.
   Questa Corte, infatti,  ha  dichiarato  la  manifesta  infondatezza
 della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.P.R.
 29  settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul
 reddito   delle   persone   fisiche),   affermando   attraverso   una
 interpretazione   adeguatrice   di   detta   norma  che     al  socio
 accomandante,  privo  di  legittimazione  processuale  nel   giudizio
 relativo all'accertamento del reddito societario ai fini dell'imposta
 ILOR,   deve   ritenersi   sempre  consentita,  allorche'  gli  sara'
 notificato l'accertamento del suo reddito personale, la  possibilita'
 di   tutelare   i   suoi   diritti,   contestando  anche  nel  merito
 l'accertamento  del  suo   reddito   di   partecipazione   nonostante
 l'intervenuta  definitivita' dell'accertamento del reddito societario
 ai fini ILOR
  (ordinanza n. 5 del 1998).  Siffatta  interpretazione,  dalla  quale
 questa  Corte  ritiene  di non doversi discostare, vale, pertanto, ad
 escludere  l'inammissibilita'   dei   ricorsi   proposti   dai   soci
 accomandanti  per  contestare  l'accertamento  del  loro  reddito  di
 partecipazione.
   5. - Nel merito la prima questione va dichiarata infondata.
   5.1 - Questa Corte, sotto il vigore della previgente disciplina del
 contenzioso tributario di cui al d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  636,
 aveva  ritenuto  applicabile  al  processo tributario, sulla base del
 rinvio alla legislazione  processualcivilistica  contenuto  nell'art.
 39  del citato decreto presidenziale, la disciplina della sospensione
 necessaria per pregiudizialita' di cui all'art.  295  del  codice  di
 procedura civile.
   La  disposizione  denunciata,  innovando sul punto, ha limitato nel
 processo  tributario  l'ambito  della  sospensione   necessaria   per
 pregiudizialita'  ai soli casi in cui sia stata presentata querela di
 falso o debba essere decisa - in via pregiudiziale  -  una  questione
 sullo  stato  o la capacita' delle persone, salvo che si tratti della
 capacita' di stare in giudizio.
   Pertanto,  ferma  restando  l'applicabilita'  di  altre  ipotesi di
 sospensione (quali, a  titolo  esemplificativo,  la  sospensione  per
 proposizione  di  regolamento  di  giurisdizione di cui all'art. 367,
 primo comma, cod. proc. civ. in relazione all'art. 3,  comma  2,  del
 decreto   legislativo   n.   546  del  1992,  per  instaurazione  del
 procedimento di ricusazione di cui all'art.  52,  terzo  comma,  cod.
 proc. civ. in relazione all'art.  6, comma 1, del decreto legislativo
 n.   546   del   1992,  per  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale di una norma di legge sollevata ai sensi dell'art. 23,
 secondo comma,  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87),  il  giudice
 tributario  deve  decidere,  incidenter  tantum,  tutte  le questioni
 pregiudiziali  diverse  da  quelle  contemplate  dalla   disposizione
 denunciata,  salvo  il  diritto  delle  parti  di  svolgere le difese
 relative a tali questioni.
   Questa Corte ha, d'altro  canto,  costantemente  affermato  l'ampia
 discrezionalita'   del   legislatore   nel  conformare  gli  istituti
 processuali fermo il limite della non irrazionalita' delle sue scelte
 (v. sentenze n. 295 del 1995, nn. 65 e 94 del 1996 e n. 451 del 1997,
 nonche' ordinanze n. 7 e n. 424 del 1997).
   Nella specie, con la norma denunciata il legislatore,  limitando  i
 casi  di  sospensione  del  processo, ha inteso rendere piu' rapida e
 agevole  la  definizione  del  processo  tributario  oberato  di  una
 rilevante  mole  di contenzioso. Finalita' in se' del tutto legittima
 anche sotto l'aspetto, non certo secondario, della tutela dei diritti
 del contribuente.
   La limitazione della sospensione per pregiudizialita' nel  processo
 tributario  rappresenta, pertanto, una scelta del legislatore che, in
 quanto non lesiva del  criterio  di  ragionevolezza,  si  sottrae  al
 sindacato di legittimita' costituzionale.
   La  possibilita'  accordata  al  contribuente,  alla stregua di una
 corretta interpretazione del sistema,  di  far  valere  nel  processo
 pregiudicato  - indipendentemente dal corso e dall'esito del giudizio
 pregiudiziale - tutte le sue difese, rende poi priva di fondamento la
 violazione, dedotta dal giudice a quo, del precetto costituzionale di
 cui all'articolo 24, secondo comma, della Costituzione.
   6. - Anche la seconda questione risulta infondata.
   6.1  -  Il  potere  delle  commissioni  tributarie   di   decidere,
 incidenter  tantum, ogni questione pregiudiziale alle controversie ad
 esse devolute, fa venir meno la  stessa  premessa  da  cui  muove  la
 riferita censura di costituzionalita', ben potendo la trattazione del
 ricorso  essere  fissata,  nell'ipotesi  di pregiudizialita', entro i
 novanta giorni dall'emissione del provvedimento cautelare.
   Sicche', anche ad aderire alla tesi  del  carattere  perentorio  di
 tale  termine,  nessun  ostacolo  e' dato ravvisare alla sua puntuale
 osservanza da parte del giudice tributario.