ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 3 e  4,
 della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della
 magistratura  militare),  promossi  con ordinanze emesse il 4 ed il 2
 giugno 1997 dal Consiglio della magistratura militare  nel  corso  di
 due procedimenti disciplinari, iscritte ai nn. 579 e 580 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 gennaio 1998 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   Il Consiglio della magistratura militare in  sede  disciplinare  ha
 sollevato, con due ordinanze di analogo tenore emesse rispettivamente
 il  4  e  il  2 giugno 1997, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, commi 3 e 4,  della  legge  30  dicembre  1988,  n.  561
 (Istituzione   del   Consiglio  della  magistratura  militare),  "per
 contrasto con gli artt. 3  e  108  della  Costituzione  in  relazione
 all'art. 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195".
   Osserva  il  rimettente che la normativa impugnata non si preoccupa
 di assicurare l'invariabilita' numerica del collegio non  prevedendo:
 a)   l'attribuzione   della   competenza  ad  assumere  le  decisioni
 disciplinari nei confronti dei magistrati militari  ad  una  apposita
 sezione disciplinare del Consiglio; b) la correlativa possibilita' di
 fare  ricorso  a  componenti  supplenti  per  i  casi di impedimento,
 astensione  o  ricusazione  dei  componenti  effettivi.  Tali  lacune
 legislative si tradurrebbero in una profonda violazione dei parametri
 costituzionali  invocati,  alla  quale  non puo' porsi rimedio in via
 interpretativa, applicando la normativa sul Consiglio superiore della
 magistratura (in virtu' del richiamo di cui all'art. 7 del d.P.R.  24
 marzo  1989, n. 158, contenente le norme di attuazione della legge n.
 561  del  1988),  dato  il  carattere  speciale,  sul  punto,   della
 disciplina  impugnata  e,  in  particolare,  il  diverso  numero  dei
 componenti del Consiglio della magistratura militare.
   Dopo aver sottolineato - in ordine alla rilevanza - che l'eventuale
 accoglimento  della  questione,  fondandosi  sull'affermazione  della
 necessita'  per  il  Consiglio  della  magistratura  militare in sede
 disciplinare di assumere le decisioni di propria  competenza  con  la
 partecipazione   di   tutti   i   suoi   membri,   comporterebbe   il
 riconoscimento dell'irregolare costituzione del collegio  per  i  due
 procedimenti  disciplinari  de  quibus a causa dell'assenza di alcuni
 suoi componenti, il rimettente  si  sofferma  sull'illustrazione  del
 merito del prospettato dubbio di legittimita' costituzionale.
    Al  riguardo il Consiglio, dopo essersi riportato alla sentenza di
 questa  Corte  n.  71  del  1995  ed  aver  ricordato  che  essa   ha
 riconosciuto  la  natura  giurisdizionale della funzione disciplinare
 esercitata dal CMM in considerazione dell'avvenuta assimilazione (per
 stato giuridico e garanzie di indipendenza: v. art. 1 della  legge  7
 maggio  1981,  n.  180)  della  condizione  dei magistrati militari a
 quella dei magistrati ordinari, pone l'accento sul fatto che la legge
 n. 561 del 1988, nell'istituire il CMM, si e' ispirata alla  medesima
 logica,   prendendo   come   modello  il  Consiglio  superiore  della
 magistratura e definendo attribuzioni e procedure  del  nuovo  organo
 mediante il rinvio a quelle dell'organo di garanzia dell'indipendenza
 della  magistratura ordinaria, "considerate - evidentemente - le piu'
 idonee a dare concreta attuazione al  disposto  dell'art.  108  della
 Costituzione". E' quindi ragionevole - prosegue il giudice rimettente
 - ritenere che per dare reale e piena attuazione a questo principio -
 ed  evitare  altresi' che resti lettera morta la specifica previsione
 dell'art. 1, comma 3, della stessa legge n.  561  del  1988,  secondo
 "cui  il  procedimento  disciplinare  nei  confronti  dei  magistrati
 militari  e'  regolato  dalle  norme  in  vigore  per  i   magistrati
 ordinari",  -  sia necessario che al magistrato militare sottoposto a
 procedimento disciplinare non venga  sottratta alcuna delle  garanzie
 che  sono  apprestate  nei  confronti del magistrato ordinario che si
 trovi nella medesima  situazione.    Non  vi  e'  dubbio  secondo  il
 Consiglio  rimettente - che fra tali garanzie sia da includere quella
 di essere giudicato in sede disciplinare da un organo che, al pari di
 tutti  gli  altri  organi  giurisdizionali,   operi   come   collegio
 "perfetto"  (o  reale), con la conseguente impossibilita' di adottare
 decisioni  in  assenza  di  alcuno  dei   suoi   componenti   e   con
 l'ineludibile  necessita'  di  predisporre  criteri  e  modalita' per
 l'eventuale sostituzione degli assenti, cosi'  come  avviene  appunto
 per   la   sezione   disciplinare   del   Consiglio  superiore  della
 magistratura.
   La mancanza di omogeneita' tra  la  normativa  impugnata  e  quella
 prevista  -  in particolare dall'art. 4 della legge 24 marzo 1958, n.
 195 - per i magistrati ordinari  rappresenterebbe  dunque  una  grave
 violazione  del  principio di razionalita'-equita' di cui all'art.  3
 della  Costituzione,  non  trovando  la  denunciata   disparita'   di
 trattamento  alcuna giustificazione nella limitatezza dell'organico e
 nel conseguente  diverso  assetto  organizzativo  della  magistratura
 militare,  attese  l'identica  natura  giurisdizionale  del Consiglio
 della magistratura militare in  sede  disciplinare  e  del  Consiglio
 superiore  della  magistratura  nella  stessa  sede  e la necessita',
 dettata da ragioni di coerenza dell'intero sistema  legislativo,  che
 due   normative   ordinarie   che  si  ispirano  al  medesimo  valore
 costituzionale non contengano disposizioni immotivatamente diverse.
                         Considerato in diritto
   1. -   Le due  ordinanze  in  epigrafe,  entrambe  pronunciate  dal
 Consiglio   della   magistratura   militare,   sollevano  un'identica
 questione. I relativi  giudizi  vanno,  dunque,  riuniti  per  essere
 decisi con un'unica sentenza.
   2.  - Il Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare
 - in due analoghi procedimenti nei  quali  a  causa  dell'assenza  di
 alcuni  componenti  si e' trovato nell'impossibilita' di decidere con
 la partecipazione della totalita' dei suoi membri - ha sollevato, con
 due  ordinanze  di  analogo   tenore,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  commi  3  e 4, della legge 30 dicembre
 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura  militare)
 "per contrasto con gli artt. 3 e 108 della Costituzione, in relazione
 all'art.  4 della legge 24 marzo 1958, n. 195", recante: "Norme sulla
 costituzione  e  sul  funzionamento  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura".
   Dopo  aver  osservato,  in  ordine alla rilevanza, che la sollevata
 questione investe la  stessa  fonte  normativa  da  cui  discende  la
 composizione  del giudice dei procedimenti disciplinari a quibus e la
 legittimazione a conoscere e a decidere in ordine  ai  fatti  oggetto
 delle  incolpazioni,  il  Consiglio rimettente affronta il merito del
 dubbio di costituzionalita'.  Al riguardo il CMM, in primo luogo,  si
 riporta  alla  sentenza  di questa Corte n. 71 del 1995 e ricorda che
 tale  decisione  ha  riconosciuto  la  natura  giurisdizionale  della
 funzione   disciplinare   esercitata   dal   Consiglio  medesimo,  in
 considerazione dell'avvenuta assimilazione - per  stato  giuridico  e
 garanzie  di  indipendenza  (v.  art. 1 della legge 7 maggio 1981, n.
 180)  -  della  condizione  dei  magistrati  militari  a  quella  dei
 magistrati  ordinari.  Tale assimilazione comporterebbe l'esigenza di
 salvaguardare, anche per il giudice speciale in argomento, la  scelta
 legislativa "per un procedimento disciplinare che si esprime nei modi
 e  nelle forme, quindi con le garanzie, proprie della giurisdizione".
 Per questa generale esigenza di garanzia la legge n. 561 del 1988  ha
 istituito  il  Consiglio  della  magistratura  militare  prendendo  a
 modello  il  Consiglio  superiore  della  magistratura,   definendone
 attribuzioni  e  procedure  mediante  il rinvio a quelle previste per
 l'organo di garanzia dell'indipendenza della magistratura  ordinaria,
 considerate  le  piu'  idonee  a dare concreta attuazione al disposto
 dell'art. 108 Cost.
   A  tale  rinvio  generalizzato  sfugge pero', dato il suo carattere
 speciale derivante dalla  diversa  composizione  e  dalla  differente
 consistenza numerica dei due consigli posti a confronto - CSM e CMM -
 e  delle rispettive magistrature, la disciplina che prevede il numero
 dei componenti dell'organo rispettivamente investito  della  funzione
 disciplinare    necessario    per   la   validita'   delle   relative
 deliberazioni.   Infatti mentre  nel  caso  dei  magistrati  ordinari
 l'apposita  sezione  disciplinare  del CSM e' ispirata al modello del
 collegio perfetto che ne assicura l'invariabilita' numerica anche  in
 caso   di   impedimento,  astensione  e  ricusazione  dei  componenti
 effettivi, potendo essi  essere  sostituiti  dai  supplenti,  per  la
 validita'   delle   deliberazioni   adottate   dal   Consiglio  della
 magistratura militare in  sede disciplinare e' invece sufficiente  la
 presenza di due terzi dei componenti (sei) di cui tre elettivi, senza
 che  sia  previsto  alcun  sistema  di  supplenza  per  i casi dianzi
 menzionati e nonostante che un'apposita norma dell'art.  1, comma  3,
 attualmente  impugnato  per altre parti, affermi che "il procedimento
 disciplinare nei confronti dei  magistrati militari e' regolato dalle
 norme in vigore per i magistrati ordinari", cosi' riconoscendo, anche
 per questo aspetto, l'esigenza di principio  prevista  dall'art.  108
 della Costituzione, ma non dandone concreta e totale attuazione.
   Ad   avviso  del  giudice  rimettente,  la  descritta  mancanza  di
 omogeneita' tra  la  normativa  impugnata  e  quella  prevista  -  in
 particolare  dall'art.    4 della legge 24 marzo 1958, n. 195 - per i
 magistrati ordinari costituirebbe una grave violazione del  principio
 di  razionalita'-equita'  di  cui  all'art. 3 della Costituzione, non
 trovando   la   denunciata   disparita'   di    trattamento    alcuna
 giustificazione,   attese   l'identica   natura  giurisdizionale  del
 Consiglio della magistratura militare e del Consiglio superiore della
 magistratura nella stessa sede e la necessita', dettata da ragioni di
 coerenza dell'intero sistema legislativo, che due normative ordinarie
 che si ispirano al  medesimo  valore  costituzionale  non  contengano
 disposizioni immotivatamente diverse.
   3. - La questione non e' fondata.
   Ed  infatti  la  denunciata mancanza di completa omogeneita' tra la
 normativa sottoposta a scrutinio  di  costituzionalita'  e  le  norme
 regolatrici   della   funzione   disciplinare  svolta  dal  Consiglio
 superiore della magistratura nei confronti dei  magistrati  ordinari,
 esplicitamente assunte nelle ordinanze come tertium comparationis non
 determina  alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione, invocato
 come principale parametro nelle due ordinanze del giudice rimettente.
   Il  Consiglio  superiore  della  magistratura  e'  organo  la   cui
 composizione,  durata  e  competenza  sono fissate dalla Costituzione
 (articoli  104  e  105)  ed  e'  presieduto  dal   Presidente   della
 Repubblica.   La  stessa  Costituzione  contiene  inoltre  le  regole
 concernenti  le  incompatibilita'  e  la  rieleggibilita'  dei   suoi
 componenti. Il Consiglio della magistratura militare e' invece organo
 istituito con legge ordinaria, in conformita' di quanto stabilito nel
 secondo   comma   dell'art.   108   Cost.,   che  vuole  appunto  che
 l'indipendenza  dei  giudici   delle   giurisdizioni   speciali   sia
 assicurata  mediante  le  previsioni  contenute  in  leggi ordinarie.
 Detto Consiglio fu istituito e disciplinato con la legge 30  dicembre
 1988, n. 561, anche per ottemperare ai richiami contenuti in sentenze
 di  questa  Corte  costituzionale  e comunque per provvedere al vuoto
 creatosi   nell'ordinamento   militare   con   la   dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 15, primo comma, della  legge
 7  maggio 1981, n. 180, nella parte in cui questo articolo prevedeva,
 "per i provvedimenti  concernenti  il  personale  della  magistratura
 militare,  compresi  quelli disciplinari, una disciplina transitoria"
 (che  avrebbe  dovuto  durare  non  piu'  di  un  anno)  "fino   alla
 costituzione dell'organo di autogoverno della magistratura militare".
 Tale  organo  di autogoverno e' stato appunto istituito con la citata
 legge n. 561 del 30 dicembre 1988, che, per quanto attiene ai profili
 denunciati  nelle  due  ordinanze  del  giudice  a  quo  appare   non
 contrastante con le esigenze costituzionali.
   Le  ordinanze  in  esame  insistono particolarmente sull'esistenza,
 presso il Consiglio superiore  della  magistratura,  di  una  Sezione
 disciplinare,  la  quale  giudica  secondo  regole  diverse da quelle
 vigenti per il Consiglio e il cui funzionamento e' regolato  in  modo
 minuzioso,  fondandosi anche sull'esistenza di componenti effettivi e
 di componenti supplenti. Ma la Costituzione (art. 105) si  limita  ad
 attribuire al Consiglio superiore della magistratura la competenza ad
 adottare  anche i provvedimenti disciplinari concernenti i magistrati
 ordinari; mentre la Sezione disciplinare, istituita  e  regolata  con
 legge   ordinaria   (legge  24  marzo  1958,  n.  195,  e  successive
 modificazioni), rappresenta una  soluzione  organizzativa  specifica,
 consentita  bensi'  dalla  Costituzione (sentenza n. 12 del 1971), ma
 che non trova e non  deve  necessariamente  trovare  riscontro  nelle
 previsioni  delle leggi che regolano gli organi a cui sono attribuite
 funzioni disciplinari nei confronti degli  appartenenti  a  ordini  e
 collegi,  e  nemmeno  nelle  leggi  che  regolano  i vari consigli (o
 consigli di presidenza) a cui e'  demandato  di  svolgere,  in  forme
 giurisdizionali,  giudizi  disciplinari  nei confronti dei magistrati
 appartenenti a giurisdizioni speciali.
   Sempre a  proposito  dell'equiparazione  delle  forme  dei  giudizi
 disciplinari militari a quelle previste per i magistrati ordinari, le
 ordinanze  del  giudice  rimettente fanno appello alla sentenza n. 71
 del 1995 con cui questa Corte, al fine di stabilire che l'istituzione
 del Consiglio della magistratura militare non integra la creazione di
 un nuovo giudice speciale, vietata  dall'art.  102  Cost.,  ha  avuto
 occasione  di soffermarsi sulle modalita' di esercizio della funzione
 disciplinare da parte  del  Consiglio  della  magistratura  militare,
 affermando  che  la  legge  n.  561  del  1988 "ha preso a modello il
 Consiglio  superiore  della  magistratura"  e   ha   reso   "evidente
 l'evoluzione  complessiva  dell'ordinamento  giudiziario  militare di
 pace,  diretta  a  perseguire  l'assimilazione   della   magistratura
 militare  a quella ordinaria".  Ma detta sentenza, nel constatare che
 il procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio della  magistratura
 militare  "si  esprime nei modi e nelle forme, quindi con le garanzie
 proprie della giurisdizione" e  che  "la  condizione  dei  magistrati
 militari  e' oggi del tutto assimilata, per stato giuridico, garanzie
 di indipendenza ed articolazione di carriera a quella dei  magistrati
 ordinari"  (queste  le proposizioni citate a fondamento del dubbio di
 legittimita' costituzionale enunciato nelle due ordinanze del giudice
 rimettente), ha inteso appunto constatare l'avvenuto  adempimento  da
 parte  del  legislatore  dell'obbligo  di  provvedere adeguatamente a
 garantire l'indipendenza  della  magistratura  militare  mediante  la
 creazione  di un apposito organo di autogoverno, competente anche per
 il  giudizio disciplinare riguardante magistrati militari.  La stessa
 sentenza, nell'affermare che  configurare  procedimenti  disciplinari
 per  i  magistrati  militari in forme giurisdizionali non rappresenta
 l'introduzione di un nuovo giudice speciale giacche' anche  per  essi
 la  giurisdizionalita'  della funzione disciplinare trova radicamento
 in quella gia' prevista per la magistratura  ordinaria,  assimila  le
 funzioni  del  Consiglio  della  magistratura  militare  a quelle del
 Consiglio superiore della magistratura, senza che cio'  implichi  ne'
 determini  identita'  di  strutture,  venendo  anzi  sottolineata  la
 distinzione organizzativo-ordinamentale dei due organismi.
   4. -  Si  dissolve  cosi'  anche  il  dubbio  sollevato  nelle  due
 ordinanze  del  giudice  a quo con riferimento all'art. 108 Cost., la
 cui  possibile  violazione  e'   adombrata   nelle   motivazioni   ed
 esplicitamente   menzionata  nei  dispositivi.  In  realta',  le  due
 ordinanze sembrano piuttosto denunciare una lesione dell'effettivita'
 delle garanzie di indipendenza dei magistrati militari  sottoposti  a
 procedimento  disciplinare che non la lesione dell'indipendenza della
 magistratura militare nel suo complesso, la quale - come si e'  detto
 -   e'   assicurata   dall'esistenza  di  un  organo  di  autogoverno
 indipendente dal  potere  esecutivo.  Tuttavia,  neanche  sotto  tale
 profilo   la   questione   sarebbe  fondata,  poiche'  l'indipendenza
 dell'organo   di    autogoverno    e'    necessariamente    correlata
 all'indipendenza  dei singoli magistrati, che e' assicurata oltre che
 dalle garanzie di status anche dai modi con  i  quali  e'  svolta  la
 funzione,   nel  senso  della  inesistenza  di  vincoli  che  possano
 comportare una soggezione formale o sostanziale da altri.
   5. - Sempre sotto i cennati profili relativi agli articoli 3 e  108
 della  Costituzione  le  due  ordinanze  insistono  sul parametro del
 "collegio  perfetto",  quale  disegnato  nelle  leggi  relative  alla
 sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e sul
 connesso tema dei giudici supplenti, destinati a far si' che la detta
 sezione funzioni sempre con la presenza di tutti i suoi componenti, e
 non   "a   composizione   variabile";  mentre  quest'ultimo  tipo  di
 composizione  caratterizza  il  funzionamento  del  Consiglio   della
 magistratura militare in sede disciplinare.
   Senonche'  anche  su tale argomento questa Corte ha avuto occasione
 per intervenire e ha ritenuto  che  i  collegi  esercitanti  funzioni
 giudiziarie  in  materia disciplinare non si pongono in contrasto con
 l'esigenza   costituzionale   di   indipendenza,   quando   la   loro
 composizione  sia  "variabile",  quando  cioe' per la validita' delle
 pronunce non e' prescritta la partecipazione dei loro  componenti  in
 un  numero  fisso  stabilito  dalla legge. "La variabilita' numerica,
 comunque la si consideri", non e', infatti,  idonea  "a  pregiudicare
 l'autonomo  esercizio  della  giurisdizione,  rimanendo inalterata la
 liberta' di giudizio dei membri intervenuti"  (sentenza  n.  284  del
 1986).
   Ne'  si  vede  in  qual modo la variabilita' della composizione del
 collegio - dipendente dall'eventualita'  di  impedimenti  di  singoli
 componenti, e non gia' da un potere discrezionale di composizione del
 collegio  -  possa ledere l'indipendenza dei magistrati sottoposti al
 giudizio disciplinare.
   In sintesi, il carattere giurisdizionale assicurato alla  procedura
 disciplinare del Consiglio della magistratura militare e' sufficiente
 ad  escludere  una  lesione  dell'art.  108, comma secondo, Cost., il
 quale - occorre sottolineare - non impone di spingere  l'omologazione
 di  tale  organo  al  Consiglio  superiore  della magistratura fino a
 prescriverne una composizione  fissa  e  la  presenza  di  componenti
 supplenti nelle procedure disciplinari di sua competenza.