ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del
 d.-l. 5 giugno 1986, n. 233 (Norme urgenti sulla liquidazione  coatta
 amministrativa  delle societa' fiduciarie e delle societa' fiduciarie
 e di revisione e disposizioni sugli  enti  di  gestione  fiduciaria),
 convertito,  con  modificazioni, in legge 1 agosto 1986, n. 430 (come
 sostituito dall'art.  4-bis  del  d.-l.  16  febbraio  1987,  n.  27,
 convertito,  con  modificazioni,  in  legge  13 aprile 1987, n. 148),
 promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1997 dal tribunale di  Roma
 sul  ricorso proposto da Valentini Maria Gabriella iscritta al n. 428
 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di costituzione di Valentini Maria Gabriella nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1998 il giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
   Udito l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  depositato il 2 aprile 1996, il presidente del
 Consiglio di amministrazione della Immobiliare Le Dune s.r.l.,  Maria
 Gabriella  Valentini,  chiedeva  -  ai  sensi dell'art. 3 del d.-l. 5
 giugno  1986,  n.  233  (Norme  urgenti  sulla  liquidazione   coatta
 amministrativa  delle societa' fiduciarie e delle societa' fiduciarie
 e di revisione e disposizioni sugli  enti  di  gestione  fiduciaria),
 convertito,  con  modificazioni, in legge 1 agosto 1986, n. 430 (come
 sostituito dall'art.   4-bis del  d.-l.  16  febbraio  1987,  n.  27,
 convertito,  con modificazioni, in legge 13 aprile 1987, n. 148) - la
 conversione in liquidazione coatta amministrativa del  fallimento  di
 tale  societa',  dichiarato dal tribunale di Roma con sentenza del 30
 marzo  1995,  sul  presupposto  del  collegamento  con  la   societa'
 fiduciaria    I.F.I.R.   s.p.a.,   posta   in   liquidazione   coatta
 amministrativa con decreto ministeriale del 9 gennaio 1995.
   2. - Il tribunale di Roma, ritenuta la  sussistenza  dell'anzidetto
 collegamento,   ha  sollevato  d'ufficio  questione  di  legittimita'
 costituzionale -  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione  -  dell'art.    3, comma 1, del suddetto decreto-legge,
 nella parte in cui non prevede - per le societa'  indicate  nell'art.
 2,  comma  1 (e cioe' societa' controllanti o controllate o collegate
 ad  una  societa'  fiduciaria)  -  la  conversione   del   fallimento
 dichiarato   successivamente   alla   data   di   pubblicazione   del
 provvedimento di liquidazione coatta  amministrativa  della  societa'
 fiduciaria con la quale sono collegate.
   Secondo   il   giudice  rimettente  la  norma  impugnata  prevedeva
 inizialmente la conversione delle sole procedure di  fallimento  alle
 quali  fossero  gia'  sottoposte,  alla data di entrata in vigore del
 citato decreto-legge n. 233 del  1986,  le  societa'  collegate  alla
 societa'  fiduciaria  successivamente  posta  in liquidazione coatta:
 tale interpretazione restrittiva  e'  stata  condivisa  dalla  stessa
 Corte  costituzionale,  che nella sentenza n. 19 del 1991 - dopo aver
 escluso  la  possibilita'  di  una  interpretazione  adeguatrice - ha
 dichiarato l'incostituzionalita' del medesimo art.  3, comma 1,  oggi
 impugnato,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la  conversione  del
 fallimento dichiarato dopo l'entrata in vigore del decreto-legge,  ma
 pur  sempre  prima  del  provvedimento  di  liquidazione coatta della
 societa' fiduciaria.
   Nel caso di specie, invece, e' avvenuto il contrario, dato  che  la
 dichiarazione  di fallimento della Immobiliare Le Dune S.r.l., pur se
 non avrebbe dovuto essere adottata, e' stata  ugualmente  pronunciata
 ed  ha  seguito  nel  tempo  la  messa  in  liquidazione coatta della
 societa' fiduciaria I.F.I.R. s.p.a. Ora la sentenza  dichiarativa  e'
 diventata  inoppugnabile,  non  essendo stata proposta opposizione ai
 sensi dell'art.  18 della legge fallimentare, per cui  non  e',  allo
 stato,   previsto   alcun   rimedio  processuale  atto  a  consentire
 l'assoggettamento della societa'  fallita  alla  liquidazione  coatta
 amministrativa.
   Cio' comporta, a giudizio del tribunale di Roma, una violazione del
 principio   di   ragionevolezza,   essendo  frustrata  l'esigenza  di
 unificazione  delle  procedure  concorsuali  riguardanti  uno  stesso
 gruppo  di  societa',  perseguito dalla norma impugnata: poiche' tale
 esigenza   riveste   natura   pubblicistica,   appare   irragionevole
 consentire  che  -  allorche' la dichiarazione di fallimento segua la
 messa in liquidazione coatta della societa'  fiduciaria  collegata  a
 quella  fallita  -  l'esigenza suddetta possa venire soddisfatta solo
 mediante un rimedio attivabile ad esclusiva istanza di parte  e,  per
 di piu', entro ristretti termini di decadenza.
   3.  -  Nel giudizio avanti la Corte costituzionale si e' costituita
 la  ricorrente  Maria  Gabriella  Valentini  ed  e'  intervenuto   il
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato.
   La difesa della ricorrente chiede che la questione  sia  dichiarata
 inammissibile,  ritenendo  che  la  norma  impugnata  sia  chiara  ed
 inequivocabile:    la'  dove  essa  dispone  che  "le  procedure   di
 fallimento  alle quali sono gia' assoggettate le societa' di cui agli
 artt. 1 e 2 sono  convertite  in  procedura  di  liquidazione  coatta
 amministrativa",  si  riferisce a procedure che esistono in quanto ci
 sia  gia'  la  sentenza  dichiarativa  di  fallimento.  Percio'  ogni
 discorso  sulla  possibilita' o meno dell'opposizione viene ad essere
 estraneo, tanto piu' che il tribunale non e'  tenuto  a  revocare  il
 fallimento,  ma  e'  chiamato  a  stabilire  la  necessita' della sua
 conversione sulla base dei collegamenti previsti dal decreto-legge n.
 233 del 1986. Aggiunge la parte privata  che  il  momento  in  cui  i
 fallimenti  sono  dichiarati e' indifferente, perche' sono convertite
 le procedure e non i fallimenti in se stessi, e che  proprio  perche'
 la  finalita' della norma impugnata e' l'unificazione delle procedure
 ed e' di natura pubblicistica,  "ogni  indagine  introspettiva  sulle
 societa'  (a parte l'acquisizione della loro qualitas di controllate,
 controllanti, unidirezionali o finanziate) e' un fuor d'opera".
   4. - L'Avvocatura dello Stato chiede, invece, che la questione  sia
 dichiarata infondata.
   La  difesa  erariale  ritiene - come il giudice rimettente - che la
 norma impugnata impedisca la  conversione  delle  societa'  collegate
 dichiarate  fallite  dopo  la  messa  in  liquidazione  coatta  della
 societa' fiduciaria "madre", ma -  al  contrario  di  quest'ultimo  -
 considera   tale  impedimento  ragionevole,  poiche'  rappresenta  il
 risultato di un bilanciamento discrezionale, operato dal legislatore,
 con il principio dell'intangibilita'  del  giudicato.  Infatti,  "nei
 procedimenti  fallimentari  in  cui  il  collegamento  avrebbe potuto
 essere ab origine efficacemente dedotto (quelli relativi a  collegate
 a  fiduciarie  gia'  poste in liquidazione), la deduzione (proposta o
 non) viene preclusa dal giudicato.  In  quelli  in  cui  non  avrebbe
 potuto  essere dedotto (societa' collegate a fiduciarie non ancora in
 liquidazione), la deduzione viene resa di contro  proponibile"  sotto
 forma di conversione.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  tribunale  di  Roma  ritiene  irragionevole,  e  percio'
 contrastante con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, l'art. 3,
 comma 1, del d.-l.  5  giugno  1986,  n.  233  (Norme  urgenti  sulla
 liquidazione  coatta amministrativa delle societa' fiduciarie e delle
 societa' fiduciarie e di  revisione  e  disposizioni  sugli  enti  di
 gestione  fiduciaria),  convertito,  con  modificazioni,  in  legge 1
 agosto 1986, n. 430 (come sostituito dall'art.  4-bis  del  d.-l.  16
 febbraio  1987,  n.  27,  convertito,  con modificazioni, in legge 13
 aprile 1987, n. 148), nella  parte  in  cui  non  prevede  -  per  le
 societa' indicate nell'art. 2, comma 1, dello stesso decreto-legge (e
 cioe' societa' controllanti o controllate o collegate ad una societa'
 fiduciaria)    -    la    conversione   del   fallimento   dichiarato
 successivamente alla  data  di  pubblicazione  del  provvedimento  di
 liquidazione  coatta  amministrativa della societa' fiduciaria con la
 quale sono collegate.
   2. - La questione e' inammissibile.
   Il decreto-legge n. 233 del 1986 dispone che le societa' fiduciarie
 e le societa' fiduciarie e di  revisione  che  versino  in  stato  di
 insolvenza  -  o  per  le  quali  sia  stata  pronunciata  la  revoca
 dell'autorizzazione prevista dall'art.  2  della  legge  23  novembre
 1939, n. 1966 (Disciplina delle societa' fiduciarie e di revisione) -
 siano   assoggettate   a   liquidazione  coatta  amministrativa,  con
 esclusione del fallimento (art. 1); alla  medesima  procedura  devono
 essere  sottoposte le societa' controllanti o controllate o collegate
 ad esse (art. 2).
   La norma ora impugnata (art.  3)  prevede,  poi,  per  le  societa'
 collegate  ad  una  societa'  fiduciaria  che siano gia' sottoposte a
 fallimento, che questo sia convertito in  procedura  di  liquidazione
 coatta   amministrativa  allorche'  successivamente  venga  posta  in
 liquidazione coatta la societa' fiduciaria "madre". Cio' al  fine  di
 realizzare  la  finalita'  ispiratrice dell'intero decreto-legge, nel
 senso che tutte le societa' appartenenti ad uno stesso  gruppo  siano
 sottoposte  al  medesimo  tipo  di  procedura  concorsuale voluta dal
 legislatore, e cioe' la liquidazione coatta.
   Questa Corte, con la sentenza n. 19 del 1991,  e'  intervenuta  per
 eliminare    l'irragionevole   esclusione   dalla   possibilita'   di
 conversione delle procedure relative alle societa' collegate  ad  una
 fiduciaria, che siano dichiarate fallite dopo l'entrata in vigore del
 citato  decreto-legge.  Il  tribunale  di Roma invoca con la presente
 ordinanza un analogo intervento, per correggere un ulteriore elemento
 di irrazionalita' che reputa presente nella stessa norma, e cioe'  la
 mancata  previsione  della  conversione delle procedure relative alle
 societa'  dichiarate  fallite  dopo  la sottoposizione a liquidazione
 coatta della societa' "madre".
   3. - Nel caso di specie,  peraltro,  si  verte  in  una  situazione
 diversa  da quella sottesa alla citata pronuncia di questa Corte, che
 riguardava l'ipotesi  di  conversione  prevista  nell'art.  3  per  i
 fallimenti  legittimamente  pronunciati  in  precedenza;  si e', ora,
 verificata un'altra  ipotesi  per  la  mancata  applicazione  di  una
 diversa  norma  (l'art. 2 della legge in esame), in quanto - dopo che
 la societa' fiduciaria "madre" era stata posta in liquidazione coatta
 amministrativa - la  societa'  collegata  alla  precedente  e'  stata
 dichiarata  fallita  anziche'  essere posta anch'essa in liquidazione
 coatta, come chiaramente stabilito dal citato art. 2.
   E' determinante, quindi, rilevare che  nel  presente  caso  non  si
 tratta  di una intrinseca irrazionalita' della norma denunziata (art.
 3), ma della violazione di fatto del disposto dell'art. 2, a  cui  si
 poteva   rimediare  proponendo  tempestivamente  contro  la  sentenza
 l'opposizione prevista dall'art. 18 della legge fallimentare.
   Poiche'  cio'  non  e'  avvenuto,  la  sentenza   dichiarativa   di
 fallimento,  che  non doveva essere pronunciata, e' tuttavia divenuta
 inoppugnabile, producendo una situazione patologica per la  quale  il
 legislatore non ha disposto altri specifici strumenti correttivi.
   4.-   Tale   situazione   dev'essere   risolta   non   dalla  Corte
 costituzionale,  che  non  puo'  essere  chiamata  a  intervenire  su
 corrette  norme  giuridiche  al fine di fornire ulteriori rimedi alla
 loro  errata  applicazione,  ma  dai  giudici  ordinari,  cui  spetta
 stabilire quale natura e quali effetti debbano riconoscersi - in base
 alla  normativa speciale ed al sistema complessivo, nonche' alla luce
 degli orientamenti giurisprudenziali e  dottrinali  -  alla  sentenza
 dichiarativa   di  fallimento,  erroneamente  emessa  nella  predetta
 fattispecie.