ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 28, secondo
 comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla  tutela  della
 liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori,  della  liberta'  sindacale e
 dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di   lavoro   e   norme   sul
 collocamento),  come  modificato  dalla legge 8 novembre 1977, n. 847
 (Norme di coordinamento tra la legge 11 agosto 1973,  n.  533,  e  la
 procedura di cui all'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300),
 e    dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953, n. 87 (Norme sulla
 costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte   costituzionale),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  21  giugno  1996 dal pretore di
 Brescia sul ricorso proposto dalla FIOM-CGIL nei confronti della Ghio
 S.p.a., iscritta al n. 1208 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  45,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996.
   Visto l'atto di costituzione  della  FIOM-CGIL  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  24  febbraio  1998  il  giudice
 relatore Massimo Vari;
   Uditi l'avv. Sergio Vacirca per la  FIOM-CGIL  e  l'Avvocato  dello
 Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Ritenuto  che,  nel  corso di un procedimento per la repressione di
 condotta  antisindacale  promosso  dalla  FIOM-CGIL  di  Brescia  nei
 confronti  della  Soc.  Ghio  S.p.a.,  il  pretore  di  Brescia,  con
 ordinanza del 21 giugno 1996 (r.o. n. 1208 del  1996),  ha  sollevato
 questione di legittimita':
     a)  dell'art.  28,  secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n.
 300 (Norme sulla tutela della liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori,
 della  liberta'  sindacale  e  dell'attivita' sindacale nei luoghi di
 lavoro e norme sul  collocamento),  come  modificato  dalla  legge  8
 novembre  1977, n. 847 (Norme di coordinamento tra la legge 11 agosto
 1973, n. 533, e la procedura di cui all'articolo 28  della  legge  20
 maggio  1970, n. 300), per contrasto con gli artt. 25, secondo comma,
 3 e 24, primo comma, della Costituzione;
     b) dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.  87
 (Norme   sulla   costituzione   e   sul   funzionamento  della  Corte
 costituzionale), limitatamente alla parte  in  cui  prevede  che  "il
 giudizio   non   possa   essere   definito   indipendentemente  dalla
 risoluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale",  per
 contrasto  con  gli  artt.  134,  101,  104, primo comma, e 111 della
 Costituzione;
     c) dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  "nelle  parti
 che  stabiliscono condizioni e forme di proponibilita' dei giudizi di
 legittimita' costituzionale", per contrasto  con  l'art.  137,  primo
 comma, della Costituzione;
     che,  quanto  alla questione relativa all'art. 28, secondo comma,
 della legge n. 300 del 1970,  il  rimettente  assume  che  l'espressa
 negazione  della  revocabilita'  -  in sede di giudizio opposizione e
 sino  alla  sentenza   che   definisce   tale   ultimo   giudizio   -
 dell'efficacia  esecutiva  del decreto pretorile, emesso ai sensi del
 predetto art.  28, consentirebbe ad una norma  penale,  quale  quella
 prevista  dal quarto comma del medesimo art. 28, di esplicare effetti
 di carattere "ultrattivo",  anche  laddove  soggetta  a  giudizio  di
 legittimita',  "con  conseguente sua incertezza", cosi' da comportare
 la violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione;
     che, inoltre,  la  norma  impugnata  violerebbe  l'art.  3  della
 Costituzione, per l'"irrazionale ed irragionevole" mancata previsione
 di  un automatico effetto sospensivo dell'efficacia del decreto dalla
 data dell'opposizione sino all'accertamento definitivo  con  sentenza
 passata    in   giudicato   sulla   sussistenza   del   comportamento
 antisindacale e, dunque, in ordine  alla  legittimita'  del  precetto
 penale  di  cui  al  citato  quarto comma dell'art. 28, da intendersi
 quale "norma penale in bianco";
     che,  sempre  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  disposizione
 denunciata si porrebbe in contrasto anche con l'art. 24, primo comma,
 della  Costituzione,  per  l'effetto  dissuassivo che la "minaccia di
 sanzione penale a carico del  datore  di  lavoro",  in  presenza  del
 divieto  di sospensione dell'efficacia esecutiva del decreto, esplica
 in ordine all'esercizio del diritto a proporre  opposizione,  essendo
 quest'ultimo  giudizio  soggetto  a  tempi  "immensamente piu' lunghi
 rispetto a quelli, se non istantanei, quanto  meno  rapidissimi"  del
 procedimento  ex  art.    28,  con  concreto rischio per il datore di
 lavoro ottemperante al decreto pretorile di  non  poter  attingere  a
 nessun reale vantaggio dal giudizio di opposizione;
     che,  per  quanto concerne la questione avente per oggetto l'art.
 23, secondo comma, della legge n. 87  del  1953,  il  vulnus  portato
 all'art.   134   della   Costituzione   ed  all'art.  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 si sostanzierebbe, ad avviso del
 giudice  a  quo,  nell'aver  previsto,  per  la  proposizione   delle
 questioni  di  costituzionalita',  la  necessita' che il giudizio non
 possa essere definito indipendentemente dalla loro  risoluzione,  si'
 da  rendere  "in tal modo irrilevanti e, percio', inammissibili tutte
 le altre questioni di  legittimita'  costituzionale  l'oggetto  delle
 quali sia solo concorrente nella decisione della causa";
     che,  inoltre, sarebbero violati gli artt. 101, 104, primo comma,
 e  111  della  Costituzione,  per  la   "riduzione   e   compressione
 dell'autonomia  ed  indipendenza  del  giudice"  che  la disposizione
 censurata viene a determinare, nell'impedire al medesimo "di valutare
 tutte   le  possibili  soluzioni  giuridiche  per  la  decisione  dei
 processi",  sottraendo,  cosi',  alla  motivazione   delle   sentenze
 "ragioni   ulteriori  di  potenziale  accoglimento  o  rigetto  della
 domanda", con grave danno per l'amministrazione della giustizia;
     che, infine, il predetto art. 23, "nelle parti  che  stabiliscono
 condizioni  e  forme  di  proponibilita'  dei giudizi di legittimita'
 costituzionale", sarebbe in contrasto con l'art.  137,  primo  comma,
 della  Costituzione,  perche',  limitando  l'accesso  al  giudizio di
 costituzionalita',  tramite  "confini"  non  istituiti  dal  "sistema
 costituzionale",  comporta  una  "palese  violazione della riserva di
 legge costituzionale", prevista dal predetto art. 137;
     che, nel giudizio, si e'  costituita  la  FIOM-CGIL  di  Brescia,
 concludendo  per  una declaratoria di infondatezza della questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953 e
 di  inammissibilita'  per  difetto  di  rilevanza  o,  comunque,   di
 infondatezza  di  quella  relativa  all'art. 28, secondo comma, della
 legge n. 300 del 1970;
     che ha, altresi', spiegato intervento il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, per
 sentir, del pari, dichiarare manifestamente  infondata  la  questione
 relativa  all'art.  23  della legge n. 87 del 1953 e inammissibile o,
 comunque, manifestamente infondata,  quella  sollevata  in  relazione
 all'art. 28, secondo comma, della legge n. 300 del 1970.
   Considerato  che  risulta  logicamente pregiudiziale la delibazione
 delle questioni sollevate in relazione all'art.  23  della  legge  11
 marzo  1953,  n.  87,  atteso  che  con  le  medesime  si intende, in
 definitiva, censurare il sistema stesso che  presiede  alla  corretta
 proposizione   di   ogni   questione   di  costituzionalita'  in  via
 incidentale;
     che, in  proposito,  questa  Corte  ha  gia'  affermato  (v.,  in
 particolare,  sentenza  n.  88  del 1986) che la legge n. 87 del 1953
 costituisce integrazione e svolgimento delle leggi  costituzionali  9
 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale
 e  sulle  garanzie  d'indipendenza  della  Corte costituzionale) e 11
 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la
 Corte costituzionale) e che, in particolare,  il  censurato  art.  23
 viene  ad  uniformarsi all'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del
 1948, secondo cui la questione di  legittimita'  costituzionale  puo'
 essere  "rilevata  d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso
 di un  giudizio",  da  cio'  desumendo  l'evidente  esclusione  della
 facolta'  di sollevare questioni ininfluenti sul giudizio stesso (v.,
 in particolare, ordinanze nn. 225 del 1982 e 130 del  1971,  entrambe
 dichiarative   della   manifesta   infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art.  23 in esame);
     che, pertanto,  non  emergendo,  dall'ordinanza  del  pretore  di
 Brescia,  ragioni  ed  argomenti  conferenti  o, comunque, validi per
 discostarsi dal consolidato orientamento di questa Corte,  in  ordine
 al   coerente   rapporto   sistematico   che   intercorre  tra  Carta
 costituzionale, leggi costituzionali e legge ordinaria  (v.  sentenza
 n.  111 del 1963), le questioni sollevate dal rimettente sull'art. 23
 della legge n. 87 del 1953 vanno dichiarate manifestamente infondate;
     che,  per  quanto attiene all'art. 28, secondo comma, della legge
 n. 300 del 1970,  e'  sufficiente  evidenziare  che  le  censure  del
 rimettente   potrebbero   assumere  concreto  rilievo,  nel  giudizio
 principale, unicamente in presenza di  decisione  favorevole  per  il
 sindacato  ricorrente  e, dunque, di emissione del decreto cui accede
 ex lege la provvisoria ed immediata esecutivita', provvedimento  che,
 come  risulta  dalla  stessa  ordinanza  di  rimessione, non e' stato
 ancora adottato dal giudice a quo non essendo,  peraltro,  nelle  sue
 intenzioni  "rendere noto il proprio convincimento, ne' anticipare la
 decisione";
     che, al tempo stesso, nell'ipotesi di una pronuncia favorevole al
 sindacato ricorrente, la delibazione  sugli  aspetti  attinenti  alla
 esecutorieta' provvisoria del decreto non potrebbe che appartenere al
 giudice  eventualmente  investito della opposizione sul provvedimento
 medesimo;
     che, pertanto, non e' dato ravvisare il requisito della rilevanza
 in una questione di costituzionalita' che si appalesa prematura,  dal
 momento che ha ad oggetto una disposizione che concerne una ipotetica
 fase  processuale  ulteriore (ex plurimis v. sentenza n. 336 del 1995
 ed ordinanza n. 394 del 1987), venendo cosi' a riguardare una  futura
 eventualita'  (ex plurimis, v. ordinanze n. 337 del 1994 e n. 318 del
 1991, nonche' sentenza n. 155 del 1994);
     che, quindi, la questione  stessa  va  dichiarata  manifestamente
 inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.