ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 62, n. 6, prima
 parte, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il  18  marzo
 1997  dalla  Corte  d'appello  di  Trieste,  iscritta  al  n. 252 del
 registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  14  gennaio  1998  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel corso di un procedimento penale, la Corte d'appello di
 Trieste,  con  ordinanza  del  18  marzo  1997,  ha   sollevato,   in
 riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 62, n. 6, prima parte,  del  codice  penale,
 che  prevede come circostanza attenuante l'avere, prima del giudizio,
 riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso.
   Il giudice a quo rileva che,  secondo  il  prevalente  orientamento
 interpretativo   della   Corte   di   cassazione,   andrebbe  esclusa
 l'applicabilita' dell'attenuante in esame allorche'  al  risarcimento
 del danno cagionato alla persona offesa abbia provveduto, in forza di
 contratto di assicurazione per la responsabilita' civile verso terzi,
 la  compagnia  assicuratrice,  mentre  la  stessa attenuante sarebbe,
 invece, applicabile al "soggetto  non  assicurato  che  abbia  quindi
 personalmente provveduto al risarcimento del danno".
   Cosi' interpretata, la disposizione censurata sarebbe in contrasto,
 ad  avviso  del  remittente,  con  l'art.  3  della  Costituzione per
 l'ingiustificato privilegio accordato al soggetto che,  in  contrasto
 con  la  legge,  non si assicura per la responsabilita' civile contro
 terzi.
   La  questione  sarebbe, d'altra parte, rilevante nel giudizio a quo
 poiche' l'imputato avrebbe provato l'avvenuto risarcimento del  danno
 ad  opera  della  sua  compagnia  di  assicurazione e, tuttavia, allo
 stato, non potrebbe fruire dell'attenuante di cui all'art. 62, n.  6,
 del codice penale.
   2.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   In  primo  luogo,  l'Avvocatura osserva che la giurisprudenza della
 Corte di cassazione richiamata dal giudice a  quo  non  costituirebbe
 "diritto  vivente"  poiche'  la  stessa  Corte si sarebbe pronunciata
 anche    in    senso    difforme,    riconoscendo    l'applicabilita'
 dell'attenuante  in  ipotesi  di  risarcimento  del  danno  da  parte
 dell'assicuratore in forza di contratto  di  assicurazione  stipulato
 dall'imputato  o  comunque  nell'interesse del medesimo. Pertanto, in
 presenza di una oscillazione  giurisprudenziale,  il  remittente  ben
 avrebbe potuto (o addirittura dovuto) conformarsi all'interpretazione
 ritenuta maggiormente aderente al parametro costituzionale.
   In  via  subordinata,  l'Avvocatura rileva che l'orientamento della
 Cassazione richiamato dal giudice a quo  sarebbe  conforme  sia  alla
 ratio  della  norma  (la resipiscenza dell'imputato) che ai parametri
 costituzionali  invocati.  In  particolare,  la  Corte  d'appello  di
 Trieste avrebbe errato nella individuazione del tertium comparationis
 poiche'   l'esistenza   di  un  contratto  di  assicurazione  per  la
 responsabilita'  civile  non  impedirebbe   all'imputato,   a   norma
 dell'art. 1917 del codice civile, di risarcire personalmente il danno
 e, quindi, di godere dell'attenuante in esame, assumendosi l'onere ed
 il  relativo rischio di richiedere poi all'assicurazione il pagamento
 delle somme a tale titolo versate.
                         Considerato in diritto
   1. - Viene all'esame di questa Corte la questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  62,  n. 6, prima parte, del codice penale,
 che prevede come circostanza attenuante l'avere  prima  del  giudizio
 riparato  interamente  il  danno  mediante  il  risarcimento di esso.
 Secondo  la  Corte  d'appello  di   Trieste,   questa   disposizione,
 nell'interpretazione   assunta  dalla  prevalente  giurisprudenza  di
 cassazione, che ne esclude l'applicabilita' nell'ipotesi  in  cui  il
 risarcimento   sia   stato  effettuato,  in  forza  di  contratto  di
 assicurazione contro la responsabilita' civile verso terzi, dall'ente
 assicuratore, contrasterebbe con l'art.   3 della  Costituzione,  per
 l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento tra chi abbia adempiuto
 all'obbligo di stipulare un contratto per l'assicurazione  contro  la
 responsabilita'  civile  verso  terzi  derivante  da  circolazione di
 veicoli o natanti a motore e chi invece, violando la legge,  un  tale
 contratto non abbia stipulato.
   2. - La questione non e' fondata nei sensi di seguito precisati.
   E' vero che la prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione,
 della  quale e' espressione la sentenza delle sezioni unite 17 aprile
 1989, n. 5909, ritiene non applicabile l'attenuante della riparazione
 del danno prevista dall'art. 62, n. 6, del codice penale, nel caso di
 risarcimento compiuto  dall'ente  assicuratore.  Questo  tradizionale
 orientamento,  che risale alla relazione al codice, e' imperniato sul
 rilievo  che  la  circostanza  di  cui al citato art. 62, n. 6, prima
 parte, ha natura  soggettiva  e  si  deve  percio'  risolvere  in  un
 comportamento  che  denoti  la  volonta' dell'imputato di riparare il
 danno prodotto con  la  sua  condotta  criminosa,  e  quindi  in  una
 tangibile  manifestazione  di  resipiscenza  che  non potrebbe essere
 riscontrata quando il risarcimento non sia effettuato personalmente e
 direttamente dall'imputato medesimo,  ma  sia  intervenuto  ad  opera
 della compagnia assicuratrice.
   Rileva pero' correttamente l'Avvocatura dello Stato che, nonostante
 la  richiamata  giurisprudenza, non vi sono ostacoli a che il giudice
 adotti della disposizione censurata una interpretazione  adeguatrice,
 tale  cioe' da risolvere immediatamente, e senza la necessita' di una
 pronuncia caducatoria di questa  Corte,  il  dubbio  di  legittimita'
 costituzionale.
   L'interpretazione  fatta propria dal remittente non e', infatti, la
 sola possibile, ne' l'orientamento che in essa si esprime puo' essere
 considerato in questa sede diritto vivente. Successive sentenze della
 stessa Corte di cassazione (ad es.: sez. III, 18  dicembre  1991,  n.
 12760),  proprio muovendo dai profili di incostituzionalita' connessi
 alla prevalente interpretazione, affermano l'esigenza  di  svincolare
 l'attenuante  del  risarcimento  del  danno  dalla  sua  tradizionale
 collocazione nel novero delle attenuanti soggettive  e  di  ritenerla
 tale  solo  quanto  agli effetti, ai sensi dell'art. 70 cod. pen., ma
 non anche ai fini del suo contenuto,  l'analisi  del  quale  dovrebbe
 invece  indurre  a  qualificarla  come  essenzialmente  oggettiva.  E
 invero,  a  favore  della  qualificazione  dell'attenuante  in  senso
 oggettivo,   sotto   l'aspetto   contenutistico,  depongono  concordi
 argomenti testuali, logici e sistematici.   In  primo  luogo,  nessun
 elemento,  nella  formulazione legislativa, conduce a ritenere che il
 legislatore abbia assunto come fine dell'attenuante  il  ravvedimento
 del reo.
   Dal  punto  di  vista  logico,  il  fatto che il risarcimento debba
 essere integrale  e  che  non  sia  quindi  ammessa  una  riparazione
 parziale  e',  al  contrario, indice non solo della irrilevanza degli
 stati psicologici o dell'atteggiamento  interiore  del  reo,  ma  del
 preminente  risalto  che  si  intende  dare alla figura della persona
 offesa e all'esigenza che il pregiudizio da questa  subi'to  a  causa
 del  comportamento criminoso del colpevole sia interamente ristorato.
 La considerazione  dell'integralita'  del  risarcimento  e'  talmente
 esclusiva   che   nemmeno   il   piu'  evidente  tra  gli  indici  di
 ravvedimento, quale in  astratto  potrebbe  essere  il  trasferimento
 spontaneo  di  tutti  i  beni  dell'imputato  a  favore della persona
 offesa, varrebbe a rendere operante l'attenuante se  il  riequilibrio
 patrimoniale  non  risultasse  pieno.  E'  questo  il  segno  che nel
 conflitto  di  interessi  tra  reo  e  vittima  del  reato,  regolato
 dall'art. 62, n. 6, prima parte, cod. pen., l'interesse della vittima
 non   lascia   alcuno   spazio  a  pur  eloquenti  manifestazioni  di
 ravvedimento del reo, per le quali soccorrono oggi altri istituti del
 diritto penale.
   In verita', la pretesa che nel riconoscimento dell'attenuante debba
 aversi  riguardo  al  pentimento  del  reo,  desunto  dal  sacrificio
 patrimoniale   a  cui  si  sottopone  personalmente  come  indice  di
 diminuita capacita' a delinquere, sospingerebbe l'obbligazione  verso
 la finalita' rieducatrice che e' propria della pena. Ma non e' questo
 il  fine  dell'obbligazione  risarcitoria che incombe sull'autore del
 reato: nel sistema del codice  penale  tale  obbligazione  ha  natura
 civilistica  ed  e' dotata di una finalita' di emenda non maggiore di
 quanta non ne  possieda  la  generalita'  delle  obbligazioni  civili
 nascenti  da  fatto  illecito.  L'art. 185 cod. pen. prevede che ogni
 reato che abbia cagionato un danno patrimoniale  o  non  patrimoniale
 obbliga  al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle
 leggi civili, debbano rispondere per il fatto  altrui;  l'adempimento
 di  tale  obbligazione puo' provenire indifferentemente dal reo o dal
 responsabile civile, restando, nell'un caso e nell'altro, identica la
 finalita' della disposizione, che e' quella del soddisfacimento della
 pretesa  del  danneggiato  mediante   la   reintegrazione   del   suo
 patrimonio.   Non  diversa  finalita',  per  la  chiara  correlazione
 sistematica tra le due disposizioni, possiede l'art. 62, n. 6,  prima
 parte,  del  codice penale, col suo prevedere che il risarcimento del
 danno sofferto dalla parte lesa debba  essere  integrale,  ossia  che
 l'obbligazione  civile  nascente  dal reato debba essere adempiuta, e
 quindi estinta, prima del giudizio.
   La  sola  variante  che  l'art.  62  introduce  al   regime   delle
 obbligazioni  nascenti  dal reato, rispetto al diritto civile, e' che
 agli  effetti  dell'attenuante  non  sono  consentite  dilazioni   di
 pagamento  ne'  sono  ammessi  modi  di  estinzione dell'obbligazione
 diversi dall'adempimento.  Ma e' questa una variante che,  lungi  dal
 deporre  nel  senso  di  una  qualche  finalita' di rieducazione o di
 emenda del reo,  rafforza  ancor  piu'  il  carattere  essenzialmente
 oggettivo  dell'attenuante  e il suo essere ordinata al ristoro della
 parte offesa onde risulti, con valutazione  ex  post  meno  grave  la
 vulnerazione dell'ordine giuridico provocata dal reato.
   3.  -  Decisiva, ai fini di una corretta lettura della disposizione
 censurata, e' la considerazione che l'interpretazione dell'attenuante
 in chiave meramente soggettiva, che ravvisasse in essa una  finalita'
 rieducativa,  contrasterebbe  con l'art. 3 della Costituzione sotto i
 molteplici profili evidenziati dal giudice remittente  e  dalla  piu'
 recente  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione.  Ne seguirebbe
 infatti una arbitraria svalutazione dell'istituto  dell'assicurazione
 obbligatoria    della    responsabilita'   civile   derivante   dalla
 circolazione dei veicoli a motore e dei natanti  (legge  24  dicembre
 1969,  n.  990),  istituto  che  svolge  nel  nostro  ordinamento una
 insostituibile  funzione  riequilibratrice,   in   attuazione   degli
 imperativi contenuti nell'art. 3 della Costituzione.
   Alla   base   della   scelta   di   politica   sociale   a   favore
 dell'assicurazione obbligatoria sta l'enorme sviluppo  che  ha  avuto
 negli  ultimi decenni la motorizzazione civile. Se il fine preminente
 e' quello della tutela  delle  vittime  della  circolazione,  non  e'
 disgiunta da tale scelta, ed anzi le e' inscindibilmente connessa, la
 creazione  di  un  contesto  di generale sicurezza patrimoniale (alla
 sicurezza tecnica provvedono altri istituti) quale condizione  minima
 di  accettabilita'  degli  attuali  livelli  del  fenomeno.  Di  qui,
 appunto,  l'obbligo  imposto  ad  ogni  proprietario  di  veicolo  di
 trasferire  ad un imprenditore specializzato, sottoposto a penetranti
 controlli pubblici, il rischio della propria responsabilita'  civile,
 affinche' tale rischio sia ripartito fra tutti i proprietari di mezzi
 di  trasporto  a  motore  in  modo  che il sacrificio di ciascuno sia
 ridotto  al  minimo,  e  siano  corrispondentemente  massimizzate  le
 garanzie  patrimoniali  dei  danneggiati,  secondo  un  principio  di
 solidarieta' che gia' questa Corte ha  riconosciuto  come  fondamento
 della legge n. 990 del 1969 (sentenze nn. 560 del 1987, 77 del 1983 e
 56 del 1975).
   Ebbene,   l'interpretazione   seguita   dal   giudice   remittente,
 nell'imporre all'imputato, con la cogenza che e' propria delle  norme
 penali,  l'onere  di non avvalersi dell'assicurazione e di provvedere
 personalmente al ristoro dei danni, finirebbe col negare  l'anzidetta
 funzione  dell'assicurazione  obbligatoria  proprio nei frangenti nei
 quali se ne rende piu' manifesta l'essenzialita': danni alle  persone
 e  conseguenti  obblighi  risarcitori eccedenti le normali condizioni
 patrimoniali dei proprietari di veicoli.   E cosi',  il  risarcimento
 del danno, strutturato nell'ordinamento generale attorno al principio
 di  solidarieta',  verrebbe  privato  di quell'insieme organizzato di
 garanzie   patrimoniali   che   per    volonta'    del    legislatore
 indefettibilmente  l'accompagnano,  e ridotto a prestazione personale
 del  danneggiante  isolatamente  considerato,  secondo  una   visione
 premoderna  dell'istituto  della  responsabilita'  civile  in  questo
 settore; una visione che  non  solo  comporterebbe  una  macroscopica
 disparita'  di  trattamento  tra  danneggianti  a  seconda delle loro
 condizioni patrimoniali,  ma  si  risolverebbe  in  un  inammissibile
 restringimento  del  diritto  alla resipiscenza o al ravvedimento che
 verrebbe riservato alle sole persone provviste  di  mezzi  finanziari
 che  siano in grado di provvedere personalmente all'integrale ristoro
 dei danni. Ne risulterebbero,  simmetricamente,  coinvolte  le  parti
 offese:  la disposizione censurata, anziche' assicurare quella tutela
 risarcitoria completa e tempestiva che il testo dell'art. 62,  n.  6,
 prima  parte,  mostra  di  voler  perseguire, verrebbe in una qualche
 misura a limitare le loro opportunita'  di  un  risarcimento  rapido,
 riducendo  la  probabilita'  di  un  intervento sollecitatorio presso
 l'ente  assicuratore  che  un  imputato,  che  potesse   contare   su
 un'accezione    oggettiva   dell'attenuante,   sarebbe,   di   norma,
 interessato a compiere.
   4. - Il principio di  superiorita'  della  Costituzione  impone  ai
 giudici  di  scegliere  tra  piu'  soluzioni  astrattamente possibili
 quella  che  pone  la  legge  al  riparo  da  vizi  di   legittimita'
 costituzionale.  E nella specie l'interpretazione dell'art. 62, n. 6,
 prima  parte,  del codice penale, non contraddetta dalla formulazione
 testuale, tale da lasciare  indenne  la  disposizione  dal  vizio  di
 costituzionalita'  che  altrimenti  la  inficerebbe, e' nel senso che
 l'attenuante del risarcimento del danno in essa prevista sia operante
 anche   quando   l'intervento   risarcitorio,   comunque   riferibile
 all'imputato,   sia   compiuto,   prima   del   giudizio,   dall'ente
 assicuratore.