ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 186,  comma  4,
 del  decreto  legislativo  30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
 strada), promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1997  dal  pretore
 di  Milano  nel  procedimento  penale a carico di Caprioglio Ottavio,
 iscritta al n. 477 del registro ordinanze  1997  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  30, prima serie speciale,
 dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  aprile 1998 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
   Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a  carico  di  un
 automobilista  per  guida in stato di ebbrezza, il pretore di Milano,
 con ordinanza emessa il 26 marzo 1997, ha sollevato - in  riferimento
 all'art.  25,  secondo  comma,  della  Costituzione  -  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  186,  comma  4,  del decreto
 legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della  strada),
 "nella  parte  in  cui,  anziche' prevedere l'obbligo di una verifica
 tecnico-scientifica (dello stato di ebbrezza), ne prevede  invece  la
 mera facolta'";
     che, secondo il rimettente, con la norma impugnata il legislatore
 avrebbe  optato  per  una nozione "elastica" dello stato di ebbrezza,
 concepito  come  realta'  fisio-psichica  non  ancorata   a   precisi
 riferimenti  quantitativi, ma desumibile da tutta una serie di indici
 di fatto, dai quali inferire l'esistenza di uno stato di  consistente
 alterazione  di  natura  psichica  caratterizzato  dalla  perdita  di
 un'adeguata capacita'  valutativa  concernente  il  mondo  fenomenico
 circostante;
     che  in  cio' sarebbe ravvisabile una distonia rispetto al quadro
 normativo approntato dall'art. 379 del regolamento di esecuzione  del
 nuovo  codice  della  strada,  in  cui  sembra  al  contrario  che il
 legislatore si sia determinato ad accogliere  una  nozione  oggettiva
 dello  stato  di ebbrezza, vincolata ad un preciso dato quantitativo,
 consistente nel raggiungimento di parametri predeterminati, potendosi
 considerare l'interessato in stato  di  ebbrezza  esclusivamente  nel
 caso  di  raggiungimento  della  soglia data, indipendentemente dalla
 presenza o meno di quei  sintomi,  di  profilo  soggettivo,  ritenuti
 idonei ad evidenziare il suddetto stato di alterazione qualora non si
 sia fatto uso dell'etilometro;
     che  -  rilevato  come  l'adozione  in concreto dell'uno anziche'
 dell'altro criterio sia di fatto affidata ad un'insindacabile  scelta
 del  pubblico  ufficiale  -  ritiene  il rimettente la violazione, da
 parte  della  denunciata  norma,  del   principio   di   certezza   e
 tassativita'  della  fattispecie  penale,  attesa  la mancanza di una
 sufficiente nitidezza dei  contorni  della  nozione  dello  stato  di
 ebbrezza,  la  quale  non  puo' che essere unica e non deve risentire
 delle opzioni dei singoli organi accertatori;
     che si e' costituito il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo per la manifesta inammissibilita'  o  infondatezza  della
 sollevata questione;
   Considerato  che  -  scrutinata  analoga  questione,  in cui veniva
 ugualmente    lamentata    l'indeterminatezza    della    fattispecie
 incriminatrice  della guida sotto l'influenza dell'alcool, appunto in
 ragione della mancata previsione dell'obbligo, a carico degli  organi
 accertatori, dell'uso dell'etilometro - questa Corte, con sentenza n.
 194  del  1996  (ignorata  dal rimettente), ha posto in evidenza come
 l'aver ancorato il dubbio di costituzionalita' esclusivamente al modo
 dell'accertamento dello stato di ebbrezza costituisca  il  frutto  di
 una  deviazione  prospettica  insita  nel  non  considerare  che  "le
 indicazioni  circa  le  circostanze   che,   in   mancanza   di   uso
 dell'etilometro, inducono a ritenere la presenza di tale stato, altro
 non  sono  che  elementi  destinati  a concorrere alla formazione del
 convincimento del giudice";
     che l'odierno rimettente cade nel medesimo errore, scambiando, in
 ultima analisi, l'ambito di discrezionalita' relativa  alle  tecniche
 di  accertamento  del fatto-reato (riguardante in quanto tale il mero
 piano probatorio) con l'asserita mancanza  di  oggettiva  certezza  e
 tassativita' della condotta sanzionata dalla fattispecie penale;
     che,  d'altronde, solo al legislatore sarebbe dato trasformare in
 obbligo la facolta' prevista dalla  denunciata  norma,  al  fine  del
 preteso  recupero di detta oggettiva certezza, trattandosi infatti di
 previsione  attinente  alla  sfera  delle   prove,   certamente   non
 ottenibile attraverso una pronuncia manipolativa di questa Corte;
     che,  pertanto,  la  questione dev'essere ritenuta manifestamente
 inammissibile;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.