ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  155,  quarto
 comma,  del  codice  civile e del combinato disposto degli artt. 151,
 primo comma, e 155 stesso codice promossi con ordinanze emesse il  29
 ottobre  1996  dal  Tribunale  di  Como sul reclamo proposto da Butti
 Patrizia contro Negrini Valerio, iscritta al  n.  1333  del  registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1997 ed il 27 dicembre 1996 dal
 pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Zecchino Maria
 e Moriondo Francesco, iscritta al n. 82 del registro ordinanze 1997 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 10, prima
 serie speciale, dell'anno 1997;
   Udito nella camera di consiglio del  29  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   1.   -  Il  Tribunale  di  Como,  adi'to  con  reclamo  avverso  un
 provvedimento  di  rigetto  dell'istanza   cautelare   di   sequestro
 giudiziario, con la quale era stata chiesta l'assegnazione della casa
 familiare   di  proprieta'  esclusiva  del  convenuto,  dal  genitore
 naturale affidatario di figlio minore, nato durante  un  rapporto  di
 convivenza  more  uxorio  e  riconosciuto  da entrambi i genitori, ha
 sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  30  della  Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 155, quarto comma,
 del  codice civile, nella parte in cui non prevede la possibilita' di
 assegnare  in  godimento  la  casa  familiare  al  genitore  naturale
 affidatario  di  un minore, o convivente con prole maggiorenne ma non
 economicamente  autosufficiente,  anche   se   lo   stesso   genitore
 affidatario  non  sia  titolare  di  diritti  reali  o  di  godimento
 sull'immobile.
   Il  giudice  rimettente  premette  anzitutto  di  non   aderire   a
 quell'orientamento   giurisprudenziale   e  dottrinario,  che  reputa
 applicabile  per  analogia  alla  famiglia  di  fatto  la  disciplina
 normativa della famiglia legittima ed in particolare il provvedimento
 di  assegnazione  della  casa  familiare  di cui all'art. 155, quarto
 comma,  del  codice  civile,  in  quanto  la   emanazione   di   tale
 provvedimento  si  fonda  sul  necessario presupposto del matrimonio,
 come, del resto,  si  desume  dallo  stesso  tenore  letterale  della
 disposizione  in  oggetto, che fa riferimento al "coniuge cui vengono
 affidati i figli", non gia' al "genitore".
   Inoltre, ad avviso del rimettente, l'applicazione  analogica  della
 norma   censurata   e  l'interpretazione  estensiva  di  essa  devono
 ritenersi escluse dalla circostanza che  il  potere  del  giudice  di
 attribuire il godimento della casa familiare ad un soggetto che su di
 essa  non vanti alcun diritto, estromettendone il titolare, ha natura
 eccezionale e non e' configurabile  al  di  fuori  delle  fattispecie
 espressamente previste.
   Cio'  premesso,  il giudice a quo ravvisa un contrasto tra la norma
 censurata, che non consente di  disporre  l'assegnazione  della  casa
 familiare  al  genitore  naturale affidatario di figlio minore, e gli
 artt. 3 e 30 della Costituzione,  per  violazione  del  principio  di
 uguaglianza e del principio di tutela dei figli naturali.
   2.  -  Nel  corso  di  un  procedimento  cautelare,  nel  quale  la
 ricorrente, proprietaria esclusiva di un immobile, ove abitava con il
 convivente more uxorio   e con il  figlio  minore,  nato  durante  la
 stessa  convivenza  e  riconosciuto  da  entrambi  i  genitori, aveva
 chiesto, ai sensi dell'art.   700 del  codice  di  procedura  civile,
 l'emissione  di  un  provvedimento  avente  ad  oggetto  l'ordine  di
 allontanamento del  convivente,  essendo  divenuta  intollerabile  la
 prosecuzione  del  detto  rapporto  di fatto, il pretore di Torino ha
 sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato
 disposto degli artt. 151, primo comma, e 155 del codice civile, nella
 parte   in  cui  non  prevede  che  la  separazione  giudiziale  e  i
 provvedimenti  riguardanti  i  figli  e  l'assegnazione  della   casa
 familiare  possano  essere  richiesti  al giudice dal convivente more
 uxorio con il procedimento disciplinato dagli artt. 706, 707,  708  e
 709 del codice di procedura civile.
   Il  giudice  rimettente osserva, in primo luogo, come la cessazione
 della convivenza more uxorio non possa essere trattata  alla  stregua
 della  cessazione di un qualunque rapporto obbligatorio (prospettato,
 nella specie, quale comodato), senza che da cio' derivi la lesione di
 diritti costituzionalmente garantiti, a meno che ad essa non  vengano
 applicati alcuni strumenti di tutela previsti per il matrimonio, come
 l'assegnazione  della  casa  di abitazione e l'affidamento dei figli,
 allorche' vi sia prole naturale.
   Ad avviso del giudice a quo la differenziazione, in relazione  agli
 strumenti  di  tutela,  tra  la  convivenza more uxorio e la famiglia
 legittima determina una violazione:
     a)  dell'art.  2  della  Costituzione,  in  quanto   il   diritto
 all'abitazione  deve essere garantito anche al convivente more uxorio
 che abbia  contribuito,  a  proprie  spese,  all'acquisizione  di  un
 diritto   reale  o  di  godimento  sull'immobile,  nel  quale  si  e'
 esercitata la convivenza con la prole naturale, potendo tale  diritto
 essere  sacrificato solo se questo sia in conflitto con altri diritti
 della persona, della prole e della famiglia;
     b)  dell'art.  24  della   Costituzione,   poiche'   il   diritto
 all'abitazione  del  convivente  more  uxorio  con prole naturale non
 riceve le medesime garanzie processuali previste dagli  artt.  706  e
 seguenti del codice di procedura civile in relazione alla separazione
 dei coniugi;
     c)  dell'art.  30 della Costituzione, in quanto il diritto-dovere
 dei genitori di  mantenere,  istruire  ed  educare  i  figli  non  e'
 ugualmente  garantito  rispetto  ai  figli nati fuori del matrimonio,
 essendo consentito al convivente more uxorio  che  sia  titolare  del
 diritto  reale  o di godimento sulla casa familiare, di instaurare il
 processo innanzi al pretore, competente ai sensi  dell'art.  8,  cod.
 proc. civ., senza obbligo alcuno, da parte del giudice, di valutare i
 diritti dell'altro convivente e della prole;
     d) dell'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparita'
 di  trattamento,  in  caso di separazione dei genitori, di situazioni
 giuridiche omogenee, relative al diritto all'abitazione e  ai  doveri
 dei  genitori  nei  confronti  dei  figli,  secondo che esse traggano
 origine dal matrimonio o dalla convivenza more uxorio.
                         Considerato in diritto
   1.  - Il Tribunale di Como dubita, in riferimento agli artt. 3 e 30
 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art.  155,
 quarto comma, del codice civile, nella parte in cui  non  prevede  la
 possibilita'  di assegnare in godimento la casa familiare al genitore
 naturale affidatario di un minore, o convivente con prole maggiorenne
 non economicamente  autosufficiente,  anche  se  lo  stesso  genitore
 affidatario  non  sia  titolare  di  diritti  reali  o  di  godimento
 sull'immobile.
   Il  pretore  di  Torino  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale del combinato disposto degli artt. 151, primo comma, e
 155  del  codice  civile,  nella  parte  in  cui  non  prevede che la
 separazione giudiziale  e  i  provvedimenti  riguardanti  i  figli  e
 l'assegnazione  della  casa  familiare  possano  essere  richiesti al
 giudice dal convivente more uxorio con il  procedimento  disciplinato
 dagli artt. 706, 707, 708 e 709 del codice di procedura civile.
   Poiche'  le  dette  ordinanze  sollevano  questioni di legittimita'
 costituzionale connesse, i relativi giudizi possono essere riuniti  e
 vengono decisi con un'unica sentenza.
   2.  -  La  questione prospettata dal Tribunale di Como e' infondata
 nei sensi appresso  precisati.  Essa  involge  profili  di  serio  ed
 indubbio   rilievo  giuridico-sociale  in  ordine  alla  concreta  ed
 effettiva  equiparazione  tra  filiazione  legittima   e   filiazione
 naturale,  che  non  di  rado,  in  assenza  di specifiche previsioni
 normative,   risulta   affidata   all'opera   interpretativa    della
 giurisprudenza.
   Gli   interventi  legislativi  succedutisi  in  materia,  tra  cui,
 particolarmente,  le  disposizioni  della  legge  n.  431  del   1967
 sull'adozione speciale, la riforma del diritto di famiglia del 1975 e
 la  disciplina  dell'adozione  e  dell'affidamento dei minori, di cui
 alla legge n. 184 del 1983, dimostrano come  sia  stata  riconosciuta
 all'interesse   del   minore  una  posizione  preminente.  L'espresso
 riconoscimento del diritto del minore ad essere  educato  nell'ambito
 della  propria  famiglia  e  le  norme  dirette  a garantire concreta
 assistenza e cura ai minori privi di  un  idoneo  ambiente  familiare
 sono  elementi  sintomatici della inversione di tendenza verificatasi
 nella valutazione comparativa dei diversi  interessi,  che  situa  in
 posizione nitidamente sopraordinata le esigenze dei minori; del pari,
 l'effettiva  attuazione  dei  principi  costituzionali a tutela della
 filiazione   naturale   puo'   ritenersi   una    delle    principali
 caratteristiche  della  riforma  del diritto di famiglia, evidenziata
 dall'attribuzione   di   specifici   contenuti   al   canone    della
 equiparazione dei figli - naturali e legittimi - e dalla connotazione
 di assolutezza riferita al valore della procreazione.
   3.  -  La  questione  proposta dal Tribunale rimettente concerne la
 regolamentazione della cessazione del rapporto di convivenza di fatto
 nello  specifico  profilo  inerente   all'assegnazione   della   casa
 familiare  al  genitore  naturale  affidatario  di  figli  minori,  o
 convivente  con   prole   maggiorenne   non   ancora   economicamente
 autosufficiente.   Si  lamenta,  in  particolare,  l'assenza  di  una
 disciplina corrispondente a quella dettata dall'art. 155  del  codice
 civile  in  relazione alla separazione dei coniugi, che il rimettente
 stesso  ritiene  non  applicabile  analogicamente,  per  difetto  del
 presupposto consistente nel matrimonio.
   Ed in effetti, attesa la collocazione della norma nel capo relativo
 allo  scioglimento  del  matrimonio  e  alla separazione dei coniugi,
 correttamente viene escluso il ricorso all'analogia, in  quanto  essa
 presuppone  la  similarita'  delle  situazioni, la quale, oltre a non
 essere presente tra il rapporto coniugale e quello di mera convivenza
 in se' considerati,  non  e'  voluta  dalle  stesse  parti,  che  nel
 preferire un rapporto di fatto hanno dimostrato di non voler assumere
 i  diritti e i doveri nascenti dal matrimonio; onde la imposizione di
 norme, applicate in via analogica, a  coloro  che  non  hanno  voluto
 assumere  i  diritti  e  i  doveri  inerenti al rapporto coniugale si
 potrebbe tradurre in una inammissibile violazione della  liberta'  di
 scelta tra matrimonio e forme di convivenza.
   Di  fronte a tale corretta interpretazione e' necessario muovere da
 una diversa prospettiva ed  affrontare  la  questione  ponendosi  sul
 piano del rapporto di filiazione e delle norme ad esso relative.
   Tra  le disposizioni della legge di riforma del diritto di famiglia
 maggiormente incisive  in  subiecta  materia  particolare  importanza
 assume  l'art.  317-bis  secondo comma, del codice civile, che, nella
 evidente finalita' di assicurare una pari tutela dei  figli  naturali
 rispetto  a  quelli  legittimi, disciplina l'esercizio della potesta'
 dei genitori sui figli  naturali  in  modo  corrispondente  a  quello
 previsto  in  relazione  alla famiglia legittima: infatti, qualora il
 riconoscimento sia fatto  da  entrambi  i  genitori  e  questi  siano
 conviventi, l'esercizio della potesta' sui figli naturali e' regolato
 mediante  espresso  rinvio  all'art.  316 del codice civile, relativo
 appunto alla potesta' dei genitori sui figli legittimi.
   Ed ancora, l'art. 261, cod. civ., enuncia il fondamentale principio
 in forza del quale il riconoscimento comporta da parte  del  genitore
 l'assunzione  di  tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei
 confronti dei figli legittimi, il che attesta  l'assoluta  preminenza
 attribuita al rapporto di filiazione in quanto tale.
   Nello spirito della riforma del 1975, il matrimonio non costituisce
 piu'  elemento  di  discrimine  nei  rapporti  tra genitori e figli -
 legittimi e naturali riconosciuti - identico essendo il contenuto dei
 doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri.
   La condizione giuridica dei genitori tra di loro, in  relazione  al
 vincolo  coniugale, non puo' determinare una condizione deteriore per
 i figli, poiche' quell'insieme di regole, che costituiscono l'essenza
 del rapporto di filiazione e che si  sostanziano  negli  obblighi  di
 mantenimento,  di  istruzione  e di educazione della prole, derivante
 dalla qualita' di  genitore,  trova  fondamento  nell'art.  30  della
 Costituzione che richiama i genitori all'obbligo di responsabilita'.
   4.  -  Il  valore  costituzionale  di tutela della filiazione trova
 concreta specificazione nelle disposizioni previste dagli artt. 147 e
 148 del codice civile, che, in quanto complessivamente richiamate dal
 successivo art. 261, devono  essere  riguardate  nel  loro  contenuto
 effettivo,   indipendentemente   dalla   menzione  legislativa  della
 qualita' di coniuge,  trattandosi  dei  medesimi  doveri  imposti  ai
 genitori che abbiano compiuto il riconoscimento dei figli naturali.
   Il primo obbligo enunciato dall'art. 147 del codice civile consiste
 in   quello   di  mantenimento  della  prole:  e'  questo  un  dovere
 inderogabile, che nella sua concreta  attuazione  e'  commisurato  in
 proporzione alle rispettive sostanze dei genitori e alle capacita' di
 lavoro   di  ciascuno.     Procede  per  necessita'  da  cio'  che  i
 provvedimenti giudiziali inerenti all'entita'  dell'obbligo,  poiche'
 questa e' rapportata ad elementi variabili nel tempo, sono soggetti a
 modifica  in  conseguenza  del  mutamento  della situazione di fatto.
 L'assolutezza dell'obbligo in  esame  e  l'indissolubilita'  del  suo
 legame  con il rapporto di filiazione sono confermati dall'intervento
 imposto dal legislatore agli altri ascendenti legittimi  o  naturali,
 che  sono tenuti, quando i genitori siano privi di mezzi sufficienti,
 a fornire ai genitori stessi  i  mezzi  necessari  affinche'  possano
 adempiere  al  loro  dovere di cura nei confronti dei figli, il quale
 dovere resta inderogabilmente a carico dei genitori.
   Ora, il concetto di  mantenimento  comprende  in  via  primaria  il
 soddisfacimento  delle  esigenze materiali, connesse inscindibilmente
 alla prestazione  dei  mezzi  necessari  per  garantire  un  corretto
 sviluppo  psicologico e fisico del figlio, e segnatamente tra queste,
 in ordine all'effettivo adempimento del  predetto  obbligo,  assumono
 profonda    rilevanza   la   predisposizione   e   la   conservazione
 dell'ambiente domestico, considerato  quale  centro  di  affetti,  di
 interessi  e  di  consuetudini  di  vita,  che contribuisce in misura
 fondamentale alla formazione armonica della personalita' del  figlio.
 La  tutela dell'interesse della prole rappresenta infatti la ratio in
 forza della quale il  legislatore,  prevedendo  la  disciplina  circa
 l'assegnazione  della  casa  familiare  in  sede  di  separazione dei
 coniugi, ha  introdotto  il  criterio  preferenziale,  ancorche'  non
 assoluto,  indicato dal quarto comma dell'art. 155 del codice civile,
 la cui applicazione  e'  rimessa  alla  valutazione  del  giudice  in
 relazione alla situazione concreta. Sotto questo profilo l'obbligo di
 mantenimento si sostanzia quindi nell'assicurare ai figli l'idoneita'
 della  dimora,  intesa  quale  luogo  di  formazione e sviluppo della
 personalita' psico-fisica dei medesimi; onde  l'attuazione  di  detto
 dovere  non  puo' in alcun modo essere condizionata dalla assenza del
 vincolo coniugale tra i genitori, poiche' la  fonte  dell'obbligo  de
 quo   agitur  e'  unica,  ma  sufficiente:  quella  del  rapporto  di
 filiazione.
   La mancanza di una  specifica  norma  che  regoli  le  conseguenze,
 riguardo  ai  figli,  della  cessazione del rapporto di convivenza di
 fatto  dei  genitori  non  impedisce  allora   di   trarre   da   una
 interpretazione  sistematica  delle  norme  in  tema di filiazione la
 regula iuris da applicare in concreto, senza necessita' di  ricorrere
 all'analogia,   ne'   ad  una  declaratoria  di  incostituzionalita'.
 L'interprete e' infatti  al  cospetto  di  un  sistema  perfettamente
 coerente  con  i principi costituzionali, nel quale e' gia' contenuta
 la norma che gli  consente  di  regolamentare,  ex  latere  filii  le
 conseguenze  della  cessazione della convivenza di fatto: la linea di
 guida  cui  egli  deve  attenersi  e'  l'interesse  del  figlio  alla
 abitazione,  come al mantenimento, correlato alla posizione di dovere
 facente capo al genitore.
   L'assegnazione della casa familiare nell'ipotesi di  cessazione  di
 un rapporto di convivenza more uxorio allorche' vi siano figli minori
 o   maggiorenni   non  economicamente  autosufficienti,  deve  quindi
 regolarsi mediante l'applicazione del  principio  di  responsabilita'
 genitoriale,  il  quale  postula  che sia data tempestiva ed efficace
 soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere
 dalla qualificazione dello status (sentenza n. 99 del 1997).
   La  disposizione impugnata si sottrae pertanto alle dedotte censure
 di incostituzionalita', in quanto il principio invocato dal giudice a
 quo - la tutela del minore  attraverso  l'assegnazione  in  godimento
 dell'abitazione,  oltre che la determinazione di una somma dovuta per
 il suo mantenimento - e' immanente  nell'ordinamento  e  deve  essere
 attuato  sulla  base  di  una interpretazione sistematica degli artt.
 261, 147 e 148 del codice civile in correlazione con l'art. 30  della
 Costituzione,  senza necessita' dell'intervento caducatorio di questa
 Corte.
   5.  -  Il   pretore   di   Torino   prospetta   la   illegittimita'
 costituzionale del combinato disposto degli artt. 151, primo comma, e
 155  del  codice  civile,  il  quale  non  prevede la possibilita' di
 applicare il procedimento previsto dagli artt.  706  e  seguenti  del
 codice di procedura civile ai conviventi more uxorio con prole.
   La questione e' manifestamente infondata.
   L'impossibilita'  di  disciplinare  la  convivenza  di fatto con le
 stesse  regole  previste  per  la  famiglia  legittima  deriva  dalla
 considerazione  che  il  fondamento dei diritti e dei doveri indicati
 nel  capo  IV  del  titolo  VI  del  codice  civile   e'   costituito
 dall'istituto  stesso  del  matrimonio,  si'  che la cessazione della
 convivenza matrimoniale richiede necessariamente una regolamentazione
 specifica di tutti gli effetti conseguenti. Tale regolamentazione  e'
 disciplinata  nel  profilo sostanziale dagli artt. 150-158 del codice
 civile e nell'aspetto processuale dagli artt. 706-709 del  codice  di
 procedura civile.
   Si  e'  gia'  detto  al  punto  3)  che  la  convivenza more uxorio
 rappresenta l'espressione di una scelta di liberta' dalle regole  che
 il  legislatore  ha  sancito  in  dipendenza  dal matrimonio: da cio'
 deriva che l'estensione automatica di queste regole alla famiglia  di
 fatto  potrebbe  costituire  una  violazione  dei  principi di libera
 determinazione delle parti.   La  inapplicabilita'  della  disciplina
 della  separazione  dei  coniugi  alla cessazione delle convivenze di
 fatto, nel cui ambito  sia  nata  prole,  non  equivale  tuttavia  ad
 affermare  che  la  tutela  dei  minori, nati da quelle unioni, resti
 priva di disciplina, essendo  invocabile  l'intervento  del  giudice,
 che, nella pronuncia dei provvedimenti concernenti i figli, e' tenuto
 alla  specifica  valutazione  dell'interesse  di  questi. Come questa
 Corte ha gia' avuto modo  di  affermare  proprio  in  relazione  alla
 cessazione  delle  convivenze  di  fatto  e  alle  diverse competenze
 rispettivamente  attribuite  al  tribunale  per  i  minorenni  e   al
 tribunale  ordinario  per  la  emanazione  dei provvedimenti riguardo
 all'affidamento e al mantenimento dei figli naturali (sentenza n.  23
 del 1996), "manca un processo necessariamente unitario che  coinvolga
 il  momento  della separazione, quello della sorte dei figli comuni e
 quello del regolamento dei rapporti patrimoniali  sia  tra  loro  che
 relativamente al mantenimento della prole".
   L'assenza  di un procedimento specularmente corrispondente a quello
 di separazione dei coniugi involge questioni di politica legislativa,
 ma certamente non determina la violazione dei principi costituzionali
 invocati dal rimettente, in  considerazione  della  diversita'  delle
 situazioni  poste  a  raffronto,  che  non ne consente la reductio ad
 unitatem.