ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis comma 2,
 della legge 26 luglio 1975, n.  354  e  successive  modifiche  (Norme
 sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
 privative e limitative della liberta'), promosso con ordinanza emessa
 il 17 luglio 1997 dal tribunale di sorveglianza di  Napoli,  iscritta
 al  n.  757  del  registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 45,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  7  aprile  1998  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
   Ritenuto  che il tribunale di sorveglianza di Napoli, con ordinanza
 emessa il 17 luglio 1997, pervenuta a questa Corte l'8 ottobre  1997,
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli  artt.  3,  13,  24,  25, 27 e 113 della Costituzione, dell'art.
 41-bis  comma  2,  della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme
 sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
 privative e limitative della liberta');
     che,  secondo il remittente, la norma impugnata contrasta con gli
 artt. 3, primo comma, 13, secondo comma, 27, secondo e  terzo  comma,
 della  Costituzione,  in quanto ipotizzerebbe una specifica categoria
 di detenuti, predeterminati per dettato normativo in base  al  titolo
 del  reato  per  cui  sono  condannati o indagati, assoggettati ad un
 regime di esecuzione della detenzione diverso da quello disposto  per
 la  criminalita' ordinaria, e consentirebbe applicazioni senza limiti
 di  tempo  e  proroghe  ripetute  del  regime  speciale  senza  nuove
 motivazioni  riferibili  alla  condotta  del detenuto, al di fuori di
 situazioni di eccezionalita' e senza una verifica costante e continua
 degli sviluppi della situazione;
     che, inoltre, il giudice a quo  sostiene  che  la  situazione  di
 fatto  creata dalle proroghe, con il "ripetersi monotono e immotivato
 di contestazioni consolidate", ostacola l'esplicazione del diritto di
 difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione;
     che la norma impugnata sarebbe altresi' in contrasto  con  l'art.
 27,  secondo (rectius: terzo) comma, della Costituzione, in quanto le
 restrizioni disposte, incidenti sulla pena e sul  grado  di  liberta'
 personale  del  detenuto,  si concretizzerebbero in un trattamento di
 fatto contrario al senso di umanita' e si  opporrebbero  al  fine  di
 rieducazione   del  condannato,  equivalendo  al  riconoscimento  che
 determinate categorie di soggetti sfuggono a qualunque  tentativo  di
 risocializzazione;  nonche'  con  l'art. 27, primo (rectius: secondo)
 comma, della Costituzione, laddove consente l'applicazione del regime
 speciale anche  a  chi  sia  solo  imputato,  non  ancora  condannato
 definitivamente,  per  i reati di cui all'art. 4-bis dell'ordinamento
 penitenziario;
     che,  infine,  vi  sarebbe  contrasto   con   il   principio   di
 irretroattivita'  delle  norme  penali  di  cui  all'art. 25, secondo
 comma, della Costituzione, in quanto i decreti ministeriali attuativi
 dell'art.  41-bis  che  aggiungerebbero  "pena  a  pena"  e  comunque
 restringerebbero  ulteriormente  lo  "spazio  vitale"  del  detenuto,
 applicano il regime speciale anche a detenuti condannati  o  imputati
 per  reati  commessi  prima  dell'entrata  in vigore dell'art. 41-bis
 medesimo;
     che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, o
 in subordine infondata.
   Considerato che identica  questione,  in  riferimento  agli  stessi
 parametri,  proposta  fra l'altro dal medesimo giudice remittente, e'
 stata dichiarata non fondata nei sensi di cui  in  motivazione  dalla
 sentenza  n.  376  del  1997,  sopravvenuta  dopo l'instaurazione del
 presente giudizio;
     che nella citata  sentenza  questa  Corte,  in  conformita'  alle
 precedenti  sentenze  nn.  349  e  410  del  1993  e 351 del 1996, ha
 affermato che l'art. 41-bis comma 2, dell'ordinamento  penitenziario,
 la  cui finalita' e' essenzialmente quella di impedire i collegamenti
 dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali  fra  loro  e
 con  i  membri  di queste che si trovino in liberta', si sottrae alle
 censure di illegittimita' costituzionale, ancora una volta mosse  dal
 remittente,   in   quanto   puo'   e   deve  essere  oggetto  di  una
 interpretazione restrittiva, la quale esclude la possibilita'  che  i
 decreti  applicativi  del regime differenziato incidano sul "residuo"
 di  liberta'  personale  spettante  al  detenuto  e   sugli   aspetti
 dell'esecuzione  che  toccano  la qualita' e la quantita' della pena;
 comporta la necessita' di applicazioni limitate nel tempo, congrue al
 fine  e  adeguatamente  motivate, anche in sede di proroga, in ordine
 alla permanenza attuale dei presupposti; non consente di sottoporre i
 detenuti  a  trattamenti  contrari  al  senso  di  umanita'  ne'   di
 escluderli  dalle  attivita' di osservazione e trattamento nonche' da
 quelle volte alla realizzazione  della  personalita';  e  che,  cosi'
 interpretata,  la norma impugnata non viola ne' i diritti alla tutela
 giudiziaria e alla difesa, ne' il principio  di  presunzione  di  non
 colpevolezza, ne' quello di irretroattivita' della legge penale;
     che   l'ordinanza  in  esame  ripropone  gli  stessi  profili  ed
 argomenti gia' esaminati nella citata sentenza n. 376 del 1997, dalla
 cui motivazione la Corte non ha ragione  di  discostarsi,  risultando
 dunque manifestamente infondata la questione ora riproposta.