ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  212,  primo
 comma  del  codice  penale, promosso con ordinanza emessa il 1 luglio
 1997 dal magistrato  di  sorveglianza  di  Sassari  nel  procedimento
 penale  a  carico di M. G., iscritta al n. 673 del registro ordinanze
 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  42,
 prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  22  aprile  1998  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto  che il magistrato di sorveglianza di Sassari, nell'ambito
 di un procedimento instaurato, ex art. 212, primo comma,  del  codice
 penale,  per  la sospensione della misura di sicurezza della liberta'
 vigilata, cui era sottoposto  un  soggetto  che,  in  pendenza  della
 misura,  era  stato  tratto  in  arresto  per  detenzione di sostanze
 stupefacenti, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale
 di  tale  norma,  nella parte in cui non prevede la sospensione della
 misura di sicurezza -  nella  specie,  la  liberta'  vigilata  -  nei
 confronti della persona sottoposta a custodia cautelare in carcere;
   Che,   ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  norma  denunciata
 contrasterebbe:
     con l'art. 3 (indicato solo in motivazione  come  secondo  comma)
 della  Costituzione,  a  causa della disparita' di trattamento tra il
 detenuto in espiazione di  pena,  nei  cui  confronti  la  misura  di
 sicurezza rimane sospesa durante l'esecuzione della pena stessa, e il
 soggetto  sottoposto  alla  custodia  cautelare  in  carcere, nei cui
 confronti  non  e'  disposta  analoga  sospensione  della  misura  di
 sicurezza: tale soggetto, privato della liberta' senza  essere  pero'
 ammesso ai trattamenti rieducativi penitenziari, risulterebbe infatti
 irragionevolmente  destinatario  di  un regime di sfavore, essendo in
 concreto  privato  della  possibilita'  di  dimostrare,  mediante  il
 reinserimento   nella   societa'   libera,   il   venir   meno  della
 pericolosita' sociale, con l'abnorme  conseguenza  della  "automatica
 sottoposizione  ad  un  ulteriore  periodo  di  misura di sicurezza",
 ovvero  di  una  declaratoria  non  motivata  di   cessazione   della
 pericolosita';
     con  l'art.  27  della Costituzione (indicato solo in motivazione
 come terzo comma), in forza  del  quale  il  sistema  dell'esecuzione
 penale,  ivi  compreso  il  regime delle misure di sicurezza, essendo
 orientato alla rieducazione  del  condannato,  deve  consentirgli  la
 possibilita'  di dimostrare in concreto il suo reinserimento sociale;
 possibilita' che e' invece preclusa se la persona sottoposta a misura
 di sicurezza trascorre parte del periodo di esecuzione  della  misura
 in stato di custodia cautelare;
     con  gli  artt.  25  e  101  della Costituzione (indicati solo in
 motivazione, rispettivamente, come terzo e secondo comma), in  quanto
 la  sottoposizione  ad un ulteriore periodo di liberta' vigilata, che
 verrebbe verosimilmente disposta nei confronti di chi ha trascorso in
 stato di custodia cautelare gran parte del periodo che avrebbe dovuto
 trascorrere in liberta' vigilata, "interverrebbe solo mediatamente in
 forza di legge", ma sarebbe in effetti determinata dal  fatto  di  un
 terzo,  cioe' dell'autorita' giudiziaria che ha emesso l'ordinanza di
 custodia cautelare;
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
   Considerato   che   il   rimettente,   muovendo   dal   presupposto
 interpretativo  che  l'art.  212,  primo  comma, cod. pen. dispone la
 sospensione  di  qualsiasi  misura  di  sicurezza,  detentiva  e  non
 detentiva, quando nel corso dell'esecuzione della misura stessa debba
 essere  scontata  una  pena detentiva, ritiene che la norma censurata
 non consenta di disporre la sospensione della misura di  sicurezza  -
 nella  specie,  la  liberta'  vigilata  -  nei  confronti  di  chi e'
 sottoposto a custodia cautelare;
     che questa Corte e' pertanto chiamata a  prendere  esclusivamente
 in esame la situazione di chi, nel corso dell'esecuzione della misura
 di  sicurezza non detentiva della liberta' vigilata, venga sottoposto
 a custodia cautelare in carcere;
     che il presupposto interpretativo su cui si basa il rimettente e'
 palesemente erroneo, in quanto  tra  la  misura  di  sicurezza  della
 liberta' vigilata e la privazione della liberta' - sia essa derivante
 dall'esecuzione  di pena detentiva o dall'applicazione della custodia
 cautelare in carcere - sussiste una  incompatibilita'  assoluta,  che
 rende    impossibile,    naturalisticamente    ancora    prima    che
 giuridicamente, applicare tale misura (e le altre misure di sicurezza
 personali non detentive, quali il divieto di soggiorno in uno o  piu'
 comuni  o in una o piu' provincie o il divieto di frequentare osterie
 o spacci di bevande alcoliche)  a  chi  si  trova  ristretto  in  uno
 stabilimento penitenziario;
     che,   in   particolare,  non  potrebbero  trovare  attuazione  i
 contenuti tipici della liberta' vigilata descritti dall'art. 228 cod.
 pen.,  tra  i  quali  la  sorveglianza  dell'Autorita'  di   pubblica
 sicurezza, da esercitarsi in modo da favorire, mediante il lavoro, il
 riadattamento   alla   vita   sociale,   nonche'   l'imposizione   di
 prescrizioni idonee ad evitare la commissione di nuovi reati;
     che l'impossibilita' di dare esecuzione alle misure di  sicurezza
 personali  non  detentive quando sopravviene un titolo - definitivo o
 provvisorio  -  di  privazione  della  liberta'  spiega  perche'   il
 legislatore  abbia  ritenuto  superfluo  prevedere  espressamente  la
 sospensione dell'esecuzione di tali  misure  qualora  sopravvenga  lo
 stato di custodia cautelare in carcere;
     che  pertanto  la questione deve essere dichiarata manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.