ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5  e
 10,  del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
 9 giugno 1997 dalla Corte di  cassazione,  iscritta  al  n.  674  del
 registro  ordinanze  1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997.
    Visti gli atti di  costituzione  di  Cianciaruso  Salvatore  e  di
 Giannetti  Giovanni,  nonche' l'atto di intervento del Presidente del
 Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1998 il  giudice  relatore
 Guido Neppi Modona;
   Uditi  gli avvocati Pasquale Caroli e Alfredo Gaito per Cianciaruso
 Salvatore, Pasquale Caroli per Giannetti Giovanni, e l'avvocato dello
 Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Investita di un ricorso promosso ex art.  311  del  codice  di
 procedura  penale avverso un'ordinanza del tribunale di Lecce, che in
 sede di riesame aveva confermato l'applicazione  della  misura  della
 custodia  cautelare in carcere a carico di alcuni indiziati, la Corte
 di cassazione, con ordinanza emessa il 9  giugno  1997,  pervenuta  a
 questa  Corte  il  15  settembre  1997  (R.O.  n.  674  del 1997), ha
 sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
 agli  artt.   3, 13 e 24 della Costituzione, dell'art. 309, commi 5 e
 10, cod.  proc. pen. nella parte in cui "non e' prevista  la  perdita
 di  efficacia dell'ordinanza che dispone la misura coercitiva in caso
 di non  immediato  avviso  della  presentazione  della  richiesta  di
 riesame all'autorita' giudiziaria procedente".
   Il  remittente  premette  che  avverso l'ordinanza del Tribunale di
 Lecce avevano proposto ricorso per  cassazione  tutti  gli  indagati,
 deducendo  tra  l'altro  la  sopravvenuta  inefficacia dell'ordinanza
 impositiva  della  misura  per  il  mancato  rispetto  da  parte  del
 presidente  del collegio dell'obbligo, stabilito dall'art. 309, comma
 5,  cod.    proc.  pen.,  di  dare  immediato  avviso   all'autorita'
 giudiziaria procedente dell'avvenuta presentazione della richiesta di
 riesame;  e  che  la  prima sezione penale della Corte di cassazione,
 rilevata   la   possibilita'   dell'insorgenza   di   un    contrasto
 giurisprudenziale   in   ordine   alla   rilevanza   e  agli  effetti
 dell'inosservanza dell'obbligo di cui al comma 5, dell'art. 309  cod.
 proc.  pen., aveva rimesso i ricorsi alle Sezioni unite con ordinanza
 in data 25 marzo 1997.
   In tale ordinanza si rilevava come, sebbene gli unici precedenti di
 legittimita' sul punto fossero nel senso del carattere non perentorio
 della prescrizione di immediatezza dell'avviso  e  della  conseguente
 assenza di sanzione processuale in ipotesi di inosservanza, argomenti
 testuali  e  sistematici  avrebbero  potuto  consentire  una  diversa
 lettura della disciplina. In particolare, il riferimento alla mancata
 trasmissione  degli  atti  "nei termini di cui al comma 5", contenuto
 nel comma  10,  potrebbe  intendersi  come  comprensivo  del  termine
 sotteso  all'obbligo  del  presidente di dare immediatamente l'avviso
 all'autorita'   giudiziaria   procedente,   assegnando   anche   alla
 prescrizione   di   immediatezza   dell'avviso   valenza  di  termine
 processuale e considerando l'ambito di  applicazione  della  sanzione
 della   perdita   di   efficacia   della   misura   cautelare  esteso
 all'inosservanza di tutti i termini prescritti nel comma 5, dell'art.
 309; ritenendo, cioe', "il termine per  la  trasmissione  degli  atti
 come   necessariamente   connesso   e  coordinato  a  quello  per  la
 comunicazione dell'avviso e da questo inscindibilmente dipendente  ai
 fini della verifica della sua avvenuta osservanza".
   Nell'ordinanza  di  rimessione  alle sezioni unite si puntualizzava
 inoltre che, in conformita' a  quanto  gia'  affermato  dalle  stesse
 sezioni  unite, la questione doveva ritenersi legittimamente proposta
 innanzi alla Corte di cassazione, anziche' davanti al giudice per  le
 indagini    preliminari,    in   quanto   erano   state   prospettate
 contestualmente   anche   questioni   concernenti   la   legittimita'
 originaria del provvedimento cautelare.
   Con  ordinanza  in  data 29 aprile 1997 i ricorsi venivano tuttavia
 restituiti dalle sezioni unite alla prima sezione penale  in  ragione
 della  natura  meramente  ipotetica  del  contrasto giurisprudenziale
 prospettato. Il collegio - nuovamente investito dei  ricorsi,  ma  in
 diversa composizione rispetto a quella che aveva adottato l'ordinanza
 di  rimessione  alle sezioni unite - con l'ordinanza introduttiva del
 presente giudizio di costituzionalita' ha ritenuto non manifestamente
 infondata, in riferimento agli artt. 3, 13 e 24  della  Costituzione,
 la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e
 10, cod. proc. pen. nei termini indicati.
   2. - Nel merito, il giudice a quo afferma di assumere "alla stregua
 di  diritto  vivente"  e,  comunque,  a  "necessaria  premessa  della
 ritenuta     non     manifesta    infondatezza    della    questione"
 l'interpretazione  che  attribuisce  valenza  meramente   ordinatoria
 all'obbligo  di  immediato  avviso all'autorita' procedente, e dunque
 l'assenza di sanzione processuale, in  particolare  di  quella  della
 perdita  di  efficacia della ordinanza custodiale stabilita dal comma
 10,  dell'art.  309,  per  la  violazione  di  tale   obbligo.   Tale
 interpretazione   sarebbe   confortata,   a   giudizio   della  Corte
 remittente,  anche  da  un  argomento  esegetico   desumibile   dalla
 formulazione  dell'art.  172, comma 1, cod. proc. pen.: nel prevedere
 che "i termini processuali sono stabiliti a ore, a giorni, a  mesi  o
 ad  anni", tale disposizione non consentirebbe infatti di configurare
 un vero e proprio termine nei casi in cui la norma  si  limiti,  come
 nella  specie,  a prescrivere genericamente un obbligo di "immediato"
 compimento di un dato adempimento.
   Cosi' univocamente interpretata, la disciplina non si sottrarrebbe,
 secondo il giudice  a  quo,  a  fondati  sospetti  di  illegittimita'
 costituzionale  per  violazione degli artt. 3, primo comma, 13, primo
 comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.
   Sotto il  primo  profilo,  l'ordinanza  osserva  che  il  combinato
 disposto   dei   commi   5   e  10  dell'art.  309  cod.  proc.  pen.
 determinerebbe  una  irragionevole  disparita'  di  trattamento   fra
 situazioni  omologhe  e meritevoli di uguale tutela, in contrasto tra
 l'altro con la finalita' della legge 8 agosto 1995, n. 332,  che  nel
 modificare  le disposizioni impugnate ha inteso estendere le garanzie
 dell'indagato colpito da misura custodiale ed  assicurare  la  rapida
 definizione  del  procedimento di riesame. Da un lato, infatti, viene
 ad essere sanzionato con la caducazione dell'efficacia  della  misura
 ogni  ritardo,  anche minimo, nella trasmissione degli atti necessari
 al giudice del  riesame,  dall'altro  si  lascia  priva  di  sanzione
 processuale qualsiasi, anche rilevante, dilazione nella comunicazione
 all'autorita'   procedente   dell'avviso  della  presentazione  della
 richiesta   di   riesame,    "cosi'    sostanzialmente    vanificando
 l'effettivita'  delle garanzie introdotte dal legislatore e lasciando
 inopinatamente affidata ad una variabile indipendente dal resto della
 sequela procedimentale l'inizio  del  decorso  del  rigoroso  termine
 stabilito, a pena di inefficacia del provvedimento coercitivo, per la
 trasmissione degli atti al tribunale".
   Tale   disciplina   sarebbe   contrastante   con  il  principio  di
 ragionevolezza  desumibile  dall'art.  3  della   Costituzione,   non
 potendosi  rinvenire  alcuna  plausibile ragione per la diversita' di
 regolamentazione di situazioni sostanzialmente omologhe. Essa sarebbe
 altresi' contrastante - prosegue il  giudice  remittente  -  con  gli
 artt.  13  e  24  della  Costituzione,  poiche'  da  essa deriverebbe
 "pregiudizio per una reale, e non meramente formale e  nominalistica,
 tutela  della liberta' personale e per la effettivita' del diritto di
 difesa, non adeguatamente garantite da un meccanismo processuale che,
 consentendo la persistenza di  un  passaggio  procedimentale  il  cui
 rispetto  non  e' presidiato da sanzioni di sorta, risultando rimesso
 esclusivamente alla  diligenza  dell'organo  competente,  rischia  di
 vanificare tutto il sistema di tutela approntato dal legislatore".
   Ritiene,  infine,  il remittente che la questione sia rilevante nel
 giudizio a quo, risultando documentalmente provato  che  il  deposito
 della richiesta di riesame era avvenuto il 23 ottobre 1996 e che solo
 il  2  novembre  1996  il presidente aveva disposto che ne fosse dato
 avviso all'autorita' procedente:  apparendo  dunque  "non  opinabile"
 l'inosservanza  dell'obbligo  di immediatezza di cui al comma 5 della
 norma impugnata, da intendersi come equivalente alla prescrizione  di
 provvedere  "non appena sia configurabile la possibilita' giuridica e
 materiale   dell'adempimento".   L'accoglimento    della    questione
 imporrebbe   infatti   di   dichiarare  inefficace  il  provvedimento
 coercitivo, cui gli indagati risultano tuttora sottoposti.
   3. - Con distinte ma identiche memorie, una delle quali  depositata
 fuori  termine,  si  sono  costituite  in  giudizio le parti private,
 chiedendo la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle
 norme   impugnate,   sulla  base  di  considerazioni  sostanzialmente
 analoghe  a  quelle  contenute  nell'ordinanza  di   rimessione.   In
 particolare  si  fa  rilevare che la scelta del legislatore, compiuta
 con le modifiche recate alle disposizioni  in  esame  dalla  legge  8
 agosto  1995,  n. 335, e' stata quella di rendere certo il dies a quo
 da cui decorre il  termine  di  dieci  giorni  entro  il  quale  deve
 intervenire la decisione del tribunale del riesame.
   Ora,  secondo  la  parte,  la scelta legislativa di imprimere ritmi
 serrati  all'attivita'  di  verifica  del   collegio   de   libertate
 risulterebbe  vanificata se i termini stabiliti come perentori per la
 trasmissione degli atti e per la decisione fossero in fatto  elastici
 a  causa del mancato ancoraggio ad un dies a quo certo e determinato,
 con l'aggravante di lasciare  proprio  all'organo  di  controllo  una
 disponibilita'  del  termine assegnatogli per la decisione. L'obbligo
 di "immediato" avviso sarebbe espressione della volonta'  legislativa
 tesa  a  conseguire  la puntuale osservanza dei tempi scanditi per la
 verifica della misura coercitiva: si deve provvedere subito, in  modo
 automatico e senza possibilita' alcuna di ritardo, in quanto cio' che
 rileva  e'  la  determinazione  da  parte  del legislatore di un arco
 complessivo di tempo (risultante dai due termini per la  trasmissione
 degli  atti  e  per la deliberazione dell'organo di riesame) entro il
 quale deve intervenire la decisione.
   Il fine di  massima  celerita'  evidenziato  dalla  fissazione  dei
 termini  processuali,  coniugato con il rango primario del bene della
 liberta' personale, dovrebbe orientare l'interprete verso una lettura
 delle norme coerente con i principi  del  favor  libertatis  e  della
 tassativita' delle ipotesi di privazione della liberta' personale.
   Sarebbe,  secondo  la  parte,  evidente  il  pregiudizio al fine di
 garanzia che deriverebbe dalla indeterminatezza del dies a quo da cui
 prende impulso l'intera procedura di controllo e decorre il  termine,
 dal  rispetto  del  quale  dipende  l'efficacia del titolo cautelare.
 Sarebbe inoltre evidente la disparita' di trattamento tra i  soggetti
 in   vinculis  derivante  dalla  celerita'  o  meno  dell'adempimento
 presidenziale:   disparita' che si sostanzierebbe  nella  durata  del
 procedimento  di  riesame  contenuta  al  massimo nei quindici giorni
 qualora il Presidente provveda ad  horas  e  nella  durata  di  fatto
 indeterminata  tutte  le  volte  in  cui  il  Presidente del collegio
 ritardi l'avviso all'autorita' procedente.
   Si avrebbe cosi' l'anomalo effetto di far ricadere sul soggetto  in
 vinculis  le  conseguenze  negative  del  mancato  adempimento  di un
 obbligo posto dalla legge a carico di un ufficio giudiziario.
   Consentendosi l'elusione dei limiti temporali stabiliti dalla legge
 per le incombenze del procedimento di riesame si darebbe luogo,  come
 ha  ritenuto  la  Corte remittente, a pregiudizio per la reale tutela
 della liberta' personale e per l'effettivita' del diritto di difesa.
   Da ultimo la parte osserva che  la  prassi  in  vigore  sarebbe  di
 dubbia  conformita'  alle  norme  delle  convenzioni  internazionali,
 richiamate dalla legge di delega per l'emanazione del nuovo codice di
 procedura, le quali sanciscono il diritto del soggetto privato  della
 liberta'  personale  di fare ricorso ad un tribunale affinche' questo
 decida, entro brevi termini, sulla legalita' della detenzione.
   4. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   L'Avvocatura,  premesso  che  l'immediatezza  deve essere intesa in
 senso  non  solo  cronologico   (di   "rapidita'"   dell'azione)   ma
 procedimentale  (di  consequenzialita'  di  un'azione all'altra senza
 "intermediazione" di atti diversi), fa  rilevare  che  la  disciplina
 impugnata   appare   ragionevole  in  considerazione  della  "diversa
 posizione del giudice chiamato al riesame di un atto da  altri  posto
 in  essere,  rispetto  alla  posizione  di  questi,  il  cui  atto e'
 contestato", "sicche' puo' ben considerarsi giusto porre termini piu'
 precisi per quest'ultimo".
   A giudizio dell'Avvocatura, "le garanzie temporali  della  liberta'
 personale  poste  dall'art.  13 della Costituzione non appaiono lese,
 nemmeno con riferimento al rinvio alla legge ordinaria  previsto  dal
 suo   ultimo   comma",  poiche'  si  deve  riconoscere  all'aggettivo
 'immediato' "un contenuto giuridico, valido  pur  al  di  la'  di  un
 termine  cronologico  preciso  definibile in ore, giorni, mesi o anni
 (art. 172 cod. proc.   pen.)"; ne' sarebbe violato  l'art.  24  della
 Costituzione,  poiche'  l'inviolabilita'  del  diritto  di  difesa e'
 compatibile con la disciplina processuale dello stesso.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  investe  il
 combinato disposto dei commi 5 e 10 dell'art. 309 cod. proc. pen., da
 cui   discenderebbe,  secondo  l'interpretazione  fatta  propria  dal
 giudice a quo, che l'inosservanza  dell'obbligo  di  dare  "immediato
 avviso"  all'autorita'  procedente  dell'avvenuta presentazione della
 richiesta di riesame - avviso dal  cui  ricevimento  decorrerebbe  il
 termine  di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale
 competente, che a sua volta deve  decidere  entro  dieci  giorni  dal
 ricevimento  degli atti (comma 9 del medesimo art. 309) - non avrebbe
 conseguenze  processuali,  in  particolare  non  darebbe  luogo  alla
 decadenza dell'efficacia della misura coercitiva, ai sensi del citato
 comma 10.
   Tale   situazione   normativa,   secondo   la   Corte   remittente,
 confliggerebbe con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per  la
 irragionevole  disparita'  di trattamento di situazioni analoghe; con
 l'art. 13, primo comma, per il pregiudizio che ne deriverebbe ad  una
 reale,  e non meramente formale, tutela della liberta' personale; con
 l'art.    24,  secondo  comma,  per  la  inadeguata  garanzia   della
 effettivita' del diritto di difesa.
   2. - La questione non e' fondata nei sensi di seguito precisati.
   L'art.  309  del  codice  di  procedura  penale, nella formulazione
 originaria, prevedeva: la presentazione della  richiesta  di  riesame
 alla  cancelleria  del  tribunale  competente per il riesame medesimo
 (comma  4);  l'"immediato  avviso",  a  cura  del  presidente   della
 presentazione  della richiesta all'autorita' procedente, che entro il
 giorno successivo doveva trasmettere gli atti al tribunale (comma 5);
 l'obbligo di questo di decidere entro dieci  giorni  dalla  ricezione
 degli  atti  (comma  9);  la  sanzione  della  perdita  immediata  di
 efficacia della misura coercitiva "se la decisione sulla richiesta di
 riesame" non fosse intervenuta "entro il termine  prescritto"  (comma
 10).
   Quest'ultima  disposizione  risponde  all'esigenza di assicurare un
 termine breve e certo per la verifica giudiziale, in contraddittorio,
 dei presupposti della misura cautelare, come  strumento  di  garanzia
 della   liberta'  personale,  alla  cui  protezione  la  Costituzione
 attribuisce particolare rilevanza; cio' anche alla luce  delle  norme
 delle  convenzioni  internazionali,  che sanciscono il diritto di chi
 sia privato della liberta' personale di  ricorrere  ad  un  tribunale
 perche'  sia  deciso  "entro  brevi  termini" (art. 5, comma 4, della
 convenzione europea firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  per  la
 salvaguardia  dei  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) o
 "senza indugio" (art.  9, comma 4, del patto  internazionale  di  New
 York,  del  19 dicembre 1966, relativo ai diritti civili e politici),
 sulla legalita' della detenzione.
   E' evidente  che  in  tanto  puo'  realizzarsi  tale  finalita'  di
 garanzia,  in  quanto  il  termine  fissato dalla legge decorra da un
 momento a sua volta definito e determinabile  con  certezza.  A  poco
 varrebbe  infatti  un  termine  breve  e perentorio per la decisione,
 assistito dalla sanzione processuale della perdita di efficacia della
 misura in caso di inosservanza, se la decorrenza del termine medesimo
 fosse  determinata da eventi o adempimenti rimessi, sia pure sotto la
 comminatoria di termini ordinatori, alla stessa autorita' giudiziaria
 che  procede  o  che  ha  adottato  la  misura  restrittiva,   ovvero
 all'autorita'  chiamata a decidere sulla richiesta di riesame. In tal
 modo la garanzia della liberta' personale, attraverso  la  tempestiva
 decisione sul riesame, resterebbe di fatto affidata alla spontanea, e
 non scontata, sollecitudine degli organi giudiziari.
   Ne'  basterebbe, ai fini di garanzia che si sono detti, l'ipotetica
 responsabilita' disciplinare dei titolari di  uffici  giudiziari  che
 colpevolmente  ritardassero  gli adempimenti loro rimessi, poiche' la
 sorte del destinatario della misura restrittiva  resterebbe  comunque
 assoggettata  ad  andamenti  temporali  incontrollabili:  si  sa, del
 resto,  che,  in  assenza  di  termini  perentori,   le   difficolta'
 organizzative  o  le  vischiosita'  delle prassi burocratiche possono
 portare facilmente, anche al  di  fuori  di  dimostrabili  negligenze
 individuali, al protrarsi dei procedimenti nel tempo.
   3.  -  Ben si comprende, quindi, che il legislatore abbia avvertito
 il bisogno di perfezionare la disciplina in questione, e  di  rendere
 effettiva  la  garanzia del breve termine perentorio per la decisione
 sulla richiesta di riesame, stabilendo che non solo l'inosservanza di
 questo termine, ma  anche  di  quello,  precedente  e  condizionante,
 stabilito  dalla  legge per la trasmissione degli atti al tribunale -
 trasmissione dalla quale lo stesso termine per la decisione e'  fatto
 decorrere  dall'art.  309,  comma 9 - sia sanzionata dalla perdita di
 efficacia de jure della misura coercitiva: in tal senso infatti si e'
 disposto con il nuovo  testo  dell'art.  309,  comma  10,  introdotto
 dall'art. 16, comma 5, della legge 8 agosto 1995, n. 332.
   Contestualmente,   il  termine  per  la  trasmissione  degli  atti,
 originariamente fissato nel "giorno successivo", e' stato  portato  a
 "non  oltre  il  quinto  giorno"  (comma  5  dell'art. 309, anch'esso
 novellato dall'art.  16 della legge n. 332 del  1995):  evidentemente
 considerando  che,  atteso  il carattere perentorio ora attribuito al
 termine medesimo, esso dovesse essere ragionevolmente  allungato  per
 tener  conto  delle eventuali difficolta' degli uffici nell'adempiere
 subito all'obbligo di trasmissione degli atti, cosi'  da  consentirne
 il rispetto in ogni caso.
   L'originario termine del "giorno successivo" e' rimasto nella nuova
 formulazione  della  disposizione,  ad esso aggiungendosi l'inciso "e
 comunque non oltre il quinto giorno". Ma,  poiche'  non  si  possono,
 evidentemente,  considerare contemporaneamente perentori, agli stessi
 effetti,  due  termini   diversi   per   il   medesimo   adempimento,
 l'imperfetta  dizione del nuovo testo potrebbe intendersi solo in due
 modi: o ritenendo che i due termini decorrano da diversi dies a  quo,
 e  cioe'  l'uno,  quello  del  "giorno  successivo",  dalla ricezione
 dell'avviso, l'altro, quello del "quinto giorno", dalla presentazione
 della richiesta di riesame (e allora potrebbe acquistare un senso  il
 riferimento  del  comma  10  al  mancato  rispetto  dei "termini", al
 plurale, "di cui al comma 5"); oppure ritenendo che  l'unico  termine
 assistito  dalla sanzione della perdita di efficacia della misura sia
 quello, stabilito ex novo, di cinque giorni.
   In quest'ultimo caso, il riferimento  apparente  a  piu'  "termini"
 contenuto  nel  comma  10  dovrebbe ritenersi frutto di una difettosa
 formulazione. Infatti, alla ricomprensione, fra i "termini" assistiti
 dalla sanzione della decadenza della misura, di quello - ipotetico  -
 stabilito  perche'  sia  dato  avviso alla autorita' procedente della
 presentazione della richiesta  (secondo  una  interpretazione  in  un
 primo momento considerata non implausibile dalla Corte di cassazione,
 nel  rimettere  alle  sezioni  unite  la questione interpretativa, da
 queste poi non risolta ritenendosi inesistente un effettivo contrasto
 giurisprudenziale), osta, sul  piano  testuale,  il  riferimento  del
 comma  10  al solo adempimento della "trasmissione degli atti", oltre
 che, sul piano logico, la considerazione, fatta  valere  dalla  Corte
 remittente, che l'obbligo di avviso "immediato" non configura un vero
 e   proprio   termine   in   sensotecnico-giuridico,   non  facendosi
 riferimento ad alcuno spazio temporale scandito in ore, giorni,  mesi
 o  anni,  secondo quanto prevede l'art. 172, comma 1, cod. proc. pen.
 per i termini processuali in generale:  senza  dire  dell'incertezza,
 contraria  essa  stessa  alle  esigenze  di  garanzia che dominano la
 materia, e foriera di contenzioso, cui darebbe luogo la necessita' di
 valutare in concreto, caso per  caso,  se  vi  sia  stata  violazione
 dell'obbligo  di "immediatezza" dell'avviso, alla quale conseguirebbe
 la sanzione processuale  della  perdita  di  efficacia  della  misura
 coercitiva  (come  peraltro  sarebbe necessario anche nell'ipotesi di
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme nel  senso
 prospettato dal giudice a quo).
   In  ogni caso, e' decisiva la considerazione che la ratio del nuovo
 termine  perentorio  stabilito  dal  legislatore  del  1995  per   la
 trasmissione  degli  atti e' quella di impedire che il termine per la
 decisione decorra da un dies a quo lasciato alla determinazione degli
 organi giudiziari,  non  astretti  nei  loro  adempimenti  a  vincoli
 temporali assistiti da sanzione processuale. In cio' sta il senso del
 conferimento  del  carattere  di  perentorieta',  a pena di decadenza
 della misura, anche al termine per la trasmissione degli atti: in tal
 modo l'indagato sa che, al massimo entro quindici giorni (cinque  per
 la   trasmissione  degli  atti,  e  altri  dieci  per  la  decisione)
 interverra' la risposta alla sua richiesta di riesame.  E  questo  e'
 proprio l'effetto di garanzia che il legislatore ha voluto attribuire
 alla rigida disciplina in questione.
   4.  -  Ora,  e'  evidente  che  questo effetto di garanzia verrebbe
 ancora una volta frustrato, se lo stesso termine per la  trasmissione
 degli  atti,  che  condiziona  quello per la decisione, venisse fatto
 decorrere da eventi o adempimenti rimessi alle determinazioni e  alla
 sollecitudine  degli  organi  procedenti, senza il vincolo di termini
 perentori e la relativa sanzione processuale. Questo e' invece quanto
 propriamente si verifica, se si assume - secondo    l'interpretazione
 finora  adottata  in  giurisprudenza,  e  accolta  anche  dalla Corte
 remittente - che il  termine  per  la  trasmissione  degli  atti  non
 decorre  dalla presentazione della richiesta di riesame, bensi' dalla
 ricezione, da parte dell'autorita' procedente, dell'avviso della  sua
 avvenuta  presentazione,  e  che  l'obbligo di "immediato avviso",  a
 cura del Presidente del tribunale del riesame, non e' assistito,  nel
 caso di inadempimento, da alcuna sanzione processuale.
   Una  situazione  normativa  cosi' ricostruita non potrebbe sfuggire
 alle censure di incostituzionalita' mosse dal giudice a quo,  poiche'
 verrebbe  meno,  in  un ambito particolarmente delicato com'e' quello
 dei  rimedi  apprestati  dall'ordinamento  a  tutela  della  liberta'
 personale,  la effettivita' del diritto di difesa, di cui fa parte il
 diritto  alla  decisione  "entro  brevi  termini"  o  "senza indugio"
 secondo le convergenti previsioni  delle  convenzioni  internazionali
 sui  diritti,  sottoscritte  dall'Italia  sul  ricorso  al  tribunale
 chiamato a decidere se sussistano i presupposti legali per la  misura
 coercitiva.
   5.  -  Tuttavia,  la  lettura  del  sistema  normativo  accolta dal
 remittente non e' l'unica  possibile:  prima  di  far  luogo  ad  una
 interpretazione  che  condurrebbe  inevitabilmente  al riconoscimento
 della incostituzionalita'  delle  norme,  e'  dovere  dell'interprete
 esaminare  se  non  si  dia  la  possibilita' di una diversa lettura,
 compatibile  col  testo  e  con  il  sistema,  tale  da  evitare   la
 conseguenza  dell'illegittimita'  costituzionale; e, ove tale diversa
 lettura  sia  possibile,   e'   dovere   dell'interprete   procedervi
 direttamente,  secondo  il  canone, costantemente affermato da questa
 Corte, dell'interpretazione conforme alla Costituzione.
   Si e' gia' chiarito come la scelta legislativa  compiuta  nel  1995
 sia  inequivoca,  nel  senso  della volonta' di sottrarre i tempi del
 procedimento  di  riesame  ad  ogni   determinazione   degli   organi
 giudiziari  non  vincolata a termini certi e non disponibili, nemmeno
 nel loro dies a quo,  cosi'  da  dare  piena  garanzia  alla  persona
 colpita dalla misura circa i tempi massimi della decisione.
   In  questo  contesto, la scelta di prevedere la presentazione della
 richiesta di riesame alla cancelleria del tribunale  competente,  con
 il  successivo  obbligo  per l'autorita' procedente, unica a disporre
 degli atti, sulla cui base la misura restrittiva e'  stata  adottata,
 di  trasferirli  ad esso entro un termine perentorio, appare ispirata
 all'intento di facilitare l'organizzazione dei procedimenti da  parte
 del  tribunale  del  riesame,  ma  non certo a quello di inserire nel
 procedimento  una  nuova  fase,  dotata   di   autonomo   significato
 processuale,  come tale vincolata a specifici adempimenti formali e a
 termini entro cui essi debbano essere  compiuti.  L'immediato  avviso
 che  della presentazione della richiesta deve essere dato, a cura del
 Presidente  del  tribunale  del  riesame,  all'autorita'  procedente,
 perche'  essa  provveda alla trasmissione degli atti, non costituisce
 cioe' adempimento dotato di una sua autonoma funzione processuale, ma
 e' solo la condizione materiale, per dir cosi', affinche' l'autorita'
 procedente, che degli atti dispone, possa  adempiere  all'obbligo  di
 trasmetterli.
   Cio'  significa  che  non  si  e'  introdotto  un  nuovo atto nella
 sequenza procedimentale: occorre soltanto che l'ufficio presso cui la
 richiesta e'  presentata  ne  dia  immediata  contezza  all'autorita'
 procedente, cosi' consentendo gli adempimenti richiesti e per i quali
 sono  imposti  termini  perentori,  vale a dire la trasmissione degli
 atti, e, conseguentemente, la decisione. L'avviso puo' essere dato in
 qualsiasi modo, utilizzando i mezzi di comunicazione piu'  opportuni,
 compresi  quelli  che  si  avvalgono di forme di trasmissione che non
 comportano intervallo fra  "spedizione"  e  "ricezione"  dell'avviso.
 L'unica cosa che importa e' che l'autorita' procedente venga portata,
 in  qualsiasi  modo,  a conoscenza del fatto che deve trasmettere gli
 atti per il riesame della misura adottata.
   Libera essendo  la  forma  dell'avviso,  e  semplice  essendone  il
 contenuto   (la   comunicazione   dell'avvenuta  presentazione  della
 richiesta di riesame di un determinato provvedimento restrittivo),  e
 poiche'  esso  si configura non come un atto singolarmente imputabile
 al Presidente e da lui sottoscritto, ma come un adempimento materiale
 dell'ufficio,  che il Presidente deve solo "curare" sia compiuto, non
 vi e' nessun  ostacolo  giuridico  a  che  l'avviso  venga  di  norma
 inoltrato   nello  stesso  contesto  temporale  in  cui  perviene  la
 richiesta, facendo cosi' coincidere il momento dell'avviso con quello
 della presentazione della richiesta stessa.
   La  prescrizione  secondo  cui  l'avviso  deve  essere  "immediato"
 significa,  appunto,  che  l'eventuale  intervallo  temporale  fra la
 presentazione della richiesta e l'avviso della avvenuta presentazione
 non  assume  rilievo  giuridico.  Cio'  che   e'   "immediato",   per
 definizione,  non tollera intervalli temporali predefiniti ( e quindi
 termini),  prima  del  decorso  dei   quali   possa   non   ritenersi
 giuridicamente compiuto l'adempimento.
   Ma  se  e'  cosi',  deve  ulteriormente  concludersi che il termine
 perentorio per la trasmissione degli atti, assistito  dalla  sanzione
 processuale  della  decadenza della misura, non decorre da un evento,
 come la ricezione dell'avviso da parte dell'autorita' procedente, che
 non ha, come si e' detto, giuridica autonomia, ma decorre dal  giorno
 stesso  della  presentazione  della  richiesta,  inteso  come  spazio
 temporale definito e giuridicamente rilevante (posto che i termini in
 questione sono stabiliti a giorni) entro il quale si collocano sia la
 presentazione stessa, sia l'avviso relativo all'autorita' procedente.
   Occorre solo precisare che - ferma la disciplina delle modalita'  e
 dei  termini  per  la proposizione della richiesta di riesame, di cui
 agli artt. 309, commi 1 e 4, 582 e 583 cod.  proc.  pen.  -  ai  fini
 della decorrenza di detto  termine perentorio di cinque giorni per la
 trasmissione  degli  atti  vale, come dies a quo, il giorno in cui la
 richiesta stessa perviene alla cancelleria del tribunale del riesame.
   Dal punto di vista testuale, anche se il giorno "successivo" cui la
 disposizione  continua   a   riferirsi   si   intenda   come   quello
 immediatamente  seguente  al giorno di ricezione dell'avviso da parte
 dell'autorita' procedente (che peraltro dovrebbe di norma coincidere,
 per quanto si e' detto, con il giorno di ricezione della richiesta da
 parte del tribunale del riesame), in  conformita'  a  quanto  tuttora
 prevede  l'art. 100, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nell'ambito
 di una disciplina significativamente riferita agli adempimenti  degli
 uffici,   a   prescindere   dall'obbligo  del  rispetto  dei  termini
 processuali stabiliti dal codice, nulla vieta invece  di  considerare
 che  il  "quinto  giorno",  entro  il  quale devono "comunque" essere
 trasmessi gli atti, a pena di decadenza della  misura  ai  sensi  del
 comma  10,  sia  il  quinto giorno successivo alla presentazione (nel
 senso precisato)  della  richiesta  di  riesame,  potendosi  ritenere
 implicito il riferimento proprio a quell'atto (la richiesta) al quale
 invariabilmente alludono i commi dell'art. 309 precedenti a quello in
 esame.
   Quanto  poi  agli  ostacoli  di  fatto che si possano eventualmente
 frapporre  ad  una  cognizione  effettivamente  immediata,  da  parte
 dell'autorita'    procedente,   dell'avvenuta   presentazione   della
 richiesta - dagli orari di chiusura degli uffici,  ai  ritardi  nella
 individuazione  dell'autorita'  procedente  o  agli errori incorsi in
 tale individuazione - essi, da un punto di vista  di  principio,  non
 assumono  rilievo  giuridico,  in  forza  della preminenza attribuita
 dalla legge all'esigenza di garanzia legata  alla  perentorieta'  del
 termine per la trasmissione degli atti.
   Dal  punto  di  vista pratico, siffatte difficolta' dovranno essere
 evitate o superate mediante le piu' opportune  misure  organizzative,
 affidate ai responsabili degli uffici.
   6.  -  L'obiezione  secondo  cui  non  si potrebbe far decorrere il
 termine per la trasmissione degli atti, adempimento  posto  a  carico
 dell'autorita'   procedente,   prima  che  quest'ultima  abbia  avuto
 conoscenza,  mediante  l'avviso,  dell'avvenuta  presentazione  della
 richiesta  di riesame, puo' (e deve) essere superata considerando che
 nella  specie  il  legislatore  non  ha  configurato   una   sequenza
 procedimentale    in   cui   intervengano   con   atti   e   funzioni
 processualmente autonomi le due istanze giudiziarie, il tribunale del
 riesame e l'autorita' procedente, ma un  unico  fatto  idoneo  a  far
 decorrere   i   termini,  cioe'  la  presentazione  della  richiesta,
 lasciando che la comunicazione fra i  due  uffici  avvenga  in  forma
 libera,  pur  sempre  entro  l'unico arco temporale del primo termine
 perentorio stabilito, quello per la trasmissione degli atti.
   Il legislatore avrebbe potuto - e potrebbe, se facesse una  diversa
 scelta  -  prevedere, ad esempio, la presentazione della richiesta di
 riesame alla stessa autorita' procedente, cosi' rendendo superflua la
 comunicazione  fra  i  due  uffici  giudiziari,  e  consentendo  alla
 medesima   autorita'   di   conoscere  senz'altro,  direttamente,  la
 circostanza  che  fa  decorrere  il   termine   perentorio   per   la
 trasmissione  degli atti. Ma la scelta effettuata, se puo' in ipotesi
 essere  valutata  come   inopportuna   o   foriera   di   difficolta'
 organizzative, non puo' condurre a frustrare in via interpretativa la
 ratio  garantistica  della  statuizione  di  termini perentori per il
 procedimento di riesame.
   Ne' puo' ritenersi, tale scelta, priva di logica o  palesemente  in
 contraddizione  con le esigenze minime di organizzazione degli uffici
 giudiziari. Nel bilanciamento  fra  queste  esigenze  e  quelle,  pur
 sempre  prevalenti,  legate  al  favor  libertatis  e  alla  garanzia
 effettiva di un  rapido  riesame  delle  misure  coercitive,  non  e'
 illogico  avere  posto  a  carico  degli uffici giudiziari l'onere di
 comunicazioni informali idonee a consentire il compimento degli  atti
 processuali   entro   i   termini   perentori  stabiliti.  E  non  e'
 irragionevole l'aver ricompreso nel termine di  cinque  giorni  dalla
 presentazione  della  richiesta,  stabilito per la trasmissione degli
 atti - termine considerevolmente protratto, proprio per  tener  conto
 del  carattere  perentorio  ora ad esso attribuito, rispetto a quello
 originariamente  stabilito  nel  "giorno  successivo"  -  tutti   gli
 adempimenti  materiali  necessari per rendere concretamente possibile
 la tempestiva trasmissione degli atti al tribunale del riesame.
   7. - Questa Corte e' ben consapevole che l'interpretazione da  essa
 proposta  non  coincide  con  quella  che la giurisprudenza ha finora
 seguito, e che peraltro la stessa autorita' remittente ha mostrato di
 voler  mettere  in   discussione,   contestandone   la   legittimita'
 costituzionale.    E'  tuttavia  la  forza  preminente  dei  principi
 costituzionali relativi alla garanzia giurisdizionale in  materia  di
 liberta'  personale  che impone di non dar seguito, anzitutto in sede
 interpretativa,  ad  una  ricostruzione  del  sistema,  la  quale  si
 tradurrebbe   nella   lesione   di  quei  principi:  fermo  restando,
 evidentemente, che il legislatore, se riterra' che dalla norma,  come
 qui  interpretata, discendano eccessive difficolta' organizzative per
 gli  uffici,  potra'  introdurre  altre modifiche della disciplina in
 esame, sempre nell'ambito di un bilanciamento non  irragionevole  fra
 gli  interessi  in  gioco, senza vanificare la essenziale funzione di
 garanzia che ai termini, e alle  sanzioni  processuali  per  la  loro
 inosservanza, si ricollega nel sistema vigente.