ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 649, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1997 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Costantina Capotondi, iscritta al n. 893 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1998 il giudice relatore Gustavo Zagrebelsky. Ritenuto che il pretore di Roma, con ordinanza del 3 novembre 1997 emessa nel corso di un giudizio penale in fase dibattimentale, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui, prevedendo la procedibilita' a querela per i delitti contro il patrimonio commessi in danno - tra altre ipotesi - del coniuge legalmente separato, non stabilisce la medesima regola per il caso di reato commesso in danno del coniuge divorziato; che ad avviso del giudice rimettente la condizione di coniuge separato e quella di ex-coniuge (divorziato) devono ritenersi analoghe, in relazione alla ratio della disposizione impugnata, che intende affidare all'iniziativa della parte offesa la scelta di avanzare istanza punitiva allorche' la stessa sia stata precedentemente legata all'autore del reato da un rapporto coniugale; che la mancata estensione della speciale disciplina all'ipotesi anzidetta configurerebbe pertanto una ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni assimilabili, in violazione dell'invocato principio di uguaglianza; che la questione sollevata e' rilevante - conclude il rimettente - perche' dal suo accoglimento discenderebbe, in rapporto al reato dedotto nel processo, una declaratoria di improcedibilita' per mancanza di querela, allo stato non adottabile; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, argomentando in senso contrario rispetto all'asserita analogia delle situazioni poste a raffronto dal giudice a quo, ha concluso per una declaratoria di infondatezza della questione. Considerato che la richiesta del rimettente, di ricomprendere nell'ambito della disposizione dell'art. 649, secondo comma, cod. pen. in tema di procedibilita' a querela per i delitti contro il patrimonio anche il caso della parte offesa che sia il coniuge divorziato dell'autore del fatto di reato, si basa sull'assunto dell'assimilabilita' di questo caso a quello, preso a termine di raffronto, del coniuge legalmente separato, per il quale vale la regola della procedibilita' a querela; che, in contrario, deve osservarsi che l'anzidetta assimilazione non puo' riconoscersi, una volta che la legge penale dia rilievo giuridico, ai fini del regime di procedibilita' di un'intera categoria di reati, alla relazione in atto che intercorre tra agente e parte offesa, giacche' in un caso - la separazione personale - permane il vincolo matrimoniale, nell'altro - il divorzio - il vincolo matrimoniale e' "sciolto" (art. 149 cod. civ; art. 1 della legge 1 dicembre 1970, n. 898); che tale basilare distinzione e' sufficiente nel senso di far considerare non irragionevole ne' discriminatoria la disciplina impugnata, che risulta coerente con una piu' generale linea di diversificazione degli aspetti penali connessi, rispettivamente, alla separazione personale e al divorzio che questa Corte ha gia' riconosciuto essere non arbitraria e dunque non censurabile in rapporto al parametro invocato (sentenza n. 325 del 1995, punto 4 del diritto; sentenza n. 472 del 1989, punto 3 del diritto); che, alla stregua delle osservazioni che precedono, una volta caduta la premessa dell'omologazione tra le ipotesi dedotte, viene meno di conseguenza la censura di disparita' di trattamento tra le stesse ipotesi, e pertanto la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.