ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, ultimo comma,
 della  legge  28  febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
 dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero  e  sanatoria
 delle  opere  edilizie),  promossi  con  n.  5 ordinanze emesse il 30
 giugno 1997 dal pretore  di  Latina,  sezione  distaccata  di  Gaeta,
 rispettivamente iscritte ai nn. 620, 647, 648, 649 e 650 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn. 40 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  6  maggio 1998 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
   Ritenuto che il pretore di Latina, sezione distaccata di Gaeta, con
 cinque ordinanze di identico contenuto (r.o. nn. 620, 647,  648,  650
 del  1997) emesse nel corso di altrettanti procedimenti di esecuzione
 relativi ad ordini di demolizione contenuti in sentenze  di  condanna
 per  violazioni edilizie passate in giudicato, ha sollevato questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 7, ultimo comma, della legge
 28  febbraio  1985,  n.  47  (Norme   di   controllo   dell'attivita'
 urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
 edilizie), il quale prevede che per le opere eseguite in assenza o in
 totale  difformita'   dalla   concessione   ovvero   con   variazioni
 essenziali,  il  giudice,  con  la  sentenza  di  condanna, ordina la
 demolizione delle opere stesse, se ancora non  sia  stata  altrimenti
 eseguita;
     che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo, sarebbe anzitutto violato
 l'art.     3  della  Costituzione,  creandosi   una   situazione   di
 irragionevole  disuguaglianza  tra i soggetti nei confronti dei quali
 l'esecuzione dell'ordine di demolizione avvenga ad opera del Sindaco,
 e quelli nei cui confronti essa avvenga secondo le regole del  codice
 di procedura penale, ai quali non si applica il sistema di garanzie e
 gravami contemplato per i provvedimenti amministrativi;
     che,  inoltre,  la  norma  impugnata si porrebbe in contrasto con
 l'art. 103 della Costituzione,  perche'  il  giudice  dell'esecuzione
 penale  sarebbe  tenuto  all'esame  di  una  questione  di  carattere
 amministrativo, con  una  deviazione  dallo  schema  delineato  dalla
 predetta  norma costituzionale in riferimento alle attribuzioni degli
 organi di giustizia amministrativa;
     che, infine, il rimettente sospetta la  violazione  dell'art.  24
 della  Costituzione,  in quanto il carattere fortemente attenuato del
 contraddittorio  instaurato  in  sede  di  incidente  di   esecuzione
 rispetto  alle  regole che presiedono al giudizio dinanzi agli organi
 di giustizia amministrativa menomerebbe il diritto di difesa;
     che  nei  giudizi  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello  Stato  che
 ha concluso per la infondatezza delle questioni.
   Considerato  che  deve  escludersi  la  irragionevole disparita' di
 trattamento   lamentata   dal   rimettente,   avuto   riguardo   alla
 disomogeneita' delle situazioni poste a raffronto, in quanto l'ordine
 di  demolizione  imposto dal giudice penale, ex art. 7, ultimo comma,
 della legge n. 47  del  1985,  costituisce  esercizio  di  un  potere
 autonomo,  e  non  omologabile  a  quelli  di  governo del territorio
 riconosciuti all'autorita' amministrativa, in quanto  correlato  alla
 esigenza  di ristoro dell'offesa del territorio (Cass. Sez. unite, n.
 15 del 1996);
     che, alla luce di tali rilievi, si rivelano prive  di  fondamento
 anche le ulteriori censure rivolte alla norma impugnata;
     che, del resto, questa Corte, con la ordinanza n. 56 del 1998, ha
 sottolineato  che l'ordine di demolizione di cui si tratta, ancorche'
 contenuto in una sentenza passata in giudicato, deve essere  revocato
 dallo stesso giudice quando e nei limiti in cui risulti incompatibile
 con  un  provvedimento adottato dalla pubblica amministrazione (Cass.
 pen., n. 3895 del 1990 e n. 489 del 1992), e  che  esso  e'  comunque
 riesaminabile in sede di esecuzione (Cass. pen., n. 1946 del 1992);
     che,  alla  stregua  delle  riferite argomentazioni, le questioni
 devono essere dichiarate manifestamente infondate sotto ogni profilo.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.