ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  sull'ammissibilita'  del conflitto di attribuzione tra
 poteri dello Stato promosso dal pretore di Brescia nei confronti  del
 Presidente  del  Consiglio  dei Ministri, sorto in relazione all'art.
 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29  (Razionalizzazione
 dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
 disciplina  in  materia di pubblico impiego a norma dell'art. 2 della
 legge 23 ottobre 1992, n. 421),  come  sostituito  dall'art.  38  del
 decreto  legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al
 decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29,  sul  pubblico  impiego),
 con  ricorso  depositato il 2 febbraio 1998, ed iscritto al n. 87 del
 registro ammissibilita' conflitti.
   Udito nella camera di consiglio  del  20  maggio  1998  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
   Ritenuto che, con ricorso depositato il 2 febbraio 1998, il pretore
 di  Brescia  ha  sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello
 Stato nei confronti del Governo in relazione all'art. 74 del  decreto
 legislativo    3    febbraio    1993,    n.   29   (Razionalizzazione
 dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
 disciplina in materia di pubblico impiego a norma dell'art.  2  della
 legge  23  ottobre  1992, n. 421), cosi' come sostituito dall'art. 38
 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche
 al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sul pubblico impiego),
 nella parte in cui dispone l'abrogazione dell'art. 13 della legge  23
 dicembre  1992,  n.  498  (Interventi  urgenti  in materia di finanza
 pubblica), come sostituito dall'art. 6-bis del d.-l. 18 gennaio 1993,
 n.   9    (Disposizioni    urgenti    in    materia    sanitaria    e
 socio-assistenziale),  convertito  con  modificazioni con la legge 18
 marzo 1993, n. 67;
     che, secondo la ricostruzione del pretore di Brescia, l'art.   13
 della  legge  n.  498  del  1992, concernente la disciplina di taluni
 adempimenti previdenziali delle province,  delle  comunita'  montane,
 dei  relativi  consorzi e delle Istituzioni pubbliche di assistenza e
 beneficenza (IPAB), e' stato dapprima sostituito dall'art. 6-bis  del
 d.-l.  n.  9  del  1993,  e,  successivamente, e' stato espressamente
 abrogato dall'art. 38  del  decreto  legislativo  n.  546  del  1993,
 disposizione,  quest'ultima,  che ha sostituito l'art. 74 del decreto
 legislativo n. 29 del 1993;
     che il ricorrente deduce di avere  fatto  applicazione  dell'art.
 13  della  legge  n.  498  del 1992 anche dopo che la norma era stata
 abrogata, e di "essere venuto  a  conoscenza  dell'abrogazione  (...)
 per  pura  casualita',  dopo circa quattro anni", sicche' dalla detta
 abrogazione e' derivato "un  danno  agevolmente  individuabile  nella
 perdita   di   credibilita'   esterna   ed   interna   dell'autorita'
 giudiziaria, la quale ha per anni applicato  una  norma  abrogata  e,
 cosi',   violato   il  principio  costituzionale  che  le  impone  di
 rispettare la legge";
     che,  ad  avviso  del  pretore  di Brescia, l'art. 38 del decreto
 legislativo n. 546 del 1993 e' inoltre  illegittimo  per  eccesso  di
 delega   ed   anche  per  irragionevolezza,  in  quanto  ha  disposto
 l'abrogazione di una disciplina legislativa che, al momento in cui la
 legge di delegazione e'  entrata  in  vigore,  non  risultava  ancora
 vigente;
     che,  secondo  il  ricorrente,  la  natura  legislativa dell'atto
 impugnato non preclude l'ammissibilita' del conflitto, dato  che  gli
 istituti del conflitto di attribuzione e del giudizio di legittimita'
 costituzionale  in  via incidentale "sono coesistenti e concorrenti e
 non antagonisti ed incompatibili";
     che il ricorrente chiede, infine,  che  la  Corte  costituzionale
 dichiari  "la  spettanza  in  via esclusiva all'Autorita' giudiziaria
 della funzione giurisdizionale ed  in  particolare  dell'attribuzione
 che  le  impone di conoscere ed applicare la legge, attribuzione lesa
 nella sua credibilita' esterna ed interna dall'inidoneita'  dell'art.
 74  del  decreto  legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito
 dall'art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre  1993,  n.  546,  ad
 essere  conosciuto  ed  applicato"  e,  per  l'effetto,  annulli tale
 disposizione   "con    specifico    riferimento    alla    previsione
 dell'abrogazione  dell'art.    13  della  legge n. 498 del 1992, come
 sostituito dall'art. 6-bis della legge n. 67 del 1993".
   Considerato che, in questa fase del  giudizio,  a  norma  dell'art.
 37,  terzo  e  quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa
 Corte e'  chiamata  a  deliberare  senza  contraddittorio  in  ordine
 all'ammissibilita'  del ricorso sotto il profilo dell'esistenza della
 "materia  di  un  conflitto  la  cui  risoluzione  spetti  alla   sua
 competenza";
     che,  sotto  il  profilo  dei requisiti soggettivi, il pretore di
 Brescia deve ritenersi  legittimato  a  sollevare  il  conflitto,  in
 ragione  della  posizione  di  piena  indipendenza  attribuita  dalla
 Costituzione a ciascun organo  giurisdizionale  nell'esercizio  delle
 relative  funzioni (ex plurimis ordinanze nn. 37 del 1998, 469, 442 e
 325 del 1997), e che  il  Governo,  in  persona  del  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri, e' legittimato a resistervi;
     che,  in  ordine  alla  sussistenza  dell'oggetto  del conflitto,
 occorre valutare se il ricorrente lamenti  la  violazione,  da  parte
 dell'atto   impugnato,   di   una   propria   sfera  di  attribuzioni
 costituzionalmente garantita (sentenza n. 49 del 1998, ordinanze  nn.
 131 e 73 del 1997);
     che  il  pretore  di  Brescia  deduce la violazione delle proprie
 attribuzioni  costituzionali  da  parte  dell'art.  38  del   decreto
 legislativo  n.  546  del  1993,  per il fatto che tale disposizione,
 anche in conseguenza dei modi e dei tempi  di  approvazione,  sarebbe
 "inidonea"  ad  essere conosciuta ed applicata, e quindi lesiva della
 funzione giurisdizionale nella sua "credibilita' interna ed esterna";
     che i motivi  per  i  quali  la  disposizione  impugnata  sarebbe
 "inidonea" ad essere conosciuta ed applicata sin dalla sua entrata in
 vigore,    e    la   "perdita   di   credibilita'"   della   funzione
 giurisdizionale,  dedotta  dal  ricorrente  quale  limitazione  della
 propria  sfera  di  competenza,  non concretano pero' una menomazione
 giuridicamente apprezzabile  delle  attribuzioni  costituzionali  del
 ricorrente  medesimo,  ma  integrano,  semmai, una situazione di puro
 fatto,  insuscettibile  ex  se  di  dar  vita  ad  un  conflitto   di
 attribuzione fra poteri dello Stato;
     che  difetta  conseguentemente,  sotto  il  profilo  oggettivo  e
 prescindendo da ulteriori motivi di  inammissibilita'  relativi  alla
 natura  legislativa dell'atto impugnato, la "materia" di un conflitto
 la cui risoluzione spetti alla competenza di questa Corte, in  quanto
 il   ricorso   non   prospetta   alcuna  lesione  di  un'attribuzione
 costituzionalmente garantita.