ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, che sostituisce l'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, promossi con ordinanze emesse il 29 novembre, il 27 novembre 1996 e il 25 febbraio 1997 dalla Corte dei conti, Sezione prima centrale di appello, il 15 maggio 1997 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Liguria, ed il 26 settembre 1997 dalla Corte dei conti, Sezione prima centrale di appello, rispettivamente iscritte ai nn. 182, 185, 500 e 881 del registro ordinanze 1997 ed al n. 211 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16, 35 e 53, prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visto l'atto di costituzione di Trani Roberto, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 2 giugno 1998 il giudice relatore Massimo Vari; Uditi l'avvocato Vincenzo Colacino per Trani Roberto e l'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con tre ordinanze di contenuto pressoche' identico, emesse, rispettivamente, il 29 novembre 1996, il 27 novembre 1996 e il 25 febbraio 1997 (r.o. nn. 182, 185 e 500 del 1997), la Sezione prima centrale di appello della Corte dei conti ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 543, recante "Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti", denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui "limita la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave". Il predetto articolo viene denunciato dalle prime due ordinanze nel testo risultante dal d.-l. e, dalla terza, nella versione finale contenuta nella legge di conversione 20 dicembre 1996, n. 639. 1.1. - Le ordinanze - ritenuta rilevante la questione, in quanto, da un lato, nei casi esaminati dal giudice contabile sarebbe configurabile l'ipotesi della "colpa normale" e, dall'altro, la disciplina denunciata risulta applicabile anche ai giudizi in corso, giusta l'art. 3, secondo comma, dello stesso d.-l. n. 543 del 1996 - osservano, quanto alla non manifesta infondatezza, che gia' in passato la Corte costituzionale si e' occupata di norme che limitavano la responsabilita' amministrativa di amministratori e dipendenti pubblici ai soli casi di dolo e di colpa grave, dichiarandone la conformita' ai principi costituzionali. Peraltro, nelle varie pronunce, la Corte costituzionale riconoscerebbe che la regola della comune responsabilita' per colpa lieve, vigente anche per i dipendenti pubblici, e', tuttavia, suscettibile di deroga, da parte del legislatore, graduando e determinando discrezionalmente i tipi e i limiti di responsabilita', che, in relazione alle varie categorie di appartenenza o alle particolari situazioni regolate, appaiano i piu' idonei a garantire il buon andamento della pubblica amministrazione ed il controllo contabile. Invece, la disposizione censurata estenderebbe in maniera indifferenziata a tutto l'universo dei pubblici dipendenti ed amministratori la limitazione della responsabilita' stessa ai soli casi di dolo e colpa grave e, quindi, comporterebbe l'irragionevole livellamento, verso un piu' intenso grado di colpa, di una responsabilita' che, nel requisito comune della colpa lieve, non solo non risulterebbe di ostacolo - di regola - al sollecito ed efficiente svolgimento dell'azione amministrativa, ma anzi rappresenterebbe l'indispensabile presidio per il corretto esercizio delle funzioni pubbliche. In relazione ai profili esposti emergerebbe, dunque, il contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione. Al tempo stesso il carattere generale della disposta limitazione di responsabilita' si presterebbe a determinare situazioni di incuria nell'esercizio delle pubbliche funzioni, con conseguente sottrazione alla giurisdizione contabile di una serie di comportamenti lesivi di beni la cui tutela la Costituzione affida alla detta giurisdizione. Ne conseguirebbe la violazione anche degli artt. 97 e 103, secondo comma, della Costituzione, che sanciscono principi volti a realizzare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici. 2. - Con ordinanza n. 881 del 1997, emessa il 15 maggio 1997, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Liguria, ha sollevato anch'essa questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione. Il rimettente - ritenuta rilevante la questione per le stesse ragioni di cui alle altre sopra menzionate ordinanze - osserva che il principio della responsabilita' per colpa lieve puo' subire deroghe ad opera del legislatore, in relazione alle varie categorie di dipendenti, o alle particolari situazioni regolate, avendo, comunque, l'obiettivo della salvaguardia delle garanzie costituzionali del buon andamento della p.a. e del controllo contabile. Pertanto apparirebbe irragionevole il generalizzato livellamento della responsabilita' contabile al grado della colpa grave, specie ove si consideri che, in contrasto con il principio dell'eguaglianza, si vengono ad assoggettare ad identico regime comportamenti che il legislatore ha sempre regolato diversamente, dando luogo alla conseguente parificazione di situazioni niente affatto omogenee. In tal guisa si determinerebbe, altresi', una sostanziale sottrazione alla giurisdizione contabile di una serie di comportamenti lesivi del patrimonio pubblico la cui tutela, ai sensi dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione, e' affidata alla Corte dei conti. Inoltre, secondo le prospettazioni rappresentate dal Procuratore regionale e richiamate integralmente dall'ordinanza di rimessione, non andrebbe trascurato l'ulteriore effetto costituito dal fatto che analoghe situazioni sarebbero assoggettate a regimi giuridici diversi, a seconda del giudice che e' chiamato a pronunciarsi (come nel caso della costituzione della p.a. quale parte civile nel giudizio penale per i danni conseguenti al reato colposo commesso dal dipendente). La disposizione censurata risulterebbe, quindi, in contrasto con il principio di eguaglianza previsto dall'art. 3 della Costituzione, nonche' con i principi del buon andamento della p.a. e del controllo contabile, contemplati dagli artt. 97 e 103, secondo comma, i quali sono legati entrambi dal comune fine di assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici. 3. - La stessa disposizione sopra menzionata, nel testo di cui alla legge di conversione 20 dicembre 1996, n. 639, risulta denunciata anche dalla Sezione prima centrale di appello della Corte dei conti, con ordinanza emessa il 26 settembre 1997 (r.o. n. 211 del 1998), in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 81, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione, relativamente alla responsabilita' degli agenti contabili e degli altri soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, in ragione di obblighi propriamente contabili. Il giudice rimettente - nel rammentare i dubbi gia' sollevati dalla stessa Sezione, nella precedente ordinanza del 25 febbraio 1997 (r.o. n. 500 del 1997) - ravvisa, con riferimento alla responsabilita' contabile in senso proprio, ulteriori e piu' specifici profili di illegittimita' della norma denunciata, osservando che gli obblighi di conservazione, restituzione o rendicontazione incombenti sugli affidatari di beni pubblici sono preordinati a garantire il permanere della consistenza patrimoniale dell'erario ai livelli cui la portano i flussi di cassa e i movimenti di materie. Di qui la necessita' che gli equilibri alterati dalla condotta dei contabili vengano immancabilmente e compiutamente ricostituiti, concretandosi la responsabilita' contabile in una inderogabile obbligazione restitutoria (di secondo grado) del contabile inadempiente, la quale (secondo il disposto dell'art. 194 del regio decreto n. 827 del 1924) permane anche nel caso di furto, forza maggiore o deperimento dei beni, ove non sia provata la non imputabilita' del danno a negligenza, anche solo concorrente, del contabile stesso o ad un suo indugio a richiedere per tempo i necessari provvedimenti conservativi. L'ordinanza osserva che la introdotta limitazione di responsabilita' si appaleserebbe, dunque, irrazionale, atteso l'evidente contrasto con le esigenze fondamentali dell'ordinamento contabile e con i criteri di ragionevolezza ed equita' della legislazione insiti nell'art. 3 della Costituzione; infatti, escludere la responsabilita' contabile nei confronti dell'erario, nel caso di "colpa normale", equivarrebbe a rimuovere l'effetto garantistico delle regole contabili, rendendo, altresi', incerta la consistenza patrimoniale dello Stato e degli altri enti, ed anche quella finanziaria, in virtu' della connessione fra le due valenze sancita dalle regole sui bilanci pubblici, di cui alla legge n. 468 del 1978 e successive modifiche. In termini di ingiustificata disparita', censurabile ex art. 3 della Costituzione, la denunciata limitazione di responsabilita' ai soli casi di colpa grave finirebbe, inoltre, per delineare - a favore dei contabili pubblici - un regime meno rigoroso di quello previsto per le consimili figure privatistiche dei tutori, curatori ed amministratori in genere, i quali - per comune principio - rispondono secondo il criterio della diligenza del buon padre di famiglia, che, di regola, non soffre il limite della colpa grave. Cio' apparirebbe tanto piu' irrazionale in quanto la limitazione di responsabilita' si estende anche ai soggetti con i quali la p.a. instaura rapporti convenzionali per i servizi di riscossione, tesoreria e di cassa (che danno luogo a rapporti di carattere contabile), sicche' anche detti soggetti sarebbero esonerati da qualsiasi obbligazione restitutoria (oltre che eventualmente risarcitoria), in presenza di danni derivanti da trascuratezze dei dipendenti, che non si presentino "sconsiderate in modo accentuato". Rilevato, altresi', che la disposizione finirebbe per sfavorire ingiustamente il creditore pubblico e il datore di lavoro pubblico rispetto ai corrispondenti soggetti privati, l'ordinanza ritiene violato anche l'art. 97 della Costituzione, non solo su un piano piu' generale (gia' trattato nella richiamata ordinanza di rimessione n. 500 del 1997), ma, soprattutto, con specifico riguardo agli effetti negativi che possono sortire dagli ampi margini di immunita' introdotti per gli errori compiuti; effetti che, in contrasto con i tradizionali canoni di precisione e coerenza nelle operazioni contabili e con la crescente domanda di professionalita' del pubblico impiego, espongono a grave rischio i pubblici averi. Secondo l'ordinanza, data la stretta connessione esistente tra le gestioni contabili dei vari settori in cui si articola la finanza pubblica ed i conti generali della medesima, la disposizione contrasterebbe anche con l'art. 81 della Costituzione: infatti la nuova disciplina, in conseguenza del lassismo che da essa puo' sortire, avrebbe l'effetto di non garantire la tempestivita' e la completezza dei dati finanziari e patrimoniali generali, con conseguenze negative sul piano delle leggi di bilancio e di riequilibrio della finanza pubblica, nonche' su quello della credibilita' dei dati dimostrativi del rispetto dei "parametri di Maastricht", dando luogo, in tal guisa, anche alla violazione dell'art. 11 della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto degli obblighi internazionali e delle limitazioni derivanti da quel Trattato, oltre che da quello precedente di Roma. Infine, sminuendo all'origine il basilare obbligo di tempestiva rendicontazione, la disposizione avrebbe riflessi negativi sulla regolarita' delle gestioni, e quindi sull'effettivita' del giudizio di conto, disattendendo cosi' sia l'art. 103, secondo comma, della Costituzione - che attribuisce alla Corte dei conti la verifica della regolarita' delle gestioni contabili pubbliche attraverso l'esperimento del giudizio di conto - sia l'art. 24, atteso che la garanzia giurisdizionale della difesa dei diritti patrimoniali dell'erario - in tal caso - si ridurrebbe ad una formula di stile, inadeguata a dare certezza di giudicato ai dati contabili. 4. - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. 4.1. - Sotto il primo aspetto si rileva che, successivamente alla pubblicazione delle ordinanze, il d.-l. 23 ottobre 1996, n. 453, in cui e' inserita la disposizione denunciata, e' stato convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, che, da un lato, reca una norma "piu' complessa ed articolata" rispetto a quella censurata e, dall'altro, apporta significative ulteriori modifiche ed integrazioni alle restanti parti dell'art. 1 della legge n. 20 del 1994, oggetto dell'intervento legislativo d'urgenza sopracitato. 4.2. - Nel merito la questione sarebbe, comunque, infondata. La giurisprudenza costituzionale, richiamata anche dalle ordinanze di rimessione, metterebbe in risalto come la diversa valutazione del titolo della responsabilita' di alcune categorie di dipendenti pubblici non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, in quanto espressione dell'adeguamento dell'ordinamento a differenti realta' lavorative ed organizzative. In particolare, nella sentenza n. 1032 del 1988, si sottolinea come non sia desumibile dall'ordinamento il principio secondo il quale il pubblico dipendente e' tenuto a rispondere per qualsiasi grado di colpa. Ricordato, inoltre, che il potere riduttivo affidato alla Corte dei conti dimostra come il principio vigente sia quello di "graduabilita' in via generale dell'elemento psicologico", l'Avvocatura osserva che il legislatore, nella norma denunciata, ha conformato la responsabilita' dei dipendenti alle mutate realta' del pubblico impiego; d'altra parte la limitazione della responsabilita' ai casi di dolo o colpa grave, piu' che ad una colpa valutata con minor rigore, alluderebbe ad un restringimento generalizzato delle ipotesi di responsabilita' amministrativa ai soli casi definiti gravemente colposi. Quanto, poi, agli altri prospettati profili di illegittimita' costituzionale, si rileva che gli artt. 97 e 103, secondo comma, della Costituzione, lungi dal far configurare in capo ai pubblici dipendenti un principio di inderogabilita' delle comuni regole della responsabilita' civile, conducono, invece, ad affermare la regola della responsabilita' di quei dipendenti in conformita' alla specifica situazione. Pertanto, fermo restando che le norme che regolano la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili solo in caso di cattivo uso della discrezionalita' da parte del legislatore, nel caso di specie la nuova disciplina terrebbe conto del mutato assetto dell'organizzazione della pubblica amministrazione, nascente dal decreto legislativo n. 29 del 1993, che collega la valutazione del personale ai risultati conseguiti. Proprio in questa ottica dovrebbe essere letta la scelta di richiedere la valutazione della responsabilita' in concreto, sulla base dei canoni di prevedibilita' e prevenibilita', al fine di accertare la reale attivita' che il soggetto ha posto in essere o ha omesso; allo stesso modo si atteggerebbe la conseguente scelta di imporre alla Corte dei conti la valutazione delle singole responsabilita', ponendo a carico dei responsabili (esclusa l'ipotesi del dolo) la sola porzione di danno addebitabile e, sintomaticamente, l'obbligo di considerare i vantaggi comunque conseguiti dalla pubblica amministrazione, o dalla comunita' amministrata; considerazione che esplicitamente viene sottratta all'ambito del c.d. potere riduttivo della Corte dei conti. Emergerebbe - quindi - un nuovo modello di responsabilita' del pubblico dipendente (diverso dal generale paradigma aquiliano), da rapportare non piu' ad una formale valutazione di colpevolezza, ma ad una misurazione del concreto pregiudizio. 5. - Nel giudizio di cui all'ordinanza r.o. n. 500 del 1997 si e' costituita anche la parte privata, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile e/o infondata, richiamando, all'uopo, la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo la quale rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilita', nonche' il grado di colpa richiesto. Ad avviso della parte la generalizzata esclusione della colpa lieve non apparirebbe irragionevole e tale da far ritenere alterato il principio della par condicio di tutti gli interessati di fronte alla legge. Considerato in diritto 1. - I giudizi di cui alle ordinanze in epigrafe possono essere riuniti e decisi con un'unica pronunzia, in ragione dell'identita' o connessione dell'oggetto, atteso che concernono la legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 543, recante "Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti", convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, nella parte in cui, sostituendo l'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, limita la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, in materia di contabilita' pubblica, ai fatti ed omissioni posti in essere con dolo o colpa grave. 2. - I giudici rimettenti ritengono che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione: per l'irragionevole livellamento della responsabilita', conseguente all'estensione indifferenziata, a tutte le categorie di dipendenti ed amministratori pubblici, della limitazione della responsabilita' stessa ai soli casi di dolo o colpa grave (r.o. nn. 182, 185, 500 e 881 del 1997); per l'assoggettamento di situazioni analoghe a regimi giuridici diversi, a seconda del giudice chiamato a pronunziarsi, come nel caso di costituzione di parte civile della pubblica amministrazione nel giudizio penale, per il reato colposo commesso dal dipendente (r.o. n. 881 del 1997). 2.1. - In riferimento al predetto art. 3 della Costituzione, e con specifico riguardo ai casi di responsabilita' degli agenti contabili e degli altri soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte in virtu' di obblighi propriamente contabili, l'ordinanza iscritta al r.o. n. 211 del 1998 sviluppa ulteriori censure sotto il profilo: della violazione dei principi di "ragionevolezza ed equita'", atteso che l'esclusione della responsabilita' contabile nel caso di "colpa normale" equivale a rimuovere l'effetto garantistico delle regole contabili ed a rendere, altresi', incerta la consistenza patrimoniale e finanziaria dello Stato e degli enti pubblici; dell'introduzione, in favore dei contabili pubblici, di un regime meno rigoroso di quello previsto per le consimili figure privatistiche; il che sarebbe tanto piu' irrazionale, ove si consideri che tale regime si estende anche ai soggetti con i quali la pubblica amministrazione instaura rapporti convenzionali, per i servizi di riscossione, tesoreria e cassa; del diseguale trattamento riservato al creditore pubblico e al datore di lavoro pubblico rispetto ai corrispondenti soggetti privati, per quel che concerne l'ampiezza della tutela dei rispettivi interessi, nei riguardi degli agenti contabili e dei dipendenti addetti ad adempimenti contabili. 3. - Comune ai diversi giudici rimettenti e', altresi', il dubbio di illegittimita' costituzionale della disposizione in questione, per violazione dell'art. 97 della Costituzione, che le prime quattro ordinanze (r.o. nn. 182, 185, 500 e 881 del 1997) pongono in connessione con l'art. 103, secondo comma, denunciando gli effetti di permissivita' ed incuria che la disposizione stessa puo' indurre nell'esercizio delle pubbliche funzioni; e cio' in palese contrasto con i principi costituzionali volti a realizzare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici. Viene sottolineata, altresi', la sostanziale sottrazione alla giurisdizione contabile di una serie di comportamenti lesivi del patrimonio pubblico la cui tutela, ai sensi del predetto art. 103, secondo comma, della Costituzione, e' affidata alla Corte dei conti (r.o. n. 881 del 1997). Analogamente l'ordinanza di cui al r.o. n. 211 del 1998, nell'evocare i teste' ricordati parametri, rileva: quanto all'art. 97, gli effetti negativi derivanti dagli introdotti ampi margini di immunita' per gli errori compiuti, restando cosi' disattesi, tra l'altro, i canoni di precisione e di coerenza nelle operazioni contabili, a fronte della crescente domanda di professionalita' e delle esigenze di salvaguardia della finanza pubblica; quanto all'art. 103, secondo comma, i riflessi negativi che la disposizione censurata avrebbe sull'effettivita' del giudizio di conto e, quindi, sulla verifica della regolarita' delle gestioni pubbliche, nonche' sull'effettivita' della garanzia giurisdizionale dei diritti patrimoniali dell'erario, assicurata dall'art. 24 della Costituzione. 4. - Quest'ultima ordinanza, infine, prospetta la violazione dell'art. 81 della Costituzione, giacche' la nuova disciplina, data la stretta connessione fra le varie gestioni in cui si articola la finanza pubblica, potrebbe non garantire la tempestivita' e la completezza dei dati finanziari e patrimoniali generali, con implicazioni negative sul piano del riequilibrio della finanza pubblica e dei dati dimostrativi del rispetto dei parametri di Maastricht, si' da restarne inciso anche l'art. 11 della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto degli obblighi internazionali e delle limitazioni derivanti da quel Trattato, oltre che da quello precedente di Roma. 5. - In via preliminare va esaminata l'eccezione di inammissibilita' della questione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato negli atti di intervento depositati, in base al rilievo che la legge di conversione sarebbe intervenuta successivamente alle ordinanze di rimessione, recando, peraltro, una norma piu' complessa ed articolata di quella dell'art. 3, comma 1, lettera a) del d.-l. n. 543 del 1996, portata all'esame della Corte. Preso atto della precisazione effettuata nella difesa orale dall'Avvocatura erariale, nel senso che la eccezione preliminare non riguarda le ordinanze di cui al r.o. n. 500 e n. 881 del 1997 e n. 211 del 1998, le quali, emesse in epoca successiva all'entrata in vigore della legge n. 639 del 1996, fanno in effetti riferimento alla disposizione quale risulta dall'avvenuta conversione, la medesima eccezione va respinta con riferimento alle restanti ordinanze (r.o. n. 182 e n. 185 del 1997), che sono, invece, anteriori a detta legge. Invero, non e' riscontrabile nella "norma" censurata una diversita' tale, rispetto a quella contenuta nella legge di conversione, da ostare allo scrutinio di costituzionalita', alla luce dell'orientamento secondo il quale e' l'immutata persistenza della norma stessa ad assicurare la perdurante ammissibilita' del giudizio innanzi a questa Corte, sotto il profilo dell'inalterata sussistenza del suo oggetto (sentenza n. 84 del 1996). Pur considerando che la legge n. 639 del 1996 reca integrazioni e modificazioni di non scarso momento alla disposizione in cui e' ricompresa la norma denunciata, tuttavia le stesse non appaiono sufficienti a concretare la dedotta diversita' dell'oggetto dello scrutinio, poiche' riguardano profili e connotazioni dell'istituto della responsabilita' amministrativa e contabile, che non investono l'elemento soggettivo dell'illecito, in ordine al quale la legge stessa si e' limitata a riprodurre, in maniera pressoche' letterale, la formulazione dell'enunciato gia' contenuto nel d.-l. n. 543 del 1996. 6. - Nel merito le questioni non sono fondate con riguardo ad alcuno degli invocati parametri. I rimettenti, nel richiamare le sentenze con le quali questa Corte, in riferimento a molteplici settori della p.a., ha ritenuto non incostituzionale la limitazione della responsabilita' di amministratori o dipendenti pubblici ai soli casi di dolo o colpa grave (sentenze n. 1032 del 1988, n. 164 del 1982 e n. 54 del 1975), ritengono che da tali precedenti, ancorche' non sia possibile desumere l'esistenza di un principio di inderogabilita' delle comuni regole in tema di elemento soggettivo della responsabilita', si possa, tuttavia, ricavare quello secondo il quale la discrezionalita' del legislatore, per essere correttamente esercitata, deve determinare e graduare i tipi e i limiti della responsabilita', caso per caso, in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile. Ne conseguirebbe la non conformita' ai principi dell'art. 3 della Costituzione di un esercizio di detta discrezionalita' intesa ad introdurre una previsione limitativa in forma generalizzata ovvero con riferimento indiscriminato a tutti i pubblici dipendenti. La Corte e', invece, dell'avviso che i termini in cui le richiamate decisioni enunciano il principio relativo alla discrezionalita' di cui gode il legislatore, nella conformazione delle fattispecie di responsabilita', riflettano la singolarita' dei casi di volta in volta esaminati, ma non consentano di accreditare una lettura riduttiva del principio stesso, nel senso che allo stesso legislatore sia preclusa la facolta' di valutare anche l'ampiezza dell'esigenza cui si ritiene di far fronte. Non v'e', infatti, alcun motivo di dubitare che il legislatore sia arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilita', ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilita' sia ascrivibile (sentenza n. 411 del 1988), senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarieta'. In proposito occorre rilevare che la norma denunciata si colloca nel quadro di una nuova conformazione della responsabilita' amministrativa e contabile, alla stregua di peculiari connotazioni di cui da' dimostrazione, tra l'altro, il principio peraltro gia' anticipato in parte dall'art. 58 della legge n. 142 del 1990 (Ordinamento delle autonomie locali) secondo il quale il debito per il fatto dannoso non si trasmette agli eredi, salvo il caso dell'illecito arricchimento del dante causa e, conseguentemente, dell'indebito arricchimento anche degli stessi eredi. A tale processo di nuova conformazione dell'istituto, sviluppato con le ulteriori previsioni contenute nella legge di conversione, fa riscontro la revisione dell'ordinamento del pubblico impiego, attuata, in epoca di poco precedente, dal decreto legislativo n. 29 del 1993 (cui ha fatto seguito il decreto legislativo n. 80 del 1998) attraverso la c.d. "privatizzazione", in una prospettiva di maggiore valorizzazione anche dei risultati dell'azione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di rigore di gestione. Quali siano le finalita' ispiratrici della contestata norma e' dato desumere, del resto, dagli stessi lavori parlamentari, che evidenziano l'intento di predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilita' non esponga all'eventualita' di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell'attivita' amministrativa. Nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l'istituto qui in esame, la disposizione risponde, percio', alla finalita' di determinare quanto del rischio dell'attivita' debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilita' ragione di stimolo, e non di disincentivo. E cio' secondo valutazioni che, ovviamente, non spetta alla Corte sindacare dal punto di vista della convenienza ed opportunita', restando, percio', fuori dal presente giudizio ogni apprezzamento al quale, sotto il profilo da ultimo accennato, potrebbe, in ipotesi, prestarsi l'avvenuta generalizzazione del criterio della colpa grave; parimenti sfuggono all'apprezzamento, che va espresso in questa sede, anche altri profili, fra quelli segnalati da taluna delle ordinanze, che possono evidenziare, tutt'al piu', problemi di mera disarmonia ovvero di non compiuto raccordo fra il nuovo regime introdotto ed altri istituti vigenti nell'ordinamento. Quanto teste' osservato vale, ovviamente, sia per la responsabilita' amministrativa che per quella contabile, posto che, quanto ad elementi costitutivi, quest'ultima, a prescindere dalla specificita' delle obbligazioni che incombono su coloro che hanno maneggio di beni e valori di pubblica pertinenza, si modella come da tempo chiarito dalla stessa giurisprudenza contabile sullo stesso paradigma che caratterizza la c.d. responsabilita' amministrativa. Per le medesime ragioni va escluso, altresi', il contrasto della disposizione all'esame con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, sotto l'aspetto del buon andamento nonche' della efficienza e regolarita' delle gestioni pubbliche, atteso che, per i motivi sopra esposti, la modifica introdotta dalla disposizione censurata non appare ne' arbitraria ne' irragionevole. 7. - Priva di fondamento e' anche la censura di violazione dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione; articolo che ha soltanto la finalita' di riservare alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica, secondo ambiti la cui concreta determinazione, peraltro, e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore, mentre la norma denunciata concerne la disciplina sostanziale della responsabilita' degli amministratori e dei dipendenti pubblici. 8. - Ugualmente infondate sono le censure prospettate (nell'ordinanza r.o. n. 211 del 1998) in riferimento, da un canto, all'art. 24, e, dall'altro, all'art. 81 in connessione con l'art. 11 della Costituzione. Quanto all'art. 24, e' da rammentare, a tacer d'altro, il pacifico orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale la garanzia apprestata da detto articolo opera attribuendo la tutela processuale delle situazioni giuridiche soggettive nei termini in cui queste risultano riconosciute dal legislatore; di modo che quella garanzia trova confini nel contenuto del diritto al quale serve e si modella sui concreti lineamenti che il diritto stesso riceve dall'ordinamento. 8.1. - Infine, circa gli altri due parametri evocati, e' sufficiente rilevare che la disciplina censurata non presenta nesso diretto ne' con l'adempimento di obblighi internazionali, cui ha riguardo l'art. 11 della Costituzione, ne' con l'art. 81, il quale attiene ai limiti al cui rispetto e' vincolato il legislatore ordinario nella sua politica finanziaria, ma non concerne le scelte che il medesimo compie nel ben diverso ambito della disciplina della responsabilita' amministrativa (da ultimo, v. sentenza n. 327 del 1998).