ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,
 lettera  a),  del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni
 urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito,
 con  modificazioni,  nella  legge  20  dicembre  1996,  n.  639,  che
 sostituisce  l'art.  1,  comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20,
 promossi con ordinanze emesse il 29 novembre, il 27 novembre  1996  e
 il  25 febbraio 1997 dalla Corte dei conti, Sezione prima centrale di
 appello,  il  15  maggio  1997  dalla  Corte   dei   conti,   Sezione
 giurisdizionale per la regione Liguria, ed il 26 settembre 1997 dalla
 Corte  dei  conti, Sezione prima centrale di appello, rispettivamente
 iscritte ai nn.  182, 185, 500 e 881 del registro ordinanze  1997  ed
 al  n.  211  del  registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica nn. 16, 35 e  53,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1997 e n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto di costituzione di Trani Roberto, nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 2 giugno 1998 il  giudice  relatore
 Massimo Vari;
   Uditi  l'avvocato  Vincenzo Colacino per Trani Roberto e l'Avvocato
 dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -   Con tre ordinanze di contenuto pressoche' identico, emesse,
 rispettivamente, il 29 novembre 1996, il 27 novembre  1996  e  il  25
 febbraio  1997  (r.o.  nn. 182, 185 e 500 del 1997), la Sezione prima
 centrale di appello della Corte dei conti ha sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma 1, lettera a), del
 d.-l. 23 ottobre 1996,  n.  543,  recante  "Disposizioni  urgenti  in
 materia  di  ordinamento  della  Corte  dei  conti", denunciandone il
 contrasto  con  gli  artt.  3,  97  e  103,  secondo   comma,   della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui  "limita  la responsabilita' dei
 soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti
 ed alle omissioni commessi con  dolo  o  colpa  grave".  Il  predetto
 articolo  viene  denunciato  dalle  prime  due  ordinanze  nel  testo
 risultante dal d.-l. e, dalla terza, nella versione finale  contenuta
 nella legge di conversione 20 dicembre 1996, n. 639.
   1.1.  -  Le ordinanze - ritenuta rilevante la questione, in quanto,
 da  un  lato,  nei  casi  esaminati  dal  giudice  contabile  sarebbe
 configurabile  l'ipotesi  della  "colpa  normale"  e,  dall'altro, la
 disciplina denunciata risulta applicabile anche ai giudizi in  corso,
 giusta  l'art. 3, secondo comma, dello stesso d.-l. n. 543 del 1996 -
 osservano, quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  che  gia'  in
 passato   la  Corte  costituzionale  si  e'  occupata  di  norme  che
 limitavano la  responsabilita'  amministrativa  di  amministratori  e
 dipendenti   pubblici  ai  soli  casi  di  dolo  e  di  colpa  grave,
 dichiarandone la conformita' ai principi costituzionali.
   Peraltro,   nelle   varie   pronunce,   la   Corte   costituzionale
 riconoscerebbe  che  la regola della comune responsabilita' per colpa
 lieve,  vigente  anche  per  i  dipendenti  pubblici,  e',  tuttavia,
 suscettibile  di  deroga,  da  parte  del  legislatore,  graduando  e
 determinando discrezionalmente i tipi e i limiti di  responsabilita',
 che,  in  relazione  alle  varie  categorie  di  appartenenza  o alle
 particolari situazioni regolate, appaiano i piu' idonei  a  garantire
 il  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione ed il controllo
 contabile.
   Invece,  la  disposizione   censurata   estenderebbe   in   maniera
 indifferenziata   a  tutto  l'universo  dei  pubblici  dipendenti  ed
 amministratori la limitazione della responsabilita'  stessa  ai  soli
 casi  di  dolo e colpa grave e, quindi, comporterebbe l'irragionevole
 livellamento,  verso  un  piu'  intenso  grado  di  colpa,   di   una
 responsabilita' che, nel requisito comune della colpa lieve, non solo
 non risulterebbe di ostacolo - di regola - al sollecito ed efficiente
 svolgimento  dell'azione  amministrativa,  ma  anzi  rappresenterebbe
 l'indispensabile presidio per il corretto  esercizio  delle  funzioni
 pubbliche.
   In  relazione  ai profili esposti emergerebbe, dunque, il contrasto
 della norma con l'art. 3 della Costituzione.    Al  tempo  stesso  il
 carattere  generale  della disposta limitazione di responsabilita' si
 presterebbe a determinare situazioni di incuria nell'esercizio  delle
 pubbliche  funzioni,  con  conseguente sottrazione alla giurisdizione
 contabile di una serie di comportamenti lesivi di beni la cui  tutela
 la Costituzione affida alla detta giurisdizione.  Ne conseguirebbe la
 violazione   anche  degli  artt.  97  e  103,  secondo  comma,  della
 Costituzione, che sanciscono principi volti a realizzare l'efficienza
 e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti
 pubblici.
   2. - Con ordinanza n. 881 del 1997, emessa il 15  maggio  1997,  la
 Corte  dei  conti, Sezione giurisdizionale per la regione Liguria, ha
 sollevato anch'essa questione di  legittimita'  costituzionale  della
 disposizione di cui all'art. 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge
 23  ottobre  1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge
 20 dicembre 1996, n. 639, per contrasto con gli artt. 3,  97  e  103,
 secondo comma, della Costituzione.
   Il  rimettente  -  ritenuta  rilevante  la  questione per le stesse
 ragioni di cui alle altre sopra menzionate ordinanze - osserva che il
 principio della responsabilita' per colpa lieve puo'  subire  deroghe
 ad  opera  del  legislatore,  in  relazione  alle  varie categorie di
 dipendenti, o alle particolari situazioni regolate, avendo, comunque,
 l'obiettivo della salvaguardia delle garanzie costituzionali del buon
 andamento della p.a. e del controllo contabile.
   Pertanto apparirebbe irragionevole  il  generalizzato  livellamento
 della  responsabilita'  contabile  al grado della colpa grave, specie
 ove si consideri che, in contrasto con il principio dell'eguaglianza,
 si vengono ad assoggettare ad identico regime  comportamenti  che  il
 legislatore   ha  sempre  regolato  diversamente,  dando  luogo  alla
 conseguente parificazione di situazioni niente affatto omogenee.
   In   tal   guisa   si  determinerebbe,  altresi',  una  sostanziale
 sottrazione  alla   giurisdizione   contabile   di   una   serie   di
 comportamenti  lesivi del patrimonio pubblico la cui tutela, ai sensi
 dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione,  e'  affidata  alla
 Corte dei conti.
   Inoltre,  secondo  le  prospettazioni rappresentate dal Procuratore
 regionale e richiamate integralmente  dall'ordinanza  di  rimessione,
 non  andrebbe trascurato l'ulteriore effetto costituito dal fatto che
 analoghe  situazioni  sarebbero  assoggettate  a   regimi   giuridici
 diversi,  a  seconda del giudice che e' chiamato a pronunciarsi (come
 nel caso  della  costituzione  della  p.a.  quale  parte  civile  nel
 giudizio penale per i danni conseguenti al reato colposo commesso dal
 dipendente).    La  disposizione  censurata  risulterebbe, quindi, in
 contrasto con il principio di eguaglianza previsto dall'art. 3  della
 Costituzione,  nonche' con i principi del buon andamento della p.a. e
 del controllo contabile, contemplati dagli artt. 97  e  103,  secondo
 comma,  i  quali  sono  legati entrambi dal comune fine di assicurare
 l'efficienza  e  la  regolarita'   della   gestione   finanziaria   e
 patrimoniale degli enti pubblici.
   3. - La stessa disposizione sopra menzionata, nel testo di cui alla
 legge  di  conversione  20  dicembre 1996, n. 639, risulta denunciata
 anche dalla Sezione prima centrale di appello della Corte dei  conti,
 con  ordinanza emessa il 26 settembre 1997 (r.o. n. 211 del 1998), in
 riferimento agli artt. 3, 11, 24, 81, 97 e 103, secondo comma,  della
 Costituzione,   relativamente   alla   responsabilita'  degli  agenti
 contabili e degli altri soggetti sottoposti alla giurisdizione  della
 Corte  dei  conti, in ragione di obblighi propriamente contabili.  Il
 giudice rimettente - nel rammentare  i  dubbi  gia'  sollevati  dalla
 stessa Sezione, nella precedente ordinanza del 25 febbraio 1997 (r.o.
 n.  500  del  1997)  -  ravvisa, con riferimento alla responsabilita'
 contabile in senso proprio, ulteriori e  piu'  specifici  profili  di
 illegittimita' della norma denunciata, osservando che gli obblighi di
 conservazione,   restituzione   o  rendicontazione  incombenti  sugli
 affidatari di beni pubblici sono preordinati a garantire il permanere
 della consistenza patrimoniale dell'erario ai livelli cui la  portano
 i  flussi di cassa e i movimenti di materie. Di qui la necessita' che
 gli  equilibri  alterati  dalla  condotta   dei   contabili   vengano
 immancabilmente   e   compiutamente  ricostituiti,  concretandosi  la
 responsabilita'   contabile   in   una   inderogabile    obbligazione
 restitutoria  (di secondo grado) del contabile inadempiente, la quale
 (secondo il disposto dell'art.   194 del regio  decreto  n.  827  del
 1924)  permane  anche nel caso di furto, forza maggiore o deperimento
 dei beni, ove non sia  provata  la  non  imputabilita'  del  danno  a
 negligenza,  anche solo concorrente, del contabile stesso o ad un suo
 indugio  a   richiedere   per   tempo   i   necessari   provvedimenti
 conservativi.    L'ordinanza osserva che la introdotta limitazione di
 responsabilita'  si  appaleserebbe,   dunque,   irrazionale,   atteso
 l'evidente  contrasto  con  le esigenze fondamentali dell'ordinamento
 contabile  e  con  i  criteri  di  ragionevolezza  ed  equita'  della
 legislazione   insiti  nell'art.    3  della  Costituzione;  infatti,
 escludere la responsabilita' contabile nei confronti dell'erario, nel
 caso  di  "colpa  normale",  equivarrebbe   a   rimuovere   l'effetto
 garantistico  delle  regole contabili, rendendo, altresi', incerta la
 consistenza patrimoniale dello Stato e degli  altri  enti,  ed  anche
 quella  finanziaria,  in  virtu' della connessione fra le due valenze
 sancita dalle regole sui bilanci pubblici, di cui alla legge  n.  468
 del  1978  e  successive  modifiche.    In  termini di ingiustificata
 disparita', censurabile ex art. 3 della Costituzione,  la  denunciata
 limitazione di responsabilita' ai soli casi di colpa grave finirebbe,
 inoltre,  per delineare - a favore dei contabili pubblici - un regime
 meno  rigoroso  di  quello   previsto   per   le   consimili   figure
 privatistiche  dei  tutori,  curatori  ed amministratori in genere, i
 quali - per comune principio - rispondono secondo il  criterio  della
 diligenza  del  buon padre di famiglia, che, di regola, non soffre il
 limite della colpa grave.
   Cio' apparirebbe tanto piu' irrazionale in quanto la limitazione di
 responsabilita' si estende anche ai soggetti  con  i  quali  la  p.a.
 instaura   rapporti  convenzionali  per  i  servizi  di  riscossione,
 tesoreria e di  cassa  (che  danno  luogo  a  rapporti  di  carattere
 contabile),  sicche'  anche  detti  soggetti  sarebbero  esonerati da
 qualsiasi  obbligazione   restitutoria   (oltre   che   eventualmente
 risarcitoria),  in  presenza  di danni derivanti da trascuratezze dei
 dipendenti, che non si presentino "sconsiderate in modo  accentuato".
 Rilevato,  altresi',  che  la  disposizione  finirebbe  per sfavorire
 ingiustamente il creditore pubblico e il datore  di  lavoro  pubblico
 rispetto  ai  corrispondenti  soggetti  privati,  l'ordinanza ritiene
 violato anche l'art. 97 della Costituzione, non solo su un piano piu'
 generale (gia' trattato nella richiamata ordinanza di  rimessione  n.
 500  del  1997), ma, soprattutto, con specifico riguardo agli effetti
 negativi  che  possono  sortire  dagli  ampi  margini  di   immunita'
 introdotti  per  gli errori compiuti; effetti che, in contrasto con i
 tradizionali  canoni  di  precisione  e  coerenza  nelle   operazioni
 contabili e con la crescente domanda di professionalita' del pubblico
 impiego,  espongono  a  grave  rischio  i  pubblici  averi.   Secondo
 l'ordinanza, data la stretta connessione esistente  tra  le  gestioni
 contabili  dei vari settori in cui si articola la finanza pubblica ed
 i conti generali della medesima, la disposizione contrasterebbe anche
 con l'art. 81 della Costituzione: infatti  la  nuova  disciplina,  in
 conseguenza  del lassismo che da essa puo' sortire, avrebbe l'effetto
 di  non  garantire  la  tempestivita'  e  la  completezza  dei   dati
 finanziari  e  patrimoniali  generali,  con  conseguenze negative sul
 piano delle  leggi  di  bilancio  e  di  riequilibrio  della  finanza
 pubblica,  nonche' su quello della credibilita' dei dati dimostrativi
 del rispetto dei "parametri  di  Maastricht",  dando  luogo,  in  tal
 guisa,  anche  alla violazione dell'art. 11 della Costituzione, sotto
 il profilo del mancato rispetto degli obblighi internazionali e delle
 limitazioni  derivanti  da  quel  Trattato,  oltre  che   da   quello
 precedente di Roma.
    Infine,  sminuendo  all'origine  il basilare obbligo di tempestiva
 rendicontazione, la  disposizione  avrebbe  riflessi  negativi  sulla
 regolarita'  delle  gestioni, e quindi sull'effettivita' del giudizio
 di conto, disattendendo cosi' sia l'art. 103,  secondo  comma,  della
 Costituzione - che attribuisce alla Corte dei conti la verifica della
 regolarita'    delle    gestioni   contabili   pubbliche   attraverso
 l'esperimento del giudizio di conto - sia l'art. 24,  atteso  che  la
 garanzia   giurisdizionale  della  difesa  dei  diritti  patrimoniali
 dell'erario - in tal caso - si ridurrebbe ad una  formula  di  stile,
 inadeguata a dare certezza di giudicato ai dati contabili.
   4.  - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che le questioni siano dichiarate inammissibili o,
 comunque, infondate.
   4.1. - Sotto il primo aspetto si rileva che,  successivamente  alla
 pubblicazione  delle  ordinanze, il d.-l. 23 ottobre 1996, n. 453, in
 cui e' inserita la disposizione denunciata, e' stato convertito nella
 legge 20 dicembre 1996, n. 639, che, da un lato, reca una norma "piu'
 complessa ed articolata" rispetto a quella censurata  e,  dall'altro,
 apporta   significative  ulteriori  modifiche  ed  integrazioni  alle
 restanti parti dell'art. 1  della  legge  n.  20  del  1994,  oggetto
 dell'intervento legislativo d'urgenza sopracitato.
   4.2. - Nel merito la questione sarebbe, comunque, infondata.
   La  giurisprudenza costituzionale, richiamata anche dalle ordinanze
 di rimessione, metterebbe in risalto come la diversa valutazione  del
 titolo  della  responsabilita'  di  alcune  categorie  di  dipendenti
 pubblici non contrasta con l'art. 3  della  Costituzione,  in  quanto
 espressione  dell'adeguamento  dell'ordinamento  a differenti realta'
 lavorative ed organizzative. In particolare, nella sentenza  n.  1032
 del  1988,  si sottolinea come non sia desumibile dall'ordinamento il
 principio secondo  il  quale  il  pubblico  dipendente  e'  tenuto  a
 rispondere per qualsiasi grado di colpa.
   Ricordato, inoltre, che il potere riduttivo affidato alla Corte dei
 conti dimostra come il principio vigente sia quello di "graduabilita'
 in  via generale dell'elemento psicologico", l'Avvocatura osserva che
 il  legislatore,   nella   norma   denunciata,   ha   conformato   la
 responsabilita'  dei  dipendenti  alle  mutate  realta'  del pubblico
 impiego; d'altra parte la limitazione della responsabilita'  ai  casi
 di  dolo  o  colpa  grave,  piu'  che ad una colpa valutata con minor
 rigore, alluderebbe ad un restringimento generalizzato delle  ipotesi
 di  responsabilita'  amministrativa  ai soli casi definiti gravemente
 colposi.   Quanto,   poi,   agli   altri   prospettati   profili   di
 illegittimita'  costituzionale,  si  rileva  che  gli artt. 97 e 103,
 secondo comma, della Costituzione, lungi dal far configurare in  capo
 ai  pubblici  dipendenti un principio di inderogabilita' delle comuni
 regole della responsabilita' civile, conducono, invece, ad  affermare
 la  regola  della  responsabilita'  di quei dipendenti in conformita'
 alla specifica situazione.
   Pertanto,  fermo  restando   che   le   norme   che   regolano   la
 responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili solo in caso
 di  cattivo  uso della discrezionalita' da parte del legislatore, nel
 caso di specie la nuova disciplina terrebbe conto del mutato  assetto
 dell'organizzazione  della  pubblica  amministrazione,  nascente  dal
 decreto legislativo n. 29 del 1993, che collega  la  valutazione  del
 personale ai risultati conseguiti.
   Proprio  in  questa  ottica  dovrebbe  essere  letta  la  scelta di
 richiedere la valutazione della responsabilita'  in  concreto,  sulla
 base  dei  canoni  di  prevedibilita'  e  prevenibilita',  al fine di
 accertare la reale attivita' che il soggetto ha posto in essere o  ha
 omesso;  allo  stesso  modo  si atteggerebbe la conseguente scelta di
 imporre  alla  Corte  dei  conti   la   valutazione   delle   singole
 responsabilita', ponendo a carico dei responsabili (esclusa l'ipotesi
 del dolo) la sola porzione di danno addebitabile e, sintomaticamente,
 l'obbligo   di  considerare  i  vantaggi  comunque  conseguiti  dalla
 pubblica    amministrazione,    o   dalla   comunita'   amministrata;
 considerazione che esplicitamente viene sottratta all'ambito del c.d.
 potere riduttivo della Corte dei conti.
   Emergerebbe - quindi - un  nuovo  modello  di  responsabilita'  del
 pubblico  dipendente  (diverso  dal generale paradigma aquiliano), da
 rapportare non piu' ad una formale valutazione di colpevolezza, ma ad
 una misurazione del concreto pregiudizio.
   5. - Nel giudizio di cui all'ordinanza r.o. n. 500 del 1997  si  e'
 costituita  anche la parte privata, per chiedere che la questione sia
 dichiarata inammissibile e/o  infondata,  richiamando,  all'uopo,  la
 consolidata  giurisprudenza  costituzionale  secondo la quale rientra
 nella discrezionalita' del legislatore stabilire quali  comportamenti
 possano  costituire  titolo  di  responsabilita', nonche' il grado di
 colpa richiesto.  Ad avviso della parte la  generalizzata  esclusione
 della  colpa  lieve  non  apparirebbe  irragionevole  e  tale  da far
 ritenere alterato il  principio  della  par  condicio  di  tutti  gli
 interessati di fronte alla legge.
                         Considerato in diritto
   1.  -    I giudizi di cui alle ordinanze in epigrafe possono essere
 riuniti e decisi con un'unica pronunzia, in ragione dell'identita'  o
 connessione  dell'oggetto,  atteso  che  concernono  la  legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del d.-l. 23 ottobre
 1996, n. 543, recante "Disposizioni urgenti in materia di ordinamento
 della Corte dei conti", convertito, con modificazioni, nella legge 20
 dicembre 1996, n. 639, nella parte in cui,  sostituendo  l'art.    1,
 comma   1,   della   legge   14   gennaio  1994,  n.  20,  limita  la
 responsabilita' dei  soggetti  sottoposti  alla  giurisdizione  della
 Corte  dei  conti,  in  materia di contabilita' pubblica, ai fatti ed
 omissioni posti in essere con dolo o colpa grave.
   2. - I giudici rimettenti ritengono che la  disposizione  censurata
 si ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione:
     per    l'irragionevole    livellamento   della   responsabilita',
 conseguente all'estensione indifferenziata, a tutte le  categorie  di
 dipendenti   ed  amministratori  pubblici,  della  limitazione  della
 responsabilita' stessa ai soli casi di dolo o colpa grave  (r.o.  nn.
 182, 185, 500 e 881 del 1997);
     per  l'assoggettamento  di situazioni analoghe a regimi giuridici
 diversi, a seconda del giudice chiamato a pronunziarsi, come nel caso
 di costituzione di parte civile della  pubblica  amministrazione  nel
 giudizio  penale,  per il reato colposo commesso dal dipendente (r.o.
 n. 881 del 1997).
   2.1. - In riferimento al predetto art. 3 della Costituzione, e  con
 specifico  riguardo ai casi di responsabilita' degli agenti contabili
 e degli altri soggetti sottoposti alla giurisdizione della  Corte  in
 virtu'  di  obblighi  propriamente contabili, l'ordinanza iscritta al
 r.o. n. 211 del 1998 sviluppa ulteriori censure sotto il profilo:
     della violazione dei principi  di  "ragionevolezza  ed  equita'",
 atteso  che  l'esclusione della responsabilita' contabile nel caso di
 "colpa normale" equivale a  rimuovere  l'effetto  garantistico  delle
 regole  contabili  ed  a  rendere,  altresi',  incerta la consistenza
 patrimoniale e finanziaria dello Stato e degli enti pubblici;
     dell'introduzione, in favore dei contabili pubblici, di un regime
 meno  rigoroso  di  quello   previsto   per   le   consimili   figure
 privatistiche;   il  che  sarebbe  tanto  piu'  irrazionale,  ove  si
 consideri che tale regime si estende anche ai soggetti con i quali la
 pubblica  amministrazione  instaura  rapporti  convenzionali,  per  i
 servizi di riscossione, tesoreria e cassa;
     del diseguale trattamento riservato al creditore  pubblico  e  al
 datore   di  lavoro  pubblico  rispetto  ai  corrispondenti  soggetti
 privati, per quel che concerne l'ampiezza della tutela dei rispettivi
 interessi, nei riguardi  degli  agenti  contabili  e  dei  dipendenti
 addetti ad adempimenti contabili.
   3.  -  Comune ai diversi giudici rimettenti e', altresi', il dubbio
 di illegittimita' costituzionale della disposizione in questione, per
 violazione dell'art. 97 della  Costituzione,  che  le  prime  quattro
 ordinanze  (r.o.  nn.  182,  185,  500  e  881  del  1997) pongono in
 connessione con l'art. 103, secondo comma, denunciando gli effetti di
 permissivita' ed incuria che  la  disposizione  stessa  puo'  indurre
 nell'esercizio  delle  pubbliche funzioni; e cio' in palese contrasto
 con i principi costituzionali volti a realizzare  l'efficienza  e  la
 regolarita'  della  gestione  finanziaria  e  patrimoniale degli enti
 pubblici. Viene sottolineata, altresi',  la  sostanziale  sottrazione
 alla giurisdizione contabile di una serie di comportamenti lesivi del
 patrimonio  pubblico  la  cui tutela, ai sensi del predetto art. 103,
 secondo comma, della Costituzione, e' affidata alla Corte  dei  conti
 (r.o. n. 881 del 1997).
   Analogamente   l'ordinanza   di  cui  al  r.o.  n.  211  del  1998,
 nell'evocare i teste' ricordati parametri, rileva:
     quanto  all'art.  97,  gli  effetti  negativi   derivanti   dagli
 introdotti  ampi  margini  di  immunita'  per  gli  errori  compiuti,
 restando cosi' disattesi, tra l'altro, i canoni di  precisione  e  di
 coerenza nelle operazioni contabili, a fronte della crescente domanda
 di  professionalita'  e  delle esigenze di salvaguardia della finanza
 pubblica;
     quanto all'art. 103, secondo comma, i riflessi  negativi  che  la
 disposizione  censurata  avrebbe  sull'effettivita'  del  giudizio di
 conto e, quindi, sulla  verifica  della  regolarita'  delle  gestioni
 pubbliche,  nonche'  sull'effettivita' della garanzia giurisdizionale
 dei diritti patrimoniali dell'erario, assicurata dall'art.  24  della
 Costituzione.
   4.  -  Quest'ultima  ordinanza,  infine,  prospetta  la  violazione
 dell'art.  81 della Costituzione, giacche' la nuova disciplina,  data
 la  stretta  connessione  fra le varie gestioni in cui si articola la
 finanza pubblica,  potrebbe  non  garantire  la  tempestivita'  e  la
 completezza   dei   dati  finanziari  e  patrimoniali  generali,  con
 implicazioni  negative  sul  piano  del  riequilibrio  della  finanza
 pubblica  e  dei  dati  dimostrativi  del  rispetto  dei parametri di
 Maastricht,  si'  da  restarne   inciso   anche   l'art.   11   della
 Costituzione,  sotto  il  profilo del mancato rispetto degli obblighi
 internazionali e delle limitazioni derivanti da quel Trattato,  oltre
 che da quello precedente di Roma.
   5.   -   In   via   preliminare   va   esaminata   l'eccezione   di
 inammissibilita' della questione, sollevata dall'Avvocatura  generale
 dello  Stato  negli atti di intervento depositati, in base al rilievo
 che la legge di conversione sarebbe intervenuta successivamente  alle
 ordinanze  di rimessione, recando, peraltro, una norma piu' complessa
 ed articolata di quella dell'art. 3, comma 1, lettera a) del d.-l. n.
 543 del 1996, portata all'esame della Corte.
   Preso   atto  della  precisazione  effettuata  nella  difesa  orale
 dall'Avvocatura erariale, nel senso che la eccezione preliminare  non
 riguarda  le  ordinanze  di cui al r.o. n. 500 e n. 881 del 1997 e n.
 211 del 1998, le quali, emesse in  epoca  successiva  all'entrata  in
 vigore della legge n. 639 del 1996, fanno in effetti riferimento alla
 disposizione  quale  risulta  dall'avvenuta  conversione, la medesima
 eccezione va respinta con riferimento alle restanti  ordinanze  (r.o.
 n.  182  e  n.    185  del 1997), che sono, invece, anteriori a detta
 legge.
   Invero, non e' riscontrabile nella "norma" censurata una diversita'
 tale, rispetto a quella contenuta  nella  legge  di  conversione,  da
 ostare    allo    scrutinio    di    costituzionalita',   alla   luce
 dell'orientamento secondo il quale e'  l'immutata  persistenza  della
 norma  stessa ad assicurare la perdurante ammissibilita' del giudizio
 innanzi a questa Corte, sotto il profilo dell'inalterata  sussistenza
 del  suo  oggetto  (sentenza n. 84 del 1996). Pur considerando che la
 legge n. 639 del 1996 reca integrazioni e modificazioni di non scarso
 momento alla disposizione in cui e' ricompresa la  norma  denunciata,
 tuttavia  le  stesse non appaiono sufficienti a concretare la dedotta
 diversita' dell'oggetto dello scrutinio, poiche' riguardano profili e
 connotazioni dell'istituto  della  responsabilita'  amministrativa  e
 contabile,  che non investono l'elemento soggettivo dell'illecito, in
 ordine al quale la legge stessa  si  e'  limitata  a  riprodurre,  in
 maniera  pressoche'  letterale,  la  formulazione dell'enunciato gia'
 contenuto nel d.-l.  n. 543 del 1996.
   6. - Nel merito le questioni  non  sono  fondate  con  riguardo  ad
 alcuno degli invocati parametri.
   I rimettenti, nel richiamare le sentenze con le quali questa Corte,
 in  riferimento  a  molteplici  settori  della  p.a., ha ritenuto non
 incostituzionale   la   limitazione    della    responsabilita'    di
 amministratori  o  dipendenti  pubblici  ai soli casi di dolo o colpa
 grave (sentenze n. 1032 del 1988, n. 164 del 1982 e n. 54 del  1975),
 ritengono  che  da  tali  precedenti,  ancorche'  non  sia  possibile
 desumere l'esistenza di un principio di inderogabilita' delle  comuni
 regole  in  tema  di  elemento  soggettivo  della responsabilita', si
 possa, tuttavia, ricavare quello secondo il quale la discrezionalita'
 del  legislatore,   per   essere   correttamente   esercitata,   deve
 determinare  e graduare i tipi e i limiti della responsabilita', caso
 per  caso,  in  riferimento  alle  diverse  categorie  di  dipendenti
 pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo, per ciascuna
 di  esse,  le  forme  piu'  idonee  a  garantire  i principi del buon
 andamento  e  del  controllo  contabile.  Ne  conseguirebbe  la   non
 conformita'   ai  principi  dell'art.  3  della  Costituzione  di  un
 esercizio  di  detta  discrezionalita'  intesa  ad   introdurre   una
 previsione  limitativa  in forma generalizzata ovvero con riferimento
 indiscriminato a tutti i pubblici dipendenti.
   La Corte e', invece, dell'avviso che i termini in cui le richiamate
 decisioni enunciano il principio relativo  alla  discrezionalita'  di
 cui  gode  il  legislatore,  nella conformazione delle fattispecie di
 responsabilita', riflettano la singolarita'  dei  casi  di  volta  in
 volta  esaminati,  ma  non  consentano  di  accreditare  una  lettura
 riduttiva del principio stesso, nel senso che allo stesso legislatore
 sia preclusa la facolta' di valutare anche  l'ampiezza  dell'esigenza
 cui si ritiene di far fronte.
   Non  v'e', infatti, alcun motivo di dubitare che il legislatore sia
 arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano  costituire
 titolo  di  responsabilita',  ma  anche  quale  grado  di  colpa  sia
 richiesto ed a quali  soggetti  la  responsabilita'  sia  ascrivibile
 (sentenza  n.  411  del 1988), senza limiti o condizionamenti che non
 siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarieta'.
   In proposito occorre rilevare che la norma  denunciata  si  colloca
 nel   quadro   di   una  nuova  conformazione  della  responsabilita'
 amministrativa e contabile, alla stregua di peculiari connotazioni di
 cui da'  dimostrazione,  tra  l'altro,  il  principio  peraltro  gia'
 anticipato  in  parte  dall'art.    58  della  legge  n. 142 del 1990
 (Ordinamento delle autonomie locali) secondo il quale il  debito  per
 il  fatto  dannoso  non  si  trasmette  agli  eredi,  salvo  il  caso
 dell'illecito arricchimento  del  dante  causa  e,  conseguentemente,
 dell'indebito arricchimento anche degli stessi eredi.
   A  tale  processo  di nuova conformazione dell'istituto, sviluppato
 con le ulteriori previsioni contenute nella legge di conversione,  fa
 riscontro   la   revisione  dell'ordinamento  del  pubblico  impiego,
 attuata, in epoca di poco precedente, dal decreto legislativo n.   29
 del 1993 (cui ha fatto seguito il decreto legislativo n. 80 del 1998)
 attraverso  la c.d. "privatizzazione", in una prospettiva di maggiore
 valorizzazione anche dei risultati dell'azione  amministrativa,  alla
 luce di obiettivi di efficienza e di rigore di gestione.
   Quali siano le finalita' ispiratrici della contestata norma e' dato
 desumere,   del   resto,   dagli   stessi  lavori  parlamentari,  che
 evidenziano   l'intento   di   predisporre,   nei   confronti   degli
 amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui
 il  timore  delle  responsabilita'  non  esponga  all'eventualita' di
 rallentamenti   ed   inerzie   nello    svolgimento    dell'attivita'
 amministrativa.
   Nella  combinazione  di  elementi  restitutori e di deterrenza, che
 connotano l'istituto qui in esame, la disposizione risponde, percio',
 alla finalita' di determinare quanto del rischio dell'attivita' debba
 restare a carico dell'apparato e  quanto  a  carico  del  dipendente,
 nella  ricerca  di  un  punto  di  equilibrio  tale  da  rendere, per
 dipendenti  ed  amministratori   pubblici,   la   prospettiva   della
 responsabilita'  ragione  di  stimolo,  e non di disincentivo. E cio'
 secondo valutazioni che, ovviamente, non spetta alla Corte  sindacare
 dal  punto  di  vista  della  convenienza  ed opportunita', restando,
 percio', fuori dal presente giudizio  ogni  apprezzamento  al  quale,
 sotto il profilo da ultimo accennato, potrebbe, in ipotesi, prestarsi
 l'avvenuta generalizzazione del criterio della colpa grave; parimenti
 sfuggono  all'apprezzamento,  che  va  espresso in questa sede, anche
 altri profili, fra quelli segnalati da taluna  delle  ordinanze,  che
 possono evidenziare, tutt'al piu', problemi di mera disarmonia ovvero
 di  non  compiuto  raccordo  fra  il nuovo regime introdotto ed altri
 istituti vigenti nell'ordinamento.
   Quanto   teste'   osservato   vale,   ovviamente,   sia   per    la
 responsabilita'  amministrativa  che per quella contabile, posto che,
 quanto ad elementi costitutivi,  quest'ultima,  a  prescindere  dalla
 specificita'  delle  obbligazioni  che  incombono su coloro che hanno
 maneggio di beni e valori di pubblica pertinenza, si modella come  da
 tempo    chiarito  dalla stessa giurisprudenza contabile sullo stesso
 paradigma che caratterizza la c.d. responsabilita'  amministrativa.
   Per  le  medesime  ragioni va escluso, altresi', il contrasto della
 disposizione  all'esame   con   l'art.   97,   primo   comma,   della
 Costituzione,  sotto  l'aspetto  del  buon  andamento  nonche'  della
 efficienza e regolarita' delle gestioni pubbliche, atteso che, per  i
 motivi  sopra  esposti,  la  modifica  introdotta  dalla disposizione
 censurata non appare ne' arbitraria ne' irragionevole.
   7. -  Priva  di  fondamento  e'  anche  la  censura  di  violazione
 dell'art.    103,  secondo comma, della Costituzione; articolo che ha
 soltanto  la  finalita'  di  riservare  alla  Corte  dei   conti   la
 giurisdizione  nelle materie di contabilita' pubblica, secondo ambiti
 la  cui  concreta   determinazione,   peraltro,   e'   rimessa   alla
 discrezionalita' del legislatore, mentre la norma denunciata concerne
 la  disciplina sostanziale della responsabilita' degli amministratori
 e dei dipendenti pubblici.
   8.   -   Ugualmente   infondate   sono   le   censure   prospettate
 (nell'ordinanza  r.o.  n.  211 del 1998) in riferimento, da un canto,
 all'art. 24, e, dall'altro, all'art. 81 in connessione con l'art.  11
 della Costituzione.
   Quanto  all'art. 24, e' da rammentare, a tacer d'altro, il pacifico
 orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale  la
 garanzia  apprestata  da  detto  articolo opera attribuendo la tutela
 processuale delle situazioni giuridiche soggettive nei termini in cui
 queste risultano riconosciute dal legislatore;  di  modo  che  quella
 garanzia  trova confini nel contenuto del diritto al quale serve e si
 modella  sui  concreti  lineamenti  che  il  diritto  stesso   riceve
 dall'ordinamento.
   8.1.   -   Infine,  circa  gli  altri  due  parametri  evocati,  e'
 sufficiente rilevare che la disciplina censurata non  presenta  nesso
 diretto  ne'  con  l'adempimento  di  obblighi internazionali, cui ha
 riguardo l'art.  11 della Costituzione, ne' con l'art. 81,  il  quale
 attiene  ai  limiti  al  cui  rispetto  e'  vincolato  il legislatore
 ordinario nella sua politica finanziaria, ma non concerne  le  scelte
 che  il medesimo compie nel ben diverso ambito della disciplina della
 responsabilita' amministrativa (da ultimo, v.  sentenza  n.  327  del
 1998).