ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 445, comma 1,
 del codice di procedura penale, 240, primo comma, del codice  penale,
 e  dell'art.  12-sexies  del  d.-l.  8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche
 urgenti al nuovo  codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di
 contrasto alla criminalita' mafiosa), convertito dalla legge 7 agosto
 1992,n.    356, come introdotto dall'art. 2 del d.-l. 20 giugno 1994,
 n. 399  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  confisca  di  valori
 ingiustificati),  convertito  dalla  legge  8  agosto  1994,  n. 501,
 promosso con ordinanza emessa il 4-15 dicembre 1997 dal  giudice  per
 le  indagini  preliminari presso il Tribunale di Firenze, iscritta al
 n. 113 del  registro  ordinanze  1998  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  10, prima serie speciale, dell'anno
 1998.
   Udito nella camera di consiglio del  28  ottobre  1998  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
   Ritenuto  che  il  giudice  per  le  indagini preliminari presso il
 Tribunale  di  Firenze  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  445,  comma  1, del codice di procedura
 penale, 240, primo comma, del codice penale,  e  dell'art.  12-sexies
 del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di
 procedura  penale  e  provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita'
 mafiosa),  convertito  dalla  legge  7  agosto  1992,  n.  356,  come
 introdotto dall'art. 2 del d.-l. 20 giugno 1994, n. 399 (Disposizioni
 urgenti  in materia di confisca di valori ingiustificati), convertito
 dalla legge 8 agosto 1994, n. 501, nella parte in cui  escludono,  in
 caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta per il reato
 di  cui all'art.  73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ricorrendo la
 circostanza  attenuante  prevista  dal  quinto  comma  della   stessa
 disposizione,   la   confisca   dei   valori   costituenti   profitto
 dell'attivita' di spaccio;
     che  a  parere  del  giudice  a  quo   la   normativa   impugnata
 contrasterebbe  con  l'art.  27,  terzo comma, della Costituzione, in
 quanto "lo  spacciatore  e'  incoraggiato  a  proseguire  l'attivita'
 illecita,  qualora  per  effetto della sentenza di applicazione della
 pena gli siano restituiti i profitti dello spaccio", e con  l'art.  3
 della  medesima Carta, giacche' appare "contraria al comune sentire e
 alla morale, la definitiva acquisizione dei profitti illeciti,  tanto
 piu'  laddove  provenienti  da  un'attivita'  cosi'  dannosa  per  la
 societa' come lo spaccio di eroina";
     che nel giudizio non si e' costituita la  parte  privata  ne'  ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Considerato  che il giudice a quo, pur se attraverso l'enunciazione
 di un quesito formalmente unitario, cumulativamente attinge un quadro
 normativo assai variegato e la cui eterogenea  struttura  agevolmente
 consente  di  individuare,  all'interno  del  quesito  medesimo,  due
 soluzioni fra loro chiaramente alternative;
     che da un lato, infatti,  attraverso  l'impugnativa  degli  artt.
 445,  comma  1,  cod.  proc.  pen., e 240, primo comma, cod. pen., il
 rimettente  mira  a  consentire  la  confisca,  con  la  sentenza  di
 applicazione  della pena, anche nei casi in cui questa e' facoltativa
 a norma dell'art.   240, primo comma, cod.  pen.  (nella  specie,  la
 confisca del profitto del reato di spaccio di sostanze stupefacenti);
     che,  diversamente,  la  questione incentrata sull'art. 12-sexies
 del d.-l. n. 306 del 1992 (per il quale, nei casi di  condanna  o  di
 applicazione   della  pena  su  richiesta  per  il  delitto  previsto
 dall'art.  73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, del d.P.R. 9
 ottobre 1990, n. 309, "e' sempre disposta la confisca del denaro, dei
 beni  o  delle  altre  utilita'  di  cui  il  condannato   non   puo'
 giustificare  la  provenienza  e di cui, anche per interposta persona
 fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilita'
 a qualsiasi titolo in valore sproporzionato  al  proprio  reddito,  o
 alla  propria  attivita' economica"), e' invece volta a sopprimere la
 previsione che impedisce quella particolare ipotesi di  confisca  nei
 casi in cui, con la sentenza di applicazione della pena su richiesta,
 e'  stata  ritenuta l'ipotesi lieve prevista dal comma 5 dell'art. 73
 del d.P.R. n. 309 del 1990;
     che, pertanto, le evidenti peculiarita' che contraddistinguono  i
 presupposti,  la  struttura  e  la funzione della ipotesi di confisca
 obbligatoriamente da disporre a norma del citato art.  12-sexies  del
 d.-l.   n.  306  del  1992,  valgono  a  configurarla  come  istituto
 profondamente  diverso,  per  taluni  anche  sotto  il  profilo della
 relativa natura giuridica, dalla confisca facoltativa  prevista  come
 misura  di  sicurezza  patrimoniale  dall'art. 240, primo comma, cod.
 pen., sicche' la questione risulta prospettata in modo ancipite, dato
 che il giudice a quo propone in via alternativa due  soluzioni  senza
 concentrare  sull'una  o l'altra di esse la richiesta di una sentenza
 additiva (v., fra le altre, sentenza n. 129 del 1993);
     che, inoltre, l'identica questione relativa agli artt. 445, comma
 1, cod.  proc.  pen.  e  240  cod.  pen.  e'  stata  gia'  dichiarata
 manifestamente   inammissibile  da  questa  Corte,  sul  rilievo  che
 interventi additivi del tipo richiesto spettano al solo  legislatore,
 che,  nella  sfera  della  sua  discrezionalita', puo' operare scelte
 anche derogatorie rispetto a  quelle  previste  in  via  generale  in
 relazione  alla sentenza di "patteggiamento" (v. ordinanza n. 334 del
 1994);
     che la questione deve  dunque  essere  dichiarata  manifestamente
 inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.