ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3  della  legge
 30  luglio  1990,  n.  217  (Istituzione del patrocinio a spese dello
 Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 12 luglio
 1997 dal Tribunale di  Catania,  iscritta  al  n.  189  del  registro
 ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 30 settembre  1998  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
   Ritenuto  che,  con  ordinanza  del 12 luglio 1997, il Tribunale di
 Catania, chiamato a pronunciarsi su alcune istanze di  ammissione  al
 patrocinio  a  spese  dello  Stato, ha sollevato, in riferimento agli
 artt.  3  e  24  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  3  della  legge  30  luglio  1990,  n. 217
 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non  abbienti),
 nella  parte  in  cui  fissa  come  condizione  per  l'ammissione  al
 beneficio  la  titolarita'  di  un  reddito  risultante   dall'ultima
 dichiarazione non superiore ad un determinato limite, senza prevedere
 la  possibilita'  di  accertamenti  in  ordine  alle reali condizioni
 economiche e patrimoniali dell'istante e senza che sia consentito  al
 giudice  verificare se i suoi redditi siano alimentati da proventi di
 attivita' illecite desumibili anche dal suo tenore di vita;
     che,  ad  avviso  del  remittente,  la   disposizione   censurata
 violerebbe  in  primo luogo l'art. 3 della Costituzione che impone al
 legislatore il rispetto del canone della ragionevolezza,  in  quanto,
 prevedendo   soltanto   controlli  formali  sulla  posizione  fiscale
 dell'istante, determinerebbe la possibilita'  che  siano  ammesse  al
 patrocinio  a  spese  dello  Stato  persone  che  traggono redditi da
 attivita' illecite;
     che l'art. 3 della  Costituzione  sarebbe  altresi'  violato  per
 l'ingiustificato  eguale trattamento riservato a categorie di persone
 che si trovano in condizioni economiche diverse, e cioe'  a  soggetti
 che versano in situazione di effettiva impossidenza e a soggetti che,
 traendo   i   propri  mezzi  economici  da  traffici  illeciti,  solo
 formalmente risultano impossidenti;
     che, sotto un ulteriore  profilo,  il  principio  di  eguaglianza
 sarebbe  violato  per il trattamento deteriore riservato ai cittadini
 abbienti, i quali, traendo i loro proventi da attivita' lecite,  sono
 assoggettati  all'obbligo  della  dichiarazione  dei  redditi  e  non
 possono fruire del  beneficio,  al  raffronto  con  i  cittadini  che
 abbiano  redditi provenienti da attivita' illecita che possono invece
 essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato;
     che violato,  infine,  sarebbe  l'art.  24,  terzo  comma,  della
 Costituzione, secondo il quale i mezzi per agire e difendersi davanti
 a  ogni  giurisdizione  dovrebbero  essere,  con  appositi  istituti,
 assicurati esclusivamente a coloro che versino in una  situazione  di
 non  abbienza  effettiva  e  non  anche  a  coloro  che si limitino a
 dichiarare di essere non abbienti;
     che  e'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
   Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 144 del 1992 e con
 la  successiva  ordinanza n. 244 del 1998, ha rilevato e ribadito che
 la snella procedura di ammissione al beneficio prevista dall'art.   6
 della  legge  n.  217  del  1990,  benche' non lasci spazio ad alcuna
 verifica o controllo preventivi da parte del giudice  competente,  e'
 da  ritenere pienamente attuativa del dettato costituzionale, poiche'
 la garanzia del patrocinio dei non abbienti deve essere assicurata in
 tempi brevi, incompatibili con controlli e indagini  di  una  qualche
 durata sull'effettivo reddito dell'istante;
     che  il pericolo che, a causa della limitatezza dell'accertamento
 che il giudice e' chiamato  a  compiere  in  sede  di  ammissione  al
 patrocinio  a  spese  dello  Stato,  possano  prodursi  le situazioni
 denunciate dal remittente e' scongiurato dall'art. 6, comma 3,  della
 medesima  legge,  in  forza del quale l'istanza dell'interessato e il
 decreto  di  ammissione,  unitamente  alle   dichiarazioni   e   alla
 documentazione  allegate,  devono  essere trasmessi all'Intendente di
 finanza  perche'  possa  verificare  l'esattezza  dell'ammontare  del
 reddito  attestato  dall'imputato  e disporre eventualmente controlli
 anche a mezzo della Guardia di finanza;
     che,  diversamente  da  quanto  mostra  di  ritenere  il  giudice
 remittente, in sede di successivo accertamento assumono rilievo anche
 i  redditi che provengano da attivita' illecite (ordinanza n. 244 del
 1998), poiche' anche con riferimento a questi l'Intendente di finanza
 puo' proporre al giudice la revoca o  la  modifica  del  beneficio  e
 provocare  gli  effetti recuperatori stabiliti dall'art. 11 in favore
 dello Stato e l'applicazione delle sanzioni penali previste dall'art.
 5, comma 7, a carico dell'indebito beneficiario;
     che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.