ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 37 della legge
 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione  dei  tribunali  amministrativi
 regionali),  dell'art. 27, primo comma, numero 4 del regio decreto 26
 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico  delle  leggi  sul
 Consiglio  di  Stato),  e  degli  artt.  90 e 91 del regio decreto 17
 agosto 1907, n.  642  (Regolamento  per  la  procedura  dinanzi  alle
 sezioni   giurisdizionali  del  Consiglio  di  Stato),  promosso  con
 ordinanza emessa il 22  gennaio  1997  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  del  Piemonte sul ricorso proposto dalla Societa' italiana
 per il gas p.a. contro il  Comune  di  Vigliano  Biellese  ed  altra,
 iscritta  al  n.  480  del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  30,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  3  giugno  1998  il  giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso del giudizio promosso nei confronti del Comune di
 Vigliano Biellese, ai sensi dell'art. 33 della legge 6 dicembre 1971,
 n. 1034, dalla Societa' italiana per il  gas  p.a.  per  l'esecuzione
 della sentenza n. 293 del 1996 con la quale erano stati annullati gli
 atti  di  aggiudicazione  della gara per l'affidamento in concessione
 del servizio di distribuzione dell'acqua potabile alla Sigesa s.p.a.,
 il tribunale amministrativo  regionale  del  Piemonte,  ha  sollevato
 questione di legittimita' degli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971,
 n. 1034, 27, primo comma, numero 4, del regio decreto 26 giugno 1924,
 n. 1054, 90 e 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642.
   Il  giudice  rimettente,  dopo  aver  ricostruito  in  fatto l'iter
 processuale della vicenda avente ad oggetto l'impugnazione degli atti
 del  Comune  di  Vigliano  Biellese  relativi   alla   procedura   di
 aggiudicazione,  a trattativa privata, della concessione del servizio
 di distribuzione dell'acqua potabile in favore della  Sigesa  s.p.a.,
 decisa  con  sentenza  d'annullamento  n.  293  del  1996  e  nei cui
 confronti l'amministrazione  comunale  aveva  interposto  appello  al
 Consiglio di Stato, ha sottolineato che quest'ultima amministrazione,
 senza  richiedere  la  sospensione  dell'esecutivita'  della sentenza
 innanzi  al   giudice   di   secondo   grado   investito   dell'esame
 dell'appello,   si   era   rifiutata   espressamente  di  assumere  i
 provvedimenti  necessari  per  conformarsi   alla   statuizione   del
 Tribunale   amministrativo   regionale;  tanto  e'  che  l'originaria
 affidataria   del   servizio,    controinteressata    nel    giudizio
 amministrativo, continuava a svolgere il servizio.
   In diritto, il giudice a quo richiama nelle premesse che il ricorso
 era  basato  sull'art.  33  della  legge  6  dicembre  1971,  n. 1034
 contenente la previsione che le sentenze del  giudice  amministrativo
 sono  immediatamente  esecutive,  mentre  un consolidato orientamento
 giurisprudenziale  e'  contrario  all'esperibilita'   immediata   del
 giudizio  di  "esecuzione" coattiva, essendo questo il tipico rimedio
 del giudizio d'ottemperanza, fondato sul presupposto che la  sentenza
 da  eseguire sia passata in cosa giudicata ai sensi dell'art. 324 del
 codice di procedura civile (tra le tante, v. Consiglio di  Stato,  ad
 plen., 23 marzo 1979, n.  12; 1 aprile 1980, n. 10).
   Poiche'   il   riscontro   del   dato  normativo,  come  conformato
 dall'indirizzo  ermeneutico  giurisprudenziale,   depone   in   senso
 contrario alla pretesa fatta valere nel giudizio di merito, ad avviso
 del  collegio rimettente, si imporrebbe l'indagine sulla legittimita'
 costituzionale delle disposizioni che  disciplinano  il  giudizio  di
 ottemperanza,  preclusive  all'ottenimento  del  bene  della vita cui
 sarebbe preordinata la tutela giurisdizionale, in contrasto  altresi'
 con  il  precetto  scaturente  dalla  proclamata  esecutivita'  della
 sentenza del giudice amministrativo.
   Sul piano dell'effettivita' della tutela giurisdizionale che  trova
 presidio costituzionale negli artt. 24 e 113 della Costituzione, atti
 a   garantire  il  soddisfacimento  effettivo  dei  diritti  e  degli
 interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi  soggetto,
 dovrebbe  essere  affermata,  secondo la prospettazione del giudice a
 quo,  l'incostituzionalita'  delle  disposizioni  che   regolano   il
 giudizio  di  ottemperanza  nella  parte  in cui precludono che siano
 portate ad esecuzione coattiva le decisioni giustiziali  di  per  se'
 esecutive, prima di aver acquisito autorita' di cosa giudicata.
   Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  troverebbe  ulteriore
 fondamento alla stregua della sentenza n. 419 del 1995  della  Corte,
 che  ha riconosciuto il potere del giudice amministrativo di assumere
 tutti  i  provvedimenti  necessari   all'esecuzione   delle   proprie
 ordinanze    cautelari;    il    che    oltretutto,   quale   portato
 logico-giuridico, sottintenderebbe che a maggior ragione tale  potere
 venisse  attribuito  alla  sentenza  che,  a  differenza della misura
 cautelare, abbia definito un grado di giudizio.
   Sul  piano  dell'intrinseca   ragionevolezza   delle   disposizioni
 censurate,  che  si tradurrebbe altresi' in ingiustificata disparita'
 di trattamento, rileverebbe, sempre secondo  il  giudice  a  quo,  la
 distinzione  fra  effetti  demolitori, ripristinatori e conformativi,
 conseguenti alle sentenze  del  giudice  amministrativo,  in  diretta
 corrispondenza  alla  natura dell'interesse fatto valere in giudizio:
 solo i c.d. interessi  oppositivi,  che  non  necessitano  di  misure
 attuative     concrete,     sarebbero     immediatamente    garantiti
 dall'annullamento degli atti impugnati; non  quelli  pretensivi,  pur
 sempre omogenei quanto a tutela giurisdizionale.
   Sotto  altro  profilo,  la violazione dell'art. 3 in relazione agli
 artt.  24,  103  e  113  della  Costituzione  si  evincerebbe   dalla
 comparazione  con  l'esecutivita'  ex  lege delle sentenze emesse dal
 giudice ordinario,  suscettibili  di  essere  portate  ad  esecuzione
 coattiva,  a  prescindere dalla natura della sentenza e dal contenuto
 della statuizione, nei confronti della pubblica amministrazione senza
 che possano invocarsi ostacoli all'esecuzione forzata che  la  prassi
 giudiziale   ha  progressivamente  ridotto;  irrazionalita'  vieppiu'
 palese  se  considerata con riguardo alla giurisdizione esclusiva del
 giudice amministrativo avente ad oggetto i  rapporti  paritetici,  le
 cui  decisioni  sono  di  contenuto omologo a quelle rese dal giudice
 ordinario.
   D'altra parte il presunto grado di certezza,  sguarnito  di  tutela
 costituzionale,   insito   nell'autorita'  di  cosa  giudicata  delle
 sentenze emesse dal giudice amministrativo, si  rivelerebbe,  secondo
 la  prospettazione  delle censure, meramente ipotetico se verificato,
 con  riguardo  alle  sentenze  del  Consiglio  di  Stato,  alla  luce
 dell'esclusivita'  del difetto di giurisdizione quale unico motivo di
 ricorso  in  Cassazione;  mentre   il   ricorso   straordinario   per
 revocazione e l'opposizione di terzo pongono in discussione la stessa
 nozione  teorica  di  definitiva  certezza della situazione giuridica
 definita con sentenza passata in giudicato.
   Inoltre   l'eventuale   pregiudizio   scaturente   dal    mutamento
 dell'assetto  di  interessi  in forza dell'esecuzione della pronuncia
 non definitiva sarebbe scongiurato dall'attribuzione  del  potere  di
 sospensione  della  sentenza  al  giudice  investito della cognizione
 dell'appello.
   Infine,  sempre  secondo  il   collegio   rimettente,   sul   piano
 sistematico,   l'irragionevolezza  delle  disposizioni  censurate  si
 evidenzierebbe dal piu' frequente intervento del legislatore volto ad
 introdurre  disposizioni  acceleratorie  del   corso   del   giudizio
 amministrativo  (cfr., da ultimo, art. 31-bis della legge 11 febbraio
 1994, n. 109), tale da porsi in insanabile contrasto con disposizioni
 che, viceversa, subordinano il soddisfacimento  della  pretesa  fatta
 valere  in giudizio ad eventi temporali remoti, quali il passaggio in
 giudicato della sentenza.
   2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,
 comunque, infondata.
   La  questione,  come proposta dal giudice a quo, difetterebbe della
 rilevanza avendo questi  autonomamente  modificato  il  titolo  della
 domanda  del  ricorso,  avanzato ai sensi dell'art. 33 della legge n.
 1034 del 1971, e non come  giudizio  di  ottemperanza  verso  le  cui
 disposizioni si appuntano le censure di legittimita' costituzionale.
   Nel  merito,  secondo  la  difesa  erariale,  la  questione sarebbe
 infondata  poiche'  il  giudice  a  quo,  pur  muovendo   dall'esatto
 presupposto   dell'imprescindibilita'  della  tutela  esecutiva,  non
 considera la specificita' del processo amministrativo ed, altresi', i
 limiti che circoscrivono l'esecuzione  coattiva  delle  sentenze  nei
 confronti dell'attivita' provvedimentale dell'amministrazione.
   D'altra  parte  la  censura  che  investe  la  postulata incoerenza
 dell'esecutivita' delle sentenze di primo  grado  e  l'ammissibilita'
 del   ricorso   per  ottemperanza  delle  sole  sentenze  passate  in
 giudicato, si rivelerebbe ad una indagine approfondita insostenibile.
   L'esecutivita', infatti, rileva l'Avvocatura, sarebbe propria delle
 sentenze autoesecutive, quali sono le sentenze di annullamento emesse
 dal giudice amministrativo all'esito  di  un  giudizio  impugnatorio;
 mentre  l'azione  di  ottemperanza  e'  diretta  a conseguire effetti
 ulteriori, mediati, tali da presupporre l'adozione di  provvedimenti,
 diversi da quelli oggetto di impugnazione.
   Del   resto   la   natura  stessa  del  giudizio  di  ottemperanza,
 riconducibile per espressa previsione  normativa  alla  giurisdizione
 estesa  al  merito  riservata  alla  cognizione esclusiva del giudice
 amministrativo,   renderebbe   intuitiva   ragione   del    carattere
 sostitutivo  di tale giudizio rispetto a provvedimenti discrezionali,
 altrimenti rimessi alle attribuzioni dell'amministrazione.
   Ne'  si  rivelerebbe  fondata  l'argomentazione  incentrata   sulla
 comparazione delle misure esecutive proprie della fase cautelare, che
 per sua natura e' meramente interinale ed inidonea ad incidere in via
 definitiva  sull'assetto  di  interessi  dedotto  in giudizio, con il
 giudizio  di  ottemperanza,  diretto  ad  adeguare   stabilmente   la
 situazione  anteriore  alla statuizione, imponendo misure attuative e
 provvedimenti all'amministrazione, al fine di ricercare un momento di
 equilibrio fra la  necessita'  di  garantire  la  effettivita'  della
 decisione  giurisdizionale  e  quella,  in  ossequio  al principio di
 divisione dei  poteri,  di  non  invadere  la  sfera  destinata  alla
 amministrazione da parte del potere giudiziario.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Piemonte, con
 ordinanza 22 gennaio 1997, ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034
 (Istituzione  dei  tribunali  amministrativi  regionali),  27,  primo
 comma,  numero  4, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del
 testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), 90 e 91 del r.d.  17
 agosto  1907,  n.  642  (Regolamento  per  la  procedura dinanzi alle
 sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), nella parte  in  cui
 stabiliscono   che   i  ricorsi  diretti  ad  ottenere  l'adempimento
 dell'obbligo  dell'autorita'  amministrativa  di   conformarsi   alle
 decisioni   pronunciate  dagli  organi  di  giustizia  amministrativa
 possano essere proposti esclusivamente avverso le sentenze passate in
 giudicato e non anche con riferimento  a  sentenze  di  primo  grado,
 esecutive  e  non  sospese  dal giudice di appello, ma non passate in
 giudicato.
   A parere del tribunale rimettente, le norme anzidette  violerebbero
 gli   artt.   3,   24,  103  e  113  della  Costituzione,  in  quanto
 l'effettivita'   della   tutela   giudiziaria    esecutiva    sarebbe
 procrastinata  in  modo  irragionevole tanto piu' se comparata con le
 misure  esecutive  proprie  della  tutela  cautelare;   traducendosi,
 inoltre,   nella  violazione  del  principio  di  uguaglianza  stante
 l'ingiusta discriminazione fra chi abbia ottenuto una sentenza civile
 immediatamente esecutiva anche in mancanza di giudicato, e  chi,  pur
 avendo  ottenuto  una  sentenza  esecutiva  amministrativa,  non puo'
 esperire il ricorso per ottemperanza.
   2. - Va preliminarmente rilevato  che  il  richiesto  scrutinio  di
 costituzionalita'  deve  incentrarsi  sugli  artt.  37 della legge n.
 1034 del 1971, e 27, primo comma, numero  4,  del  regio  decreto  n.
 1054  del  1924,  che  sono  le  norme  dalle  quali  puo' dedursi il
 presupposto contestato, mentre gli artt. 90 e 91 del r.d. n. 642  del
 1907 hanno la sola funzione di regolamentazione della procedura per i
 ricorsi cui le prime si riferiscono.
   3. - La questione non e' fondata.
   Giova  premettere  che  lo  speciale (per l'oggetto e la procedura)
 giudizio ex art. 27, numero 4, del  r.d.  26  giugno  1924,  n.  1054
 (Testo  unico  delle  leggi sul Consiglio di Stato) era concepito con
 specifico riguardo alle sentenze dei tribunali ordinari ed  e'  stato
 esteso  a  tutte  le  decisioni  di  organi giurisdizionali, compresi
 quelli della giustizia amministrativa, prima dalla  giurisprudenza  e
 poi  espressamente,  per quanto riguarda il giudicato degli organi di
 giustizia amministrativa, dall'art. 37 della legge 6  dicembre  1971,
 n.  1034 nel regolare la distribuzione della competenza tra tribunale
 amministrativo regionale e Consiglio di Stato.  Mentre  solo  con  il
 d.lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, art. 70, e' stata enucleata - salvo
 quanto previsto per la esecuzione forzata dal cod. proc. civ.  -  una
 particolare  procedura di "ottemperanza agli obblighi derivanti dalla
 sentenza  delle   commissioni   tributarie"   purche'   "passata   in
 giudicato",  attribuita alla competenza delle commissioni tributarie,
 laddove in  precedenza  la  giurisprudenza,  sia  pure  in  modo  non
 uniforme,  aveva  ammesso  l'azionabilita'  del  giudizio  avanti  al
 giudice amministrativo.
   Di conseguenza, stante l'unicita' dei presupposti del  ricorso  per
 ottemperanza di sentenze dei giudici ordinari e di quelle dei giudici
 amministrativi,   deve  escludersi  in  radice  qualsiasi  disparita'
 nell'ambito dei ricorsi per l'esecuzione del giudicato.
   Invece differenti,  rispetto  all'azione  in  base  a  ricorso  per
 ottemperanza,  e  quindi  non  comparabili,  sono le azioni esecutive
 davanti al giudice ordinario secondo le norme del codice di procedura
 civile, sia nella  forma  dell'espropriazione  forzata  mobiliare  ed
 immobiliare  sia  nelle  forme  per  consegna  o  rilascio ovvero per
 violazione di un obbligo di fare o di  non  fare.  Rispetto  a  dette
 azioni  esecutive  e'  ininfluente  il mancato passaggio in giudicato
 della  sentenza  o  provvedimento   giudiziale   purche'   esecutivo,
 trattandosi   di  circostanza  necessaria  solo  per  il  concorrente
 strumento di tutela costituito dal giudizio di  ottemperanza  davanti
 al giudice amministrativo.
   D'altro  canto  il  giudizio  di  ottemperanza,  secondo  l'attuale
 elaborazione  giurisprudenziale,  ricomprende   una   pluralita'   di
 configurazioni   (in   relazione   alla   situazione  concreta,  alla
 statuizione del giudice e alla natura dell'atto impugnato), assumendo
 talora (quando si tratta di sentenza  di  condanna  al  pagamento  di
 somma  di denaro esattamente quantificata e determinata nell'importo,
 senza  che  vi  sia  esigenza  ulteriore  di  sostanziale   contenuto
 cognitorio)  natura  di  semplice  giudizio  esecutivo  -  come  tale
 assoggettabile alle limitazioni proprie delle "azioni esecutive"  nei
 confronti  degli enti locali dissestati - e quindi qualificabile come
 rimedio complementare che si aggiunge al  procedimento  espropriativo
 del codice di procedura civile, rimesso alla scelta del creditore. In
 altri casi il giudizio di ottemperanza puo' essere diretto a porre in
 essere   operazioni  materiali  o  atti  giuridici  di  piu'  stretta
 esecuzione  della  sentenza;  in  altri  ancora  ha  l'obiettivo   di
 conseguire  una  attivita'  provvedimentale  dell'amministrazione  ed
 anche  effetti  ulteriori  e  diversi   rispetto   al   provvedimento
 originario   oggetto   della   impugnazione;   inoltre   puo'  essere
 utilizzato,  in  caso  di  materia  attribuita   alla   giurisdizione
 amministrativa,  anche  in  mancanza  di  completa individuazione del
 contenuto   della   prestazione   o   attivita'   cui    e'    tenuta
 l'amministrazione,  laddove invece l'esecuzione forzata attribuita al
 giudice ordinario presuppone  un  titolo  esecutivo  per  un  diritto
 certo, liquido ed esigibile.
   Del  resto  il  giudizio  di  ottemperanza non deve necessariamente
 (sotto il profilo costituzionale) modellarsi, anche nei  presupposti,
 al  processo  esecutivo  ordinario, attese le peculiarita' funzionali
 del giudizio amministrativo  (esteso  al  merito)  con  potenzialita'
 sostitutive    e   intromissive   nell'azione   amministrativa,   non
 comparabili con i poteri del  giudice  dell'esecuzione  nel  processo
 civile.
   Infatti,  non esiste un principio (costituzionalmente rilevante) di
 necessaria uniformita' di regole processuali tra i  diversi  tipi  di
 processo  (civile e amministrativo), potendo i rispettivi ordinamenti
 processuali differenziarsi sulla base di  una  scelta  razionale  del
 legislatore,  derivante  dal  tipo  di  configurazione del processo e
 dalle situazioni sostanziali  dedotte  in  giudizio,  naturalmente  a
 condizione  che  non  siano  vulnerati  i  principi  fondamentali  di
 garanzia ed effettivita' della tutela (sentenza n. 82 del 1996).
   4. - Il limitare l'ambito dello speciale giudizio di ottemperanza -
 diretto   ad    ottenere    l'adempimento    coattivo    dell'obbligo
 dell'autorita'  amministrativa  di conformarsi, in quanto riguarda il
 caso deciso - al  giudicato,  inteso  come  cosa  giudicata,  e'  una
 interpretazione plausibile che il giudice a quo ritiene di seguire.
   Tale   limitazione   costituisce   una  scelta  che  rientra  nella
 discrezionalita' legislativa,  in  quanto  non  obbligata  sul  piano
 costituzionale, essendo libero il legislatore di adottare particolari
 sistemi  di  esecuzione  in  via  amministrativa  delle  sentenze dei
 giudici nei confronti delle pubbliche amministrazioni, quando  queste
 non  si  conformino  spontaneamente  (scelta  di recente ripetuta nel
 processo tributario), fermo il principio  (v.  sentenza  n.  435  del
 1995)  che  in  caso di "pronuncia giurisdizionale la quale riconosca
 come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato
 comportamento dell'amministrazione, incombe su quest'ultima l'obbligo
 di conformarsi ad essa, ed il  contenuto  di  tale  obbligo  consiste
 appunto   nell'attuazione   di  quel  risultato  pratico,  tangibile,
 riconosciuto come giusto  e  necessario  dal  giudice".  La  fase  di
 esecuzione coattiva di questo obbligo, che pur nasce con la pronuncia
 del    giudice    con    il    carattere   della   esecutivita',   e'
 costituzionalmente   necessaria   senza   alcuna   possibilita'    di
 distinzioni  tra  funzioni  giurisdizionali  di  natura diversa o tra
 pubbliche autorita' anche di rilevanza  costituzionale  (sentenza  n.
 435 del 1995), mentre non necessariamente sul piano costituzionale la
 proponibilita' della speciale azione deve coincidere con la pronuncia
 di primo grado non passata in giudicato.
   La  procedura di ottemperanza - con la possibilita' di esercizio di
 poteri sostitutivi rispetto  all'amministrazione  inadempiente  e  di
 inserimento  nello  svolgimento  concreto  dell'azione amministrativa
 mediante un commissario ad  acta  o,  a  seconda  della  fattispecie,
 direttamente  da  parte  del  giudice  - nei confronti della pubblica
 amministrazione comporta  l'esercizio  di  una  giurisdizione  estesa
 anche  al  merito,  di  modo  che  non e' irragionevole, nell'attuale
 contesto  del  sistema  processuale,  la  scelta   di   porre,   come
 presupposto della speciale azione, l'esistenza di una cosa giudicata,
 anche  se  e'  stata  auspicata  una  diversa  soluzione  legislativa
 accompagnata da modifiche al processo amministrativo.
   5. - L'azione di ottemperanza al giudicato, cosi' come configurata,
 non  esclude  ne' limita la ulteriore tutela giurisdizionale, potendo
 il soggetto interessato, da un canto, avvalersi dell'azione esecutiva
 ordinaria per espropriazione forzata in  base  a  sentenza  esecutiva
 contenente  condanna  al  pagamento  di  somma  di denaro; dall'altro
 canto,   proporre   le   normali   azioni   di   fronte   all'inerzia
 dell'amministrazione,  nonche'  le impugnazioni contro gli atti della
 amministrazione che siano in contrasto con le  statuizioni  contenute
 in  una sentenza provvista di esecutivita', ancorche' non definitiva.
 Del resto, la spontanea esecuzione (pur sempre atto dovuto) da  parte
 della  Amministrazione  di una sentenza del giudice amministrativo di
 primo grado, in quanto immediatamente esecutiva, non puo' configurare
 di per se' acquiescenza alla sentenza  stessa,  anche  se  intervenga
 successivamente    all'appello   e   senza   riserva   alcuna   circa
 l'obbligatorieta'  del  comportamento  sulla  base  della   sentenza,
 proprio  perche'  l'Amministrazione  "e'  tenuta a darvi esecuzione",
 secondo un indirizzo giurisprudenziale tutt'altro che isolato.
   Sullo stesso piano qualsiasi nuovo atto  dell'Amministrazione,  che
 sia   in  contrasto  con  la  statuizione  contenuta  nella  sentenza
 esecutiva o che trovi fondamento o giustificazione o che si basi  sul
 presupposto  dell'esistenza  di  un  atto  annullato  con la medesima
 sentenza ovvero dia ulteriore seguito ai provvedimenti eliminati  dal
 mondo giuridico con l'annullamento disposto da sentenza esecutiva, e'
 affetto da antigiuridicita' derivata (per violazione dell'obbligo, in
 precedenza   sottolineato,   a   carico   della   Amministrazione  di
 conformarsi alla pronuncia giurisdizionale), suscettibile  di  essere
 censurato  in  sede  giurisdizionale con gli ordinari rimedi previsti
 per la tutela delle posizioni di diritto soggettivo  o  di  interesse
 legittimo,  restando  affidato  ai  giudici  l'esercizio  dei  poteri
 cautelari conferiti dagli ordinamenti processuali, con le conseguenze
 attuative (v., sulle possibilita' di esecuzione  delle  ordinanze  di
 sospensiva del giudice amministrativo, sentenza n. 419 del 1995).
   D'altro   canto,   secondo   un   indirizzo   della  giurisprudenza
 amministrativa,  perfino  il  giudice   che   ha   provveduto   sulla
 sospensione  di  una sentenza impugnata in appello conserva il potere
 di emanare provvedimenti cautelari che impongano alla Amministrazione
 la assunzione di  atti  ritenuti  necessari  per  l'effettiva  tutela
 interinale  dell'interesse  perseguito.  Infatti,  su  un  piano piu'
 generale e' stato affermato  il  principio  che  qualora  il  diritto
 assistito da fumus boni iuris sia minacciato da pregiudizio imminente
 ed irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo
 valere  in  via  ordinaria,  spetta al giudice il potere di emanare i
 provvedimenti di urgenza che appaiono, secondo le  circostanze,  piu'
 idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul
 merito  (sentenza  n.  190  del  1985  a  proposito  di  controversie
 patrimoniali attribuite alla giurisdizione esclusiva).
   In ogni caso, la mancata adozione da parte dell'Amministrazione  di
 provvedimenti  che rimuovano o interrompano gli effetti persistenti e
 produttivi di ulteriori conseguenze  giuridiche  a  seguito  di  atti
 annullati   o   comportamenti   dichiarati  illegittimi  da  sentenza
 esecutiva o il mancato conformarsi alle  statuizioni  della  medesima
 sentenza esecutiva - ancorche' non ancora suscettibile di coazione in
 forma  specifica  attraverso  il  giudizio  di  ottemperanza  - e' un
 comportamento a  rischio  dell'Amministrazione  inadempiente  (e  del
 funzionario  responsabile),  potendo ravvisarsi responsabilita' nelle
 diverse  forme - a seconda della sussistenza dei relativi presupposti
 - e nelle sedi competenti.