ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, secondo
 comma, 3, primo comma, lett. c) ed f), 4, primo comma, secondo  comma
 e terzo comma, lett. a), 8, 9 e 20, commi dal primo al settimo, legge
 15  marzo 1997, n. 59, recante "Delega al Governo per il conferimento
 di funzioni e compiti alle regioni ed enti  locali,  per  la  riforma
 della    pubblica    amministrazione   e   per   la   semplificazione
 amministrativa",  e  degli  artt. 1, 2, 3, 8 e 9 del d.lgs. 28 agosto
 1997, n. 281, recante "Definizione e ampliamento  delle  attribuzioni
 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e
 le  Province  autonome di Trento e di Bolzano ed unificazione, per le
 materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  Regioni,  delle
 Province  e  dei  comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie
 locali", promossi con ricorsi della Regione Siciliana e della Regione
 Puglia, notificati il 15 e 16 aprile ed il 26 e  29  settembre  1997,
 depositati   il   19   e  24  aprile  ed  il  4  e  6  ottobre  1997,
 rispettivamente iscritti ai nn. 34, 35, 61 e 62 del registro  ricorsi
 1997.
   Visti  gli  atti  di  costituzione del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1998 il giudice  relatore
 Valerio Onida;
   Uditi  gli  avvocati  Giovanni Pitruzzella e Giovanni Lo Bue per la
 Regione Siciliana, Beniamino  Caravita  di  Toritto  per  la  Regione
 Puglia   e  l'avvocato  dello  Stato  Ignazio  F.  Caramazza  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ricorso notificato il 15 aprile 1997 e depositato  il  19
 aprile  1997  (Reg.  ric.  n.  34  del 1997), la Regione Siciliana ha
 proposto questione di  legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
 agli  artt. 20, 14, 15 e 17 dello statuto speciale nonche' agli artt.
 3, 5, 114 e 118 della Costituzione, degli articoli 8 e 9 della  legge
 15  marzo  1997,  n.  59,  per  errore indicata come n. 50 (Delega al
 Governo per il conferimento di funzioni e  compiti  alle  Regioni  ed
 enti locali).  La ricorrente premette che la legge censurata, che per
 altri   profili   avrebbe   compiuto   una   chiara  opzione  per  la
 valorizzazione delle autonomie territoriali, si sarebbe  ispirata  ad
 un  modello  di  organizzazione  dei  livelli di governo che comporta
 l'equiparazione  di  Regioni,  Province   e   comuni,   modello   non
 rispondente  all'attuale  Costituzione,  che  sancisce  la differente
 garanzia costituzionale delle Regioni rispetto a  quella  degli  enti
 locali,  tanto  piu'  se  si ha riguardo alle Regioni speciali.  Tale
 scelta emergerebbe sin dai primi quattro articoli  della  legge,  che
 attribuirebbero  sostanzialmente  al  Governo  la  ripartizione delle
 funzioni tra il livello  regionale  e  quello  locale,  articoli  che
 peraltro   la   Regione  Siciliana  dichiara  di  non  impugnare  sul
 presupposto che essi non si applichino al  suo  ordinamento.    Viene
 impugnato invece l'art. 9 della legge, che, prevedendo l'unificazione
 della   Conferenza   Stato-Regioni-Province   autonome   con   quella
 Stato-citta'  e  autonomie  locali,  inciderebbe  direttamente  sulla
 posizione  della  Regione Siciliana, per l'effetto di svuotamento del
 ruolo differenziato rispetto agli enti locali che ad essa deve essere
 riconosciuto. Emergerebbero profili di  contraddittorieta'  dell'art.
 9,  che "consolida" la conferenza Stato-citta', con precedenti scelte
 legislative  che  optavano  invece  per  un  sistema  di   necessaria
 intermediazione  regionale  nei  rapporti  fra  Stato ed enti locali,
 cosi'   che   potrebbe   prospettarsi   la   irragionevolezza   della
 disposizione  impugnata.  Ma, soprattutto, essa contrasterebbe con il
 sistema costituzionale, che comporterebbe la  netta  differenziazione
 della  posizione  delle  Regioni,  in particolare di quelle speciali,
 rispetto  agli  enti  locali,  differenziazione   da   cui   dovrebbe
 discendere che la Regione ha la padronanza del sistema amministrativo
 interno  e  che  le  relazioni centro-periferia sono relazioni fra lo
 Stato e le Regioni. Alla giusta preoccupazione di evitare i rischi di
 un  centralismo  regionale  altre  dovrebbero  essere,   secondo   la
 ricorrente,   le  risposte,  come  l'applicazione  del  principio  di
 sussidiarieta'  e  l'inserimento  degli  enti  locali  nei   processi
 decisionali  regionali.    La  ricorrente  ipotizza, come conseguenza
 estrema   delle   sue   premesse,   una   censura   di   legittimita'
 costituzionale   nei   confronti   della  stessa  previsione  di  una
 conferenza Stato-citta': ma afferma che, anche a non  voler  accedere
 ad una soluzione radicale, l'art. 9 in esame sarebbe in contrasto con
 la Costituzione poiche', a seguito dell'unificazione della conferenza
 Stato-citta'   con   quella  Stato-Regioni,  la  prima,  da  semplice
 organismo di informazione  e  di  confronto,  diverrebbe  organo  che
 interviene  in  processi  decisionali  relativi  a  decisioni di alta
 amministrazione immediatamente incidenti nell'ordinamento  regionale,
 come  la  formazione di intese e la determinazione in via diretta del
 contenuto di atti di indirizzo e di programmazione.    In  subordine,
 poi,   la   Regione  sostiene  che  sarebbe  quanto  meno  necessario
 differenziare, nella conferenza unificata, la posizione delle Regioni
 e  degli  enti  locali,  almeno  sotto  il  profilo  delle  quote  di
 rappresentanza,  a  favore delle Regioni: mentre nulla disporrebbe in
 proposito   la   disposizione    impugnata.        Sarebbe    inoltre
 costituzionalmente  illegittima  la  previsione  della  lettera a del
 comma 1 dell'art. 9, secondo cui la conferenza unificata partecipa  a
 tutti  i  processi  decisionali  anche di interesse "interregionale e
 infraregionale",  incidendo  cosi'  sull'autonomia  amministrativa  e
 organizzativa  della  Regione nei suoi rapporti con gli enti locali o
 in quelli da essa autonomamente determinati con altre Regioni.
   2. - La Regione Siciliana impugna altresi' l'art. 8 della legge  n.
 59,  in  tema  di  atti  di indirizzo e coordinamento. In primo luogo
 censura  la  lettera  c  del  comma  5,  ai  sensi  della  quale   e'
 parzialmente  abrogato  l'articolo 2, comma 3, lettera d, della legge
 23 agosto 1988, n. 400, che includeva  fra  gli  atti  sottoposti  al
 Consiglio  dei  ministri  quelli  di  indirizzo  e coordinamento, nel
 rispetto, per quanto riguarda le  Regioni  speciali,  delle  relative
 disposizioni  statutarie.  In  tal modo, da un lato sarebbe scomparso
 l'obbligo di conformare l'esercizio della funzione di indirizzo  agli
 statuti speciali, col rischio di una "particolare pervasivita'" della
 funzione; dall'altro verrebbe meno la riserva "in via tendenziale" al
 Consiglio  dei  ministri  della  funzione  di indirizzo, in contrasto
 anche con gli artt. 92 e 95 della Costituzione,  dai  quali  dovrebbe
 discendere  la  concentrazione  nell'organo collegiale di governo dei
 poteri di indirizzo politico e amministrativo.    In  secondo  luogo,
 sarebbe  censurabile  la previsione dell'art. 8, comma 3, secondo cui
 in caso di urgenza il Governo potrebbe adottare atti di  indirizzo  e
 coordinamento  prescindendo  dalle procedure di intesa preventiva con
 la conferenza Stato-Regioni, posto che in caso di  effettiva  urgenza
 l'ordinamento  appresta  altri  strumenti,  come il decreto legge e i
 poteri di ordinanza, mentre la previsione in questione si presterebbe
 a  possibili  e  frequenti  abusi.      In   terzo   luogo,   sarebbe
 incostituzionale  il  comma  2 dell'art. 8 nella parte in cui prevede
 che, ove l'intesa non sia raggiunta entro un certo termine, gli  atti
 di  indirizzo  possono  essere  adottati  dal  Consiglio dei ministri
 previo   parere  della  commissione  parlamentare  per  le  questioni
 regionali. Non si contesta la previsione di un meccanismo  diretto  a
 superare  situazioni  di  blocco, ma la circostanza che non si indica
 che, per ricorrere legittimamente a tale meccanismo, il Governo  deve
 avere   tenuto  un  comportamento  leale,  effettivamente  diretto  a
 raggiungere l'intesa.    Infine,  l'intero  art.  8  si  porrebbe  in
 contrasto  con  la  Costituzione in quanto non menziona il principio,
 affermato nella consolidata giurisprudenza di questa Corte,  per  cui
 l'esercizio  della funzione statale di indirizzo e coordinamento deve
 conformarsi al principio di  legalita'  sostanziale,  onde  occorrono
 sempre  norme  specifiche  di  legge  che  fondino  l'esercizio della
 funzione in un determinato ambito e delimitino il possibile contenuto
 sostanziale degli atti di indirizzo.
   3. - Si e' costituito nel giudizio  il  Presidente  del  Consiglio,
 sostenendo  in  primo  luogo  che il ricorso sarebbe inammissibile in
 quanto la legge di delega  n.  59  del  1997  riguarderebbe  solo  le
 Regioni  a  statuto  ordinario.   In subordine, l'Avvocatura erariale
 sostiene che, quand'anche dovesse ritenersi applicabile alla  Regione
 Siciliana  la  norma  dell'art.  9  relativa  all'unificazione  della
 conferenza Stato-Regioni con la conferenza Stato-citta', resterebbero
 comunque rispettate le competenze previste  nello  statuto  speciale,
 atteso  il  diverso  rango  delle  due  normative, mentre il concreto
 mancato rispetto di tale limite potrebbe riscontrarsi solo in sede di
 esame dei decreti legislativi: onde anche  sotto  questo  profilo  il
 ricorso  sarebbe inammissibile.   Per quanto attiene all'art. 8 della
 legge, la  difesa  del  Presidente  del  Consiglio  rileva  che  esso
 costituisce  una  disposizione  di tipo procedimentale sull'esercizio
 della funzione di indirizzo e coordinamento, senza pregiudizio  delle
 corrette  modalita'  di  esercizio  che  dovranno, di volta in volta,
 basarsi su specifiche norme di legge:  onde  non  avrebbe  pregio  la
 censura  di  violazione  del principio di legalita' sostanziale.  Non
 sarebbe poi ravvisabile nella Costituzione una riserva  al  Consiglio
 dei  ministri  della  funzione  di  indirizzo  e  coordinamento,  ne'
 sarebbero irragionevoli i meccanismi previsti per  le  situazioni  di
 urgenza   o   di   mancata  intesa  del  Governo  con  la  conferenza
 Stato-Regioni, dovendosi sempre  presumere  il  richiamo  alla  leale
 collaborazione.
   4.  -  Gli  articoli  1; 2, comma 2; 3, comma 1, lettere c ed f; 4,
 commi 1, 2, 3, lettera a e 5; 8; 9, comma 1; 20,  commi  da  1  a  7,
 della  legge n. 59 del 1997 sono stati impugnati dalla Regione Puglia
 con ricorso notificato il 16 aprile 1997 e depositato  il  24  aprile
 1997  (Reg.  Ric.  n.  35  del 1997).   Premesso che la legge nel suo
 insieme appare ispirata ad un complessivo disegno di riduzione  delle
 garanzie dell'autonomia regionale, il cui ruolo verrebbe, negli artt.
 1 e 2, incostituzionalmente equiparato a quello degli enti locali, un
 primo  gruppo  di  censure riguarda la delega di cui all'art. 1 della
 legge e le ulteriori specificazioni contenute negli artt. 2, 3  e  4.
 Si  afferma  in  primo  luogo l'illegittimita' della previsione di un
 generico "conferimento" di funzioni a Regioni ed  enti  locali  (art.
 1,  comma  1),  che  unificherebbe in tale concetto nozioni da tenere
 distinte, come trasferimento e delega  di  funzioni,  previsti  dalla
 Costituzione nei riguardi delle Regioni, ed attribuzione di funzioni,
 prevista  nei riguardi degli enti locali; nonche' della equiparazione
 delle potesta' normative spettanti a Regioni, Province e comuni,  che
 si  attuerebbe  con  l'art. 2, comma 2 (ai cui sensi "in ogni caso la
 disciplina della organizzazione e dello  svolgimento  delle  funzioni
 sara'  disposta, secondo le rispettive competenze e nell'ambito della
 rispettiva potesta' normativa, dalle Regioni e dagli  enti  locali").
 Sempre  secondo  la  ricorrente,  l'oggetto della delega sarebbe solo
 apparentemente precisato, poiche',  elencandosi  non  le  materie  da
 trasferire,  bensi'  quelle  che  rimangono  in  capo  allo Stato, si
 avrebbe solo un'indicazione di cio' che non  e'  oggetto  di  delega.
 D'altra   parte   questa   formulazione  della  delega  sarebbe  solo
 apparentemente vantaggiosa per le Regioni, in quanto esse  dovrebbero
 comunque  attendere  le  determinazioni statali per intervenire nelle
 nuove  materie;  e  le  competenze  non  riservate  allo  Stato  sono
 destinate   genericamente   a   Regioni   ed   enti   locali,   cosi'
 sostanzialmente parificandosene  la  collocazione  costituzionale,  e
 "decostituzionalizzando"  le  garanzie  a favore delle Regioni, messe
 alla merce' della legge ordinaria.  Nell'art. 4, comma 3, lettera  a,
 il  criterio  di  sussidiarieta'  sarebbe  utilizzato,  in violazione
 dell'art. 115 della Costituzione, in  funzione  antiregionalista,  in
 quanto  da  un  lato  le  competenze vengono attribuite dallo Stato a
 tutti gli  enti,  illegittimamente  equiparati,  dall'altro  lato  le
 Regioni  dovranno conferire agli enti locali tutte le funzioni, nelle
 materie  dell'art.  117  della  Costituzione,  che   non   richiedano
 l'esercizio   unitario   a   livello   regionale.     Sarebbe  infine
 incostituzionale la previsione, nell'art. 4, comma 5,  di  un  potere
 sostitutivo  dello Stato, da esercitarsi con decreti legislativi, nel
 caso di inadempimento della  Regione,  entro  il  termine  stabilito,
 all'obbligo  di  individuare  puntualmente  le  funzioni trasferite o
 delegate agli enti locali e quelle mantenute  in  capo  alla  Regione
 medesima.  Tale  delega  al  Governo  non  risponderebbe ai requisiti
 costituzionali, in quanto sarebbe incerta nell'an, non  sapendosi  se
 le  Regioni  saranno  inadempienti, e nel quomodo mancando i principi
 della distribuzione delle competenze; e avrebbe un oggetto eventuale,
 definibile solo ex post in ragione di  un  comportamento  illegittimo
 della  Regione.   Sarebbero pertanto violati gli articoli 76, 5, 115,
 117, 118 e 119 della Costituzione.
   5. - Un secondo gruppo di censure,  per  contrasto  con  gli  artt.
 della  Costituzione,  si appunta sull'art. 9 della legge, concernente
 l'unificazione  della  conferenza  Stato-Regioni  con  la  conferenza
 Stato-citta'.    La  Regione  ricorrente,  premesso che la conferenza
 Stato-Regioni   costituirebbe    "un    punto    insostituibile    ed
 irretrattabile,  a  Costituzione vigente, del raccordo tra lo Stato e
 le  Regioni",  nonche'  "lo  strumento  essenziale",  per  la   leale
 cooperazione,  lamenta  che  con la unificazione si avrebbe un organo
 della  composizione  variabile,  posta  nella  discrezionalita'   del
 Governo, in cui si confronterebbero soggetti, come le Regioni, le cui
 funzioni e compiti sono garantiti dalla Costituzione, con soggetti le
 cui  funzioni sono determinate da leggi ordinarie. Proprio in base al
 principio di sussidiarieta', il luogo naturale per la  collaborazione
 e  il  coordinamento  tra  Regione  ed  enti  locali si collocherebbe
 nell'ambito regionale; mentre spostare a livello  nazionale  la  sede
 del  coordinamento  finirebbe oltre tutto per favorire esclusivamente
 le grandi citta'.  Anche la Regione Puglia censura poi specificamente
 la lettera a  del  comma  1  dell'art.  9,  ove  si  prevede  che  la
 conferenza  Stato-Regioni  partecipa anche ai processi decisionali di
 interesse  interregionale  e  infraregionale,  cio'  che  inciderebbe
 sull'autonomia  amministrativa  e  organizzativa  delle  Regioni  nei
 rapporti  con  gli  enti locali e in quelli autonomamente determinati
 con le altre Regioni.   Infine la Regione osserva  che  non  vale  ad
 escludere   l'illegittimita'   dell'art.   9   la   circostanza   che
 l'unificazione delle due conferenze riguarda  solo  le  materie  e  i
 compiti  di  interesse  comune  delle  Regioni  e  degli enti locali,
 poiche' l'impostazione della legge di delega farebbe si' che tutte le
 materie e i compiti non statali apparirebbero,  incostituzionalmente,
 comuni a Regioni ed enti locali.
   6.  -  Un  terzo gruppo di censure riguarda l'art. 8 della legge in
 tema di esercizio della funzione di  indirizzo  e  coordinamento.  La
 disciplina  dettata  intenderebbe  far  venir  meno  la  possibilita'
 dell'esercizio della funzione  di  indirizzo  in  via  legislativa  a
 favore  di  una  procedura  tutta  amministrativa  in cui lo Stato si
 riserverebbe "un forte potere  di  supremazia  sovrana".  Percio'  la
 disciplina  contrasterebbe con gli artt. 5 e 118 della Costituzione e
 con la consolidata giurisprudenza di questa Corte,  che  richiede  il
 rispetto  del principio di legalita' sostanziale e la spettanza della
 deliberazione dell'atto  di  indirizzo  al  Consiglio  dei  ministri.
 Dubbi  di  legittimita',  in base agli stessi parametri, susciterebbe
 altresi' la previsione che in caso di  urgenza  si  possa  provvedere
 senza  intesa  preventiva con la conferenza Stato-Regioni, previsione
 che si presterebbe ad un uso improprio e distorto di uno strumento di
 intervento straordinario.
   7. - Una ulteriore censura e' mossa dalla  Regione  ricorrente  nei
 confronti  del  disposto  di  cui all'art. 3, lettera c, della legge,
 secondo cui in sede  di  emanazione  dei  decreti  delegati  dovranno
 essere individuate le forme di cooperazione strutturali e funzionali,
 prevedendosi   controlli   sostitutivi   statali  e  la  presenza  di
 rappresentanti statali nelle strutture di raccordo. Esso  sarebbe  in
 contrasto  con  l'art.   9, lettera b, che richiede la concentrazione
 delle forme di raccordo nella conferenza Stato-Regioni, e sarebbe  di
 dubbia  legittimita' in riferimento agli artt. 5, 117, 118, 119 e 123
 della Costituzione, in quanto le forme di cooperazione che operino  a
 livello regionale o infraregionale spetterebbero alle Regioni stesse,
 e forme di cooperazione operanti a livello nazionale sarebbero bensi'
 possibili  quando  siano coinvolti interessi di rilievo nazionale, ma
 sarebbe  illegittima  la  presenza  di  poteri  statali   sostitutivi
 all'infuori  dei limitati casi in cui occorra salvaguardare un valore
 costituzionale fondamentale.
   8. - La ricorrente  afferma  che  sarebbe  di  dubbia  legittimita'
 costituzionale  l'art. 3, lettera f, il quale prevede la possibilita'
 per l'amministrazione dello Stato di avvalersi di uffici regionali  e
 locali  (d'intesa  con  gli  enti  interessati  o  con  gli organismi
 rappresentativi degli stessi).  In ogni caso, sarebbe  grave  che  la
 disposizione  in  oggetto  non preveda la condizione della necessaria
 copertura  finanziaria  degli  oneri  aggiuntivi   da   parte   della
 amministrazione  statale.  Sussisterebbe  dunque  la violazione degli
 artt. 118 e 119 della Costituzione.
   9.  -  Da  ultimo,   la   Regione   Puglia,   rilevato   come   sia
 particolarmente  oscura la portata dei primi sette commi dell'art. 20
 della  legge,  afferma  che,  se  da  essi  si  volesse  dedurre  che
 regolamenti di delegificazione statali possano intervenire in materie
 di   competenza   regionale,  operando  fino  alla  nuova  disciplina
 regionale, cio' contrasterebbe  con  il  principio,  affermato  nella
 giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i regolamenti governativi
 non  sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale,
 e lo strumento della delegificazione non puo' operare  per  fonti  di
 diversa natura, tra le quali vi e' un rapporto di competenza e non di
 gerarchia.
   10.  -  Si  e' costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 chiedendo  che  il  ricorso  della  Regione  Puglia  sia   dichiarato
 inammissibile  o  comunque  infondato.    In  ordine all'art. 1 della
 legge, l'Avvocatura erariale  afferma  che  l'impiego  della  formula
 comprensiva    di    "conferimento"    di   funzioni   non   comporta
 un'equiparazione fra i diversi soggetti destinatari, a ciascun gruppo
 dei quali la previsione normativa si applichera' nel  rispetto  delle
 specifiche peculiarita'. Quanto poi alla censura relativa al criterio
 di  identificazione  delle funzioni da conferire, l'Avvocatura rileva
 che essa presenta aspetti di  paradossalita',  investendo  una  norma
 ispirata  al massimo favore regionalista; che il trasferimento dovra'
 avere ad oggetto, secondo  quanto  chiariscono  i  commi  2,  3  e  4
 dell'art.   1,   tutte   le   funzioni  e  i  compiti  amministrativi
 localizzabili nel territorio di  competenza,  in  atto  svolti  dallo
 Stato  o da altri soggetti pubblici, esclusi soltanto le funzioni e i
 compiti  espressamente  elencati,  senza  che  residui  alcun  potere
 discrezionale al legislatore delegato. La censura sarebbe, sotto tale
 profilo, inammissibile, prima ancora che infondata.  Ne' sarebbe dato
 di vedere come potrebbe il legislatore delegato privilegiare gli enti
 locali a danno delle Regioni, senza violare i principi di localita' e
 di  sussidiarieta',  espressamente  richiamati  dalla legge.   Per le
 stesse ragioni non sarebbero fondate le censure relative all'uso  del
 criterio  di sussidiarieta'.  In ordine alla delega al Governo per la
 disciplina in via  sostitutiva  delle  funzioni  degli  enti  locali,
 prevista  dall'art. 4, comma 5, della legge, la difesa del Presidente
 del Consiglio sostiene anzitutto che la  censura  mossa  dal  ricorso
 sarebbe    inammissibile,   in   quanto   volta   a   lamentare   una
 incostituzionalita' generica della  norma  senza  assumere  che  tale
 vizio  ridondi  in  lesione  della  sfera  di  competenza  regionale.
 Comunque, l'oggetto della delega  non  sarebbe  indefinito,  ma  solo
 condizionato  all'inadempimento  regionale;  e  i  principi e criteri
 direttivi sarebbero quelli elencati nei precedenti commi dello stesso
 art. 4.   Quanto all'unificazione delle  conferenze  Stato-Regioni  e
 Stato-citta',  prevista  dall'art.  9  della legge, si osserva che la
 logica che presiede al nuovo istituto e' la stessa che presiede  alle
 conferenze  dei  servizi,  cioe'  l'esame  contestuale,  da parte dei
 rappresentanti di tutti gli interessi da ponderare, dei  problemi  di
 interesse  comune.  Solo  i  decreti  delegati, che dovranno definire
 forme e modalita' della partecipazione dei rappresentanti degli  enti
 locali,  potrebbero,  in  ipotesi,  ledere  in concreto le competenze
 regionali:  onde  la  censura  sarebbe  allo   stato   inammissibile.
 Sull'art.  8,  in  tema  di  indirizzo  e coordinamento, l'Avvocatura
 contesta le censure mosse dal ricorso con gli stessi argomenti, sopra
 esposti al punto 3, usati per replicare alle analoghe  censure  mosse
 allo  stesso articolo dal ricorso della Regione Siciliana, osservando
 inoltre che la scelta dei meccanismi previsti per  le  situazioni  di
 urgenza   o   di   mancata  intesa  appartengono  alla  insindacabile
 discrezionalita'   del   legislatore,   in   assenza   di   parametri
 costituzionali di riferimento.  Quanto all'art. 3, lettera c, osserva
 che  l'eventuale difetto di chiarezza e coordinamento della norma non
 concreterebbe  un  vizio  di  costituzionalita',  e   che   l'estrema
 genericita' delle previsioni non consente di configurare un attentato
 alle  prerogative  regionali  finche'  non  saranno emanati i decreti
 delegati: la censura sarebbe pertanto inammissibile.  In ordine  alla
 censura  concernente  la  utilizzazione  da  parte  dello Stato degli
 uffici regionali (art. 3, lettera f), si afferma che l'avvalimento e'
 tipica forma di collaborazione fra enti pubblici, e che la  copertura
 finanziaria  attiene  alle  modalita'  e  condizioni  che  i  decreti
 delegati dovranno  disciplinare:  l'attuale  censura  sarebbe  dunque
 inammissibile.      In   merito  all'art.  20  della  legge,  infine,
 l'Avvocatura afferma che si tratta di censura puramente ipotetica,  e
 che  l'interpretazione  su  cui  essa si fonda e' errata. I sei commi
 dell'articolo 20 conterrebbero sia disposizioni procedimentali  sulla
 delegificazione,  sia  criteri  sostanziali  di semplificazione cui i
 regolamenti dovranno attenersi.  Le disposizioni costituenti principi
 generali  dell'ordinamento   giuridico   e   destinate   ad   operare
 direttamente  fino a piu' puntuale normazione regionale, ai sensi del
 comma 7 dell'art. 20, non potrebbero che essere  quelle  sostanziali:
 onde  sarebbe  pacifico  che la delegificazione di cui ai primi commi
 dell'art. 20 non si applichi alle leggi regionali.
   11. - Con successivo ricorso, notificato il  26  settembre  1997  e
 depositato  il  4 ottobre 1997 (Reg. Ric. n. 61 del 1997), la Regione
 Siciliana ha promosso questione di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  artt.  14,  15,  17  e  20 dello statuto speciale,
 nonche' agli  artt.  3,  5,  92,  95,  115,  117,  118  e  119  della
 Costituzione,  degli  artt.  1,  2, 8, commi 1 e 4, e 9 del d.lgs. 28
 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed  ampliamento  delle  attribuzioni
 della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
 le  province  autonome di Trento e di Bolzano ed unificazione, per le
 materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
 province  e  dei  comuni, con la conferenza Stato-citta' ed autonomie
 locali).  La ricorrente ricorda che le  disposizioni  impugnate  sono
 state  emanate sulla base della delega conferita al Governo dall'art.
 8 (recte: 9) della legge n. 59 del 1997,  e  afferma  che  esse  sono
 affette  dagli  stessi  vizi  che inficiano quest'ultimo, a sua volta
 impugnato con il ricorso di cui si  e'  detto  sopra,  al  n.  1.  Il
 ricorso  ripropone  i  profili  e  gli  argomenti  del  precedente, e
 conclude sostenendo che le censure mosse comportano  l'illegittimita'
 costituzionale  delle  norme del decreto legislativo n. 281 del 1997,
 ed in particolare degli  articoli  impugnati,  "nella  parte  in  cui
 unificando  la  conferenza  Stato-regioni  e quella Stato-citta', per
 compiti e materie di interesse  comune,  non  prevedano  una  qualche
 forma  di  preminenza  nel  processo decisionale delle regioni". Piu'
 evidente sarebbe, in ispecie, la violazione delle norme statutarie ad
 opera  delle  disposizioni  impugnate  "nella  parte  in  cui  paiono
 consentire  di  ritenere  le  determinazioni assunte nella conferenza
 unificata, con il dissenso della Regione Siciliana, vincolanti  anche
 nei  confronti  di  quest'ultima,  pure  in  relazione alla sfera dei
 rapporti tra la regione  e  gli  enti  locali  siciliani  ovvero  con
 riguardo all'ordinamento ed all'attivita' di questi ultimi".
   12.  -  Si  e' costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 chiedendo che il ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  o  comunque
 infondato. Esso sarebbe inammissibile in quanto la legge di delega n.
 59  del  1997  e  il  decreto  legislativo  delegato  n. 281 del 1997
 riguarderebbero esclusivamente le regioni  ordinarie.    L'Avvocatura
 osserva  poi  che,  anche  se si ritenessero applicabili alla regione
 Siciliana   l'art.   9   della   legge   e   il   decreto   delegato,
 l'applicabilita'  della  normativa  resterebbe comunque limitata alla
 parte in cui non confligge con le  sovraordinate  disposizioni  dello
 statuto speciale: e che, in ogni caso, le competenze della conferenza
 unificata  attengono a quegli aspetti sui quali vi sia un sovrapporsi
 di competenze statali, regionali e locali,  al  fine  di  effettuarne
 l'opportuno  coordinamento,  secondo  la  logica  delle conferenze di
 servizi.
   13. - Con ricorso notificato il 29 settembre 1997 e depositato il 6
 ottobre 1997 (Reg.  Ric.  n.  62  del  1997)  la  regione  Puglia  ha
 impugnato  a  sua  volta il decreto legislativo n. 281 del 1997, e in
 particolare gli artt. 2, 3, 8 e 9, per violazione degli artt. 5, 115,
 117, 118, 76 e 97 della Costituzione, nonche' dell'art. 9 della legge
 n. 59 del 1997 e del decreto del Presidente della Repubblica  n.  616
 del 1977.  Con un primo motivo la ricorrente sostiene che gli artt. 8
 e  9  del  decreto  impugnato,  che disciplinano l'unificazione della
 conferenza Stato-regioni con la conferenza Stato-citta',  nonche'  le
 modalita'  di  convocazione e le funzioni della conferenza unificata,
 rappresenterebbero  "la  spia  piu'  evidente  di  un  tentativo   di
 decostituzionalizzare    le   garanzie   dell'autonomia   regionale",
 equiparandola anche negli strumenti e nelle procedure a quella  degli
 enti locali.  Richiamate le argomentazioni gia' svolte nel precedente
 ricorso  a  sostegno dell'incostituzionalita' dell'art. 9 della legge
 di  delega,  la  ricorrente  afferma  che  e'   sintomatico   di   un
 atteggiamento  poco  rispettoso del rapporto Regione-autonomie locali
 l'art. 2  del  decreto  legislativo,  che  pone  a  fondamento  delle
 attribuzioni  della  conferenza Stato-Regioni il fine di garantire la
 partecipazione  delle  regioni  anche  ai  processi  decisionali  "di
 interesse   interregionale   ed   infraregionale",   cosi'  incidendo
 sull'autonomia organizzativa e amministrativa delle regioni.  Afferma
 poi che affiora  a  livello  interpretativo  la  tendenza  a  rendere
 definitivamente  comuni a regioni ed enti locali tutte le materie non
 statali,  come  emergerebbe  dalla  tendenza   a   tornare   ad   una
 interpretazione  restrittiva  delle materie di cui all'art. 117 della
 Costituzione, per  poter  assegnare  direttamente  agli  enti  locali
 funzioni in materie che il decreto del Presidente della Repubblica n.
 616  del  1977 aveva considerato attratte nella competenza regionale.
 Con un secondo  motivo  di  ricorso  la  regione  Puglia  lamenta  la
 violazione  dell'art.  76  della  Costituzione  ad opera dell'art. 8,
 commi 2 e 3, e dell'art.  9,  commi  5,  6  e  7,  del  decreto,  che
 disciplinano  la  composizione  e  le  modalita'  di  convocazione, e
 rispettivamente le funzioni della  conferenza  Stato-citta',  oggetti
 estranei  alla  delega  contenuta  nell'art.    9  della  legge,  che
 riguardava solo la definizione e l'ampliamento delle  funzioni  della
 conferenza  Stato-Regioni  e  la  sua  unificazione con la conferenza
 Stato-citta'.  Col terzo motivo di ricorso si lamenta  che  l'art.  3
 del decreto legislativo, contraddicendo tanto il ruolo assegnato alla
 conferenza  Stato-regioni  che  la  stessa  logica  cui  si ispira il
 decreto  nell'individuarne  le funzioni, consente al Governo, in caso
 di "motivata urgenza", di provvedere in mancanza dell'intesa  con  la
 conferenza  stessa,  sottoponendo  a  questa  i  provvedimenti in via
 successiva, con semplice obbligo del medesimo Governo  di  esaminarne
 le  osservazioni  ai  fini  di  eventuali  deliberazioni  successive.
 L'ipotesi della urgenza motivata sarebbe generica e si presterebbe ad
 un uso strumentale da parte  del  Governo.    L'art.  3  del  decreto
 attuerebbe  in  modo  discutibile  la  delega,  in base alla quale il
 Governo era chiamato a specificare le materie per le  quali  l'intesa
 e'  obbligatoria  e  a  disciplinare  i  casi  di dissenso. Invece il
 decreto   sembrerebbe   stabilire   e   contemporaneamente   smentire
 l'obbligatorieta'  dell'intesa,  poiche' mentre da un lato stabilisce
 che le disposizioni in esame si applicano in tutti i casi  nei  quali
 l'intesa  e'  prevista  dalla  legislazione  vigente, sembrerebbe poi
 derogare a tale obbligatorieta' consentendo al Governo di  provvedere
 senza  intesa  in  caso  di  urgenza.  Inoltre  mancherebbe qualsiasi
 disposizione che miri a circoscrivere la possibilita' per il  Governo
 di  aggirare  l'obbligo  dell'intesa; mentre si sarebbe potuto, per i
 casi di urgenza, ridurre  drasticamente  il  termine  per  conseguire
 l'intesa, ovvero qualificare e sostanziare l'urgenza che legittima il
 Governo   a   provvedere  senza  intesa.    Ad  analoghe  censure  si
 presterebbe l'art. 2 del decreto, che consente al  Governo,  in  caso
 d'urgenza,   discrezionalmente   valutata,   di   effettuare  in  via
 successiva  la  consultazione  sugli  atti  per  i  quali   essa   e'
 obbligatoria.
   14. - Anche in quest'ultimo giudizio si e' costituito il Presidente
 del  Consiglio  dei Ministri, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
 inammissibile  o  comunque  infondato.    Ad  avviso  dell'Avvocatura
 erariale,  la  prima  censura,  relativa alla affermata equiparazione
 delle regioni agli enti locali, sarebbe viziata  dalla  arbitrarieta'
 della equazione che ne e' alla base, e che pretende di desumere dalla
 partecipazione  ad  una  conferenza  unificata una equiordinazione di
 ordinamenti: mentre la conferenza svolgerebbe le proprie funzioni  in
 relazione  ai  compiti  sui quali vi sia un sovrapporsi di competenze
 statali, regionali e locali, ai fini di un  opportuno  coordinamento.
 La  seconda  censura,  di eccesso di delega, sarebbe inammissibile in
 quanto  il  vizio  non  ridonderebbe  in  lesione  delle  prerogative
 regionali;  in  subordine, essa sarebbe infondata, in quanto le norme
 del decreto legislativo sulla conferenza  Stato-citta',  riproducendo
 quasi  letteralmente  quelle contenute nel decreto del Presidente del
 Consiglio dei Ministri 2 luglio  1996,  istitutivo  della  conferenza
 medesima, costituirebbero, in dettaglio, quella "legificazione" della
 conferenza  che  la  legge  di  delega  avrebbe  operato  in  via  di
 principio,  ponendosi  in  rapporto  di   necessaria   e   funzionale
 attuazione  con  quest'ultima.    Quanto alle censure mosse col terzo
 motivo del ricorso, l'Avvocatura  osserva  che  la  legge  di  delega
 prevedeva   che   venisse   definita   l'area  della  obbligatorieta'
 dell'intesa, e dunque anche possibili  ipotesi  di  esclusione  della
 stessa,  una  delle quali potrebbe ben essere l'urgenza.  La norma si
 porrebbe d'altronde in linea con la  ratio  ispiratrice  dell'art.  8
 della legge, che a proposito degli atti di indirizzo e coordinamento,
 prevede  l'esclusione dell'intesa, e la consultazione successiva, nel
 caso di urgenza; mentre ipotizzare un uso distorto di  tale  facolta'
 del  Governo costituirebbe un inammissibile processo alle intenzioni,
 tanto  piu'  che il procedimento in esame e' per definizione ispirato
 al principio di leale collaborazione fra Stato e regioni.
                         Considerato in diritto
   1. -  I quattro ricorsi, due della Regione Siciliana  e  due  della
 regione  Puglia, investono da un lato gli articoli 1, 2, 3, 4, 8, 9 e
 20 della legge 15 marzo  1997,  n.  59  (Delega  al  Governo  per  il
 conferimento  di  funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per
 la riforma della pubblica amministrazione e  per  la  semplificazione
 amministrativa),  proponendo  in parte questioni fra loro identiche o
 analoghe; dall'altro, gli artt. 1, 2, 3, 8 e 9 del d.lgs.  28  agosto
 1997,  n.  281  (Definizione  ed ampliamento delle attribuzioni della
 conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
 province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano ed unificazione, per le
 materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
 province  e  dei  comuni, con la conferenza Stato-citta' ed autonomie
 locali), emanato sulla base della delega contenuta nell'art. 9  della
 predetta  legge,  muovendo  in  parte  censure identiche o analoghe a
 quelle proposte nei confronti  della  norma  di  delega.  Pertanto  i
 giudizi,  fra loro connessi, possono essere riuniti per essere decisi
 con unica pronunzia.
   2. - Le questioni  proposte  possono  essere  distinte  in  quattro
 gruppi.    Il primo concerne censure mosse, dalla sola regione Puglia
 nel primo ricorso, ai primi quattro articoli della legge  n.  59  del
 1997, concernenti la delega per il conferimento di funzioni a regioni
 ed  enti locali ed i relativi criteri direttivi; il secondo gruppo di
 questioni, sollevate da entrambe le regioni  nei  ricorsi  contro  la
 legge  n. 59, investe l'art. 8, in tema di indirizzo e coordinamento;
 il terzo gruppo di censure, anch'esse in gran parte comuni  alle  due
 regioni,  e  sviluppate  in  tutti  i  quattro  ricorsi,  riguarda la
 disciplina della conferenza Stato-regioni e la sua  unificazione  con
 la  conferenza  Stato-citta',  come  stabilite  sia nell'art. 9 della
 legge di delega, sia  nel  decreto  legislativo  delegato;  a  parte,
 infine,  va  considerata  la questione sollevata dalla regione Puglia
 nei confronti dell'art.  20 della legge n. 59, in tema di regolamenti
 di  delegificazione.     Il   primo   gruppo   di   censure   investe
 principalmente  i  criteri  con  i  quali il legislatore delegante ha
 previsto l'allocazione di nuove funzioni  e  compiti  ai  livelli  di
 governo  e  di amministrazione delle regioni e degli enti locali.  La
 delega,  come  configurata  nell'art.  1  della  legge,  concerne  il
 "conferimento", sia alle regioni che agli enti locali, ai sensi degli
 artt.  5,  118  e  128  della  Costituzione,  di  funzioni  e compiti
 amministrativi, intendendosi per "conferimento" il trasferimento,  la
 delega  o l'attribuzione di funzioni e compiti (comma 1). In linea di
 principio, sono conferiti a regioni ed enti  locali,  nell'osservanza
 del  principio  di  sussidiarieta',  "tutte  le  funzioni e i compiti
 amministrativi relativi alla cura degli interessi e  alla  promozione
 dello  sviluppo delle rispettive comunita', nonche' tutte le funzioni
 e compiti amministrativi localizzabili nei  rispettivi  territori  in
 atto  esercitati  da  qualunque organo o amministrazione dello Stato,
 centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici"
 (comma 2). Sono esclusi dal conferimento solo le funzioni e i compiti
 riconducibili a materie espressamente  elencate  (comma  3),  nonche'
 altri  compiti  di  rilievo  nazionale da individuare d'intesa con la
 conferenza Stato-Regioni, e quelli svolti  localmente  da  camere  di
 commercio  e  universita' (comma 4).  La disciplina legislativa delle
 funzioni conferite spetta alle regioni nelle materie di cui  all'art.
 117  della  Costituzione;  nelle  restanti materie le regioni avranno
 potesta' legislativa delegata ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,
 della  Costituzione; in ogni caso, la disciplina della organizzazione
 e dello  svolgimento  delle  funzioni  sara'  disposta,  "secondo  le
 rispettive   competenze   e  nell'ambito  della  rispettiva  potesta'
 normativa, dalle regioni e dagli  enti  locali"  (art.  2).    Con  i
 decreti legislativi delegati debbono, fra l'altro, essere individuati
 tassativamente  i  compiti  residui  delle  amministrazioni  statali;
 essere indicate le funzioni da conferire alle regioni anche  ai  fini
 dell'art.  3  della legge n. 142 del 1990 (che affida alle Regioni il
 compito  di  organizzare  l'esercizio  delle  funzioni  di  comuni  e
 Province),  e  quelle  da  conferire  agli enti locali ai sensi degli
 artt. 128 e 118, primo comma, della Costituzione; essere  individuate
 le  procedure  e  gli  strumenti di raccordo (art. 3).   E' stabilito
 inoltre che nelle materie di cui all'art. 117 le regioni conferiranno
 agli enti locali "tutte le funzioni  che  non  richiedono  l'unitario
 esercizio  a livello regionale", mentre nelle altre materie saranno i
 decreti delegati a conferire le funzioni a  regioni  ed  enti  locali
 nell'osservanza  di  vari  principi, fra cui quello di sussidiarieta'
 (art. 4). Ai fini dell'applicazione dell'art. 3 della  legge  n.  142
 del  1990  e  del principio di sussidiarieta' ciascuna regione dovra'
 adottare,  entro  sei  mesi  dall'approvazione  di  ciascun   decreto
 delegato,  una  legge  per  la puntuale individuazione delle funzioni
 trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in  capo
 alla  regione  medesima.  Qualora  non  provveda entro il termine, il
 Governo e' fin d'ora delegato ad emanare, entro novanta giorni  dalla
 scadenza, uno o piu' decreti legislativi delegati "di ripartizione di
 funzioni tra regione ed enti locali, le cui disposizioni si applicano
 fino  alla  data  di entrata in vigore della legge regionale", dunque
 con efficacia suppletiva e cedevole (art. 4, comma 5).  Con  riguardo
 a  questo  complesso  sistema  normativo  che  caratterizza la delega
 conferita al Governo, la regione Puglia lamenta  in  primo  luogo  la
 equiparazione  del ruolo delle regioni e di quello degli enti locali,
 che  si  ispirerebbe  ad  un  disegno  di  riduzione  delle  garanzie
 dell'autonomia   regionale.   Essa   risulterebbe   anzitutto   dalla
 previsione, nell'art. 1, comma 1, di un  generico  "conferimento"  di
 funzioni,  che  unifica  sia  il  trasferimento e la delega, previsti
 dagli artt.  117  e  118  della  Costituzione  per  le  regioni,  sia
 l'attribuzione di funzioni agli enti locali prevista dagli artt. 118,
 primo  comma,  e 128 della Costituzione; e si manifesterebbe altresi'
 nella equiparazione delle potesta' normative spettanti a  regioni  ed
 enti   locali   per   la  disciplina  della  organizzazione  e  dello
 svolgimento delle funzioni (art. 2, comma 2).    Ancora,  secondo  la
 regione  ricorrente,  la previsione di una destinazione generica alle
 regioni e agli enti locali delle funzioni non  riservate  allo  Stato
 realizzerebbe   una   sostanziale  parificazione  della  collocazione
 costituzionale  delle  regioni   e   degli   enti   locali,   e   una
 "decostituzionalizzazione" delle garanzie a favore delle regioni, che
 resterebbero  alla  merce'  della  legge ordinaria, la quale potrebbe
 domani riprendere a favore dello Stato o conferire agli  enti  locali
 cio'  che  oggi  viene  conferito alle regioni stesse.  La ricorrente
 censura altresi' il modo in cui il  legislatore  delegante  ha  fatto
 riferimento  al  principio  di sussidiarieta', che sarebbe utilizzato
 "in funzione antiregionalista", dato che, da  un  lato,  in  base  ad
 esso, il legislatore delegato attribuira' le funzioni anche agli enti
 locali;  dall'altro  lato, le regioni saranno tenute a conferire agli
 enti locali, nelle materie di cui all'art.  117  della  Costituzione,
 tutte  le  funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello
 regionale (art. 4, comma 1).
   3. - Le questioni non sono fondate.  La Costituzione conferisce  al
 legislatore   statale,   ai  fini  della  realizzazione  del  disegno
 complessivo di autonomia ispirato ai principi di cui all'art. 5,  sia
 il   potere-dovere   di   regolare   per  ogni  ramo  della  pubblica
 amministrazione "il passaggio delle funzioni statali attribuite  alle
 regioni"  ai  sensi  dell'art.  118, primo comma (VIII disp. trans. e
 fin., secondo  comma);  sia  il  potere  di  "delegare  alla  regione
 l'esercizio  di  altre  funzioni  amministrative"  (art. 118, secondo
 comma); sia, infine, quello di attribuire direttamente alle Province,
 ai comuni e agli altri enti locali  le  funzioni  amministrative  "di
 interesse esclusivamente locale" nelle materie di spettanza regionale
 (art.  118,  primo  comma),  e  piu'  in  generale  di determinare le
 funzioni  di  province  e  comuni  con  le  "leggi   generali   della
 Repubblica"  che  fissano i principi della loro autonomia (art. 128).
 Nell'esercizio di questi poteri il legislatore statale gode di  spazi
 di  discrezionalita':    cosi'  nello  scegliere  le  materie  in cui
 delegare   alle   regioni   ulteriori   funzioni;    nell'individuare
 direttamente   le   funzioni   di   interesse  esclusivamente  locale
 attribuite agli enti locali o  nel  demandare  invece  alla  regione,
 nell'esercizio  della  sua potesta' legislativa e anche in attuazione
 del principio  del  "normale"  esercizio  decentrato  delle  funzioni
 amministrative  della medesima (art. 118, terzo comma), il compito di
 identificare specificamente la dimensione dei relativi interessi  "in
 rapporto  alle  caratteristiche  della popolazione e del territorio",
 come ad esempio si esprime l'art. 3, comma 2, della legge n. 142  del
 1990    sull'ordinamento    delle    autonomie   locali;   o   ancora
 nell'individuare le esigenze e gli strumenti di raccordo fra  diversi
 livelli  di  governo per un esercizio coordinato delle funzioni o per
 attuare la cooperazione nelle materie in  cui  coesistano  competenze
 diverse.    Cio'  che rileva dal punto di vista costituzionale e' che
 non siano violate le sfere di attribuzioni  garantite  alle  regioni,
 nonche',  a  livello  di  principio, a comuni e province, dalle norme
 costituzionali, e piu' in generale che la disciplina del  riparto  di
 competenze  e  dei  rapporti fra Stato, regioni ed enti locali sia in
 armonia con le regole e  i  principi  derivanti  dalle  stesse  norme
 costituzionali.    La  scelta,  entro  questi  limiti,  di modelli di
 riparto di funzioni e  di  disciplina  di  rapporti  piu'  nettamente
 ispirati  al  potenziamento  del ruolo della regione anche per quanto
 attiene all'assetto delle funzioni degli enti locali,  ovvero  invece
 alla   determinazione   diretta,  con  legge  statale,  di  sfere  di
 attribuzioni amministrative degli enti  locali,  garantite  a  priori
 anche  nei  confronti  del legislatore regionale, rientra nell'ambito
 delle legittime scelte di politica istituzionale, che possono volta a
 volta avvalersi di questo o quello  strumento  apprestato  in  questo
 campo  dalle  norme costituzionali, e che non hanno ragione di essere
 discusse in questa sede, se non quando si  tratti  di  verificare  in
 concreto  l'osservanza  dei  limiti  costituzionalmente imposti.   La
 legge  n.  59 del 1997 contiene una assai ampia delega al Governo per
 l'attuazione, fra  l'altro,  di  un  organico  disegno  di  ulteriore
 decentramento   di  funzioni  (dopo  quello  realizzato,  per  quanto
 riguarda le regioni, e sempre per via di  legislazione  delegata,  in
 base  all'art.  17 della legge n. 281 del 1970 e successivamente, con
 criteri meno restrittivi, in base all'art. 1 della legge n.  382  del
 1975):  e  comporta  l'impiego, da parte del legislatore delegato, di
 tutta  la  gamma  di  strumenti  costituzionalmente  ammessi  per  il
 decentramento  delle  funzioni,  dal  trasferimento di nuove funzioni
 amministrative alle regioni nelle materie di cui all'art.  117  della
 Costituzione  (utilizzando  i  margini  di flessibilita' insiti nella
 definizione legislativa delle materie elencate  dalla  Costituzione),
 alla   delega  alle  regioni  di  funzioni  in  altre  materie,  alla
 attribuzione di funzioni agli enti locali.   La legge  non  solo  non
 confonde  fra  loro  tali  diversi  strumenti (che l'art. 1, comma 1,
 espressamente e distintamente evoca, sia  pure  poi  ricomprendendoli
 per  comodita' espressiva nel termine di "conferimento" di funzioni e
 compiti amministrativi, senza percio' che venga  meno  la  differenza
 del   titolo   costituzionale   del  conferimento,  con  la  relativa
 disciplina), ma opera una netta distinzione fra le materie  spettanti
 alle  regioni  ai  sensi  dell'art.  117  della Costituzione, nel cui
 ambito e' fondamentalmente rimesso alle regioni stesse il compito  di
 individuare  le funzioni da decentrare ulteriormente agli enti locali
 e quelle  che  invece  richiedono  "l'unitario  esercizio  a  livello
 regionale"  (art.  4,  comma  1),  e le altre materie, nelle quali il
 riparto  di  funzioni   attraverso   la   delega   alle   regioni   o
 l'attribuzione  agli  enti  locali  e'  direttamente  effettuato  dai
 decreti delegati (art. 4, comma 2).   Parimenti,  sono  rispettati  i
 limiti  costituzionali  per  quanto  attiene  al  decentramento della
 potesta' normativa. Infatti l'art. 2 della legge ribadisce  anzitutto
 la  spettanza  alle regioni della potesta' legislativa propria quando
 si tratti di disciplina riconducibile alle materie  di  cui  all'art.
 117  della  Costituzione,  e attribuisce alle stesse - sul modello di
 quanto gia' disposto dall'art.  7  del  d.P.R.  n.  616  del  1977  -
 potesta'  legislativa  di  attuazione,  ai  sensi  del  secondo comma
 dell'art. 117 della Costituzione,  nelle  "restanti  materie",  nelle
 quali  cioe'  il  conferimento di funzioni amministrative avviene per
 delega ai sensi dell'art. 118,  secondo  comma,  della  Costituzione.
 Quanto  poi alla disciplina "dell'organizzazione e dello svolgimento"
 delle funzioni, cioe' degli aspetti organizzativi e procedurali, essa
 e' demandata alle regioni o agli enti locali "secondo  le  rispettive
 competenze", e dunque a seconda che alle une o agli altri le funzioni
 medesime   siano   trasferite,   delegate   o  attribuite,  ribadendo
 l'autonomia organizzativa che alle regioni e' direttamente  garantita
 dalla  Costituzione  (cfr.  art.  117, primo alinea, e art. 123 della
 Costituzione), e a comuni e province e' riconosciuta,  in  attuazione
 dell'art.  128  della  Costituzione, dagli artt. 4 e 5 della legge n.
 142 del 1990; e precisando  che  tale  autonomia  trova  esplicazione
 "nell'ambito  della  rispettiva  potesta'  normativa",  e  dunque nel
 rispetto delle regole e dei limiti propri di ciascuno di tali ambiti,
 volta a volta secondo i caratteri propri della  potesta'  statutaria,
 legislativa  o regolamentare delle Regioni o della potesta' normativa
 degli enti locali.   Nemmeno a questo riguardo  si  verifica  percio'
 alcuna   commistione  o  illegittima  equiparazione  della  posizione
 costituzionale  dei  diversi  enti  dotati di autonomia.   Il sistema
 disegnato    dalla    legge    di    delega    non    realizza    una
 "decostituzionalizzazione"  delle attribuzioni regionali: non postula
 infatti alcun potere  del  legislatore  delegato  di  sottrarre  alle
 Regioni   competenze   loro   spettanti   per   Costituzione,  mentre
 attribuzioni  che  dipendano  da  scelte  del  legislatore  ordinario
 restano  per  loro  natura "retrattabili", nei limiti in cui cio' non
 comporti, anche indirettamente, una lesione  dello  status  garantito
 alle  Regioni  dalle norme costituzionali.  Ne', infine, si puo' dire
 che  il  richiamo  ripetuto  al  principio  di  sussidiarieta'  venga
 utilizzato   in   modo  contrastante  con  le  regole  costituzionali
 sull'autonomia  regionale:  in  particolare,  mentre  nelle   materie
 dell'art. 117 della Costituzione - cioe' nell'ambito delle competenze
 proprie  delle  Regioni,  ad  esse  garantite  dalla  Costituzione  -
 l'attuazione  del  principio  in  relazione  ai  livelli  di  governo
 sub-statali  e'  fondamentalmente  rimessa  alla  Regione stessa, cui
 spetta disciplinare il conferimento agli enti locali  delle  funzioni
 "che  non  richiedono l'unitario esercizio a livello regionale" (art.
 4, comma 1), fuori di queste materie e' al legislatore  delegato  che
 viene  rimessa  la realizzazione del riparto di funzioni e di compiti
 fra Regioni ed enti locali (art. 4, comma 2).  In  ogni  caso,  leggi
 regionali  e  decreti  delegati dovranno a cio' provvedere sulla base
 non solo del  principio  di  sussidiarieta',  ma  anche  degli  altri
 principi e criteri previsti dalla legge di delega (art. 4, comma 3).
   4.  -  La  ricorrente  Regione Puglia denuncia altresi' una duplice
 violazione dell'art. 76 della Costituzione. In primo luogo, la delega
 per il conferimento di funzioni avrebbe  un  oggetto  non  precisato,
 elencandosi  nella  legge di delega non gia' le materie da conferire,
 bensi' quelle escluse dal conferimento, e che dunque non sono oggetto
 di delega. In secondo luogo, la delega al Governo per  la  disciplina
 in  via  sostitutiva  del  riparto delle funzioni fra Regione ed enti
 locali, per il caso in cui  la  Regione  non  vi  provveda  entro  il
 termine  stabilito  (art.  4,  comma  5),  sarebbe incerta nell'an ad
 oggetto eventuale e definibile solo ex post ed  incerta  nel  quomodo
 mancando i principi sulla distribuzione delle competenze che verrebbe
 operata dal legislatore delegato.
   5. - Le questioni non sono fondate.  Quanto alla prima, il criterio
 prescelto  dal  legislatore  delegante  per  la  individuazione delle
 funzioni  da  conferire  e'  indubbiamente  innovativo  e   tale   da
 comportare  l'espansione  del  decentramento  al  di  la'  di  quanto
 strettamente richiesto per l'attuazione delle norme costituzionali in
 tema di autonomie regionali e locali: anziche' individuare  nominatim
 gli  ambiti  materiali  cui  attengono  le  funzioni da conferire, si
 procede - in conformita' al principio di sussidiarieta', non  a  caso
 indicato al primo posto tra i criteri direttivi della delega (art. 4,
 comma  2,  lettera  a) - alla elencazione delle materie e dei compiti
 esclusi dal decentramento (art. 1, comma 3 e comma 4, lettere  a,  b,
 d,  e);  e  si  demanda,  in  una  serie  di  altre  materie,  ad  un
 procedimento d'intesa nell'ambito della Conferenza  Stato-Regioni  la
 individuazione  dei  "compiti  di  rilievo nazionale" da mantenere in
 capo alle amministrazioni statali  (art.  1,  comma  4,  lettera  c).
 Stabilita  questa  delimitazione  "in  negativo",  la  delega  per il
 conferimento concerne "tutte le funzioni e i  compiti  amministrativi
 relativi  alla  cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo
 delle  rispettive  comunita'", nonche' "tutte le funzioni e i compiti
 amministrativi  localizzabili  nei  rispettivi  territori   in   atto
 esercitati   da  qualunque  organo  o  amministrazione  dello  Stato,
 centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici"
 (art. 1, comma 2).   Non si puo'  dire  dunque  che  l'oggetto  della
 delega  resti  indeterminato:    esso  e' delimitato sia in negativo,
 attraverso la identificazione delle materie escluse e dei compiti  da
 eccettuare  dal  decentramento, sia in positivo, attraverso i criteri
 del riferimento agli interessi e alla promozione dello sviluppo delle
 comunita' regionali e locali, e della localizzabilita' nel rispettivo
 territorio. La delimitazione dell'area della  delega  e'  bensi',  in
 parte,  effettuata  attraverso  "clausole  generali",  come quelle da
 ultimo richiamate: ma non si puo' dire che  cio'  sia  in  ogni  caso
 precluso  dall'art.  76 della Costituzione, posto che la definizione,
 costituzionalmente necessaria, dell'oggetto della delega non puo' non
 tener conto della natura e dei caratteri  dell'oggetto  medesimo.  Il
 ricorso a clausole generali, come quella ben nota della "organicita'"
 nel  conferimento  di  funzioni (cfr. art.   1 della legge n. 382 del
 1975), o quelle impiegate dal legislatore delegante  nella  legge  n.
 59,   accompagnate   dall'indicazione  di  principi  come  quelli  di
 sussidiarieta',    completezza,    efficienza    ed     economicita',
 responsabilita'   e   unicita'   dell'amministrazione,   omogeneita',
 adeguatezza, differenziazione (art. 4, comma 3, lettere a, b,  c,  e,
 f,  g,  h),  appare  coerente con un disegno di decentramento che non
 mira a modificare questo o quel riparto specifico di  funzioni  e  di
 compiti,  ma  a  ridisegnare  complessivamente  ed  in  modo coerente
 l'allocazione  dei  compiti  amministrativi  fra  i  diversi  livelli
 territoriali di governo.
   6.  -  Quanto al secondo profilo di denunciata violazione dell'art.
 76  della  Costituzione,  attinente  al  particolare  meccanismo   di
 intervento  sostitutivo  dello  Stato  nei  confronti  delle Regioni,
 delineato nell'art.  4, comma 5, della legge impugnata, va  osservato
 anzitutto   che  il  contenuto  delle  norme  delegate  ivi  previste
 corrisponde a cio' che in astratto  il  legislatore  statale  sarebbe
 abilitato a compiere direttamente:  vale a dire ripartire le funzioni
 amministrative  fra  Regioni  ed enti locali, attraverso lo strumento
 dell'attribuzione  agli  enti  locali  delle  funzioni  di  interesse
 esclusivamente  locale  (art.  118,  primo comma, Cost.). In tal modo
 peraltro si verrebbe, se non ad esaurire, a comprimere ampiamente  lo
 spazio  nel  quale  le Regioni sono chiamate, in forza dell'art. 118,
 terzo comma, della Costituzione, a decentrare ulteriormente nel  loro
 territorio  le funzioni amministrative, nella forma della delega agli
 enti locali; e soprattutto si  rischierebbe  di  irrigidire  in  modo
 uniforme  la  configurazione  delle funzioni e del loro esercizio sul
 territorio, senza poter tenere conto della  diversita'  dei  contesti
 territoriali  e  anche  delle  legittime  scelte  che in questo campo
 possono  essere  compiute,  sia   pure   nell'alveo   del   principio
 costituzionale che favorisce la devoluzione "in basso" delle funzioni
 ogni  volta  che sia possibile (come emerge dalla locuzione dell'art.
 118, terzo comma, secondo cui "normalmente" le regioni esercitano  le
 funzioni  loro  devolute mediante delega o utilizzazione degli uffici
 degli enti locali).  Ben si comprende dunque come, gia' nel  contesto
 dell'ordinamento delle autonomie locali, il legislatore statale abbia
 inteso,  con  l'art.  3  della legge n. 142 del 1990, attribuire alle
 Regioni  un  ruolo  di  identificazione  degli  interessi  comunali e
 provinciali "in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del
 territorio", e di "organizzazione" dell'esercizio  delle  funzioni  a
 livello locale, cioe' di disciplina del modo in cui esse si collocano
 e  si raccordano nel contesto regionale, sottolineando cosi' un ruolo
 della Regione come "centro propulsore e di coordinamento  dell'intero
 sistema  delle autonomie locali" (sentenza n. 343 del 1991). La legge
 n. 59 del 1997 va oltre, ma  nella  stessa  direzione,  chiamando  le
 Regioni,   nell'ambito  delle  materie  di  cui  all'art.  117  della
 Costituzione, a definire il riparto delle funzioni al proprio interno
 con criteri  analoghi  a  quelli  seguiti  dallo  stesso  legislatore
 statale, e cioe' identificando le funzioni che "richiedono l'unitario
 esercizio a livello regionale" e devolvendo tutte le altre ai comuni,
 alle  Province  e  agli  altri  enti  locali  (art.  4,  comma 1), in
 conformita' al principio di sussidiarieta'.  Proprio per evitare  che
 l'inerzia  delle  Regioni  comprometta l'attuazione di questo disegno
 complessivo,  si  prevede  un  termine  di   sei   mesi,   decorrente
 dall'entrata in vigore di ciascun decreto legislativo di conferimento
 delle funzioni, entro il quale ogni Regione dovra' adottare una legge
 per  la "puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate
 agli enti locali e di quelle mantenute in capo alla Regione  stessa".
 Scaduto invano tale termine, alle Regioni inadempienti si sostituisce
 il  Governo  con  appositi  decreti  delegati  "di ripartizione delle
 funzioni tra Regione ed enti locali",  destinati  peraltro  a  valere
 solo  in  via  suppletiva,  fino  a  quando  non  intervenga la legge
 regionale (art. 4, comma  5).    L'oggetto  della  delega  e'  dunque
 definito;  e altrettanto definito e' il termine (novanta giorni dalla
 scadenza del predetto termine di sei mesi imposto alle Regioni) entro
 il quale e' esercitata la potesta' delegata al Governo. Eventuale  e'
 solo   il   verificarsi  delle  circostanze  che  rendono  necessario
 l'esercizio della delega (l'inadempimento regionale): ma  una  delega
 in  tal  modo  "condizionata"  al verificarsi di eventi estranei alla
 volonta' sia del Parlamento delegante, sia del Governo delegato,  non
 e'  di  per  se' in contrasto con il modello di cui all'art. 76 della
 Costituzione.   Ne' si puo' dire che  manchi  la  determinazione  dei
 principi  e  criteri direttivi della delega: essi infatti sono quegli
 stessi che l'art.  4 indica al comma 2 per i conferimenti di funzioni
 operati in via normale e definitiva dalla legge regionale,  o,  fuori
 delle  materie  dell'art.  117, dai decreti legislativi delegati (tra
 cui il principio di sussidiarieta', espressamente  richiamato  ancora
 nel comma 5), nonche' quelli enunciati nell'art. 3 della legge n. 142
 del 1990, alla cui applicazione deve essere intesa la legge regionale
 di  individuazione  delle  funzioni  devolute  agli  enti locali e di
 quelle mantenute in capo alla Regione: legge la cui mancata  adozione
 entro  il termine stabilito abilita il Governo ad adottare il decreto
 delegato che disciplina in via suppletiva la materia.
   7.  -  La  Regione  Puglia  ha  impugnato  poi   due   disposizioni
 particolari,  contenute  nell'art.  3  della  legge  -  che precisa i
 contenuti  dei  decreti  legislativi  di  conferimento  delle   nuove
 funzioni - rispettivamente alla lettera c e alla lettera f.  La prima
 di  esse  riguarda  la previsione della individuazione di procedure e
 strumenti di raccordo  e  di  forme  di  cooperazione  strutturali  e
 funzionali  che  consentano la collaborazione fra livelli di governo,
 anche con eventuali interventi sostitutivi nel caso  di  inadempienze
 nell'esercizio   delle   funzioni  conferite,  e  della  presenza  di
 rappresentanti statali, regionali e locali nelle strutture necessarie
 per l'esercizio di funzioni di raccordo, indirizzo,  coordinamento  e
 controllo.  Ad  avviso  della  ricorrente, tale previsione da un lato
 confligge con quella dell'art. 9, lettera  b,  che  richiederebbe  la
 concentrazione  nella  conferenza  Stato-Regioni  delle  funzioni  di
 raccordo,   dall'altro   lato   sarebbe   di   dubbia    legittimita'
 costituzionale   perche'   le   forme  di  collaborazione  a  livello
 interregionale o infraregionale spetterebbero  alle  Regioni,  mentre
 nel  caso  di  forme di collaborazione a livello nazionale, possibili
 quando  siano  coinvolti  interessi  di  rilievo  nazionale,   poteri
 sostitutivi   dello  Stato  nei  confronti  delle  Regioni  sarebbero
 ammissibili   solo   quando   occorra   salvaguardare    un    valore
 costituzionale fondamentale.
   8. - La questione e' infondata.  La generica previsione di forme di
 cooperazione  "strutturali  e funzionali" e di interventi sostitutivi
 non appare di per se' in contrasto con norme costituzionali,  poiche'
 anzi  il principio di leale cooperazione, piu' volte richiamato nella
 giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, sentenze nn. 49, 482  e
 483  del  1991, nn. 19 e 242 del 1997), implica proprio la ricerca di
 tali forme la' dove si intersecano competenze ed interessi  afferenti
 a  diversi  livelli di governo. Ne' e' vietato al legislatore statale
 prevedere e disciplinare forme di collaborazione anche fra Regioni  o
 fra  queste  e  gli enti locali, negli ambiti e con modalita' che non
 ledano la fondamentale autonomia organizzativa delle Regioni, e anche
 forme di intervento sostitutivo per ovviare alle eventuali inerzie  o
 inadempienze  tali  da  mettere  in pericolo interessi unitari, sulla
 base di presupposti e con l'osservanza  di  modalita'  a  loro  volta
 rispettose  dell'autonomia  costituzionale  degli  enti.  Se  poi, in
 concreto, specifiche previsioni o discipline dei decreti  legislativi
 delegati  risultassero  in  contrasto  con i principi costituzionali,
 sarebbe  ad  esse,  e  non  alla  legge  di  delega,  che  dovrebbero
 rivolgersi  le  censure relative.  Quanto al denunciato contrasto fra
 l'art. 3, lettera c e l'art.  9, lettera b - a parte il  rilievo  che
 si  tratta  di  un problema di coordinamento fra norme diverse, e non
 della  lamentata  violazione  di  principi  costituzionali  -   basta
 osservare   che   il   criterio,   enunciato   dall'art.  9,  di  una
 concentrazione in capo alla conferenza  Stato-Regioni  di  "tutte  le
 attribuzioni  relative  ai rapporti tra Stato e Regioni" non puo' che
 essere inteso in senso tendenziale, tale da non escludere  del  tutto
 la  possibilita'  di  stabilire  in  casi  particolari altre forme di
 raccordo.
   9. - La  lettera  f,  dell'art.  3  concerne  la  previsione  della
 possibilita'  per  l'amministrazione dello Stato di avvalersi, per la
 cura di interessi nazionali, di uffici regionali o  locali,  d'intesa
 con  gli  enti  interessati o con gli organismi rappresentativi degli
 stessi.  Secondo la ricorrente Regione Puglia,  tale  strumento,  nei
 riguardi   degli   uffici   regionali,   non  sarebbe  ammesso  dalla
 Costituzione,  che  conoscerebbe   solo   la   delega   di   funzioni
 amministrative  alle  Regioni;  e  comunque  non sarebbe legittima la
 mancata previsione della necessaria copertura finanziaria degli oneri
 aggiuntivi da parte della amministrazione statale.
   10.  -  Anche  tale questione non e' fondata.  Come questa Corte ha
 affermato (cfr. sentenze n. 35 del 1972 e  n.  216  del  1987),  deve
 ritenersi sussistente la possibilita' per lo Stato di avvalersi degli
 uffici   regionali,   cosi'   come   e'   espressamente  prevista  la
 possibilita' per la Regione di avvalersi di  uffici  di  enti  locali
 (art. 118, terzo comma, Cost.). Il rispetto necessario dell'autonomia
 delle  Regioni,  anche  sotto  il  profilo  della provvista dei mezzi
 finanziari necessari per fronteggiare nuovi oneri, e' presupposto per
 la  legittima  configurazione  in   concreto   delle   "modalita'   e
 condizioni"  per  l'attuazione di tale forma di collaborazione, ed e'
 tendenzialmente  assicurato  anche  dalla  previsione,  nella   norma
 denunciata,  di  una  intesa  "con  gli  enti  interessati  o con gli
 organismi rappresentativi degli stessi".
   11. - Il secondo  gruppo  di  censure,  sollevate  da  entrambe  le
 Regioni  ricorrenti,  riguarda,  come  si  e'  detto,  la disciplina,
 contenuta nell'art. 8 della legge n. 59, dell'attivita' di  indirizzo
 e  coordinamento.    In  tale  articolo si stabilisce che gli atti di
 indirizzo   sono   adottati   previa   intesa   con   la   conferenza
 Stato-Regioni;  che,  quando  l'intesa  non  sia  raggiunta  entro il
 termine fissato, essi sono adottati con delibera  del  Consiglio  dei
 ministri,   previo  parere  della  commissione  parlamentare  per  le
 questioni regionali; che in caso di urgenza il Consiglio dei ministri
 puo' provvedere senza previa intesa:  in  tal  caso  i  provvedimenti
 adottati sono sottoposti alla conferenza a posteriori e il Governo e'
 tenuto  a  riesaminare  gli  atti sui quali sia stato espresso parere
 negativo.  E'  poi  disposta  l'abrogazione  di  preesistenti   norme
 generali  sull'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento,
 fra cui quella contenuta nell'art. 2, comma 3, lettera d, della legge
 n. 400 del 1988, che includeva gli atti di indirizzo e  coordinamento
 fra  quelli sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei Ministri.
 Entrambe le Regioni ricorrenti lamentano,  in  primo  luogo,  che  la
 previsione  dell'esercizio  della  funzione  di indirizzo solo in via
 amministrativa violerebbe  il  principio  di  legalita'  sostanziale,
 affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che impone di porre a
 fondamento di ciascun atto di indirizzo norme specifiche di legge che
 delimitino il potere governativo.
   12.  -  Sotto  questo  profilo,  la  questione non e' fondata.   Le
 disposizioni generali in tema di indirizzo e coordinamento  contenute
 nella  legge  n. 59 del 1997, come gia', in passato, quelle contenute
 in altre leggi, alcune delle quali sono state abrogate  dal  comma  5
 dell'art.  8 in esame, hanno una portata meramente procedurale, e non
 valgono da sole a rendere possibile da parte del Governo l'emanazione
 di  atti  di  esercizio  della  funzione  di  indirizzo:  e'   invece
 necessaria, a tale fine, la presenza di norme legislative che fondino
 e  delimitino  sostanzialmente  l'esercizio della funzione, indicando
 l'oggetto degli atti di indirizzo e dettando  criteri  sufficienti  a
 indirizzarne  a  loro  volta  il  contenuto (cfr. sentenze n. 150 del
 1982, n. 338 del 1989, n. 359 del 1991, n. 124 del 1994 e n.  18  del
 1997).   Non puo' dunque ritenersi in alcun modo violato il principio
 di legalita' sostanziale.
   13. - Le Regioni lamentano poi che, in forza dell'abrogazione della
 disposizione contenuta nell'art. 2, comma 3, lettera d,  della  legge
 n.  400  del  1988,  sarebbe  venuta meno la tendenziale riserva alla
 competenza del Consiglio dei ministri dell'esercizio  della  funzione
 di  indirizzo, posto che oggi la deliberazione dell'organo collegiale
 di  governo  e'  prevista  solo  per il caso di mancata intesa con la
 conferenza  Stato-Regioni  o  di  procedura  d'urgenza  senza  intesa
 preventiva.
   14.  - Sotto questo profilo, la questione e' fondata.  Questa Corte
 ha ripetutamente affermato il principio per cui  l'esercizio  in  via
 non  legislativa  della  funzione  di  indirizzo  e coordinamento nei
 confronti delle Regioni e' soggetto a precisi requisiti di procedura,
 dovendo far capo all'organo collegiale di Governo (cfr.  sentenze  n.
 338  del  1989,  n.  453 del 1991, n. 124 del 1994 e n. 18 del 1997).
 Essa  infatti  non  puo'  identificarsi  con  una  funzione   propria
 dell'amministrazione  statale  volta  a  volta competente per materia
 (che', anzi, va ad incidere  per  definizione  in  ambiti  di  azione
 amministrativa  che  spettano  alle  Regioni),  ma e' espressione del
 potere, demandato in concreto dalla legge al  Governo  nazionale,  di
 assicurare la salvaguardia di interessi unitari non frazionabili.  La
 deliberazione  necessaria  del Consiglio dei ministri esprime appunto
 l'assunzione di responsabilita'  a  livello  dell'organo  chiamato  a
 delineare,  sotto  la  direzione  del  Presidente  del  Consiglio, la
 "politica generale del Governo"  (art.  95  della  Costituzione),  in
 ordine  alla  esigenza  di indirizzare e coordinare l'attivita' delle
 Regioni in vista di interessi unitari individuati dalla  legge  della
 Repubblica.    Tale  competenza  collegiale necessaria non puo' venir
 meno neanche  nell'ipotesi  di  atti  di  indirizzo  su  cui  si  sia
 raggiunta  l'intesa  nella  conferenza  Stato-Regioni, sia perche' si
 tratta  di  una  competenza  radicata  nelle   norme   costituzionali
 concernenti  la  struttura  e  l'attivita'  del Governo, e dunque non
 disponibile, sia perche' nemmeno  l'intesa  nella  conferenza,  tanto
 piu'   se   conseguita   solo   a  maggioranza,  potrebbe  consentire
 l'introduzione di nuovi vincoli all'autonomia delle  singole  Regioni
 al    di    fuori   dei   presupposti   sostanziali   e   procedurali
 costituzionalmente necessari.   Le  disposizioni  dei  primi  quattro
 commi  dell'art.  8  della  legge n. 59 - che sanciscono il principio
 della previa intesa con la conferenza Stato-Regioni o con la  Regione
 interessata  per  l'adozione degli atti di indirizzo, la facolta' del
 Governo di adottarli unilateralmente, previo parere della commissione
 parlamentare  per  le  questioni  regionali,  ove  l'intesa  non  sia
 raggiunta  entro il termine di quarantacinque giorni, la facolta' del
 Governo di provvedere in caso d'urgenza senza  l'osservanza  di  tali
 procedure,  sottoponendo  in  via successiva l'atto alla conferenza e
 alla  commissione  parlamentare,  e  infine  la   trasmissione   alle
 competenti  commissioni  parlamentari  degli  atti di indirizzo - non
 potrebbero di per se' essere interpretate nel senso  che  autorizzino
 l'adozione  di  atti  di  indirizzo  da  parte  di organi diversi dal
 Consiglio dei Ministri quando sia intervenuta l'intesa  prevista  dal
 comma  1.    Infatti  gli  adempimenti  procedurali ivi espressamente
 disciplinati sono tutti volti a regolare i rapporti del  Governo  con
 le  Regioni  e  con  il  Parlamento, non ad incidere sulle competenze
 nell'ambito del  Governo  stesso.    Ma  e'  l'abrogazione  espressa,
 insieme   ad  altre  norme  generali  sulla  funzione  di  indirizzo,
 dell'art. 2, comma 3, lettera d, della legge n. 400 del  1988,  volto
 proprio  a  stabilire in via generale la competenza del Consiglio dei
 ministri per l'adozione  degli  atti  di  indirizzo,  che  appare  in
 contrasto  con  il  principio,  di  derivazione costituzionale, della
 necessarieta' di tale competenza. Tale disposizione  abrogativa  deve
 dunque   essere   dichiarata   costituzionalmente   illegittima,  con
 l'effetto di ripristinare l'efficacia  della  disposizione  abrogata.
 Risulta  in  tal modo assorbita l'ulteriore questione sollevata dalla
 Regione  Siciliana  nei  confronti  della  medesima  disposizione  di
 abrogazione  espressa,  in  quanto  essa  avrebbe fatto venir meno la
 garanzia, resa esplicita nel testo della disposizione  abrogata,  del
 rispetto  delle disposizioni statutarie ai fini dell'adozione di atti
 di indirizzo nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale.
   15. - Entrambe le Regioni ricorrenti denunciano  come  contrastante
 con la Costituzione la previsione della possibilita' di esercizio, in
 caso  di urgenza, della funzione di indirizzo senza intesa preventiva
 con la conferenza Stato-Regioni. Tale previsione  si  presterebbe  ad
 abusi  o  usi  distorti  da  parte  del  Governo;  secondo la Regione
 Siciliana sarebbe inoltre illegittima la norma secondo cui,  in  caso
 di mancato raggiungimento dell'intesa, il Consiglio dei ministri puo'
 provvedere  col  solo  parere  della  commissione parlamentare per le
 questioni  regionali,  in  quanto  non  prevede  che  per   ricorrere
 legittimamente  a  tale  meccanismo  il  Governo  deve aver tenuto un
 comportamento  leale,  effettivamente   diretto   al   raggiungimento
 dell'intesa.
   16.  -  La  questione  non e' fondata.   La previsione della previa
 intesa con la conferenza o con la Regione specificamente  interessata
 e'  certamente  idonea  a connotare in senso meno autoritativo e piu'
 collaborativo  i  modi  di  esercizio  del  potere  di  indirizzo   e
 coordinamento,  secondo  una  linea che questa Corte ha indicato come
 possibile  (sentenza  n.  18  del  1997):  ma  non  risponde  ad  una
 necessita'  costituzionale.  D'altra  parte, nel caso in cui l'intesa
 non sia  raggiunta,  la  previsione  di  meccanismi  in  certo  senso
 sostitutivi,  o  comunque  di  un  potere  del  Governo di provvedere
 unilateralmente, sia  pure  con  ulteriori  garanzie  procedimentali,
 appare  necessaria  al  fine  di  non  lasciare sguarnito di garanzia
 l'interesse unitario per la cui salvaguardia la legge ha  fondato  in
 concreto  il  potere governativo.   L'ipotesi che il Governo utilizzi
 questa  sua  facolta'  per  svuotare   di   senso   la   prescrizione
 dell'intesa, o non rispetti l'esigenza di esplorare effettivamente le
 possibilita'  di  accordo,  attiene  alla sfera delle eventualita' di
 fatto, frutto di una patologia costituzionale, sempre suscettibili di
 controllo e di rimedio ove si tenga conto che il principio  di  leale
 cooperazione   deve   in  ogni  caso  informare,  ancorche'  non  sia
 esplicitamente richiamato dalla legge, i rapporti reciproci fra Stato
 e Regioni.
   17. - Il terzo gruppo di censure, mosse in tutti i quattro ricorsi,
 e concernenti sia l'art. 9 della legge  di  delega,  sia  il  decreto
 legislativo   delegato   n.   281  del  1997,  tocca  il  tema  della
 unificazione della conferenza Stato-Regioni con quella  Stato-citta',
 nonche' della disciplina delle conferenze e della loro attivita'.  La
 conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
 Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  istituita   in   via
 amministrativa  fin  dal  1983  (d.P.C.M.  12  ottobre  1983), fu poi
 prevista e disciplinata dall'art. 12 della legge n. 400  del  1988  e
 dal successivo d.P.R.  n. 418 del 1989, con "compiti di informazione,
 consultazione  e  raccordo,  in  relazione agli indirizzi di politica
 generale  suscettibili  di  incidere  nelle  materie  di   competenza
 regionale" (art. 12, comma 1, legge n. 400 del 1988). Ne fanno parte,
 sotto  la  presidenza  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri, i
 Presidenti di tutte le Regioni  ordinarie  e  speciali  e  delle  due
 Province autonome di Trento e Bolzano.  La conferenza Stato-citta' ed
 autonomie locali fu istituita con d.P.C.M. 2 luglio 1996 con "compiti
 di  coordinamento  nei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali, e
 di studio, informazione e confronto sulle problematiche connesse agli
 indirizzi di politica generale che possono  incidere  sulle  funzioni
 proprie di comuni e Province e su quelle delegate ai medesimi enti da
 leggi dello Stato" (art.  1). Ne fanno parte, sotto la presidenza del
 Presidente  del  Consiglio,  alcuni  membri del Governo, i Presidenti
 dell'ANCI  (Associazione  dei  comuni)  e  dell'UPI   (Unione   delle
 Province)  e  un certo numero di Sindaci e di Presidenti di Provincia
 designati dalle due associazioni.   L'art. 9 della legge  n.  59  del
 1997 ha delegato il Governo ad emanare un decreto legislativo volto a
 "definire    ed    ampliare   le   attribuzioni"   della   conferenza
 Stato-Regioni, "unificandola, per le materie e i compiti di interesse
 comune delle Regioni, delle Province e dei comuni, con la  conferenza
 Stato-citta' ed autonomie locali". Tra i criteri e principi direttivi
 della  delega  compaiono il potenziamento dei poteri e delle funzioni
 della conferenza Stato-Regioni, "prevedendo la  partecipazione  della
 medesima  a  tutti  i  processi  decisionali  di interesse regionale,
 interregionale  ed  infraregionale  almeno  a  livello  di  attivita'
 consultiva  obbligatoria";  la  semplificazione  delle  procedure  di
 raccordo fra Stato e Regioni, concentrando nella conferenza tutte  le
 attribuzioni   relative   ai   rapporti   tra  Stato  e  Regioni;  la
 specificazione delle materie per le quali e' obbligatoria l'intesa  e
 della disciplina per i casi di dissenso; la definizione delle forme e
 modalita'  della partecipazione dei rappresentanti degli enti locali.
 Il decreto legislativo n. 281 del 1997, emanato in  attuazione  della
 delega,   disciplina   appunto   le   attribuzioni  della  conferenza
 Stato-Regioni, "ferme restando le  competenze  ad  essa  attribuite",
 nonche' la sua unificazione, per le materie ed i compiti di interesse
 comune,  con  la  conferenza  Stato-citta'  (art. 1). Esso precisa la
 tipologia   degli   atti   della   conferenza    (intese,    accordi,
 provvedimenti,  inviti  e  proposte,  ecc.),  e i casi in cui essa e'
 obbligatoriamente sentita, prevedendo altresi' che  la  consultazione
 in  caso  di  urgenza  possa  avvenire  in  via  successiva  anziche'
 preventiva (art. 2); disciplina le modalita' per la promozione  e  la
 sanzione  delle intese, applicabili in tutti i procedimenti in cui la
 legislazione vigente prevede un'intesa con la conferenza,  stabilendo
 anche  a  questo  proposito  che  in caso di urgenza il Governo possa
 prescinderne sottoponendo il provvedimento  alla  conferenza  in  via
 successiva  (art. 3); dispone poi l'unificazione delle due conferenze
 per le materie e i compiti di interesse comune delle Regioni e  degli
 enti   locali,  specificando  la  tipologia  degli  interventi  della
 conferenza unificata (pareri,  intese,  ecc.),  modellata  su  quella
 stabilita  per  la  conferenza  Stato-Regioni (artt. 8, comma 1, e 9,
 commi 1 e 2); disciplina  la  composizione,  il  funzionamento  e  le
 competenze  della conferenza Stato-citta', sostanzialmente traducendo
 in legge, con  poche  varianti,  la  disciplina  gia'  contenuta  nel
 d.P.C.M.   2 luglio 1996, istitutivo della conferenza stessa (art. 8,
 commi 2, 3 e 4, e art. 9, commi 5  e  6);  regola  le  modalita'  per
 l'espressione   dell'assenso,  nell'ambito  della  conferenza,  delle
 Regioni nonche', distintamente, dei rappresentanti degli enti  locali
 (art. 9, comma 4).
   18.  -  Avverso tale disciplina le ricorrenti muovono anzitutto una
 censura  di   carattere   generale   e   radicale,   sostenendo   che
 l'unificazione     delle    due    conferenze    realizzerebbe    una
 incostituzionale equiparazione di Regioni ed enti locali, che  godono
 invece  di  statuto  costituzionale  differenziato;  mentre  la  sede
 naturale per la cooperazione fra Regione ed enti locali si troverebbe
 a livello regionale. L'unificazione  condurrebbe  -  per  le  materie
 comuni,  che  di  fatto  si estenderebbero, data l'impostazione della
 legge di delega, a tutte le materie e i compiti non statali - ad  una
 composizione  variabile  della conferenza, in cui si confronterebbero
 enti dalle funzioni costituzionalmente garantite  con  altri  le  cui
 funzioni sono determinate dalla legge (ricorso della Regione Puglia);
 i  rappresentanti  delle  autonomie locali verrebbero a partecipare a
 processi decisionali di alta amministrazione in cui  si  realizza  la
 collaborazione fra Stato e Regioni (ricorso della Regione Siciliana).
 La   Regione  Siciliana  lamenta  poi  che  non  sia  prevista  nella
 conferenza unificata una qualche forma di  preminenza  delle  Regioni
 nel  processo  decisionale, almeno sotto il profilo di una diversita'
 delle quote di rappresentanti; e che le norme impugnate  del  decreto
 legislativo consentano di ritenere le determinazioni della conferenza
 unificata,   assunte   con   il  dissenso  della  Regione  Siciliana,
 vincolanti anche nei confronti di  quest'ultima,  pure  in  relazione
 alla sfera dei rapporti tra la Regione e gli enti locali esistenti al
 suo  interno,  ovvero con riguardo all'ordinamento e all'attivita' di
 questi ultimi.
   19. - Le questioni, sotto questi profili, non sono fondate.  Si  e'
 gia'  detto  (sopra,  n.  3) come, purche' siano rispettati i confini
 delle rispettive  attribuzioni  e  della  rispettiva  autonomia  e  i
 principi  costituzionali  in materia, la legge della Repubblica possa
 operare scelte discrezionali in ordine alla disciplina  dei  rapporti
 fra  Stato,  Regioni  ed  enti  locali.  La  stessa  previsione della
 conferenza Stato-Regioni, quale strumento di raccordo fra il  Governo
 e le autonomie regionali, come la previsione della istituzione di una
 conferenza  Stato-citta' quale strumento di raccordo fra il Governo e
 le   rappresentanze   delle   autonomie   comunali   e   provinciali,
 rappresentano  scelte non costituzionalmente vincolate. Parimenti, e'
 una scelta discrezionale, non in contrasto con  la  Costituzione,  la
 previsione  della  conferenza  unificata,  con  la  presenza  sia dei
 rappresentanti delle Regioni, sia di quelli delle  autonomie  locali,
 quale  strumento  di  raccordo fra Governo e sistema delle autonomie,
 allorche' siano in discussione argomenti  di  interesse  comune  vuoi
 delle  Regioni,  vuoi  degli  enti  locali  (come  certamente  e'  la
 disciplina legislativa delegata destinata ad attuare il vasto disegno
 di decentramento contenuto nella legge n. 59: cfr. infatti gli  artt.
 6  e  9,  comma  2, della legge stessa, che prevedono sugli schemi di
 decreti legislativi il parere  obbligatorio,  rispettivamente,  delle
 due   conferenze   e,  dopo  la  sua  istituzione,  della  conferenza
 unificata). Anzi, una volta fatta la scelta di dotarsi  di  strumenti
 di  raccordo  nelle  due  direzioni  (delle Regioni e delle autonomie
 locali), l'unificazione delle conferenze, oltre  a  rappresentare  un
 elemento  di semplificazione dei procedimenti, e' idonea a facilitare
 l'integrazione dei diversi punti di vista e  delle  diverse  esigenze
 emergenti in tema di assetto delle autonomie, lasciando meno spazio a
 rigide  divisioni  o  contrapposizioni  suscettibili  di  sfociare in
 ostacoli o resistenze al processo di decentramento.   Del  resto,  si
 puo' ricordare che gia' nel provvedimento istitutivo della conferenza
 Stato-citta'  si  prevedeva  che  i  Presidenti delle Regioni e delle
 Province autonome  partecipassero  di  diritto  alle  riunioni  della
 conferenza  quando  fossero  all'ordine del giorno argomenti che, pur
 riguardando le autonomie locali, coinvolgessero altresi' interessi  o
 competenze  regionali (art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.P.C.M.
 2 luglio 1996).  Le Regioni potrebbero lamentare  una  lesione  della
 loro  posizione costituzionale se l'unificazione delle due conferenze
 desse luogo  ad  un  organismo  indifferenziato,  nel  cui  ambito  i
 rappresentanti  regionali  mescolassero il loro voto con quello degli
 altri rappresentanti, cosi' che non emergesse distintamente il  punto
 di vista delle Regioni:  in tal caso non si sarebbe potuto, a rigore,
 parlare  di  uno  strumento  di  raccordo  fra lo Stato e le Regioni,
 idoneo a verificare  le  convergenze  fra  i  due  interlocutori,  ma
 piuttosto  di un organismo misto avente altre caratteristiche e altra
 utilita'. Ma la legge di delega non prevede  affatto  il  venir  meno
 dell'identita'  delle  due conferenze, e delle rappresentanze in esse
 presenti, bensi' solo il loro congiunto operare "per le materie  e  i
 compiti  di  interesse  comune  delle  Regioni,  delle Province e dei
 comuni" (art. 9, comma 1). A sua volta il decreto legislativo n.  281
 del 1997 prevede che, nell'ambito della conferenza unificata, ai fini
 delle   relative   deliberazioni,   ferma   restando   la  necessita'
 dell'assenso del Governo, l'assenso delle Regioni e degli enti locali
 sia assunto attraverso il  "consenso  distinto  dei  membri  dei  due
 gruppi delle autonomie che compongono, rispettivamente, la conferenza
 Stato-Regioni  e  la  conferenza  Stato-citta'  ed autonomie locali",
 consenso a sua volta espresso di regola all'unanimita' dei membri dei
 due gruppi, o in ogni caso dalla  maggioranza  di  ciascuno  di  essi
 (art.  9,  comma  4).    Non  hanno dunque ragion d'essere le censure
 secondo  le   quali,   con   l'unificazione   delle   conferenze,   i
 rappresentanti  delle  autonomie  locali  verrebbero  a partecipare a
 procedimenti di raccordo fra lo Stato e le Regioni, o  addirittura  a
 poter vincolare la volonta' della Regione in ordine ai rapporti con i
 rispettivi  enti  locali;  ne'  vi  potrebbe  essere luogo a valutare
 l'equilibrio numerico fra le diverse rappresentanze nell'ambito della
 conferenza unificata. Infatti, come si e' detto, non  si  ha  affatto
 una  commistione  delle  rappresentanze,  ma  solo  una  unificazione
 funzionale, nell'ambito di un  sistema  in  cui  i  Presidenti  delle
 Regioni  conservano  la  loro  esclusiva rappresentanza delle istanze
 regionali  ed  esprimono  distintamente  la  volonta'  delle  Regioni
 medesime,  mentre  e'  solo  la  rappresentanza governativa ad essere
 propriamente unificata.
   20. - Entrambe le ricorrenti contestano  poi,  in  particolare,  la
 disposizione  dell'art.  9,  comma  1, lett. a della legge, ripresa e
 confermata dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo, secondo cui
 la conferenza Stato-Regioni partecipa a tutti i processi decisionali,
 oltre che di interesse regionale, anche "di interesse  interregionale
 e   infraregionale":   con   cio'   si   inciderebbe   sull'autonomia
 amministrativa e organizzativa delle Regioni nei  loro  rapporti  con
 gli  enti  locali o in quelli, da esse autonomamente determinati, con
 altre Regioni.
   21.  -  La questione e' infondata nei termini di seguito precisati.
 Le disposizioni in esame non possono  intendersi  nel  senso  che  il
 Governo   o   i   membri   della   conferenza  possano  provocare  la
 deliberazione  della   medesima   su   qualsiasi   argomento,   anche
 d'interesse  esclusivo  di  una  o  piu'  Regioni o di parte di esse,
 trasformando cosi' la conferenza in uno strumento  -  contrario  alla
 Costituzione  -  di  ingerenza  in  processi decisionali facenti capo
 all'esclusiva competenza e responsabilita' delle Regioni o di  alcune
 di  esse.    La conferenza Stato-Regioni e' prevista dalla legge "con
 compiti di informazione, consultazione e raccordo, in relazione  agli
 indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie
 di competenza regionale, esclusi gli indirizzi generali relativi alla
 politica  estera,  alla  difesa  e  alla  sicurezza  nazionale,  alla
 giustizia" (art.  12, comma 1, legge n.  400  del  1988).  Dunque  la
 premessa  per  l'intervento della conferenza e' sempre la presenza di
 una qualche implicazione degli "indirizzi di  politica  generale"  di
 pertinenza  degli organi statali, e la conferenza e' sede di raccordo
 per consentire alle Regioni di partecipare a processi decisionali che
 resterebbero altrimenti nella esclusiva disponibilita'  dello  Stato:
 cio'  anche  quando  l'implicazione  di  politica  generale  riguardi
 oggetti che, per  la  loro  localizzazione,  concernano  una  o  piu'
 Regioni  o anche solo una parte del loro territorio.  In tale preciso
 significato  va  intesa  l'espressione   "processi   decisionali   di
 interesse   regionale,  interregionale  ed  infraregionale".    Cosi'
 intese, le disposizioni impugnate non prestano il fianco alle censure
 mosse dalle ricorrenti.
   22. - Sotto un  diverso  profilo,  la  Regione  Puglia  censura  la
 disposizione  dell'art. 3 del decreto legislativo, ove, disciplinando
 i  procedimenti  di  intesa  con  la  conferenza  Stato-Regioni,   si
 stabilisce  che,  in  caso di urgenza, discrezionalmente valutata dal
 Governo, quest'ultimo puo' provvedere anche senza preventiva  intesa,
 sottoponendo l'atto alla conferenza in via successiva. In tal modo si
 consentirebbe  al  Governo  di  aggirare  l'obbligo  dell'intesa,  in
 contrasto con la previsione di un potenziamento delle funzioni  della
 conferenza, di cui all'art.  9, comma 1, lett. a), della legge n. 59.
 Sarebbe  altresi'  male attuata la delega di cui all'art. 9, comma 1,
 lett. c) della stessa legge n. 59, secondo  cui  il  Governo  avrebbe
 dovuto specificare le materie per le quali l'intesa e' obbligatoria e
 disciplinare  i  casi  di dissenso, perche' il decreto, prevedendo la
 possibilita' generica  di  omettere  l'intesa  in  caso  di  urgenza,
 contemporaneamente  affermerebbe  e  smentirebbe  il  principio della
 obbligatorieta'  dell'intesa  medesima.    Ad  analoghe  censure   si
 presterebbe  inoltre,  secondo  la ricorrente, l'art. 2, comma 5, del
 decreto legislativo impugnato, che  consente  al  Governo,  il  quale
 invochi  ragioni  di urgenza, discrezionalmente valutate, di omettere
 la consultazione preventiva della conferenza, sottoponendo l'atto  ad
 essa in via successiva.
   23.  -  Le  questioni  non  sono  fondate  nei  termini  di seguito
 precisati.  L'art. 9, comma 1, della legge n. 59, nel fissare oggetto
 e criteri  della  delega  al  Governo  per  una  disciplina  volta  a
 "definire    ed    ampliare   le   attribuzioni"   della   conferenza
 Stato-Regioni,  stabilisce  fra  i  principi  direttivi  quello   del
 "potenziamento   dei   poteri   e  delle  funzioni  della  conferenza
 prevedendo la  partecipazione  della  medesima  a  tutti  i  processi
 decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale"
 (da  intendersi  nel  senso  appena  precisato)  almeno  a livello di
 attivita'  consultiva  obbligatoria"   (lett.   a).      Il   decreto
 legislativo,  in particolare agli artt. 2 e 5, specifica le categorie
 di oggetti su  cui  la  conferenza  deve  essere  sentita,  in  parte
 innovando  in  senso  estensivo  previsioni delle leggi previgenti, e
 ferme restando le altre disposizioni legislative, non  innovate,  che
 pure  prevedono  il  parere  della conferenza medesima (cfr. art.  1,
 comma 1, dello stesso d.lgs. n. 281 del 1997).  Cosi', mentre  l'art.
 12,  comma  5,  lett.  a)  della  legge  n. 400 del 1988 prevedeva la
 consultazione della conferenza "sulle linee  generali  dell'attivita'
 normativa  che interessa direttamente le Regioni", l'art. 2, comma 3,
 del d.lgs. n. 281 stabilisce che essa  e'  obbligatoriamente  sentita
 "in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o
 di   regolamento  del  Governo  nelle  materie  di  competenza  delle
 Regioni", generalizzando la  partecipazione  consultiva  obbligatoria
 sull'attivita'  e sull'iniziativa normativa del Governo nelle materie
 regionali.  Mentre l'art. 12, comma 5, lett. b) della  legge  n.  400
 del 1988 prevedeva la consultazione della conferenza "sugli indirizzi
 generali   relativi   alla  elaborazione  ed  attuazione  degli  atti
 comunitari che riguardano le  competenze  regionali",  l'art.  5  del
 d.lgs.  n.  281  prevede  il  parere  della  conferenza  sullo schema
 dell'annuale disegno di legge "comunitaria", nonche' sugli schemi  di
 atti  amministrativi  dello  Stato  che,  nelle materie di competenza
 delle Regioni, danno attuazione alle direttive  comunitarie  ed  alle
 sentenze  della  Corte  di  giustizia  delle comunita' europee.   Nel
 quadro  di  questa  estensione  della  competenza  consultiva   della
 conferenza  ad  intere  categorie  di  atti  statali,  non  e' lesiva
 dell'autonomia  regionale,  ne'  dei   criteri   della   delega,   la
 statuizione  dell'art.  2 del decreto, secondo cui in caso di urgenza
 la consultazione preventiva  -  prevista  dalle  norme  dello  stesso
 decreto  legislativo  o  da  leggi preesistenti - puo' essere omessa,
 realizzandosi  invece  una  consultazione  successiva   (pur   sempre
 inquadrabile   nell'attivita'   consultiva   obbligatoria   ai  sensi
 dell'art. 9, comma 1, lett. a) della legge n. 59),  vuoi  nell'ambito
 di successive fasi di procedimenti non ancora conclusi (art. 2, comma
 5,  lett. a) e b) del d.lgs. n. 281), vuoi dopo l'adozione definitiva
 dei   provvedimenti,   con   obbligo   del   Governo   di    valutare
 (espressamente) il parere ai fini dell'eventuale revoca o riforma dei
 provvedimenti  stessi  (art.  2,  comma 6).   Considerazioni analoghe
 valgono per quanto riguarda l'art. 3 del decreto legislativo, in tema
 di intese.    Il  decreto  legislativo  non  contiene  una  normativa
 esaustiva  sulla  conferenza, sicche' la disciplina in esso contenuta
 si integra con quella derivante dalla  legislazione  preesistente,  e
 non  innovata,  e  con  quella  derivante da altre disposizioni della
 stessa legge n.  59 del 1997 (come l'art. 8, comma 1, ove si dispone,
 come si e' visto, che,  salvo  il  caso  dell'urgenza,  gli  atti  di
 indirizzo  sono  adottati  previa  intesa  con la conferenza o con la
 singola Regione interessata, mentre l'art.  12,  comma  5,  lett.  b)
 della  legge  n.  400  del 1988 prevedeva solo la consultazione della
 conferenza  "sui  criteri  generali  relativi   all'esercizio   delle
 funzioni  statali di indirizzo e di coordinamento").  In particolare,
 l'art. 9, comma 1, della legge n. 59 stabilisce fra i  criteri  della
 delega  quello  della  "specificazione  delle materie per le quali e'
 obbligatoria l'intesa e della disciplina  per  i  casi  di  dissenso"
 (lett.  c).    In  questo  quadro,  non  e'  illegittimo  il disposto
 dell'art. 3,  comma  1,  del  decreto  legislativo,  che,  invece  di
 individuare  autonomamente  le  "materie per le quali e' obbligatoria
 l'intesa", stabilisce che le norme in esso contenute si applicano  "a
 tutti i procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un'intesa
 nella  conferenza Stato-Regioni":  cosi' definendo per relationem, ma
 non percio' in contrasto con la delega, i casi in cui e' obbligatoria
 l'intesa.  Anche a questo proposito, non e' di per se' censurabile la
 previsione - destinata a valere nei casi  di  intesa  previsti  dalla
 legislazione  vigente  - secondo cui, in caso di motivata urgenza, il
 Governo puo' provvedere senza la previa  intesa  con  la  conferenza,
 sottoponendo  in  questo  caso l'atto alla conferenza medesima in via
 successiva,  con  l'obbligo  per  il   Governo   di   esaminarne   le
 osservazioni  ai  fini  di deliberazioni successive (art. 3, comma 4,
 del decreto legislativo n. 281). Si tratta infatti di una  deroga  ad
 un  obbligo  -  quello  della preventiva intesa - che discende per lo
 piu' da legge ordinaria:   come  il  legislatore  delegato  aveva  il
 potere di definire i casi in cui e' obbligatoria la previa intesa - e
 lo  ha  fatto  rinviando in toto alla legislazione previgente - cosi'
 esso poteva legittimamente delimitare tale obbligo, escludendolo  nei
 casi  di  urgenza,  anche  nelle  ipotesi di intesa previste da leggi
 ordinarie preesistenti.  Ne' si puo' dire che cio' contrasti  con  il
 criterio  del  "potenziamento  dei  poteri  e  delle  funzioni" della
 conferenza, di cui all'art. 9, comma 1, lett. a) della legge  n.  59,
 poiche' il ruolo e il rilievo complessivi della conferenza discendono
 dall'insieme delle disposizioni che la riguardano; e nel complesso la
 disciplina  recata dal decreto legislativo n. 281 comporta senz'altro
 un ampliamento delle sue funzioni.
   24. - Cio' che si e' osservato vale, peraltro, nei casi  nei  quali
 la  previsione  del  parere  o  dell'intesa,  pur  giustificata dagli
 interessi  costituzionali  in  gioco,  discende  da  una  scelta  del
 legislatore  statale non direttamente imposta da norme costituzionali
 o comunque sovraordinate.  In queste ipotesi, come si  e'  detto,  le
 norme generali degli artt.  2, commi 5 e 6, e 3, comma 4, del decreto
 legislativo  n. 281 derogano legittimamente, in parte qua, alle altre
 norme, preesistenti o poste dallo  stesso  decreto  legislativo,  che
 prevedono  pareri  obbligatori  della  conferenza  o  intese  con  la
 medesima.  Nei casi, invece, in cui  il  parere  della  conferenza  o
 l'intesa  con la medesima si configuri, in concreto, come espressione
 di  un  vincolo  costituzionale  discendente   dalla   particolarita'
 dell'oggetto (cfr., ad esempio, nel contesto dei rapporti fra Stato e
 singole Regioni, le sentenze n. 747 del 1988, n. 337 del 1989, nn. 21
 e  482  del  1991,  n.  242  del  1997),  o  di obblighi comunque non
 derogabili dal legislatore ordinario,  non  potrebbe  lasciarsi  alla
 determinazione del Governo, nemmeno in nome di ragioni di urgenza, la
 scelta   fra   sottoposizione   dell'atto   alla  conferenza  in  via
 preventiva, ai fini del parere o  dell'intesa,  e  sottoposizione  ad
 essa,  in  via  successiva,  dell'atto adottato senza previo parere o
 previa intesa.  Le disposizioni in esame vanno interpretate nel senso
 che esse si riferiscano solo alle ipotesi (costituenti peraltro  l'id
 quod  plerumque  accidit),  di  parere o intesa richiesti dalla legge
 ordinaria  e  non  costituzionalmente  vincolati,   e   non   trovino
 applicazione,  invece,  nei  particolari  casi  in  cui  il  parere o
 l'intesa siano costituzionalmente dovuti. In questi casi, dunque, non
 e'  applicabile  la  clausola  di  esenzione, per ragioni di urgenza,
 dalla necessita' del parere preventivo o dell'intesa.    Interpretate
 in  questo senso, le disposizioni in esame non meritano le censure ad
 esse mosse dalle ricorrenti.
   25. - La Regione Puglia denuncia altresi' la  violazione  dell'art.
 76 della Costituzione, che deriverebbe dall'avere gli artt. 8 e 9 del
 decreto   disciplinato   la   composizione,  il  funzionamento  e  le
 attribuzioni  della  conferenza  Stato-citta',  senza  che  la  legge
 contemplasse in alcun modo questi come oggetti della delega.
   26. - La questione e' inammissibile.  Il parametro costituito dalla
 norma   costituzionale   sulla  delega  legislativa,  e  dalle  norme
 interposte contenute nella  legge  di  delega,  puo'  infatti  essere
 invocato  dalle  Regioni  a  fondamento  di questioni di legittimita'
 costituzionale  sollevate  in  via  principale  solo  in  quanto   la
 violazione  denunciata  ridondi  in lesione dell'autonomia regionale.
 Ora, posto che la disciplina della unificazione delle due conferenze,
 e quella  conseguente  relativa  al  funzionamento  della  conferenza
 unificata,  rientra  certamente nell'oggetto della delega, le Regioni
 non hanno un interesse costituzionalmente tutelato a impugnare norme,
 come  quelle  qui  considerate,  che  riguardano  esclusivamente   la
 composizione   e  le  modalita'  di  funzionamento  della  conferenza
 Stato-citta' ed autonomie locali, strumento di raccordo che  riguarda
 di  per  se' esclusivamente i rapporti fra lo Stato e gli enti locali
 subregionali.
   27.  -  Un'ultima  censura  e'  mossa  dalla  Regione  Puglia  alle
 disposizioni  dei  commi  da 1 a 7 dell'art. 20 della legge n. 59 del
 1997.  I commi 1 e 2 prevedono che ogni anno il Governo  presenti  un
 disegno   di  legge  per  la  delegificazione  di  norme  concernenti
 procedimenti  amministrativi,  anche   coinvolgenti   amministrazioni
 centrali,  locali  o  autonome,  in  cui  si  individuino  altresi' i
 procedimenti relativi a funzioni attribuite alla  potesta'  normativa
 delle  Regioni  e degli enti locali, indicando i principi che restano
 regolati da legge della  Repubblica.  I  commi  3  e  4  disciplinano
 l'emanazione,  l'entrata  in  vigore e gli effetti dei regolamenti di
 delegificazione. Il comma 5 detta i criteri  e  principi  cui  devono
 conformarsi  tali regolamenti (semplificazione, riduzione dei termini
 e  del  numero  di  procedimenti,   accelerazione   delle   procedure
 contabili,  ecc.).  Il comma 6 prevede un'attivita' di verifica sugli
 effetti dei regolamenti. Il comma 7  stabilisce  che  "le  Regioni  a
 statuto ordinario regolano le materie disciplinate nei commi da 1 a 6
 nel  rispetto  dei  principi  desumibili  dalle  disposizioni in essi
 contenute,  che  costituiscono  principi  generali   dell'ordinamento
 giuridico";  e  aggiunge  che "tali disposizioni operano direttamente
 nei riguardi delle Regioni fino a quando esse non avranno  legiferato
 in   materia".     La  Regione  Puglia,  rilevata  l'oscurita'  delle
 disposizioni indicate, afferma che, se da esse  si  deducesse  che  i
 regolamenti  statali  di delegificazione possano intervenire anche in
 materie  di  competenza  regionale,  sia  pure  solo  fino  a  quando
 sopravvenga la disciplina dettata dalla Regione, risulterebbe violato
 il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo
 cui  i  regolamenti  governativi  non sono legittimati a disciplinare
 materie di competenza regionale, e lo strumento della delegificazione
 non puo' operare per  fonti  tra  le  quali  vi  e'  un  rapporto  di
 competenza e non di gerarchia.
   28.  -  La  questione e' infondata.   Fermo il valore di principio,
 legittimamente vincolante per i legislatori  regionali,  dei  criteri
 indicati  nell'art.  20, comma 4, quale che sia il senso attribuibile
 all'affermazione - invero non perspicua - per cui "tali disposizioni"
 (quelle contenute nei commi da 1 a 6 del medesimo art.  20)  "operano
 direttamente  nei  riguardi  delle  Regioni  fino  a  quando esse non
 avranno legiferato in materia", non e' possibile attribuire  ad  essa
 un  significato che riguardi o comprenda l'attitudine di future norme
 regolamentari statali a disciplinare materie di competenza regionale.