ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 6, del
 decreto  legislativo  19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia
 di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), promosso
 con ordinanza emessa il 20 ottobre 1997 dal giudice per  le  indagini
 preliminari del tribunale di Modena, nel procedimento penale a carico
 di  Tella  Anna  Maria  ed  altri,  iscritta  al  n. 896 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1998;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 ottobre 1998 il giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso di un procedimento penale nei confronti di Teodosio
 Greco, Anna Maria Tella e Maria Pia Manzini, rinviati a giudizio, tra
 l'altro, per i reati di cui agli artt. 1, secondo comma, numeri  2-3,
 1,  comma  2,  lettera b), del d.-l. 10 luglio 1992 (recte: 1982), n.
 429, convertito, con modificazioni, nella legge  7  agosto  1982,  n.
 516,  come  modificata  per  effetto  del d.-l. 16 marzo 1991, n. 83,
 convertito, con modificazioni, nella legge 15 maggio 1991, n. 154, il
 giudice per le  indagini  preliminari  del  tribunale  di  Modena  ha
 sollevato,   in   riferimento   all'art.   3,   primo   comma,  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,
 comma  6,  del decreto legislativo 19 luglio (recte: giugno) 1997, n.
 218 (Disposizioni in  materia  di  accertamento  con  adesione  e  di
 conciliazione   giudiziale),   nella   parte   in   cui  non  prevede
 l'applicabilita' dell'art. 2, comma 3,  seconda  parte,  del  decreto
 stesso,  anche  ai  periodi  di  imposta  gia'  definiti  sulla  base
 dell'art.  3  del  precedente  d.-l.  30  settembre  1994,  n.   564,
 convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.
   Premette  il  giudice  a  quo  che, in base a quanto previsto dalla
 seconda  parte  del  comma  3  dell'art.  2  del  menzionato  decreto
 legislativo    n.   218   del   1997,   la   definizione   concordata
 dell'accertamento tributario  esclude  con  effetto  retroattivo,  in
 deroga   al   principio   della   ultrattivita'  della  legge  penale
 tributaria, stabilito dall'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n.  4,
 la punibilita' per i reati tributari previsti dagli artt. 1, 2, primo
 e  secondo  comma,  e  3  del  d.-l. n. 429 del 1982, convertito, con
 modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n.   516, limitatamente  ai
 fatti oggetto dell'accertamento.
   A  sua  volta  la  disposizione  denunciata,  e  cioe'  il  comma 6
 dell'art.  2 del medesimo decreto legislativo, estende l'applicazione
 dei precedenti commi anche "ai periodi  d'imposta  per  i  quali  era
 applicabile  la  definizione  ai  sensi  dell'art.  3  del  d.-l.  30
 settembre 1994, n.  564, convertito, con modificazioni,  nella  legge
 30  novembre  1994,  n.  656 e dell'art. 2, comma 137, della legge 23
 dicembre 1996, n.  662".
   2. - Il rimettente, ritenendo di non  poter  pervenire,  attraverso
 una    interpretazione   letterale   e   sistematica   della   norma,
 all'applicazione, in via diretta ed immediata, della menzionata causa
 di non punibilita' a chi abbia gia' definito, ex art. 3 del d.-l.  n.
 564  del  1994,  precedenti  periodi  di  imposta,  reputa la mancata
 previsione di quest'ultima ipotesi in contrasto con  il  criterio  di
 ragionevolezza,   desumibile   dall'art.   3,   primo   comma,  della
 Costituzione,  giacche',   "pur   all'interno   di   un   quadro   di
 discrezionalita'  legislativa  funzionale ad agevolare, attraverso la
 previsione di  meccanismi  incentivanti,  la  definizione  concordata
 delle  controversie  fiscali",  il  legislatore  ha  l'obbligo di non
 riservare  un   trattamento   ingiustificatamente   differenziato   a
 situazioni identiche.
   3.  -  Dal  punto  di  vista  della  rilevanza  della questione, il
 rimettente sostiene che la non punibilita' del reato, conseguente  ad
 una  eventuale  sentenza  di accoglimento, non potrebbe non ridondare
 anche a vantaggio di coloro che, come  gli  imputati,  non  sarebbero
 stati   formalmente  legittimati  ad  avvalersi  della  procedura  di
 accertamento  con  adesione,  in  quanto  privi   della   carica   di
 amministratore  della  societa' "o perche' cessati (Manzini e Tella),
 ovvero  per  non  esserlo  mai  stato  (Greco)", all'uopo richiamando
 l'orientamento espresso nella sentenza n. 19 del 1995, con  la  quale
 questa  Corte  ha  affermato la valenza oggettiva dell'amnistia per i
 reati tributari introdotta dal d.P.R.  20 gennaio 1992, n. 23.
   4. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
   La difesa erariale, non condividendo la premessa interpretativa  da
 cui  muove  il  rimettente, ritiene, infatti, che l'effetto estintivo
 della punibilita' si abbia anche nel  caso  in  cui  sia  stata  gia'
 formulata  adesione  all'accertamento.  E  cio'  in quanto l'espresso
 riferimento all'effetto retroattivo della causa di  non  punibilita',
 contenuto  nella disposizione censurata, avrebbe un senso soltanto ed
 esclusivamente  se  riferito  "alle   cause   di   estinzione   della
 punibilita'  che tali non erano" al momento in cui fu posto in essere
 il comportamento cui e' oggi riferito l'effetto in questione.
                         Considerato in diritto
   1. - Con  l'ordinanza  in  epigrafe  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari  del  tribunale  di  Modena  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  6,  del   decreto
 legislativo  19  giugno 1997, n.  218, nella parte in cui non prevede
 che il disposto dell'art. 2, comma 3,  seconda  parte,  del  predetto
 decreto  si  applichi anche ai periodi di imposta gia' definiti sulla
 base dell'art. 3 del d.-l.  30 settembre 1994,  n.  564,  convertito,
 con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.
   Secondo  il rimettente la denunciata norma si pone in contrasto con
 l'art. 3, primo  comma,  della  Costituzione,  a  causa  del  diverso
 trattamento  riservato  a situazioni identiche, in quanto consente al
 contribuente di avvalersi della facolta' di  definire  i  periodi  di
 imposta  fino  al  1994  mediante accertamento con adesione, al quale
 accede  l'esclusione  della  punibilita'  per  gli  illeciti   aventi
 rilevanza  sul  piano  penale,  e  non  ricomprende,  invece, in tali
 benefici, le situazioni relative agli stessi periodi di imposta,  che
 siano gia' state definite ai sensi del menzionato art. 3 del d.-l. n.
 564 del 1994.
   2.  -  Nulla  osta,  anzitutto,  all'ammissibilita' della questione
 sotto il profilo della rilevanza, motivata dal rimettente sulla  base
 di    argomenti    tratti   dai   precedenti   della   giurisprudenza
 costituzionale in materia di amnistia (in particolare, sentenza n. 19
 del 1995), al fine di sostenere che una pronunzia di accoglimento non
 potrebbe non ridondare anche a vantaggio  di  coloro  che,  come  gli
 imputati,  non  sarebbero stati formalmente legittimati ad avvalersi,
 nella specie, della procedura di accertamento con  adesione.  La  non
 implausibilita'  di  tale  motivazione  e'  sufficiente a superare il
 vaglio della verifica  che  compete  alla  Corte  sull'esistenza  dei
 presupposti  per  il  promovimento della questione, potendosi, cosi',
 dare ingresso al presente incidente di costituzionalita'.
   3. - Nel merito, la questione e' da reputare non fondata, nei sensi
 di seguito precisati.
   Onde richiamare il contesto  normativo  nel  quale  si  colloca  la
 problematica  portata  all'esame  della  Corte,  va  premesso  che il
 decreto legislativo 19 giugno 1997, n.  218,  nel  procedere  ad  una
 revisione  organica  dell'istituto dell'accertamento con adesione, ha
 introdotto una nuova  disciplina  generale  delle  modalita'  per  la
 definizione  delle  pendenze  tributarie,  cui  si riconnettono anche
 effetti premiali sul piano penale; si prevede, infatti, sia pure  con
 talune  eccezioni,  che  "la  definizione  esclude, anche con effetto
 retroattivo, in deroga all'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n.  4,
 la  punibilita'  per  i  reati previsti dal d.-l.  10 luglio 1982, n.
 429, convertito, con modificazioni, nella legge  7  agosto  1982,  n.
 516,  limitatamente  ai  fatti  oggetto  dell'accertamento" (comma 3,
 seconda parte, dell'art. 2). Il comma 6 del  medesimo  articolo,  sul
 quale  si  appuntano le censure del rimettente, precisa, a sua volta,
 che rientrano, nella disciplina di cui ai  precedenti  commi  (tra  i
 quali il comma 3 teste' richiamato), anche i periodi di imposta per i
 quali era applicabile, tra l'altro, la definizione ai sensi dell'art.
 3  del  d.-l.  30  settembre 1994, n. 564. Si tratta, in particolare,
 dell'accertamento con adesione del contribuente  per  anni  pregressi
 (c.d. "concordato di massa"), previsto dal menzionato art. 3, ai fini
 delle  imposte  sul  reddito  e dell'imposta sul valore aggiunto, nel
 quadro di una disciplina del concordato relativa  alle  dichiarazioni
 presentate entro il 30 settembre 1994.
   4.  -  Tanto  premesso,  e'  da rammentare che questa Corte ha piu'
 volte affermato (da ultimo, sentenze n. 307 del 1996  e  n.  354  del
 1997) il principio secondo cui il giudice rimettente, nell'operare la
 ricognizione  del contenuto normativo della disposizione da applicare
 al caso portato al  suo  esame,  deve  costantemente  essere  guidato
 dall'esigenza  di rispettare i precetti costituzionali e, quindi, ove
 una interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, e' tenuto
 - soprattutto in mancanza di diritto vivente  -  ad  adottare  quella
 diversa  lettura  che  risulti  aderente  ai  principi costituzionali
 altrimenti vulnerati.
 nel  caso  di  specie,  invero,  esiste  la   possibilita'   di   una
 interpretazione  della  disposizione  denunciata  diversa  da  quella
 prospettata dall'ordinanza  e  tale  da  consentire  di  superare  il
 denunciato dubbio di costituzionalita'.
   Alla  tesi  sostenuta  dal  giudice  a quo, nel senso che l'effetto
 estintivo della punibilita', previsto dal comma  3  dell'art.  2  del
 decreto  legislativo  n.  218 del 1997, non comprenderebbe il caso in
 cui si sia gia' formulata adesione all'accertamento in base  all'art.
 3  del  d.-l.  n.  564  del  1994,  puo'  opporsi,  anzitutto, che il
 censurato comma  6  del  medesimo  art.  2  -  nel  ricondurre  nella
 disciplina  di  favore del precedente comma 3 i periodi di imposta ai
 quali "era applicabile"  la  definizione  ai  sensi  della  anteriore
 normativa - utilizza una locuzione, che, nella sua portata letterale,
 ben  si presta, in alternativa alla lettura riduttiva del rimettente,
 ad essere riferita a tutte  le  pendenze  rientranti  nella  indicata
 categoria, a prescindere dal fatto di essere state o meno definite.
   Puo',  inoltre,  rilevarsi che il menzionato decreto legislativo n.
 218 del 1997, nel ridisciplinare in via generale  i  procedimenti  di
 definizione delle vertenze tributarie e nell'escludere (art. 2, comma
 3)  la  punibilita'  per  i  fatti aventi rilevanza penale, mostra di
 volersi ispirare a criteri di particolare ampiezza,  come  denota  il
 fatto   stesso   di  aver  preso  in  considerazione  anche  i  fatti
 precedenti, in cio' derogando  al  principio  generale  dell'art.  20
 della  legge  7  gennaio  1929, n. 4 (c.d. "ultrattivita' della legge
 penale tributaria").   Ma, una volta individuato  in  questi  termini
 l'intento  del  legislatore, non si spiegherebbe una discriminazione,
 nell'ambito delle fattispecie pregresse, a danno delle pendenze a suo
 tempo  risolte,  se  non  altro  perche'  ne resterebbero penalizzati
 proprio quei contribuenti che, come lo stesso rimettente non manca di
 avvertire, si sono mostrati piu' solerti nella definizione  dei  loro
 rapporti con il fisco.