ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
 1-quinquies,  della  legge  14  gennaio  1994, n. 20 (Disposizioni in
 materia  di  giurisdizione  e  controllo  della  Corte  dei   conti),
 introdotto  dall'art.  3  del  decreto-legge  23 ottobre 1996, n. 543
 (Disposizioni urgenti in  materia  di  ordinamento  della  Corte  dei
 conti),  convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996,
 n. 639, promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1997 dalla Corte
 dei conti, Sezione giurisdizionale  per  la  Regione  Lombardia,  nel
 giudizio  di  responsabilita'  a  carico di Lovecchio Marco ed altri,
 iscritta al n. 7 del  registro  ordinanze  1998  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,  prima serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 ottobre 1998 il Giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza del 19 febbraio 1997 (R.O.  n.  7  del  1998)  -
 emessa  nel  corso  di  un giudizio di responsabilita' amministrativa
 instaurato  dal  Procuratore  regionale  nei  confronti   di   alcuni
 dipendenti  del Comune di Ponteranica nonche' della Banca popolare di
 Bergamo, tesoriere dello stesso Comune - la  Sezione  giurisdizionale
 della  Corte  dei  conti  per  la Lombardia ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  1-quinquies,  della
 legge   14   gennaio   1994,   n.  20  (Disposizioni  in  materia  di
 giurisdizione e controllo della Corte dei  conti),  denunciandone  il
 contrasto  con  gli  artt.   3, 23, 24, primo comma, 28 e 97, primo e
 secondo comma, della Costituzione.
   2. - Premette il rimettente che,  con  atto  di  citazione  del  14
 dicembre  1994,  integrato  da altro successivo del 9 giugno 1995, il
 Procuratore regionale della Corte dei conti conveniva in giudizio  il
 ragioniere  capo  e  l'economo  del  Comune  di  Ponteranica, nonche'
 l'istituto bancario tesoriere  (unitamente  ad  alcuni  addetti  alla
 Tesoreria),  quali presunti responsabili sia pure a diverso titolo di
 danno  all'erario  per  l'importo  di  Lire  224.339.324  (oltre   la
 rivalutazione,  gli  interessi  legali  e  le  spese di giudizio). Il
 ragioniere capo era,  inoltre,  chiamato  a  rispondere  del  mancato
 versamento  in Tesoreria della somma di Lire 7.110.550, consegnatagli
 da un debitore privato, quale  importo  dovuto  per  l'estinzione  di
 un'obbligazione pecuniaria nei confronti del Comune.
   Definita  con sentenza parziale del 23 maggio 1997 la posizione dei
 suddetti dipendenti comunali, chiamati a rispondere a titolo di  dolo
 -  e  gia' ritenuti responsabili, dal Tribunale penale di Bergamo, di
 truffa aggravata, falso in atto pubblico ed altri reati connessi - la
 Sezione giurisdizionale  regionale  della  Corte  dei  conti  per  la
 Lombardia,  nel  condannare i medesimi alla refusione in solido della
 somma corrispondente ai mandati di pagamento illecitamente  riscossi,
 ha  sospeso  la  pronunzia  nei  confronti  del tesoriere, chiamato a
 rispondere a titolo di colpa grave per aver incautamente liquidato  i
 detti mandati di pagamento, ed ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale della disposizione sopra specificata.
   Rilevato  che  il  principio  della  solidarieta'  passiva,  per la
 generale portata assunta nell'ambito del codice civile  vigente,  sia
 per   la  responsabilita'  contrattuale  sia  per  quella  aquiliana,
 consente al creditore di chiedere la condanna per l'intero  anche  di
 uno  solo dei condebitori solidali, godendo, quindi, di una posizione
 agevolata per la soddisfazione  del  credito,  il  giudice  contabile
 osserva  che,  a causa della disposizione censurata, analoga facolta'
 sarebbe preclusa, invece, al Procuratore regionale  della  Corte  dei
 conti,  "con  evidenti  disparita'  di  trattamento e limitazione del
 diritto di difesa" e, quindi, con violazione degli artt. 3 e 24 della
 Costituzione.
   La  ridotta capacita' di reazione dell'ordinamento si rifletterebbe
 anche  sui  valori  protetti  dall'art.  23  della  Costituzione  per
 l'esigenza,  comportata  dalla  probabile  riduzione  delle pubbliche
 risorse, di  incrementare  le  prestazioni  patrimoniali  imposte  ai
 cittadini,  in  contrasto con il principio di ragionevolezza e con il
 principio di eguaglianza.
   La violazione del  principio  di  eguaglianza,  per  disparita'  di
 trattamento ed irragionevolezza (art. 3), sarebbe ancora ravvisabile,
 secondo   il   rimettente,   con   riferimento   all'art.   28  della
 Costituzione: infatti, mentre il terzo danneggiato puo', in virtu' di
 quest'ultima disposizione, ottenere l'integrale  ristoro  del  danno,
 convenendo  in  giudizio  l'Ente  pubblico,  quest'ultimo, in sede di
 rivalsa nei confronti dell'autore del pregiudizio, non puo'  ottenere
 altrettanto,  giacche' i dipendenti - che pur avrebbero potuto essere
 condannati in solido, in sede civile, ove convenuti in  giudizio  dal
 terzo medesimo - risultano, invece, sottratti, innanzi alla Corte dei
 conti,  a  tale  tipo di condanna.  L'applicazione della disposizione
 censurata  presenterebbe   aspetti   di   spiccata   irragionevolezza
 specialmente  nel  caso  di  una  fattispecie delittuosa per la quale
 siano convenuti in giudizio innanzi alla Corte dei conti,  unitamente
 all'autore  del  reato,  anche coloro che abbiano omesso colposamente
 l'osservanza dei doveri di vigilanza e di controllo. In tale ipotesi,
 esclusa la possibilita'  di  condannare  l'autore  del  reato  ad  un
 risarcimento   del   danno   per  un  importo  inferiore  alla  somma
 illecitamente conseguita,  il  giudice  si  troverebbe  nell'esigenza
 irragionevole  di  determinare  un  "arricchimento ingiustificato del
 soggetto  pubblico  danneggiato",  dovendo  condannare  per  l'intero
 l'autore   del   reato   e,   per  un'ulteriore  quota,  il  soggetto
 corresponsabile per negligenza.
   Per contro,  secondo  il  regime  previgente,  la  sussistenza  del
 vincolo  solidale  tra  i  corresponsabili del danno erariale, che la
 Corte dei conti applicava anche pro-quota, consentiva, attraverso  il
 meccanismo  del  regresso,  di far gravare l'intero danno sull'autore
 del reato, mentre l'escussione del  controllore  negligente,  per  la
 quota a lui addebitata, portava ad una piu' agevole realizzazione del
 credito, senza eccedere la misura del danno subito dall'erario.
   Infine,  secondo  il  giudice rimettente, la disposizione censurata
 colliderebbe anche con i principi di  correttezza  e  buon  andamento
 della   pubblica   amministrazione,   fissati   nell'art.   97  della
 Costituzione; principi la cui salvaguardia rientra tra  le  finalita'
 della  giurisdizione  contabile  e  con  i  quali sarebbe coerente il
 criterio della solidarieta' passiva.
   3. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   L'Avvocatura erariale, nel fare rinvio alle deduzioni a  suo  tempo
 predisposte  per  altri  giudizi  instaurati  innanzi a questa Corte,
 rammenta che, secondo  il  costante  indirizzo  della  giurisprudenza
 costituzionale,  le  norme  in tema di responsabilita' dei dipendenti
 pubblici risultano  sindacabili  solo  in  caso  di  arbitrarieta'  e
 manifesta irragionevolezza delle scelte del legislatore.
   Nel   quadro   di  riferimento  normativo  costituito  dal  decreto
 legislativo  3  febbraio  1993,  n.  29,  dovrebbe,  in  ogni   caso,
 escludersi che l'art.  97 della Costituzione implichi un principio di
 inderogabilita',  per  i  pubblici dipendenti, delle comuni regole di
 responsabilita' operanti fra i privati.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con  l'ordinanza  in  epigrafe  la  Corte dei conti, Sezione
 giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  1-quinquies,  della
 legge   14   gennaio   1994,   n.  20  (Disposizioni  in  materia  di
 giurisdizione e controllo della Corte dei conti), nella parte in  cui
 limita,  nell'ipotesi  di  danno erariale causato da piu' persone, la
 responsabilita' solidale ai soli concorrenti che  abbiano  conseguito
 un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo.
   Secondo  il  rimettente  il  predetto  comma  1-quinquies, aggiunto
 all'art.  1 della legge n. 20 del 1994  dall'art.  3,  comma  1,  del
 decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni,
 nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, si pone in contrasto con:
     gli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,  per la ingiustificata
 disparita' di trattamento e per la limitazione del diritto di  azione
 del  Procuratore  regionale della Corte dei conti, rispetto al regime
 di responsabilita' civile del diritto privato, ispirato al  principio
 generale della solidarieta' passiva;
     il  medesimo  art.  3,  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
 trattamento e della  irragionevolezza,  in  riferimento  all'art.  28
 della  Costituzione,  in  quanto,  mentre  in  base  a  detta  ultima
 disposizione il terzo puo' ottenere l'integrale ristoro del danno nei
 confronti dell'ente pubblico, quest'ultimo incontrerebbe limiti,  nel
 far  valere  il suo diritto, a causa della sottrazione dei dipendenti
 alla  condanna  in  via  solidale;   cio'   senza   considerare   che
 l'esclusione  del  vincolo  di  solidarieta' passiva nei confronti di
 colui, che, venendo meno  al  dovere  di  vigilanza,  ha  concorso  a
 provocare   il   danno,  porrebbe  il  giudice  nella  necessita'  di
 determinare un arricchimento ingiustificato del soggetto danneggiato,
 dovendo condannare l'autore del reato ad  un  importo  che  non  puo'
 essere  inferiore  all'intero,  al quale si aggiunge la condanna, per
 una ulteriore quota, del soggetto corresponsabile a titolo  di  colpa
 grave;
     l'art.  23  della  Costituzione,  in  quanto  la ridotta reazione
 dell'ordinamento     comporterebbe     l'esigenza     di      imporre
 irragionevolmente ai cittadini ulteriori prestazioni patrimoniali;
     l'art. 97 della Costituzione, in quanto la limitazione introdotta
 inciderebbe   negativamente   sul   buon   andamento  della  pubblica
 amministrazione la cui promozione, attraverso il perseguimento  delle
 responsabilita',   rientra   tra  le  finalita'  della  giurisdizione
 contabile.
   2. - La questione non e' fondata.
   La disposizione denunciata, al pari dell'altra, sulla quale  questa
 Corte  ha  avuto  recentemente  occasione  di  pronunziarsi  con  una
 sentenza  di  infondatezza  -  e   cioe'   quella   che   limita   la
 responsabilita' di dipendenti ed amministratori pubblici ai soli casi
 di  dolo  o  colpa  grave  -  si  colloca  nell'ambito  di  una nuova
 conformazione dell'istituto della  responsabilita'  amministrativa  e
 contabile, secondo linee volte, tra l'altro, ad accentuarne i profili
 sanzionatori  rispetto  a  quelli  risarcitori  (sentenza  n. 371 del
 1998). Nel quadro di tale nuovo ordinamento il legislatore,  in  caso
 di  danno  cagionato  da  piu' persone, ha dettato una disciplina dei
 rapporti  fra  i corresponsabili tale da renderla piu' aderente, come
 emerge dai lavori  parlamentari,  alla  misura  della  partecipazione
 avuta  da  ciascuno  dei  vari  soggetti nella causazione dell'evento
 dannoso, disponendo che la  Corte  dei  conti,  valutate  le  singole
 responsabilita',  condanni  "ciascuno  per  la parte che vi ha preso"
 (art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20 del 1994), salva l'ipotesi
 in cui i concorrenti "abbiano conseguito un illecito arricchimento  o
 abbiano agito con dolo", nel qual caso essi sono invece "responsabili
 solidalmente",  cosi'  come espressamente dispone il successivo comma
 1-quinquies, sul quale specificamente si  appuntano  le  censure  del
 rimettente.
   Onde  cogliere  la  reale portata innovativa della disposizione, va
 considerato  che  al  precedente  ordinamento   della   materia   era
 tutt'altro  che  estraneo  il  criterio  della parziarieta', il quale
 risulta sancito, in termini pressoche'  analoghi  a  quelli  attuali,
 dall'art.  82  del  regio  decreto 18 novembre 1923, n. 2440, accanto
 alla  norma  sulla  facolta'  del  giudice,  "valutate   le   singole
 responsabilita'",  di  "porre a carico dei responsabili tutto o parte
 del danno accertato o del valore  perduto"  (art.  83).  Tuttavia  un
 consistente   filone  della  giurisprudenza  della  Corte  dei  conti
 riteneva che la parziarieta'  riguardasse  il  rapporto  interno  fra
 condebitori   e   che,  invece,  nei  confronti  del  danneggiato,  i
 corresponsabili fossero comunque legati  dal  vincolo  derivante  dal
 principio  di solidarieta', che, peraltro, veniva applicato, sovente,
 infliggendo a coloro che, ad avviso del giudice, avevano avuto  minor
 peso  nel  cagionare  l'evento,  la  condanna in solido con gli altri
 corresponsabili, ma limitando la quota dovuta fino a  concorrenza  di
 una parte del danno.
   Di  fronte  ad  un panorama giurisprudenziale non privo, invero, di
 profili di incertezza, il legislatore, con la norma  denunciata,  nel
 ribadire   come   regola   generale  il  principio  di  parziarieta',
 individua,  espressamente,  nei  casi   di   dolo   o   di   illecito
 arricchimento   le   ipotesi   derogatorie   in   cui  piu'  soggetti
 corresponsabili  restano  legati  dal  vincolo   della   solidarieta'
 passiva.
   3.  -  La  scelta  cosi' operata non puo' reputarsi illegittima, in
 quanto, per i pubblici dipendenti, la responsabilita'  per  il  danno
 ingiusto puo' essere oggetto, come questa Corte ha avuto occasione di
 affermare, di discipline differenziate rispetto ai principi comuni in
 materia.
   E'  sufficiente,  percio',  rifarsi  al  predetto  orientamento per
 dissipare il  dubbio  di  violazione  dell'art.  3,  prospettato  dal
 rimettente,  richiamando,  tra  l'altro, la diversa disciplina che, a
 suo  avviso,  si   desumerebbe,   per   i   rapporti   fra   pubblica
 amministrazione e terzo danneggiato, dall'art. 28 della Costituzione.
   Inoltre,  proprio  con  riguardo  a  fattispecie consimile a quella
 dalla quale ha tratto spunto l'ordinanza di rimessione, questa  Corte
 ha  avuto  modo  di  affermare  che  non puo' certo essere la mancata
 applicabilita' del principio  di  solidarieta'  a  dar  fondamento  a
 censure  di violazione del principio di eguaglianza, giacche' proprio
 il trasferimento del peso del risarcimento  dal  maggiore  al  minore
 colpevole  rischierebbe  di  non  essere  consono con tale principio,
 nonche' con le prescrizioni di cui  all'art.  97  della  Costituzione
 (sentenza n. 773 del 1988).
   4.  -  Quanto,  poi,  all'art. 24 della Costituzione e' sufficiente
 rilevare, a  tacer  d'altro,  che  la  garanzia  apprestata  da  tale
 articolo  opera  attribuendo  la  tutela processuale delle situazioni
 giuridiche  soggettive  nei   termini   in   cui   queste   risultano
 riconosciute  dal  legislatore;  di  modo  che  quella garanzia trova
 confini nel contenuto del diritto al quale serve, e  si  modella  sui
 concreti lineamenti che il diritto riceve dall'ordinamento.
   5.   -  Per  corroborare  la  tesi  dell'incostituzionalita'  della
 censurata  disposizione,  l'ordinanza   si   sofferma   sugli   esiti
 irragionevoli  cui  essa  darebbe  luogo,  imponendo  al  giudice  di
 infliggere, in una fattispecie quale quella all'esame del rimettente,
 condanne per importi superiori alla perdita  subita  dall'erario.  In
 proposito,  nel  rammentare  il  principio  secondo  il  quale  (cfr.
 sentenze n. 307 del 1996 e n. 354 del 1997) e'  compito  del  giudice
 dare,   per   quanto   sia   possibile,  alle  norme  denunciate  una
 interpretazione   secundum    Constitutionem,    si    osserva    che
 l'inconveniente  segnalato  deriva  da  una scelta interpretativa che
 appare tutt'altro che scontata,  risultando,  infatti,  disattesa  da
 quella   giurisprudenza,   che,  proprio  per  evitare  le  illogiche
 conseguenze prospettate dal rimettente, in casi analoghi afferma  che
 l'agente il quale, a titolo di colpa, risponde soltanto per una quota
 del  danno,  resti obbligato solo in via eventuale dopo l'infruttuosa
 escussione di coloro che abbiano agito con dolo.
   Tale orientamento, gia' accolto  in  passato  dalla  giurisprudenza
 contabile  nell'ambito del regime che tendeva a coniugare, come si e'
 detto, solidarieta' e parziarieta', e'  stato  recentemente  ribadito
 (v.  Corte  dei  conti, Sezioni riunite, 25 febbraio 1997, n. 29) nei
 confronti  della  nuova  disciplina,  valendo,  percio',  ad  evitare
 proprio gli effetti paventati dall'ordinanza.
   6.   -   Ugualmente   infondate  sono  le  censure  prospettate  in
 riferimento agli artt. 23 e 97 della Costituzione. Infatti, mentre va
 rilevata l'estraneita' alla problematica qui  in  esame  della  prima
 disposizione,   la  quale  contempla  la  riserva  di  legge  per  le
 prestazioni personali e patrimoniali, e' da escludere, del  pari,  la
 lesione della seconda, sotto il profilo del buon andamento, attesa la
 non irragionevolezza della denunciata disciplina.