ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 4, commi 4 e 9, 6, comma 1, e 7, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1996 dal pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Cotardo Tiziana ed altre e la ditta LUEL ed altre, iscritta al n. 1203 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1996; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il giudice relatore Cesare Ruperto. Ritenuto in fatto 1.1. - Il pretore di Lecce - nel corso di un giudizio in cui i lavoratori licenziati per cessazione di attivita' aziendale avevano richiesto che venisse accertato il loro diritto ad essere collocati in mobilita' - sollevo', con ordinanza del 18 maggio 1994, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l'indennita' in argomento possa spettare anche a soggetti non iscritti nelle liste di mobilita' che posseggano i relativi requisiti. Con sentenza n. 413 del 1995, questa Corte dichiaro' non fondata la questione, osservando che il diritto all'indennita' costituisce una tra le molteplici conseguenze dell'iscrizione nelle liste, e aggiungendo che non poteva esaminare, "in quanto eccedente rispetto al thema decidendum devoluto alla Corte stessa", "la conformita', o meno, a Costituzione della disciplina (non gia' del presupposto dell'indennita' di mobilita' ma) della stessa iscrizione nelle liste suddette (art. 4)". 1.2. - Lo stesso giudice, con ordinanza emessa il 3 febbraio 1996 nel corso del medesimo processo - dopo aver ricordato che il datore di lavoro ha verbalmente proceduto al licenziamento di tutti i dipendenti per cessazione di attivita' - ha sollevato, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimita' costituzionale, dell'art. 4, commi 4 e 9, in combinato disposto con gli artt. 6, comma 1, e 7, comma 1, della gia' citata legge n. 223 del 1991, nella parte in cui riserva soltanto al datore di lavoro e non anche, in alternativa, ai lavoratori licenziati per cessazione di attivita' "l'iniziativa o il compimento degli atti indispensabili" per l'iscrizione nelle liste di mobilita' da compilarsi a cura dell'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione. Osserva il rimettente come, in caso di cessazione dell'attivita' aziendale, la procedura di mobilita' trovi applicazione soltanto per la parte compatibile, in particolare quella che tende ad assicurare ai lavoratori la tutela previdenziale e sociale. In tale ipotesi i motivi della decisione imprenditoriale di cessare l'attivita' risultano insindacabili da parte del giudice, ne' sarebbe possibile l'effettiva reintegrazione del lavoratore ove fosse accertata l'invalidita' o l'inefficacia del recesso. L'inesistenza o il mancato perfezionamento degli adempimenti, sia pure soltanto formali, cui il datore di lavoro e' tenuto nella procedura in questione, determina la mancata iscrizione dei lavoratori nelle liste e, quindi, l'impossibilita' di acquisire quello status che e' condizione, tra l'altro, della percezione dell'indennita', anche se gli stessi siano in possesso dei requisiti di anzianita' aziendale previsti dall'art. 16, comma 1, della legge. D'altra parte - aggiunge il rimettente - non sarebbe possibile alcuna indagine circa la legittimita' del comportamento del soggetto pubblico, al fine di richiedere al giudice ordinario l'accertamento incidentale dell'illegittimita' della mancata iscrizione, atteso che quest'ultima e' stata rifiutata per il difetto del presupposto, cioe' per le mancate comunicazioni facenti carico al soggetto privato. Ma - sempre secondo il rimettente - non sembra ragionevole condizionare l'iscrizione, produttiva di effetti previdenziali e sociali, alla sola iniziativa del datore di lavoro, estraneo ai rapporti che dall'iscrizione stessa conseguono e, in ipotesi, indifferente ai riflessi economici negativi della propria condotta. E cio' anche alla stregua dei princi'pi generali, secondo cui un diritto non puo' essere condizionato dal comportamento di altro soggetto, che non sia giustificato da seri e apprezzabili motivi ma sia invece solo conseguente a una scelta arbitraria. La prospettazione, secondo quanto precisa il pretore di Lecce, non riguarda piu' dunque la mancata corresponsione dell'indennita' di mobilita' ai non iscritti alle liste che pure ne avrebbero avuto diritto, bensi' ("prendendo atto dei rilievi mossi dalla Corte costituzionale") l'irragionevolezza e il contrasto con il principio di eguaglianza, correlato con l'art. 38 della Costituzione, espresso dall'impossibilita' di essere iscritti nelle liste di mobilita' per lavoratori, i quali pur posseggono i relativi requisiti. 2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha preliminarmente eccepito l'inammissibilita' per irrilevanza, in quanto le parti ricorrenti nel giudizio a quo si sarebbero limitate a richiedere la condanna al pagamento dell'indennita' di mobilita'. Nel merito, l'autorita' intervenuta rileva come dal tenore dell'impugnato art. 4 non sia ricavabile alcuno dei vizi di legittimita' costituzionale prospettati dal rimettente. Considerato in diritto 1. - Il pretore di Lecce dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 4 e 9, in combinato disposto con gli artt. 6, comma 1, e 7, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223. A parere del rimettente, la denunciata normativa - che descrive gli adempimenti imposti al datore di lavoro per l'iscrizione dei dipendenti nelle liste di mobilita', subordinando ad essa l'erogazione della relativa indennita' - contrasta con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui condiziona la procedura d'iscrizione esclusivamente al comportamento del datore di lavoro senza prevedere, in alternativa, che "l'iniziativa o il compimento" degli atti necessari - nell'inerzia del soggetto tenuto ad attivarsi - spetti ai lavoratori interessati, in caso di licenziamento collettivo per cessazione dell'attivita'. Secondo il rimettente, e' irragionevole subordinare l'iscrizione (e la prestazione conseguente) al comportamento (in ipotesi arbitrario) di un terzo estraneo al rapporto previdenziale e sostanzialmente indifferente agli effetti negativi dell'omessa iscrizione. Effetti, che verrebbero a prodursi a carico dei lavoratori in conseguenza della condotta omissiva del loro datore di lavoro, con disparita' di trattamento rispetto ai casi in cui quest'ultimo abbia invece provveduto al compimento di una serie di atti formali, e con violazione anche del diritto protetto dall'art. 38 della Costituzione. 2. - La questione non e' fondata, nei sensi di cui appresso. 2.1. - Giova rammentare che nel corso del medesimo giudizio a quo il pretore di Lecce ebbe gia' a sollevare questione di legittimita' costituzionale - parimenti in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione - dell'art. 7, comma 1, della stessa legge n. 223 del 1991, con riguardo alla mancata corresponsione dell'indennita' di mobilita' ai lavoratori, che pure ne avrebbero avuto diritto, non iscritti nelle liste a causa della condotta omissiva del datore di lavoro. Con sentenza n. 413 del 1995 questa Corte dichiaro' non fondata tale questione, osservando come il diritto alla percezione dell'indennita' non rappresenti che una tra le molteplici conseguenze di quello status che i lavoratori acquisiscono con l'iscrizione nelle liste di mobilita'. In tale momento si radica, difatti, "un complesso di rapporti interconnessi, dei quali quello avente ad oggetto l'erogazione dell'indennita' di mobilita' costituisce il principale ma non l'unico", che non e' quindi possibile enucleare prescindendo dall'iscrizione nelle liste stesse. L'odierna prospettazione concerne appunto quest'ultimo aspetto, nella centralita' cosi' posta in luce da quella sentenza rispetto al complessivo impianto della denunciata legge. Le affermazioni allora fatte vanno dunque assunte a premessa del presente scrutinio di costituzionalita', particolarmente la' dove si rileva l'inadeguatezza della tutela risarcitoria, segnatamente nel caso di cessazione dell'attivita' aziendale, e si sottolinea la dimensione procedimentale in cui si colloca l'iscrizione nelle liste. 2.2. - Tanto precisato, osserva la Corte che, per effetto del rinvio operato dall'art. 24, comma 2, della legge n. 223 del 1991, le norme in materia di mobilita' si applicano anche in caso di licenziamento collettivo per cessazione di attivita', avuto riguardo al solo requisito dimensionale delle imprese (prescindendo, dunque, dall'avvenuta ammissione delle stesse al trattamento straordinario d'integrazione salariale). Come risulta evidente dal testo normativo, l'estensione alle imprese che "intendono cessare l'attivita'" e' frutto di un'assimilazione logica alle ipotesi di licenziamento collettivo per "riduzione o trasformazione di attivita' o di lavoro", contemplate nel precedente comma. Anche la cessazione dell'attivita', in altri termini, si vuole inserita in quella complessa concertazione attraverso cui la normativa sulla mobilita' tende a ridurre le conseguenze della crisi o della ristrutturazione dell'impresa sull'occupazione. Con tale forma di tutela si comprende e si giustifica in quanto la messa in mobilita' viene a coniugarsi con gli ulteriori meccanismi predisposti per la ricollocazione dei lavoratori. Ma essa assurge ad espressione di un principio generale, che non puo' non valere anche quando ci si trovi in presenza della mera soppressione dell'impresa operata al di fuori d'ogni procedura: come appunto messo in risalto dalla succitata sentenza, la sola sanzione dell'inefficacia del recesso ex art. 5, comma 3 (con la tutela giurisdizionale che ne consegue), non puo' considerarsi appagante ai fini della tutela dei lavoratori. 2.3. - Per altro verso e' evidente che la comunicazione di avvio della procedura, cosi' come regolata dai commi 1 e 2 dell'art. 4, e la trasmissione degli elenchi di cui al comma 9 - sanzionata, quest'ultima, con l'inefficacia se eseguita senza l'osservanza dei modi e termini stabiliti - costituiscono atti non surrogabili dall'intervento dei lavoratori. La presenza di questi ultimi nella complessa procedura - quale risulta dalle indicate norme, coinvolgente una pluralita' di soggetti, privati e pubblici - non puo' che esprimersi attraverso le organizzazioni sindacali, portatrici della dimensione collettiva degl'interessi in gioco e di una visione d'insieme del mercato del lavoro (cfr.: sentenza n. 268 del 1994). Tuttavia va osservato che il legislatore, successivamente alla legge n. 223 del 1991, ha previsto un'ipotesi d'iscrizione nelle liste, originata esclusivamente dall'iniziativa del lavoratore interessato. Infatti l'art. 4, comma 1, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, in legge 19 luglio 1993, n. 236, consente ai lavoratori dipendenti da aziende che non rientrino nella disciplina della mobilita', licenziati "per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attivita' o di lavoro", di richiedere l'iscrizione alla sezione circoscrizionale per l'impiego entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento. La norma, in quanto dettata anche per i licenziamenti individuali, conferisce a tale sezione il potere di verificare la corrispondenza dei motivi del recesso a quelli dichiarati dal datore di lavoro, e proprio in relazione al difetto dei requisiti di legittimita' del licenziamento esclude il diritto all'indennita' di mobilita'. Ma essa - siccome espressiva, per le considerazioni sopra svolte, di un ampliamento della tutela dei lavoratori - va letta nel senso, costituzionalmente adeguato, di consentire a quanti siano rimasti privi del posto di lavoro in conseguenza del mero comportamento datoriale che ha posto fine all'attivita', di inoltrare la richiesta d'iscrizione nelle liste; restando poi a carico dell'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione l'ulteriore controllo circa l'esistenza degli eventuali presupposti oggettivi e soggettivi necessari per la corresponsione dell'indennita'. Il denunciato art. 6 della legge n. 223 del 1991 demanda infatti a tale ufficio l'attivita' di raccolta delle informazioni concernenti la specifica professionalita' dei lavoratori, a seguito di un'analisi tecnica compiuta dall'agenzia per l'impiego, al fine di un corretto inserimento nella lista, tale da consentire un'appropriata ricollocazione nel mercato del lavoro. Poiche' la natura collettiva del licenziamento e' insita nel fatto stesso della cessazione totale e definitiva dell'attivita' aziendale, appare del tutto logico che l'ufficio regionale - non dovendo verificare il carattere del licenziamento - debba estendere la sua istruttoria al riscontro dei presupposti oggettivi e dei requisiti soggettivi che da'nno titolo alla percezione dell'indennita' allorche', come nel caso di cui al giudizio a quo sia mancata la disponibilita' di questi dati quale esito della procedura tipica, attivata e condotta dall'imprenditore (il quale, oltretutto, non ha neppure formalizzato i licenziamenti). 2.4. - L'estensione - imposta dalla logica, prima ancora che costituzionalmente necessaria - della possibilita' offerta dall'art. 4 del decreto-legge n. 148 del 1993 a tutte le ipotesi di licenziamento collettivo per cessazione di attivita', consente cosi' di acquisire a posteriori gli elementi su cui si fonda il diritto all'indennita', stante che, nel caso di accertamento positivo, la commissione per l'impiego, in ragione del carattere tecnico e quindi vincolato del controllo che le e' demandato - come esattamente sottolinea il giudice a quo, e come risulta confermato dalla stessa prassi amministrativa - e' tenuta all'approvazione della lista. D'altra parte, codesto meccanismo, introdotto come misura temporanea, e' stato prorogato prima dall'art. 4, comma 17, del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, in legge 28 novembre 1996, n. 608; poi fino al 31 dicembre 1998 dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 20 marzo 1998, n. 52; e da ultimo "fino alla riforma degli ammortizzatori sociali", con la modifica apportata a tale norma dall'art. 81, comma 2, lettera b), della legge 23 dicembre 1998, n. 448. Col venir meno del suo carattere transitorio, il meccanismo e' dunque da considerarsi ormai un consolidato complemento delle disposizioni di cui agli artt. 4, 6 e 7 della legge n. 223 del 1991, la' dove assicura ai lavoratori una via di accesso diretto alle liste e, pur nella imperfezione del generale ordito normativo, rende possibile il conseguimento dello status derivante dall'iscrizione, con le connesse agevolazioni del collocamento nonche', se ne sussistano i requisiti, della percezione di un'indennita'. 2.5. - Accogliendo, fra le possibili interpretazioni del sistema normativo in esame, quella adeguatrice alla Costituzione sopra delineata, vengono meno i dubbi di costituzionalita' prospettati dal pretore di Lecce senza prendere in considerazione la succitata norma della legge n. 236 del 1993, che del sistema stesso fa parte integrante.