ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 39 del decreto
 legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
 tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art.
 30 della legge 30 dicembre 1991,  n.  413),  promosso  con  ordinanza
 emessa  il  9 dicembre 1997 dalla Commissione tributaria regionale di
 Bari sul ricorso proposto dall'ufficio IVA di Bari contro  Zeta  Emme
 s.r.l.,  iscritta  al n. 183 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  13,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 30 settembre  1998  il  giudice
 relatore Annibale Marini.
   Ritenuto  che  la  commissione  tributaria  regionale  di Bari, con
 ordinanza del 9 dicembre 1997 ha sollevato, in  riferimento  all'art.
 76  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.   39 del decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546
 (Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
 Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
 per violazione dei principi e criteri direttivi fissati nell'art. 30,
 comma 1, lettera g), della legge delega  30  dicembre  1991,  n.  413
 (Disposizioni  per  ampliare  le basi imponibili, per razionalizzare,
 facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per
 la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili  delle  imprese,
 nonche'  per  riformare il contenzioso e per la definizione agevolata
 dei  rapporti  tributari  pendenti;  delega   al   Presidente   della
 Repubblica  per  la  concessione  di  amnistia  per  reati tributari;
 istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale);
     che,  a   parere   della   rimettente,   la   norma   denunciata,
 nell'escludere  dalle  ipotesi di sospensione necessaria del processo
 tributario quella in cui  la  decisione  della  causa  dipenda  dalla
 definizione  di  altra controversia pendente dinanzi allo stesso o ad
 altro giudice, violerebbe il criterio direttivo di cui al citato art.
 30, comma 1, lettera g), della legge n. 413 del  1991,  che  sancisce
 l'adeguamento  delle  norme  del  processo  tributario  a  quelle del
 processo   civile   nel   quale   la   sospensione   necessaria   per
 pregiudizialita'  sarebbe invece prevista dall'art. 295 del codice di
 procedura civile;
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che venga dichiarata l'infondatezza della  questione
 prospettata.
   Considerato  che,  come  piu'  volte  affermato da questa Corte, la
 determinazione  dei  "principi  e   criteri   direttivi",   richiesti
 dall'art.      76  della  Costituzione  per  una  valida  delegazione
 legislativa, non puo' eliminare ogni margine di scelta nell'esercizio
 della delega (sentenze n. 198 del 1998, n. 362 del 1995, n.  158  del
 1985, n. 56 del 1971, ordinanze n. 21 del 1988, n. 321 del 1987,);
     che  i  principi  e  criteri  direttivi se servono, da un lato, a
 circoscrivere il campo della delega, si' da evitare  che  essa  venga
 esercitata   in   modo   divergente   dalle   finalita'  che  l'hanno
 determinata, dall'altro, devono  consentire  al  potere  delegato  la
 possibilita'  di  valutare  le  particolari  situazioni giuridiche da
 regolamentare nella fisiologica attivita' di "riempimento" che lega i
 due livelli normativi (sentenze n. 198 del 1998, n. 362 del 1995,  n.
 158  del  1985,  n. 56 del 1971, ordinanze n. 21 del 1988, n. 321 del
 1987);
     che il criterio direttivo  di  carattere  generale,  dettato  dal
 legislatore  delegante  nell'art.  30, comma 1, lettera g), e' quello
 dell'adeguamento, e non dell'uniformita', delle  norme  del  processo
 tributario a quelle del processo civile;
     che  ulteriore  criterio  direttivo,  di  carattere specifico, e'
 quello della sollecita definizione del processo  tributario  previsto
 dal  citato  art. 30, comma 1, lettera g), numero 3, per l'ipotesi di
 sospensione, interruzione ed estinzione del processo;
     che,  con  riferimento  alla  disciplina  della  sospensione  nel
 processo  tributario,  questa Corte ha affermato che "il legislatore,
 limitando i casi di sospensione del processo, ha inteso rendere  piu'
 rapida  e  agevole  la definizione del processo tributario oberato di
 una rilevante mole di contenzioso", sicche' le commissioni tributarie
 possono decidere, incidenter tantum ogni questione pregiudiziale alle
 controversie ad esse devolute (sentenza n. 31 del 1998);
     che, con riferimento alla sospensione  per  pregiudizialita'  nel
 processo  civile  disciplinata  dall'art. 295 del codice di procedura
 civile, questa Corte ha rilevato che la recente riforma di tale norma
 "nell'attenuare il nesso di pregiudizialita' penale in consonanza con
 l'autonomia voluta dal nuovo codice di procedura penale per le azioni
 civili restitutorie e risarcitorie, ha espresso, piu' in generale, il
 disfavore nei confronti  del  fenomeno  sospensivo  in  quanto  tale"
 (sentenza n. 182 del 1996);
     che,   alla  luce  delle  suesposte  considerazioni,  la  mancata
 previsione - nella norma denunciata - della  ipotesi  di  sospensione
 necessaria  di  cui all'art. 295 cod. proc. civ. non vi'ola i criteri
 direttivi della legge delega n. 413 del 1991  e,  dunque,  l'art.  76
 della Costituzione;
     che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
 infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.