IL PRETORE
   Nelle causa,  r.g.  n.  3896/1995,  in  materia  di  previdenza  ed
 assistenza  obbligatoria,  promossa  da Scaroni Agnese, elettivamente
 domiciliata in Brescia presso l'avv. Gian Maria Maffezzoni, il  quale
 la  rappresenta  e  difende  in  forza di procura a margine dell'atto
 introduttivo del giudizio, ricorrente;
   Contro l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in
 persona  del  presidente  pro-tempore,  rappresentato  e difeso dagli
 avv.ti Oreste Manzi, Alfonso Faienza e Gabriele Morreale, procuratori
 per mandati alle liti a rogito del dott. Lupo, notaio  in  Roma,  con
 domicilio  eletto  nel  proprio ufficio di avvocatura in Brescia, via
 Cefalonia n. 49, convenuto;
   Visti gli atti difensivi delle parti;
   Vista  l'ordinanza  7-9   maggio   1997,   n.   130   della   Corte
 costituzionale,  con la quale e' stata disposta la restituzione degli
 atti a questo pretore per un nuovo esame delle censure formulate  con
 l'ordinanza  l  febbraio  1996 (in atti) emessa nella precedente fase
 processuale;
   Visto l'art. 1, commi 181, 182, 183 e 184, della legge 23  dicembre
 1996,  n. 662, nonche' l'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 della legge
 23 dicembre 1996, n. 662) della legge 28  maggio  1997,  n.  140,  di
 conversione,  con  modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 1997, n.
 79, recante misure di riequilibrio della finanza pubblica;
   Visto l'art. 1 del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 e la  catena
 dei  successivi  decreti-legge  di  pura  reiterazione, n. 295 del 27
 maggio 1996, n. 396 del 26 luglio 1996, e n.  499  del  24  settembre
 1996, tutti decaduti;
   Vista  la  gia' citata precedente ordinanza 1 febbraio 1996, emessa
 da questo pretore;
   Visto l'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993, n. 537;
   Vista la sentenza della Corte costituzionale n. 240 del 1994;
   Vista  l'ordinanza  18-25  luglio  1997,   n.   278   della   Corte
 costituzionale;
   Vista   l'ordinanza   9-16   aprile   1998,   n.  130  della  Corte
 costituzionale;
   Visti gli artt. 23 e 30, terzo  comma,  della  legge  ordinaria  11
 marzo 1953, n. 87;
   Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
   Visto l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
   Visti  gli  artt. 1, 24, 25, 70, 72, 76, 77, 81, 94, 101, 102, 104,
 113, 134, 136 e 137 della Costituzione;
   Nella pubblica  udienza  del  17  dicembre  1998,  ha  pronunciato,
 dandone  integrale  lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla
 Corte   costituzionale   di   nuove   questioni    di    legittimita'
 costituzionale  rilevate  d'ufficio,  ai  sensi  dell'art.  134 della
 Costituzione, dell'art.   1 della  legge  costituzionale  9  febbraio
 1948,  n.  1,  e dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n.
 87.
   1. - Le deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa.
   A) Nelle  conclusioni  di  parte  ricorrente  si  chiede  all'adito
 pretore  di "dichiarare tenuto e per l'effetto condannare l'INPS alla
 riliquidazione in favore della sig.ra Scaroni Agnese  della  pensione
 SR  421419  con  integrazione  al  trattamento  minimo,  a  far tempo
 dall'11/1976, ed alla conseguente corresponsione alla  stessa,  dalla
 medesima  data,  di  tutte  le  differenze tra la pensione come sopra
 integrata e quella effettivamente goduta, fino al 30 settembre 1983.
   Condannare altresi' l'INPS a corrispondere alla stessa, a far tempo
 dal  1  ottobre  1983,  le  differenze  tra  i  ratei  di pensione di
 riversibilita'  ''cristallizzata''  nell'ammontare  erogato   al   30
 settembre  1983  ed  i  ratei  di  fatto  corrisposti,  determinati a
 calcolo, il tutto nei limiti della prescrizione  decennale,  fino  ad
 oggi.
   Oltre interessi e rivalutazionecome per legge.".
   B)   L'INPS,  ha  espresso  le  seguenti,  riportate  testualmente,
 graduate conclusioni: "respingere il  ricorso  siccome  inammissibile
 per  scadenza del termine di decadenza per agire in giudizio previsto
 dalle vigenti disposizioni.
   In via subordinata respingere in quanto il richiedente possiede  un
 reddito  superiore  a quello consentito dalla legge o comunque non ha
 fornito in proposito alcuna prova.
   In via di ulteriore subordine limitare il pagamento degli arretrati
 nell'ambito della prescrizione decennale dalla domanda.
   In ogni caso dichiarare inammissibile la domanda  di  rivalutazione
 monetaria  degli  eventuali  ratei di pensione arretrati nei sensi di
 cui alle premesse.".
   C) Nessun nuovo argomento difensivo e' stato proposto  dalle  parti
 in questa fase processuale, dopo la riassunzione del giudizio.
   2.  -  La  necessita'  di  procedere  al riesame delle questioni di
 legittimita' costituzionale gia'  rilevate  d'ufficio  nella  propria
 ordinanza 1 febbraio 1996.
   Con  l'ordinanza  1  febbraio  1996,  emessa  nel  corso  di questo
 giudizio, questo pretore rilevava d'ufficio le seguenti questioni  di
 legittimita' costituzionale:
     a)  dell'art.  11, comma 22, legge 24 dicembre 1993, n. 537, come
 modificato  dalla  sentenza  10  giugno  1994,  n.  240  della  Corte
 costituzionale, per violazione dell'art. 136, primo comma, 101 e 104,
 primo comma, della Costituzione;
     b)  dell'art.  30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
 per violazione dell'art. 136, primo comma, della Costituzione;
     c) dell'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993, n.  537,  come
 modificato  dalla  sentenza  10  giugno  1994,  n.  240  della  Corte
 costituzionale, per violazione  dell'art.  81,  ultimo  comma,  della
 Costituzione;
     d)  in  via  preliminare,  rispetto  alle  questioni  precedenti,
 dell'art.  23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ove prevede
 che "il giudizio non possa essere  definito  indipendentemente  dalla
 risoluzione   della   questione  di  legittimita'  costituzionale"  e
 limitatamente a tale parte, per  violazione  dell'art.  134,  nonche'
 101, 104, primo comma, e 111 della Costituzione;
     e)  sempre  in  via  preliminare  e  con  gli  stessi riferimenti
 indicati sub d), dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n.
 87, nelle parti che stabiliscono condizioni e forme di proponibilita'
 dei giudizi di legittimita' costituzionale, come meglio precisato  in
 motivazione,   per   palese   violazione   della   riserva  di  legge
 costituzionale   prevista   dall'art.   137,   primo   comma    della
 Costituzione.
   2.a.  -  Tali  questioni  devono  essere  riconsiderate,  a seguito
 dell'ordinanza n. 130 del 1997, con la quale la Corte  costituzionale
 ha  disposto  la restituzione degli atti a questo pretore per un loro
 nuovo esame, "a prescindere dalle prospettate e del tutto ininfluenti
 questioni concernenti le norme sul funzionamento della  Corte",  alla
 luce della sopravvenuta normativa, costituita dalla legge 23 dicembre
 1996,  n.  662, "la quale all'art. 1, comma 183, dichiara estinti con
 compensazione di spese i giudizi aventi ad oggetto l'accertamento dei
 diritti nascenti dalle due citate decisioni  di  questa  Corte,  come
 appunto  i processi a quibus, disponendo altresi' al comma successivo
 la copertura finanziaria degli oneri conseguenti".
   2.b.  -  Le  questioni  di  cui  alle lettere d) ed e), concernenti
 l'art.  23 della legge ordinaria n. 87 del 1953, non  possono  essere
 riproposte,  poiche'  la  Corte,  in  altro  giudizio  incidentale di
 costituzionalita', deciso con l'ordinanza 9-16 aprile 1998,  n.  130,
 ne ha gia' dichiarato la manifesta infondatezza.
   In   assenza   di   ulteriori   e   realmente  diverse  ragioni  di
 incostituzionalita', infatti, stante il divieto d'impugnazione  delle
 decisioni  della  Corte,  previsto  dall'art. 137, terzo comma, della
 Costituzione,  una  nuova  rimessione  al  giudice  delle  leggi   di
 questioni gia' decise si appalesa, in concreto, come forma vietata di
 impugnazione.
   2.c.  -  Ne'  si intende riproporre quella sub b), attinente l'art.
 30 della legge ordinaria n. 87/1953,  in  adesione  all'invito  -  il
 termine  non  e'  propriamente  giuridico,  ma in verita' non e' dato
 utilizzarne un'altro di "qualita'" tecnica, posto che non si rinviene
 nel mondo del diritto l'ipotesi  del  rigetto  di  una  questione  di
 legittimita'  costituzionale  per  "ininfluenza",  men  che  meno  se
 espressa, senza alcuna motivazione (come  nel  caso  in  esame),  dal
 giudice  delle  leggi  in  sede di restituzione degli atti al giudice
 rimettente per riesame delle questioni gia sollevate,  a  seguito  di
 sopravvenuta normativa - della Corte costituzionale di riesaminare le
 censure sollevate nell'ordinanza 13 dicembre 1995, pubblicata, con il
 n.  137  del  registro  ordinanze 1996, nella Gazzetta Ufficiale, - 1
 Serie speciale - n.  9 del 28 febbraio  1996,  "a  prescindere  dalle
 prospettate  e  del  tutto ininfluenti questioni concernenti le norme
 sul funzionamento della Corte",  perche',  comunque  (a  prescindere,
 cioe',  da  quanto  si  dira' al punto 5), la stessa censura si trova
 espressa in moltre altre  ordinanze  di  questo  pretore  non  ancora
 esaminate dalla Corte e, pertanto, la rinuncia ad essa in questa sede
 non ne determina l'estinzione definitiva.
   2.d.  -  Occorre, dunque, seguendo le indicazioni del giudice delle
 leggi, riconsiderare le residue questioni, attinenti il merito  della
 presente  controversia,  sollevate  nell'ordinanza precedente, con la
 precisazione che, in realta',  il  riesame  di  quelle  censure  deve
 essere  svolto,  non  solo  alla  luce  delle  disposizioni  di legge
 indicate dalla Corte, ma anche (e soprattutto, per quanto riguarda la
 denunciata  violazione   dell'art.   81   della   Costituzione)   con
 riferimento  alla  nuova  formulazione dell'art. 1 della legge n. 662
 del 1996, nel comma 181 (interamente sostituito)  e,  nel  comma  182
 (sostituito  nel  quarto  periodo  ed abrogato nell'ultimo), in forza
 dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 legge n. 662/1996) della  legge
 28  maggio  1997,  n.  140,  di  conversione,  con modificazioni, del
 decreto-legge 28 marzo 1997,  n.  79,  normativa  questa  entrata  in
 vigore  successivamente  all'ordinanza della Corte costituzionale  n.
 130/1997.
   3.  -  I  vizi  di  legittimita'  costituzionale  della   normativa
 sopravvenuta  attualmente vigente e le relative questioni da rilevare
 d'ufficio in questa sede.   Prima di riconsiderare  alla  luce  della
 normativa sopravvenuta le questioni gia' portate all'attenzione della
 Corte  nella  precedente  ordinanza emessa in questo stesso giudizio,
 devono essere rilevate  d'ufficio  nuove  questioni  di  legittimita'
 costituzionale a carico della normativa attualmente vigente.
   3.a.  -  Sin dall'epoca della emanazione del primo decreto-legge n.
 166/1996 e con riferimento, poi, alle successive reiterazioni  con  i
 nn.  295,  396 e 499, questo giudice, in numerose (e' sufficiente qui
 ricordare solo le prime due, quelle emesse in  data  1  aprile  1996,
 iscritte  ai  nn.  524  e 525 del registro ordinanze 1996, pubblicate
 nella Gazzetta Ufficiale, - 1 Serie speciale - n. 25  del  19  giugno
 1996)  ordinanze  di trasmissione al giudice delle leggi di questioni
 di  legittimita'  costituzionale  a   carico   di   tale   serie   di
 provvedimenti, aveva messo in risalto che mai si era verificato nella
 legislazione  italiana,  pur  tormentata da un eccessivamente anomalo
 ricorso  alla  decretazione  d'urgenza  del  Governo,  un  caso   si'
 palesemente evidente di abuso di potere da parte del potere esecutivo
 con  grave violazione del principio di legalita' e delle attribuzioni
 dei poteri legislativo e  giudiziario.    Dopo  l'entrata  in  vigore
 dell'art.  1,  commi  181, 182, 183 e 184, legge 23 dicembre 1996, n.
 662, rilevata l'idoneita' della normativa -  identica  a  quella  dei
 sopra  ricordati  decreti-legge  decaduti - a sottrarre all'autorita'
 giudiziaria l'amministrazione della giustizia  in  nome  del  popolo,
 essendole  precluso l'esercizio tipico della funzione giurisdizionale
 e cioe' quello di definire le controversie in corso con la  decisione
 delle  stesse  mediante  la  pronuncia  della sentenza, questo stesso
 giudice, con  ordinanza  del  28  gennaio  1997,  proponeva  ricorso,
 depositato  il  1  febbraio  1997  ed  iscritto al n. 70 del registro
 ammissibilita' conflitti, per conflitto di attribuzione nei confronti
 delle due Camere del Parlamento.    In  quella  sede  questo  pretore
 denunciava  l'invasione  del  potere  legislativo  nella  sfera delle
 attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente, in considerazione
 del fatto che nelle suddette disposizioni era (come tuttora e', anche
 dopo l'entrata in vigore dell'art. 3-bis della legge 28 maggio  1997,
 n. 140, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo
 1997,  n.  79) prevista una soluzione legislativa delle controversie,
 all'evidenza sostitutiva della decisione del giudice  competente,  al
 quale  restava  (come  resta)  solo  affidato il compito, decisamente
 atipico, di dichiarare d'ufficio l'estinzione  dei  giudizi  pendenti
 alla data di entrata in vigore della legge.  Con ordinanza n. 278 del
 18-25  luglio  1997  (pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale, - 1 Serie
 speciale -  13  agosto  1997,  n.  33)  la  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato  inammissibile  il  ricorso  per conflitto di attribuzione
 sopra ricordato, cosi',  testualmente,  motivando:  "considerato  ...
 che  i  commi  181  e  182 dell' art. 1 della legge n. 662 del 1996 -
 concernendo,  il  primo,  le  modalita'  di  pagamento  delle  somme,
 maturate  fino  al  31  dicembre  1995  sui trattamenti pensionistici
 erogati  dagli  enti  previdenziali   interessati,   in   conseguenza
 dell'applicazione delle sentenze di questa Corte n. 495 del 1993 e n.
 240  del  1994 e, il secondo, la titolarita' del diritto al pagamento
 delle somme anzidette nonche' l'esclusione dalla loro  determinazione
 degli  interessi  e  della rivalutazione monetaria - sono per il loro
 contenuto evidentemente inidonei a ledere la sfera delle attribuzioni
 costituzionali del giudice  ricorrente,  recando  esclusivamente  una
 disciplina sostanziale di diritti in materia pensionistica;
     che  il comma 183 del medesimo art. 1 della legge n. 662 del 1996
 - stabilendo che i giudizi pendenti alla data di  entrata  in  vigore
 della legge stessa, aventi a oggetto le questioni di cui ai commi 181
 e  182,  sono  dichiarati  estinti  d'ufficio con compensazione delle
 spese fra le parti e che le sentenze non ancora passate in  giudicato
 restano prive di effetti - contiene norme, disciplinanti direttamente
 l'esercizio della giurisdizione, di cui il giudice e' chiamato o puo'
 essere  chiamato  a  fare applicazione per definire giudizi innanzi a
 se' pendenti;
     che, quindi, per l'eventualita'  che  il  giudice  stesso  dubiti
 della  legittimita'  costituzionale delle norme medesime (anche sotto
 il  profilo  della  possibile  lesione   della   propria   sfera   di
 attribuzioni),   l'ordinamento   appresta   un  rimedio  diverso  dal
 conflitto, vale a  dire  la  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale, eventualmente sollevata dal giudice d'ufficio a norma
 degli  articoli 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della
 legge n. 87 del 1953;
     che le stesse considerazioni valgono anche per la parte in cui il
 conflitto e' proposto in relazione all'art. 1, comma 6,  della  legge
 n.  608  del  1996,  norma  di  sanatoria degli effetti di precedenti
 decreti-legge  non  convertiti,  aventi  i  medesimi  contenuti   dei
 contestati  commi  181,  182 e 183 dell'art. 1 della legge n. 662 del
 1996;
     che, d'altra parte, le ragioni che indussero questa Corte,  nella
 sentenza  n.  161  del  1995, ad ammettere che in casi eccezionali di
 ''situazioni non piu' reversibili ne' sanabili''  e  in  vista  della
 tempestivita'  della garanzia costituzionale di diritti fondamentali,
 il  conflitto  di  attribuzioni  possa   affiancarsi   al   sindacato
 incidentale  non  valgono,  all'evidenza  nel caso in esame in cui si
 chiede di riconoscere al giudice il potere di adire la Corte  tramite
 lo  strumento previsto a tutela dell'integrita' dell'ambito delle sue
 competenze costituzionali, quando gia' dispone della possibilita'  di
 attivare il giudizio incidentale sulla costituzionalita' della legge;
     che,  pertanto,  il  conflitto  in  esame e' inammissibile".   In
 considerazione della sopra riferita decisione della Corte, senza  con
 cio' riconoscerne la fondatezza, ma avendo ben presente il divieto di
 cui all'art. 137 della Costituzione, risulta necessario trasformare i
 contenuti  del  conflitto  dichiarato  inammissibile  in questioni di
 legittimita' costituzionale.  Deve, cosi', rilevarsi la questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della
 legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonche'  dell'art.  3-bis  (modifiche
 all'art.  1  della  legge  23  dicembre  1996, n. 662) della legge 28
 maggio  1997,  n.  140,  di  conversione,  con   modificazioni,   del
 decreto-legge  28  marzo  1997, n. 79, recante misure di riequilibrio
 della finanza pubblica, per violazione degli artt. 24, 25, 101,  102,
 104 e 113 della Costituzione.
   3.a.1. - La violazione dell'art. 113 della Costituzione.
   Invero,  qualunque sia il contenuto sostanziale dei commi 181 e 182
 dell'art. 1 della legge n. 662/1996, e'  di  tutta  evidenza  che  le
 relative   norme   determinano   la   lesione   dell'art.  113  della
 Costituzione,  essendo  chiaro  che,  per  quanto  le   domande   dei
 ricorrenti  nelle  cause aventi ad oggetto la materia sottoposta alla
 vigenza dell'attuale formulazione dell' art 1, commi 181, 182 e  183,
 legge  n.  662/1996  non  siano  dirette  ad  ottenere  una pronuncia
 dichiarativa dell'illegittimita' degli atti amministrativi  dell'INPS
 che  hanno  in passato negato i diritti vantati nelle controversie in
 discorso,  bensi'  ad  ottenere  le  prestazioni  richieste,   appare
 evidente  che  l'imposta  estinzione  dei  giudizi in corso determina
 anche la violazione dell'art. 113, commi 1 e 2,  della  Costituzione,
 poiche'    preclusiva   della   tutela   giurisdizionale   contro   i
 provvedimenti di diniego gia' emessi dall'IPS.    L'art.  113  Cost.,
 infatti,  cosi'  recita  nei  suoi primi due commi:  "Contro gli atti
 della  pubblica  amministrazione  e'   sempre   ammessa   la   tutela
 giurisdizionale  dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli
 organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa".    "Tale  tutela
 giurisdizionale  non  puo'  essere  esclusa  o limitata a particolari
 mezzi di impugnazione o per  determinate  categorie  di  atti".    La
 violazione dell'art. 113, come sopra individuata, determina anch'essa
 un'invasione  illecita  della  specifica  attribuzione dell'organo di
 giurisdizione ordinaria (giudice del lavoro in sede di  merito  e  di
 legittimita')  competente  a  conoscere  delle  domande  spiegate dai
 ricorrenti contro l'INPS nelle numerosissime cause delle quali si  e'
 detto,  poiche'  preclude  la tutela giurisdizionale contro tutti gli
 atti di diniego  dell'INPS  posti  in  essere  nelle  pregresse  fasi
 amministrative.   Tale esclusione della tutela giurisdizionale contro
 i  predetti  atti  della  pubblica  amministrazione,  e',  non   solo
 illegittima,  ma  anche  tale  da eliminare la specifica attribuzione
 costituzionale dell'autorita' giudiziaria prevista nell'art. 113, con
 la conseguente ulteriore violazione degli artt. 101, 102 e 104  della
 Costituzione.
   3.a.2.  -  La  violazione  degli  artt.  101,  102, 103 e 104 della
 Costituzione.
   Inoltre, a causa della situazione di fatto eccezionale determinata,
 appunto, ai commi 181, 182 e 183 della legge  n.  662/1996,  sussiste
 un'ulteriore  compromissione  della funzione giurisdizionale, poiche'
 (si ripete qui quanto gia' prospettato nel citato ricorso per in sede
 di conflitto di attribuzione) "deve mettersi in risalto che, comunque
 e cioe' anche a non voler credere alla natura sostanziale di sentenza
 dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre  1996,  n.
 662,   e'   certo   che   tale   disposizione  ostacola  la  funzione
 giurisdizionale, poiche' determina il trasferimento  del  contenzioso
 giudiziario   pendente,   al  quale  risulta  destinata  la  suddetta
 normativa, di nuovo nella sede amministrativa  (ove  si  e'  gia'  in
 precedenza  sviluppato  con  esito  negativo),  senza che la disposta
 estinzione d'ufficio dei giudizi in corso possa  eliminarlo,  essendo
 ipotizzabile  un  suo  riaprirsi  e  rinnovarsi nei casi di decisioni
 amministrative di diniego, tali da costringere i pensionati  (i  loro
 eredi,  senza  dubbio)  a  cercare  ancora  una  volta tutela in sede
 giudiziaria. Tale effetto e' certamente  idoneo  a  creare  turbativa
 (come  gia'  l'hanno determinata le identiche norme dei decreti-legge
 decaduti) gravissima in danno dell'amministrazione  della  giustizia,
 dando  luogo  ad  inutili  duplicazioni di attivita', con dilatazione
 enorme  dei  tempi  processuali  e  con  causazione  di  un  aggravio
 ingiustificato  ed  ingiustificabile di lavoro a carico delle parti e
 dell'amministrazione  stessa,   senza   parlare   delle   difficolta'
 giuridiche  connesse  alla  definizione dei potenziali futuri giudizi
 per  la  carenza  sostanziale  di  regole   nelle   disposizioni   di
 riferimento da applicare".
   Con   conseguente   lesione  degli  artt.  101,  102  e  104  della
 Costituzione.
   3.a.3. - La violazione degli artt. 24 e 25 della Costituzione.
   Inoltre - cosi' come gia' e' stato messo in rilievo piu' volte e da
 molti  dei  giudici  remittenti  con  riferimento  alla  decretazione
 d'urgenza del Governo, gia' ricordata - anche nei confronti dell'art.
 1, commi 181, 182 e 183, della legge n. 662  del  1996  deve  negarsi
 l'applicabilita' del principio affermatosi nella giurisprudenza della
 Corte costituzionale, secondo il quale non sussiste(rebbe) violazione
 dell'art. 24 della Costituzione, quando la normativa sopravvenuta sia
 idonea  a  soddisfare,  anche  se non integralmente, le ragioni fatte
 valere nei giudizi per i quali e' imposta dalla  legge  l'estinzione,
 purche'   risulti   comunque  arricchito  l'ambito  delle  situazioni
 giuridiche di cui sono  titolari  gli  interessati:  la  perdita  del
 diritto  all'azione,  conseguente all'estinzione dei giudizi prevista
 nel comma 183, infatti, non trova nei commi precedenti quella  misura
 di   arricchimento  degli  interessati  sufficiente  a  far  ritenere
 insussistente la violazione dell'art. 24 della  Costituzione,  stante
 la  (oggi  parziale)  esclusione  degli accessori del credito per gli
 aventi  diritti  e  l'esclusione  degli  eredi  da  ogni  diritto   e
 vantaggio.
   Peraltro,  non  puo'  omettersi  di far notare che il principio del
 quale si e'  appena  detto  appare  poco  convincente,  poiche'  esso
 risulta   privo   di   riscontro   e  conforto  giuridico  a  livello
 costituzionale.
   Invero l'affermazione della legittimita' costituzionale della legge
 che privi gli interessati della  tutela  giurisdizionale  solo  sulla
 base  della  concessione  di  un vantaggio sufficiente, in assenza di
 totale riconoscimento del diritto, appare in contrasto  con  l'intero
 sistema   costituzionale   vigente,   nel  quale  la  garanzia  della
 giurisdizione e' posta come essenziale per la tutela  dei  diritti  e
 non   sembra  davvero  confrontabile  e  "barattabile"  con  parziali
 riconoscimenti economici attribuiti  dalla  legge.  Il  diritto  alla
 tutela  giurisdizionale  e'  paragonabile  al  diritto  di voto, alla
 liberta' di espressione, all'esercizio dei diritti politici, a  tutti
 quei  diritti,  cioe', che danno concretezza di contenuto al concetto
 di  "Stato  di  diritto"  e  che  devono  ritenersi  intangibili   ed
 insopprimibili:  tenuto  conto  di  quanto  si  e'  appena  detto, il
 principio qui sottoposto a  critica  sembra  davvero  frutto  di  una
 mancata  visione  globale  degli  interessi costituzionali sottesi al
 diritto alla tutela giurisdizionale.  Ne' puo', inoltre, negarsi  che
 il  diritto  all'azione  non e' di una sola parte del giudizio, ma di
 tutte, cosicche' la tutela prevista nell'art. 24  della  Costituzione
 e'    diretta    anche    al    convenuto-resistente   e   non   solo
 all'attore-ricorrente, con la incontestabile conseguenza che  nessuna
 soluzione  legislativa  diretta  a  soddisfare  le  ragioni  del solo
 attore-ricorrente, senza dettare una nuova regola destinata ad essere
 applicata  dal  giudice  nel  processo   per   la   decisione   della
 controversia,  puo'  ritenersi legittima e conforme all'art. 24 della
 Costituzione.   In  sostanza  non  si  comprende  come  possa  essere
 considerata  legittima  rispetto  all'art.  24 della Costituzione una
 legge che nel negare la tutela giurisdizionale a tutte le  parti  del
 processo, offra in cambio vantaggi (parziali, con violazione, dunque,
 del  primo  comma  dell'art.  24  Cost.)  alla sola parte ricorrente,
 respingendo ogni legittima domanda svolta da quella  resistente  (con
 palese  violazione del secondo comma dell'art. 24 Cost.): e' cio' che
 si verifica nei giudizi in corso dinanzi a questo giudice per i quali
 risulta applicabile l'art. 1, commi 181, 182 e 183,  della  legge  n.
 662/1996,  con  l'aggravante  che anche per taluni ricorrenti, quelli
 che   agiscono   a  titolo  ereditario,  viene  eliminata  la  tutela
 giurisdizionale.   Che, poi, la denunciata  privazione  della  tutela
 giurisdizionale, con violazione dell'art. 24 Cost., concretizzi anche
 una  indebita  ingerenza  nell'ambito  delle  esclusive  attribuzioni
 costituzionali  dell'autorita'   giudiziaria   appare   di   evidenza
 assoluta,  quando  (come  nel  caso  in esame) la causa della lesione
 all'art. 24  sia  da  rinvenire  nella  sostituzione  ex  lege  della
 decisione  del  giudice  con una soluzione normativa, poiche' in tale
 situazione l'esclusione dell'azione determina senza dubbio alcuno  la
 sottrazione  della funzione giurisdizionale al "potere" al quale essa
 e' affidata.  Ne' puo' ritenersi che l'estinzione a spese  compensate
 dei  giudizi  pendenti ... sia paragonabile nella sua sostanza ad una
 sentenza di cessazione della  materia  del  contendere  (come  si  e'
 affermato  in  precedenti simili ipotesi), poiche' nel caso specifico
 l'estinzione  non  opera  come  una  cessazione  della  materia   del
 contendere,   giacche'   non   si   puo'  ravvisare  nella  soluzione
 prospettata dalla legge per i soggetti interessati (si badi  bene:  i
 soli  ricorrenti  dei  giudizi pendenti, ai sensi dell'art. 183 della
 legge n. 662/1996) un vantaggio tale da far  presumere  in  linea  di
 fatto soddisfatti i diritti dedotti nelle cause da estinguere. Se poi
 si  sposta  l'indagine sulla posizione giuridica degli eredi, parlare
 di cessazione della materia  del  contendere  in  conseguenza  di  un
 sufficiente   raggiungimento  dei  diritti  da  loro  vantati  appare
 francamente,  se  non  umoristico,   impossibile:   per   gli   eredi
 l'estinzione  delle  cause  in  corso  alla data di entrata in vigore
 della legge significa, seccamente, rigetto dei ricorsi  dagli  stessi
 proposti  e   null'altro.   Quanto poi all'operativita' del comma 183
 sui commi 181 e 182 e' evidente che il riferimento  alle  "questioni"
 non consente di escludere dai giudizi da estinguere quelli introdotti
 da  eredi  dei soggetti individuati nel comma 182 come aventi diritto
 ai pagamenti di cui al comma 181. La norma sul punto non lascia spazi
 aperti a soluzioni interpretative "costituzionalizzanti".
   3.b.  -  Finora  si   sono   riproposte   le   contestazioni   gia'
 espressamente proposte, in altra sede, a carico degli artt. 181, 182,
 183   della   legge   n.   662/1996   e  gia'  ben  note  alla  Corte
 costituzionale, ma anche altre  norme  della  Costituzione  risultano
 direttamente violate dalla medesima normativa.
   3.b.1.  -  La  violazione degli artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della
 Costituzione.
   Le questioni di legittimita' costituzionale che, nel corso di altri
 giudizi, sono state sollevate a carico della serie dei decreti-legge,
 nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996, del Governo, per  violazione  degli
 artt.  1,  70, 72, 77 e 136 della Costituzione, ben lungi dall'essere
 superate dall'intervenuto art. 1, commi 181, 182, 183  e  184,  della
 legge  23  dicembre  1996,  n.  662,  devono  essere  trasferite  dai
 precedenti "contenitori" normativi a quello attuale (come insegna  la
 giurisprudenza   della  Corte  costituzionale),  poiche'  le  censure
 rivolte alla decaduta disciplina "provvisoria"  del  Governo  restano
 valide  anche nei confronti della normativa approvata dal Parlamento,
 la quale non presenta reali modifiche di sostanza, rispetto a  quella
 dei  decreti-legge  decaduti,  neppure  in  relazione  alla copertura
 finanziaria e cio' anche  con  riferimento  all'attuale  formulazione
 dell'art.  1  della legge n. 662 del 1996, nel comma 181 (interamente
 sostituito) e, nel  comma  182  (sostituito  nel  quarto  periodo  ed
 abrogato nell'ultimo), in forza dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1
 legge   n.   662/1996)  della  legge  28  maggio  1997,  n.  140,  di
 conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo  1997,  n.
 79,  dal  momento  che,  comunque,  resta  immutata  la previsione di
 pagamento in ben sei rate annuali  delle  somme  maturate  in  favore
 degli  aventi diritto in applicazione delle sentenze n.  495 del 1993
 e n. 240  del  1994  della  Corte  costituzionale.    In  verita'  le
 modifiche  apportate  con l'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n.
 140, risultano di scarso peso ai  fini  della  copertura  finanziaria
 della  spesa,  perche' nella sostanza, la previsione del pagamento in
 contanti agli aventi diritto, previa  collocazione  sul  mercato  dei
 titoli  di  Stato,  rispetto  al  pagamento  mediante assegnazione di
 titoli di Stato, non muta il fatto che il pagamento  del  debito  nei
 confronti  degli  aventi  diritto  si  realizza  sempre  con un nuovo
 indebitamento a carico del bilancio dello Stato.  Permane, inoltre ed
 in particolare, assolutamente identica la previsione  dell'estinzione
 d'ufficio   dei   processi  pendenti,  nonche'  l'individuazione  dei
 soggetti aventi diritto al pagamento delle somme di cui  si  e'  gia'
 detto,   mentre  le  modifiche  apportate  successivamente  nei  vari
 provvedimenti del Governo ed in quelli del Parlamento all'indicazione
 della copertura finanziaria (come si e' gia' detto) ed, altresi',  al
 regime  degli  accessori  del credito non costituiscono vere e reali,
 non marginali e non meramente formali e  solo  apparenti,  modifiche,
 che  diano  luogo  ad  una  sostanzialmente  diversa regolamentazione
 rispetto a quella contenuta nel decreto-legge n. 166/1996.
   3.b.2. - Deve essere riaffermato che l'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione, la ragione e la logica impongono di  escludere  che  le
 Camere  possano  procedere alla conversione in legge di decreti-legge
 iterati o reiterati, quando, rispetto  al  suo  precedente,  l'ultimo
 decreto  non  sia destinato a regolare un nuovo caso straordinario di
 necessita' ed urgenza e quando non contenga quel  minimo  livello  di
 novita' e diversita' sostanziale, requisiti essenziali per consentire
 di   affermarne  l'autonoma  esistenza.    Quando  il  contenuto  del
 decreto-legge di pura iterazione o reiterazione venga trasfuso in  un
 provvedimento  legislativo  approvato  dalle  Camere, non ci si trova
 davanti ad una tipica e tempestiva legge di conversione,  ma  ad  una
 legge  di  anomala  e  tardiva  conversione, se emessa nel termine di
 sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto  di  iterazione  o
 reiterazione  che viene convertito. Ci si trova invece dinanzi ad una
 legge,  non  solo  di  anomala  e  tardiva,  ma  anche  di  "occulta"
 conversione,   quando   il  contenuto  del  decreto-legge  iterato  o
 reiterato, decaduto e non piu' riproposto, venga  trasferito  in  una
 legge   approvata  dalle  Camere,  senza  un  esame  dei  presupposti
 costituzionali che legittimano l'adozione del provvedimento d'urgenza
 del Governo.  In entrambi i casi la legge  che  adotta  la  normativa
 della  decretazione  provvisoria  del  Governo  e' affetta da tutti i
 vizi, di forma e di sostanza, del provvedimento acquisito.
   3.b.3. - Era ben presente alla  Corte  costituzionale  il  problema
 appena   sopra   considerato  derivante  dal  fenomeno  illecito  dei
 decreti-legge iterati e reiterati, e  cioe'  quello  delle  leggi  di
 conversione o sanatoria di tale genere di decreti, tanto presente che
 la  Corte,  nella  sentenza  n. 360/1996, ha ritenuto di dover (senza
 necessita' ai fini della decisione) esprimere il seguente  principio:
 "Restano,  peraltro,  salvi  gli  effetti dei decreti-legge iterati o
 reiterati  gia'  convertiti  in  legge  o  la cui conversione risulti
 attualmente in corso, ove la stessa intervenga  nel  termine  fissato
 dalla  costituzione.  A questo proposito va, infatti, considerato che
 il vizio  di  costituzionalita'  derivante  dall'iterazione  o  dalla
 reiterazione  attiene,  in  senso lato, al procedimento di formazione
 del decreto-legge in  quanto  provvedimento  provvisorio  fondato  su
 presupposti  straordinari di necessita' e urgenza:  la conseguenza e'
 che tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso  la
 legge  di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i
 contenuti (o gli effetti) della disciplina adottata  dal  Governo  in
 sede  di  decretazione  d'urgenza".    Non  si  puo'  negare che, nel
 riferito obiter dictum,  la  Corte  affermi  un  principio  esatto  e
 condivisibile,  perche' impone, quale condizione inderogabile, che le
 Camere assumano come propri i contenuti della disciplina adottata dal
 Governo in sede di decretazione d'urgenza e cioe' impone  che  quegli
 stessi  contenuti  acquisiti nella legge di conversione vengano dalle
 Camere approvati per autonoma elaborazione, nel pieno rispetto  delle
 norme  della Costituzione che disciplinano la formazione delle leggi,
 senza "interferenze" e senza "coartazione" del Governo  nell'iter  di
 formazione   della   legge   di   conversione   ed,  altresi',  senza
 "condiscendenza" verso  il  potere  esecutivo.    Cosi'  ulteriomente
 sviluppata (si ritiene nel rispetto del suo vero significato) la tesi
 della  Corte  comporta  che,  quando  la  legge  di anomala e tardiva
 conversione  di  decreti-legge  iterati  o  reiterati   non   risulti
 approvata  nel  piu'  assoluto  rispetto degli articoli 70 e seguenti
 della Costituzione e non costituisca espressione di autonoma e libera
 volonta'  ed  incondizionata  determinazione  delle  due  Camere  del
 Parlamento, il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o
 dalla  reiterazione  non  puo'  in  nessun  caso  ritenersi sanato e,
 conseguentemente,  determina  l'incostituzionalita'  della  legge  di
 conversione, per effetto del trasferimento ad essa del vizio genetico
 del decreto-legge iterato o reiterato.  La formazione delle leggi non
 e'   stata  lasciata  al  caso  dal  legislatore  costituzionale,  ma
 puntigliosamente regolamentata,  nella  forte  coscienza  del  valore
 assoluto   e  determinante  del  momento  creativo  della  legge  per
 l'esistenza di un sistema giuridico fondato su valori di  liberta'  e
 democrazia  come quelli sanciti nella prima parte della Costituzione:
 cosi' negli artt. 70 e  seguenti  si  rinvengono  le  regole  per  la
 creazione delle regole.  Alla luce di tali regole costituzionali deve
 affermarsi  che  e'  vietata  al  Parlamento,  sia la conversione dei
 decreti-legge di pura iterazione o reiterazione, in quanto privi  dei
 requisiti  essenziali della novita' ed autonomia assoluta rispetto ai
 decreti iterati o reiterati, sia, comunque, l'approvazione  di  leggi
 che acquisiscano le norme contenute nei decreti-legge non convertiti,
 anche  se non iterati.  Infatti la previsione dell'art. 77 Cost., ove
 si dispone nell'ultimo periodo  del  secondo  comma  che  "le  Camere
 possono  tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti", impone di  ritenere  precluso  allo
 stesso  legislatore  di  recepire in legge le norme dei decreti-legge
 non convertiti.  Se e' certamente vero che l'illegittima prassi della
 reiterazione  incide  sugli  equilibri  istituzionali,  alterando   i
 caratteri  della  stessa  forma  di  governo  e  l'attribuzione della
 funzione  legislativa,  e'  altrettanto  vero  che  deleteri  effetti
 sull'attribuzione  del  potere  legislativo vengono determinati dalla
 passivita' delle Camere che approvino leggi di anomala conversione (o
 comunque le si voglia denominare), acquisendo, senza propria autonoma
 elaborazione,   le   norme  contenute  nei  decreti-legge  iterati  o
 reiterati ed in quelli non convertiti, perche' anche in  questi  casi
 le   Camere   vengono   ancora   una  volta  espropriate  del  potere
 legislativo,  a  nulla  rilevando   che   cio'   si   verifichi   per
 responsabilita'  delle  stesse  Camere,  perche' risulta nello stesso
 modo violata la Costituzione.   Non  puo'  bastare  a  modificare  il
 pensiero  sopra  esplicitato  il  grande rispetto per l'autonomia del
 Parlamento e per la funzione ad esso attribuita  dalla  Costituzione,
 giacche' e' anzi proprio tale rispetto che deve condurre a confermare
 la  validita'  delle  considerazioni  sopra  espresse:  solo la piena
 fedelta' e conformita' dell'operato  delle  istituzioni  dello  Stato
 alla Costituzione, senza deviazioni le benche' minime, puo' mantenere
 in  vita  lo  Stato  di  diritto.   Il principio della separazione di
 poteri non e' nella nostra Costituzione un puro  simulacro,  un  mero
 retaggio di passate scuole filosofiche:  e' regola diretta a tutelare
 la  democrazia  e  la  liberta'  dello  Stato,  poiche' finalizzata a
 precludere ogni possibile insorgere di situazioni di potere  assoluto
 e   senza   vincoli.      Quando  un  potere  dello  Stato  perde  la
 consapevolezza della propria funzione  e  del  dovere  di  conservare
 intatte  le  proprie attribuzioni - e cio' e' tanto piu' grave quando
 si verifica nel Parlamento, a causa di una sua composizione che  veda
 una  forte  prevalenza della maggioranza sull'opposizione - giungendo
 ad accettare passivamente una condizione di sudditanza nei  confronti
 di  un  altro potere (o piu' altri), conformando, anche solo in linea
 di fatto, il proprio agire  istituzionale  alla  volonta'  dell'altro
 potere, si pongono le condizioni per il rischio del verificarsi di un
 pericoloso  mutamento  del  sistema  democratico in qualcosa d'altro,
 difficile da preconizzare, ma sicuramente non in linea con i principi
 costituzionali.
   3.b.4.  -  In  forza  delle  superiori  premesse,  questo   giudice
 rimettente   nutre   fortissime   perplessita'   sulla   legittimita'
 costituzionale dell'intera legge 23 dicembre 1996,  n.  662,  perche'
 approvata  dal  Parlamento  in  dispregio  delle  norme  della  legge
 fondamentale dello Stato che regolano la produzione legislativa.
   La stessa struttura della legge n. 662/1996 viola l'art. 72,  primo
 ed  ultimo  comma, della Costituzione, a causa della sua composizione
 in soli tre articoli, contenenti un coacervo  indistinto  di  materie
 disomogenee,  cosi'  formulata  dal  Governo  al  solo  fine di poter
 chiedere il voto di fiducia (con  violazione  autonoma  dell'art.  94
 Costituzione)  su  pochi  articoli,  in  modo  tale  da accelerare al
 massimo l'iter parlamentare per rispettare i  tempi  di  approvazione
 della legge di bilancio e collegate, precludendo la discussione sugli
 (come  sempre innumerevoli) emendamenti presentati dall'opposizione e
 cio' a causa delle norme dei regolamenti delle  due  Camere  che  non
 consentono  (all'epoca  ancor meno) tempi ristretti per giungere alla
 definitiva approvazione delle leggi.   Tale realta',  qui  denunciata
 con  riferimento  alla legge n. 662/1996, non e' una novita' e non e'
 l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del
 Parlamento,  "connivente"  lo  stesso  Parlamento,  ridotto  a   mero
 esecutore   della  volonta'  del  potere  esecutivo,  mediante  l'uso
 improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta  della  fiducia
 da  parte  del  Governo,  previa strutturazione della legge in pochi,
 ipertrofici,  articoli  contenenti  un numero enorme di commi, a loro
 volta distinti in  piu'  parti,  destinati  a  regolare  un  coacervo
 incredibile  di  materie,  estremamente diverse tra loro, in assoluta
 violazione  degli  artt.  70  e  seguenti  della  Costituzione,   con
 particolare riferimento all'art. 72.
   3.b.5.  -  Limitando la disamina alle sole disposizioni applicabili
 nel presente giudizio e cioe' a quelle sole norme rilevanti  ai  fini
 della   decisione,   questo   pretore   dubita   della   legittimita'
 costituzionale, in particolare, dell'art. 1,  commi  181,  182,  183,
 della  legge n.   662/1996, direttamente derivante dal fatto che tale
 articolo, nei suddetti commi si rappresenta  come  puro  clone  delle
 corrispondenti  disposizioni  contenute  nella  decaduta decretazione
 d'urgenza del Governo, espressa nei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e
 499 del 1996, giacche' non apporta alcuna modifica  sostanziale,  ne'
 alcuna  elaborazione  originale  delle due Camere del Parlamento alla
 disciplina introdotta dal Governo, atteggiandosi, nella realta', come
 tardiva forma  di  "conversione  occulta"  dei  citati  decreti-legge
 "seriali",  dei  quali,  si  deve ribadire, costituisce ennesima mera
 clonazione.  Puo', invero, ritenersi che il  Parlamento  assuma  come
 propri  i  contenuti  o  gli  effetti  della  disciplina adottata dal
 Governo in sede di  decretazione  d'urgenza  solo  quando  le  Camere
 approvino  una  legge  in  tutto  e  per  tutto  conforme alle regole
 costituzionali  sulla  formazione  delle  leggi,  senza   che   possa
 rilevarsi   una   minima  coercizione  da  parte  del  Governo  sulla
 maggioranza che lo sostiene.  Nel caso in esame  non  si  ravvisa  la
 possibilita'  di  ritenere che le Camere abbiano assunto come propri,
 nella legge n. 662/1996 (Misure di  razionalizzazione  della  finanza
 pubblica),   i   contenuti  dell'art.    1,  commi  1,  2  e  3,  dei
 decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 decaduti, poiche':
     a) le relative norme non sono state neppure esaminate in sede  di
 approvazione  di  uno  specifico  articolo di legge, a causa del loro
 inserimento in un "mostruoso" art. 1, sotto i commi numeri 181, 182 e
 183;
     b) il mancato esame ed approvazione in  un  articolato  normativo
 coerente  (con  la  manifesta  violazione  dell'art. 72, commi 1 e 4,
 della Costituzione) e' stato voluto dal Governo,  al  fine  unico  di
 rendere   rapida   l'approvazione  complessiva  della  legge  stessa,
 mediante tre sole votazioni sulla mozione di fiducia presentata dallo
 stesso Governo su ogni singolo articolo della legge n. 662/1996.   E'
 chiaro  che  il mancato dibattito parlamentare sulle disposizioni che
 qui interessano (e su tutte le altre della legge n. 662/1996) esclude
 la (piena) riferibilita' al Parlamento del contenuto della disciplina
 in discorso e, dunque, nega la sussistenza di quel requisito  che  la
 Corte  costituzionale  ha affermato dover essere presente, perche' il
 vizio di  legittimita'  costituzionale  derivante  dall'iterazione  o
 dalla  reiterazione  dei decreti-legge, (attinente, in senso lato, al
 procedimento di formazione del decreto-legge in quanto  provvedimento
 provvisorio  fondato  su  presupposti  straordinari  di  necessita' e
 urgenza) possa ritenersi sanato.   Tale realta', qui  denunciata  con
 riferimento  alla  legge  n.  662/1996,  non  e' una novita' e non e'
 l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del
 Parlamento,  "connivente"  lo  stesso  Parlamento,  ridotto  a   mero
 esecutore   della  volonta'  del  potere  esecutivo,  mediante  l'uso
 improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta  della  fiducia
 da parte del Governo, soprattutto (ed e' la situazione piu' grave) in
 sede  di  approvazione di bilanci e consuntivi, previa strutturazione
 delle relative leggi in pochi, ipertrofici,  articoli  contenenti  un
 numero  enorme  di  commi,  a  loro  volta  distinti  in  piu' parti,
 destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente
 diverse tra loro, in assoluta violazione degli artt.  70  e  seguenti
 della  Costituzione,  come  gia'  si e' detto.   Quanto qui sostenuto
 trova  chiara  conferma  nel  quarto  comma  dell'art.     94   della
 Costituzione,  poiche'  e' chiaro che alla luce di tale disposizione,
 in forza della quale "il voto contrario di una o entrambe  le  Camere
 su  una  proposta  del Governo non importa obbligo di dimissioni", e'
 implicitamente esclusa la possibilita' di una richiesta del  voto  di
 fiducia  da esprimere contestualmente al voto su articoli di legge in
 corso di approvazione.
   3.b.6. - Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dei  commi  181,  182 e 183, nella loro
 interezza ed in ogni singola parte e  parola  e  norma  nei  medesimi
 espressa,  dell'art. 1 della legge n. 662/1996, per violazione, degli
 artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione.
   4. - Sui requisiti della rilevanza in causa e della  non  manifesta
 infondatezza  delle  nuove  questioni  di legittimita' costituzionale
 sopra rilevate.  Le questioni di  legittimita'  costituzionale  sopra
 sviluppate  non sono manifestamente infondate e sono anche rilevanti,
 poiche'   il   presente   giudizio   non   puo'   "essere    definito
 indipendentemente"  dalla  loro  risoluzione:  la dichiarazione della
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  commi  181,  182  e  183,
 della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662, che ha, in modo del tutto
 anomalo, tardivamente ed "occultamente" convertito in legge l'art.  1
 della  serie  di  decreti-legge  nn.  166,  295,  396 e 499 del 1996,
 nonche' dell'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140,  avrebbe,
 infatti,   l'effetto   di   restituire  integra  a  questa  autorita'
 giudiziaria,   non   piu'   costretta   nella   sua   attivita'    di
 amministrazione della giustizia al solo compito di dichiarare estinti
 d'ufficio   i  processi  pendenti,  la  sua  funzione  e,  cosi',  il
 potere-dovere di individuare e definire la normativa da applicare  al
 caso  concreto portato al suo esame, dovendosi valutare se la perdita
 di  efficacia  delle  disposizioni  di  legge  in  discorso   conduca
 necessariamente   al   ripristino   della   vigenza  della  normativa
 precedente, ovvero se altra normativa possa essere applicata  in  via
 di  interpretazione  estensiva  o  per  analogia,  secondo  le regole
 fissate dall'ordinamento giuridico per l'interpretazione della legge.
   5.  -  Il  riesame  delle  precedenti  questioni  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  22  della  legge  n.  903  del  1965, come
 manipolato dalla sentenza  Corte  costituzionale  n.  495  del  1993.
 Definite  nei  termini  sopra  chiariti  le questioni di legittimita'
 costituzionale a carico della normativa sopravvenuta,  e'  giunto  il
 momento  di  riesaminare  le  censure  rivolte, nell'ordinanza del 29
 novembre 1995, all'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n.  903,  come
 modificato  dalla  sentenza  29-31  dicembre  1993 n. 495 della Corte
 costituzionale, per violazione degli artt. 81, 136, primo comma,  101
 e  104,  primo comma, della Costituzione.  Tali questioni non possono
 essere riproposte, perche', alla luce della  sopravvenuta  normativa,
 devono  ritenersi  non  rilevanti nel giudizio a quo: l'art. 22 della
 legge n. 903 del 1965, come "adeguato" dalla sentenza n. 495/1993 del
 giudice delle leggi, deve, infatti, ritenersi implicitamente abrogato
 dall'art.  1,  commi  181  e  182, della legge n. 662/1996, nel testo
 conseguente alle modifiche apportate dall'art. 3-bis della  legge  n.
 140/1997.    In  verita'  questo  giudice  deve riconoscere di essere
 giunto a tale conclusione  solo  grazie  allo  studio  dell'ordinanza
 18-25 luglio 1997, n. 278 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 33,
 prima  serie  speciale,  dell'anno1997)  -  con  la  quale  la  Corte
 costituzionale ha  dichiarato  l'inammissibilita'  del  conflitto  di
 attribuzione  proposto  da questa autorita' giudiziaria nei confronti
 del Parlamento - poiche' solo partendo dalla considerazione del fatto
 che,  comunque,  i  commi  181  e  182  contengono  "una   disciplina
 sostanziale  di  diritti  in  materia  pensionistica"  (come  appunto
 precisato dal giudice delle leggi)  questo  pretore  e'  pervenuto  a
 concludere  per  l'avvenuta abrogazione della norma "virtuale" creata
 dalla sentenza n. 495/1993 della Corte costituzionale.
   Il richiamo, disapplicante, della sentenza n.  495  del  1993  (per
 quanto  qui  interessa,  ma il discorso vale anche per la sentenza n.
 240 del 1994) operato nel  testo  attualmente  vigente  dell'art.  1,
 commi 181 e 182, della legge n. 662/1996, regolando gli effetti della
 medesima  sentenza  sull'art.  22  della legge n. 903/1965, determina
 l'abrogazione della norma "virtuale"  -  costituita  dalla  decisione
 "additiva"  della  Corte  integrata  (secondo la teoria dominante che
 costituisce "diritto vivente") nella stessa  disposizione  -  poiche'
 definisce l'ambito di applicabilita' della stessa norma "virtuale" in
 modo  tale da non consentire alla stessa di esplicare in modo diverso
 i propri potenziali effetti.
   Ritiene questo giudice  di  non  poter  riproporre  le  censure  di
 costituzionalita'  rivolte alla norma "virtuale" in discorso, neppure
 come ipotesi consequenziale correlata alla previa contestazione della
 legittimita' costituzionale dei commi 181,  182  e  183  dell'art.  1
 della legge n. 662/1996, poiche' la prospettiva giuridica conseguente
 all'eventuale  dichiarazione  di  incostituzionalita' dei detti commi
 non e' necessariamente  quella  del  risorgere  della  vigenza  della
 disposizione "virtuale" abrogata.
   L'incertezza  giuridica  sull'esito delle questioni di legittimita'
 costituzionale all'esame del giudice delle leggi e'  assoluta,  anche
 in   considerazione   del   fatto  che  i  numerosissimi  profili  di
 incostituzionalita', sollevati a  carico  della  normativa  contenuta
 prima  nei  decreti-legge  nn.  166,  295,  396  e 499 del 1996 e poi
 trasfusa nei commi 181, 182 e 183 della legge n. 662  del  1996,  non
 sono  univoci e, dunque, non conducono ad un medesimo risultato sulle
 conseguenze   interpretative   di   una    eventuale    dichiarazione
 d'incostituzionalita'  di  una  o  piu'  delle  norme  impugnate, con
 riferimento alle disposizioni di legge previgenti.
   5.a. - E' doveroso, altresi', ancora aggiungere che, in particolare
 (ma  non  solo),  risulta  irrilevante  la  questione   inerente   la
 violazione  degli  artt.  136,  primo comma, 101, e 104, primo comma,
 della Costituzione, poiche' questo giudice ha modificato  il  proprio
 orientamento sulle sentenze "legislative" della Corte costituzionale,
 in modo tale da rendere inammissibile una riproposizione della stessa
 questione,  poiche'  essa  si  porrebbe come richiesta di parere alla
 Corte.
   Con  la sentenza n. 368, emessa in data 27 aprile 1998, nelle cause
 riunite R.G. nn. 3424/1993 e 82/1998, promosse da Tarchi Aldo  contro
 l'INPS,   nelle   quali   il   ricorrente   chiedeva,   tra  l'altro,
 l'applicazione in proprio favore della sentenza "additiva" n. 822 del
 1988 della Corte costituzionale, questo giudice ha, infatti, corretto
 in parte la propria giurisprudenza  (risalente  alla  fine  dell'anno
 1994)   che  affermava,  in  modo  perentorio  ed  assoluto,  la  non
 conformita' all'art.  136 della Costituzione di  tutte  le  decisioni
 del giudice delle leggi che vengono di solito definite "additive" (ma
 anche   "manipolative",   "adeguatrici"   e,   da   questo   pretore,
 "legislative"), traendone la conseguenza della  loro  inefficacia  e,
 dunque, la non vincolativita' per l'autorita' giudiziaria.
   In  forza  di  considerazioni  che  appare superfluo qui richiamare
 questo pretore e' pervenuto a ritenere:
     a) che le sentenze "additive"  del  giudice  delle  leggi  devono
 essere  interpretate dall'autorita' giudiziaria, al fine di accertare
 se esse siano realmente dirette a caducare una norma di legge, o  se,
 invece,  il  loro  fine  sia  esclusivamente  quello di integrare una
 disposizione,  dettando  una  regola  scelta  dalla   Corte,   previa
 strumentale  dichiarazione di incostituzionalita' di una norma che la
 Corte, pero', non vuole in nessun modo  rendere  inefficace,  ne'  in
 tutto, ne' in parte;
     b)  che  le  sentenze  "additive"  sono  pienamente  efficaci, ma
 esclusivamente nella loro parte dichiarativa dell'incostituzionalita'
 delle norme ed atti aventi forza di legge, qualora risulti chiara  la
 volonta'   di  giungere  all'effetto  previsto  dall'art.  136  della
 Costituzione,   cioe'   quello   di   determinare    la    cessazione
 dell'efficacia delle norme ritenute e dichiarate incostituzionali;
     c)   che  le  stesse  sentenze,  nella  loro  parte  propriamente
 "additiva", destinata a ricostruire il contenuto della norma in senso
 conforme alla Costituzione, in nessun caso  possono  essere  ritenute
 vincolanti  ed  idonee  a sostituire, integrare o modificare le parti
 dichiarate  illegittime,  ma  senza  efficacia   caducatoria,   delle
 disposizioni di legge;
     d)  che  resta nella esclusiva funzione del legislatore il potere
 di dettare nuove norme per sostituire quelle caducate dalle  sentenze
 del giudice delle leggi, ovvero di disciplinare in modo conforme alla
 Costituzione,  eventualmente  seguendo  l'ipotesi "adeguatrice" della
 Corte, le norme dichiarate incostituzionali in sentenze  del  giudice
 delle  leggi  inidonee  a  raggiungere  gli  effetti  tipici previsti
 nell'art. 136 della Costituzione;
     e)  che  appartiene  all'autorita'  giudiziaria  la  funzione  di
 interpretazione,  nei  termini  previsti  dalla legge, del sistema di
 diritto positivo,  al  fine  anche  di  riempire  i  vuoti  normativi
 determinati  dalle  sentenze  caducatorie,  ivi comprese anche quelle
 "additive" aventi tale efficacia, della Corte costituzionale.  In tal
 modo nessuna attribuzione costituzionale viene sottratta agli  organi
 titolari,  restando  integre le funzioni del legislatore, della Corte
 costituzionale e dell'autorita'  giudiziaria,  senza  spazio  per  un
 conflitto tra i tre organi dello Stato.  Poiche' tale revisione della
 propria   giurisprudenza   non   conduce  piu'  necessariamente  alle
 conseguenze di quella precedente, e' chiaro che non  sussistono  piu'
 le  condizioni  per riproporre al giudice delle leggi la questione di
 legittimita' costituzionale a carico dell'art.   22  della  legge  n.
 903/1965,   come   "modificato"   dalla  sentenza  n.  495/1993,  per
 violazione   degli  artt.  101  e  104,  primo  comma,  e  136  della
 Costituzione.
   6. - Ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo  1953  n.
 87,   questo  giudizio  deve  essere  sospeso  e  deve  ordinarsi  la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della
 presente ordinanza al Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  oltre
 alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.