ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2043, 2051 e
 1227, primo comma, del codice civile, promosso con  ordinanza  emessa
 l'8  novembre  1997  dal  giudice  di pace di Genova nel procedimento
 civile vertente tra Lualdi Nicola ed altro e  il  comune  di  Genova,
 iscritta  al  n.  394  del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  23,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 24  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso di un giudizio civile promosso da un motociclista
 nei confronti del comune di Genova  per  il  risarcimento  del  danno
 derivato  dalla  caduta  dal  motoveicolo causata dalla presenza, non
 segnalata, ma "in astratto percettibile in anticipo", di terriccio  e
 pietrisco  sulla  strada  comunale, il giudice di pace di Genova, con
 ordinanza emessa l'8 novembre 1997, ha sollevato, in riferimento agli
 artt.  3,  24,  97  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale:
     a)  dell'articolo 2043 cod. civ., in quanto prevede che l'inerzia
 colposa della  pubblica  amministrazione,  atta  a  creare  o  a  non
 rimuovere  situazioni di pericolo, sia causa di responsabilita' della
 stessa, solo in presenza di una situazione di pericolo insidioso;  b)
 dell'art.    2051  cod.  civ.,  in  quanto non applicabile anche alla
 pubblica  amministrazione  per  i  beni  demaniali  soggetti  ad  uso
 ordinario,  generale  e  diretto da parte dei cittadini; c) dell'art.
 1227, primo comma, cod. civ., in quanto esclude, in presenza  di  una
 insidia  un  accertamento del concorso di colpa del danneggiato e del
 responsabile.
   Il giudice rimettente, in tema di danni conseguiti  alla  difettosa
 manutenzione delle strade, lamenta la disparita' di trattamento tra i
 privati  proprietari  di  strade, assoggettati alla disciplina di cui
 all'art. 2051 cod. civ., e la pubblica amministrazione,  esonerata  -
 secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimita' definito
 come   consolidato   -   da   tale   tipo   di   responsabilita'  per
 l'impossibilita' di esercitare un adeguato  controllo  custodiale  su
 beni  demaniali di notevole estensione territoriale e soggetti ad uso
 generale e diretto da parte dei cittadini.
   Il giudice a quo si duole anche della  consolidata  interpretazione
 della  giurisprudenza di legittimita', secondo cui la responsabilita'
 conseguirebbe, ai sensi dell'art. 2043 cod.  civ.,  non  gia'  ad  un
 concreto   comportamento  della  pubblica  amministrazione,  ma  alla
 derivazione del danno da un'insidia  stradale  (caratterizzata  dalla
 non   visibilita'   e  dall'imprevedibilita'  od  inevitabilita'  del
 pericolo), restando escluso il concorso colposo del  danneggiato  (in
 caso  di  sussistenza  dell'insidia) o della pubblica amministrazione
 (in caso di insussistenza), ai sensi  dell'art.  1227,  primo  comma,
 cod. civ.
   Secondo  il  giudice  a  quo  siffatto uso della nozione di insidia
 finisce per  escludere  ingiustificatamente  sia  la  responsabilita'
 della  pubblica  amministrazione  per  fatti  colposi diversi, sia la
 rilevanza di un concorso colposo ex  art.  1227,  primo  comma,  cod.
 civ.,  favorendo,  in  contrasto con i principi di eguaglianza di cui
 all'art. 3 della Costituzione e di buon andamento di cui all'art.  97
 della  Costituzione,  la   colpevole   inerzia   dell'ente   pubblico
 nell'assolvimento  dei  doveri  di  diligente  vigilanza e tempestiva
 manutenzione delle strade.
   A  tal proposito il giudice rimettente, dopo aver osservato che "la
 giurisprudenza   indicata   (...)   non   richiede   alla    pubblica
 amministrazione  neppure  la  dimostrazione che il pericolo sia stato
 originato da circostanze o con modalita'  tali  che  non  ne  abbiano
 consentito  una  tempestiva  eliminazione  o  segnalazione", denuncia
 l'"assurdita'"  di  far  dipendere  la  ricorrenza  dell'insidia   da
 situazioni  contingenti,  oggettive  (ad  esempio  in  rapporto  alla
 visibilita' del pericolo a seconda  del  traffico)  o  soggettive  (a
 seconda delle condizioni psicofisiche del danneggiato).
   Tale    complessivo   orientamento   interpretativo,   secondo   il
 rimettente, comporta la "violazione o la menomazione del  diritto  di
 difesa"  del  cittadino  danneggiato, il quale, per le difficolta' di
 prova  dell'insidia  e  perche'  normalmente  soccombente  anche   in
 presenza  di  conclamata  inerzia  della pubblica amministrazione, e'
 spesso indotto a rinunziare ad adire l'autorita' giudiziaria.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' e comunque della
 manifesta infondatezza della  questione  sollevata.  In  una  memoria
 depositata  nell'imminenza della camera di consiglio, ha insistito in
 particolare nel chiedere la declaratoria  d'inammissibilita',  avendo
 la   Corte  costituzionale  dichiarato  manifestamente  inammissibile
 identica questione con ordinanza n. 82 del 1995.
                         Considerato in diritto
   1. - Il  giudice  di  pace  di  Genova  dubita  della  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2051  cod. civ., in quanto non applicabile
 anche alla pubblica amministrazione per i beni demaniali soggetti  ad
 uso  ordinario,  generale e diretto da parte dei cittadini; dell'art.
 2043 cod.  civ.,  in  quanto  prevede  che  l'inerzia  colposa  della
 pubblica  amministrazione, atta a creare o a non rimuovere situazioni
 di pericolo, sia  causa  di  responsabilita'  della  stessa  solo  in
 presenza di una situazione di insidia stradale; dell'art. 1227, primo
 comma,  cod.  civ., in quanto esclude, ove sia presente detta insidia
 un accertamento del concorso di colpa del danneggiato.
   Secondo il  rimettente,  le  denunciate  disposizioni,  come  sopra
 interpretate,  contrasterebbero:  con l'art. 3 della Costituzione, in
 quanto   si   determinerebbe   una   situazione   di   ingiustificata
 diseguaglianza  dei  cittadini  di  fronte  alla legge; con l'art. 24
 della Costituzione, in  quanto  la  difficolta'  che  il  danneggiato
 potrebbe  incontrare nella prova del pericolo occulto, ed il connesso
 rischio di soccombere, pur nella presenza di conclamate inerzie della
 pubblica amministrazione, potrebbe  comportare  la  violazione  o  la
 menomazione del diritto di difesa del danneggiato medesimo, sia sotto
 il  profilo  della  denegata  giustizia,  sia  sotto il profilo della
 rinunzia  da  parte  dello  stesso,  di  fronte  a  rischi  reali  di
 soccombenza,  ad  adire  l'autorita' giudiziaria; con l'art. 97 della
 Costituzione, in quanto potrebbero fornire un  involontario  supporto
 all'inerzia,    anche   protratta   e   colpevole,   della   pubblica
 amministrazione.
   2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione  di  inammissibilita'
 proposta  dal  Presidente  del  Consiglio,  che  ha  richiamato quale
 precedente specifico l'ordinanza n. 82  del  1995  di  questa  Corte,
 pronunciata con riguardo a identica questione.
   Il  rimettente,  infatti,  non solleva - come, invece, allora - una
 questione di mera  interpretazione  della  normativa  denunciata,  ma
 assume  quale "diritto vivente" l'interpretazione di essa da parte di
 una giurisprudenza asseritamente consolidata, e dichiara che a questa
 intenderebbe aderire ove venissero ritenuti  privi  di  fondamento  i
 dubbi di illegittimita' costituzionale da lui prospettati.
   3. - Nel merito la questione e' infondata.
   3.1. - Il giudice a quo afferma l'esistenza di un "diritto vivente"
 sulla  normativa,  con  riguardo  a cui formula le suindicate censure
 d'incostituzionalita'. Ma la ricognizione della giurisprudenza, dalla
 quale muove, appare incompleta e  non  corretta.  Egli,  infatti,  ha
 trascurato di prendere in considerazione gli svolgimenti piu' recenti
 della   giurisprudenza   stessa,  attraverso  un  doveroso  esame  di
 significative pronunce, nelle quali sarebbe stato  agevole  rinvenire
 quelle  puntualizzazioni  tese  a  dare  della  denunciata  normativa
 un'interpretazione,  non  solo   rispettosa   di   tutti   i   canoni
 ermeneutici,  ma  anche  conforme  alla  Costituzione - cosi' come di
 seguito precisato -, e  dunque  da  preferire  ad  altre,  sulla  cui
 legittimita'   costituzionale   possano  sorgere  dubbi  in  sede  di
 giudizio.
   3.2. - Il proprietario delle cose che  abbiano  cagionato  danno  a
 terzi  e'  responsabile  a'  sensi  dell'art. 2051 cod. civ., solo in
 quanto ne sia custode, e dunque ove egli sia stato oggettivamente  in
 grado  di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sulle cose
 stesse.
   Cio' basta a rendere  ragione  dell'approdo  ermeneutico,  ribadito
 anche  di  recente  dalla giurisprudenza di legittimita', secondo cui
 alla pubblica amministrazione non e' applicabile il citato  articolo,
 allorche'  sul  bene  di  sua  proprieta'  non sia possibile - per la
 notevole estensione di esso e le modalita' d'uso, diretto e generale,
 da parte dei terzi -  un  continuo,  efficace  controllo,  idoneo  ad
 impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti.
   S'intende  -  e in alcune sentenze cio' viene sottolineato - che la
 "notevole estensione del bene" e "l'uso generale e diretto" da  parte
 dei terzi costituiscono meri indici dell'impossibilita' d'un concreto
 esercizio  del  potere di controllo e vigilanza sul bene medesimo; la
 quale dunque potrebbe essere ritenuta, non gia' in virtu' d'un puro e
 semplice riferimento alla natura demaniale e all'estensione del bene,
 ma solo a seguito di un'indagine condotta dal giudice con riferimento
 al caso singolo, e secondo criteri di normalita'.
   Con tale interpretazione si rimane  indubbiamente  nell'ambito  del
 sistema    codicistico   della   responsabilita'   extracontrattuale,
 venendosi solo a precisare - in conformita' alla evidente ratio dello
 stesso art. 2051 - i limiti dell'operativita' di uno dei  particolari
 criteri  d'imputazione  previsti dal codice civile in luogo di quello
 generale posto dall'art. 2043.
   Si  deve  allora  passare  allo  scrutinio   di   costituzionalita'
 dell'asserito    "diritto    vivente"   formatosi   su   quest'ultima
 disposizione.
   3.3. - La giurisprudenza, sia dei giudici di merito sia della Corte
 di cassazione, in effetti e' da tempo consolidata nel senso che colui
 il quale intenda  far  valere  la  responsabilita'  extracontrattuale
 della  pubblica amministrazione, deve - una volta esclusa, nei limiti
 sopra  chiariti,  l'applicabilita'  dell'art.  2051  - dimostrare che
 l'evento dannoso sia eziologicamente ricollegabile ad  un'insidia  (o
 trabocchetto),  cioe'  ad  una  situazione  di  fatto che rappresenti
 pericolo occulto per l'utente  del  bene  demaniale,  e  segnatamente
 della strada aperta al pubblico.
   Ma il giudice a quo non ha colto le ragioni e la portata di codesto
 indirizzo  giurisprudenziale,  consolidatosi  dopo  una  complessa  e
 sempre piu' raffinata elaborazione, che ebbe inizio sin dalla entrata
 in  vigore  della  legge  20  marzo  1865  all.  E,  abolitrice   del
 contenzioso  amministrativo,  passando  poi  attraverso  varie  fasi.
 Ragioni e  portata,  che  sono  tali  da  far  considerare  prive  di
 consistenza  le  censure  mosse nell'ordinanza di rimessione, secondo
 quanto appresso chiarito.
   3.4. - Anzitutto  e'  da  rammentare  che  l'art.  2043  cod.  civ.
 contiene   una   clausola   generale.  Il  legislatore,  infatti,  ha
 utilizzato una formula aperta, che consente al giudice  l'adattamento
 di tale norma alle circostanze del caso attraverso la valutazione dei
 limiti  di  meritevolezza degli interessi pretesamente lesi, anche in
 relazione ad altri interessi antagonisti, secondo  l'evolversi  della
 coscienza  sociale  e  del  sistema  giuridico generale nonche' degli
 strumenti normalmente a disposizione dei soggetti  titolari  di  tali
 interessi.    Sicche',  nelle  fattispecie  come  quella in esame, e'
 compito del giudice ordinario accertare  secondo  le  circostanze  di
 tempo  e  di  luogo  se  la  pubblica amministrazione sia in concreto
 responsabile per i danni, tenuto conto anche del particolare rapporto
 di fatto che, da una parte, il proprietario e, dall'altra,  il  terzo
 danneggiato  hanno  con  la  cosa in relazione alla quale l'evento si
 verifica.
   Occorre  poi  considerare  che   la   manutenzione   delle   strade
 costituisce per l'ente pubblico un dovere istituzionale non correlato
 a  un  diritto  soggettivo  dei  privati,  i quali possono far valere
 soltanto un interesse legittimo  al  corretto  esercizio  del  potere
 discrezionale dell'ente medesimo. Pertanto il difetto di manutenzione
 assume  rilievo,  nei rapporti con i privati, unicamente allorche' la
 pubblica amministrazione non abbia osservato le specifiche norme e le
 comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela  dell'integrita'
 personale  e  patrimoniale  dei  terzi,  in  violazione del principio
 fondamentale del neminem laedere:  venendo cosi' a superare il limite
 esterno  della  propria   discrezionalita',   con   conseguente   sua
 sottoposizione   al   regime   generale  di  responsabilita'  dettato
 dall'art. 2043 cod. civ.
   Ma, nell'accertamento in concreto di questa, non si  puo'  ignorare
 il particolare rapporto che - come sopra si e' gia' accennato - hanno
 con  la  strada  pubblica,  da  una  parte,  l'ente  proprietario  e,
 dall'altra, gli utenti, i quali, in  coerenza  con  il  principio  di
 autoresponsabilita',   sono   indubbiamente  gravati  d'un  onere  di
 particolare attenzione nell'esercizio dell'uso ordinario diretto  del
 bene demaniale, per salvaguardare appunto la propria incolumita'.
   Ebbene,  in  questo  quadro,  la nozione d'insidia stradale viene a
 configurarsi come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata
 dall'esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche
 di giudizio, in base ad una valutazione di  normalita',  col  preciso
 fine  di  meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo
 un   criterio   di   "semplificazione  analitica"  della  fattispecie
 generatrice della  responsabilita'  in  esame.  Se  e  in  quanto  il
 danneggiato   provi   l'insidia  puo'  e  deve  essere  affermata  la
 responsabilita' della pubblica amministrazione, salvo che  questa,  a
 sua  volta,  provi di non aver potuto rimuovere - adottando le misure
 idonee - codesta situazione di pericolo, i cui  elementi  costitutivi
 il  giudice  ha  comunque il compito di individuare in modo specifico
 (fra l'altro precisando gli  standards  di  diligenza  connessi  alla
 visibilita'  e  prevedibilita'  nonche' all'evitabilita' del pericolo
 stesso,  in  relazione  all'uso  della  strada),  onde  accertare  in
 definitiva  se  ricorrano,  a stregua delle peculiarita' del caso, le
 condizioni richieste dall'art. 2043 cod. civ.
   Che poi, una volta acclarata in tal modo la  responsabilita'  della
 pubblica  amministrazione,  di  regola  risulti  inapplicabile l'art.
 1227,  primo  comma,  cod.  civ.,  dipende  da  evidenti  ragioni  di
 incompatibilita'  logica  fra  un  possibile  concorso  di  colpa del
 danneggiato  e   la   stessa   nozione   d'insidia   essendo   questa
 contraddistinta   appunto   dai   caratteri  dell'imprevedibilita'  e
 dell'inevitabilita' del pericolo.
   3.5. - Per dissipare, infine, il dubbio  espresso  dal  rimettente,
 secondo  cui  una  tale  interpretazione  della  denunciata normativa
 consentirebbe il  permanere  nell'ordinamento  giuridico  di  antichi
 privilegi   a   favore   della  pubblica  amministrazione,  non  piu'
 giustificabili in uno Stato di diritto, sembra opportuno  aggiungere,
 conclusivamente,    che   l'utilizzazione   giurisprudenziale   della
 suddescritta figura sintomatica di colpa non e' estranea neanche alla
 responsabilita'  extracontrattuale  dei  privati,  convenuti  per  il
 risarcimento dei danni conseguenti a difetto di manutenzione dei loro
 immobili.
   Tale  difetto, invero, al di fuori di specifici obblighi di legge o
 contrattuali (e salvo quanto sopra precisato  con  riguardo  all'art.
 2051  cod.  civ.),  rileva  unicamente sotto specie di violazione del
 principio del neminem  laedere  allo  stesso  modo  per  la  pubblica
 amministrazione  e  per  i  privati: eventuali diversita' di giudizio
 dovendosi ricollegare soltanto alle peculiarita' del bene,  influenti
 sulla relativa manutenzione.