ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 57 e
 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse  il  4  giugno
 1997  dal  Tribunale  amministrativo regionale per il Veneto, seconda
 sezione, ed  il  19  giugno  1998  (n.  2  ordinanze)  dal  Tribunale
 amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione  staccata  di
 Brescia, rispettivamente iscritte al n. 845  del  registro  ordinanze
 1997  ed  ai  nn.  761 e 762 del registro ordinanze 1998 e pubblicate
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 prima serie  speciale
 dell'anno 1997 e n. 42 prima serie speciale dell'anno 1998.
   Visto l'atto di costituzione del comune di Montebelluna nonche' gli
 atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice relatore
 Piero Alberto Capotosti;
   Udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
   Ritenuto  che, nel corso di un giudizio instaurato da un dipendente
 del comune di Montebelluna per  l'annullamento,  previa  sospensione,
 del  provvedimento  di  rigetto  della  domanda di trasformazione del
 rapporto di lavoro da tempo pieno  a  tempo  parziale,  il  Tribunale
 amministrativo   regionale   per  il  Veneto,  seconda  sezione,  con
 ordinanza del 4 giugno 1997, ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  commi 57 e 58, della legge 23 dicembre
 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), in
 riferimento agli articoli 3, 5, 39, 97 e 128  della  Costituzione,  e
 che detta norma, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione,
 e'  stata  altresi'  impugnata dal Tribunale amministrativo regionale
 per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con due  ordinanze  in
 data   19   giugno   1998,  di  contenuto  sostanzialmente  identico,
 pronunziate  nel  corso  di  altrettanti  giudizi  promossi  da   due
 psicologhe,  dirigenti di primo livello dell'Azienda sanitaria locale
 (ASL)  della  provincia  di  Bergamo,  per   l'annullamento,   previa
 sospensione,  degli  atti  di rigetto delle domande di trasformazione
 del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale;
     che,  secondo  le  ordinanze  di  rimessione,   le   disposizioni
 impugnate,  stabilendo  che  "il  rapporto di lavoro a tempo parziale
 puo' essere costituito relativamente a tutti i profili  professionali
 appartenenti  alle  varie  qualifiche  o livelli dei dipendenti delle
 pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale  militare,  di
 quello  delle  Forze  di Polizia e del Corpo nazionale dei vigili del
 fuoco"  (art.  1,  comma  57)  e  prevedendo   le   modalita'   della
 trasformazione  del rapporto, configurerebbero "un diritto ovvero una
 facolta'" del dipendente  alla  trasformazione  del  rapporto,  senza
 tenere conto delle esigenze delle pubbliche amministrazioni;
     che,   ad   avviso   di  entrambi  i  Tar,  la  disciplina  della
 trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
 non sarebbe ragionevole, in quanto potrebbe determinare un'improvvisa
 riduzione del personale occorrente per garantire la funzionalita' dei
 servizi e, in violazione del principio di buon andamento,  priverebbe
 la   pubblica   amministrazione   del   potere   di  direzione  e  di
 pianificazione   dell'organizzazione   dei   propri    uffici,    non
 permettendole  di  preordinare  le  misure  necessarie  ad evitare le
 eventuali disfunzioni derivanti dall'incentivazione del  rapporto  di
 lavoro  part-time,  in  contrasto  con lo scopo di razionalizzazione,
 ammodernamento  e  responsabilizzazione  avuti  di  mira  dalla  piu'
 recente legislazione sul pubblico impiego;
     che,  secondo  i  giudici  a  quibus, la pubblica amministrazione
 "viene a trovarsi in bali'a dei propri  dipendenti"  e,  inoltre,  le
 norme  impugnate  potrebbero  determinare  situazioni irragionevoli e
 potenzialmente discriminatorie, in difetto  della  previsione  di  un
 potere di verifica delle situazioni personali e/o di servizio;
     che,   secondo   il  Tar  per  il  Veneto,  le  norme  denunciate
 violerebbero  altresi'  sia  l'autonomia  organizzativa  degli   enti
 locali,   sia  quella  loro  attribuita  in  sede  di  contrattazione
 collettiva, entrambe costituzionalmente garantite (artt. 5, 39 e  128
 della Costituzione);
     che  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto in  tutti
 e  tre i giudizi con distinti atti, di contenuto pressoche' identico,
 eccependo l'infondatezza della questione;
     che, secondo la difesa  erariale,  la  disciplina  del  part-time
 costituisce  parte  di  un piu' ampio disegno di riforma del pubblico
 impiego, diretto a ridurre la spesa pubblica,  e,  quindi,  le  norme
 denunciate  possono  costituire oggetto del sindacato di legittimita'
 costituzionale soltanto sotto il profilo della ragionevolezza;
     che, ad avviso dell'interveniente, nel giudizio di ragionevolezza
 assumerebbero pregnante importanza le disposizioni secondo le  quali:
 gli organici del personale sono costituiti anche da dipendenti il cui
 numero   complessivo   e'  quantificato  avendo  riguardo  al  limite
 complessivo del monte ore lavorative; possono essere banditi concorsi
 per posti part-time; per taluni settori non e'  consentito  l'accesso
 indiscriminato  a tale tipo di rapporto; il contingente del personale
 che puo' essere destinato al tempo  parziale  non  puo'  superare  il
 limite  del  venticinque  per  cento  dell'organico complessivo ed e'
 possibile ovviare alle eventuali carenze di organico sia mediante  il
 ricorso ai processi di mobilita', sia utilizzando i risparmi di spesa
 per  nuove  assunzioni,  in  quanto esse dimostrerebbero che e' stato
 definito un sistema rispettoso dei  principi  costituzionali  che  si
 assumono lesi;
     che, secondo l'Avvocatura, la censura riferita agli artt. 5 e 128
 della  Costituzione e' infondata, in quanto l'autonomia organizzativa
 degli enti locali deve svolgersi e  realizzarsi  compatibilmente  con
 gli  interessi  della  intera  comunita'  nazionale, quindi anche con
 quello al risanamento della finanza pubblica;
     che, nel  giudizio  sollevato  dal  Tar  per  il  Veneto,  si  e'
 costituito   il   comune  di  Montebelluna,  convenuto  nel  processo
 principale, svolgendo argomentazioni  a  conforto  delle  censure  ed
 eccependo   che   le  disposizioni  impugnate  pregiudicherebbero  il
 conseguimento degli scopi  istituzionali  da  parte  delle  pubbliche
 amministrazioni,   soprattutto  dei  comuni  di  dimensioni  medie  o
 piccole, anche in considerazione del complessivo quadro normativo nel
 quale esse si inseriscono;
     che,   ad   avviso   della   parte,   le   modifiche   introdotte
 successivamente  all'ordinanza di rimessione (art. 39, commi 25, 26 e
 27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 31,  comma  41,  della
 legge  23 dicembre 1998, n. 448) "hanno l'indubbio merito di tradurre
 positivamente le doglianze" sollevate dagli enti locali territoriali,
 ma conforterebbero i dubbi di  legittimita'  delle  norme  impugnate,
 nonostante  sia  possibile  sostenere  che  l'art. 1, comma 65, della
 legge n. 662 del 1996 stabilisca l'inapplicabilita' dei commi 58 e 59
 sia agli enti locali che versano in una situazione deficitaria, sia a
 quelli  che  hanno  una  pianta organica inferiore a cinque unita', e
 ritenere applicabile la  nuova  disciplina  soltanto  successivamente
 alla  "determinazione  dei  contingenti  dei  rapporti  di  lavoro in
 relazione ai quali ammettere l'accesso al tempo parziale" offrendo in
 tal modo un'interpretazione che rende le norme immuni  dalle  censure
 di legittimita' costituzionale.
   Considerato  che  i  giudizi  hanno  ad oggetto le stesse norme, in
 riferimento a parametri in  parte  coincidenti,  sicche'  essi  vanno
 riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;
     che,  successivamente  alla  proposizione da parte del Tar per il
 Veneto della questione di legittimita' costituzionale,  sono  entrati
 in  vigore: l'art. 39, comma 27, della legge n. 449 del 1997 il quale
 stabilisce che "le disposizioni dell'art. 1, commi  58  e  59,  della
 legge  23  dicembre  1996, n. 662, in materia di rapporto di lavoro a
 tempo parziale si applicano al personale delle regioni e  degli  enti
 locali  finche' non diversamente disposto da ciascun ente con proprio
 atto normativo"; gli artt. 36, comma  7,  e  36-bis  del  d.lgs.    3
 febbraio  1993, n. 29 (nel testo modificato dal d.lgs. 31 marzo 1998,
 n. 80), i quali, rispettivamente, hanno introdotto la facolta' per le
 pubbliche  amministrazioni  di  avvalersi  delle  forme  contrattuali
 flessibili  di  assunzione  e  di  impiego del personale previste dal
 codice civile e  dalle  leggi  sui  rapporti  di  lavoro  subordinato
 nell'impresa  ed  hanno  previsto che il regolamento sull'ordinamento
 degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le  dotazioni
 organiche  e  le  modalita'  di  assunzione degli impieghi; l'art. 8,
 comma 1, lettera i), del d.lgs. 4  novembre  1997,  n.  396,  che  ha
 previsto  la  possibilita'  di  forme  sperimentali di contrattazione
 collettiva,   in   deroga   alle   previgenti   disposizioni    sulla
 contrattazione     collettiva    decentrata,    anche    in    ordine
 all'articolazione flessibile dell'orario di lavoro ed alla diffusione
 del part-time;
     che, in data posteriore a tutte le ordinanze di rimessione,  sono
 entrati  in vigore: l'art. 31, comma 41, della legge n. 448 del 1998,
 secondo il quale "per quanto riguarda il lavoro a tempo  parziale  la
 contrattazione  collettiva  puo'  individuare  particolari  modalita'
 applicative,  anche  prevedendo  una  riduzione   delle   percentuali
 previste  per  la  generalita' dei casi e l'esclusione di determinate
 figure professionali che siano  ritenute  particolarmente  necessarie
 per  la  funzionalita'  dei servizi"; l'art. 4, della legge 16 giugno
 1998, n. 191 che, allo scopo di garantire l'impiego flessibile  delle
 risorse  umane,  ha previsto che le pubbliche amministrazioni possono
 avvalersi di forme di lavoro a distanza (cd. telelavoro);
     che  siffatte  disposizioni,  sopravvenute  alle   ordinanze   di
 rimessione,  hanno  ridefinito la disciplina del rapporto di lavoro a
 tempo parziale, hanno introdotto nuovi tipi  di  rapporti  di  lavoro
 alle  dipendenze  delle  pubbliche  amministrazioni  e  nuovi  schemi
 organizzativi, sicche' hanno innovato il complessivo quadro normativo
 di riferimento;
     che si palesa, pertanto, indispensabile il riesame,  a  cura  dei
 giudici  a  quibus  della  rilevanza  delle questioni alla luce delle
 modificazioni normative sopravvenute.