LA CORTE DEI CONTI
   Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza  parziale  ed ordinanza sul
 ricorso iscritto al n.  2464/168311/C  del  registro  di  segreteria,
 proposto  dalla  sig.ra D'Ambrosio Pierina, nata il 26 febbraio 1917,
 domiciliata in Bologna, via Vizzani n. 76, avverso  l'Amministrazione
 del  tesoro per la declaratoria del diritto alla riliquidazione della
 pensione in godimento ai  sensi  dell'art.  3  del  decreto-legge  16
 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, nella legge 14
 novembre 1987 n. 468.
   Uditi  nella pubblica udienza del 14 gennaio 1999, con l'assistenza
 del segretario sig.ra Elisabetta Bergami,  il  consigliere  relatore,
 dott.  Francesco  Maria  Pagliara,  e il dott. Lorenzo De Lorenzis in
 rappresentanza dell'Amministrazione del tesoro.
   Visti gli atti della causa;
                           Ritenuto in fatto
   Con il ricorso in esame la  sig.ra  D'Ambrosio,  vedova  del  dott.
 Funaro   Alfredo,   gia'  dipendente  del  Ministero  delle  finanze,
 collocato a riposo con la qualifica  di  dirigente  generale  dal  15
 gennaio   1973  e  deceduto  il  13  novembre  1980,  ha  chiesto  la
 riliquidazione della pensione di  riversibilita'  in  godimento,  con
 rivalutazione  monetaria e interessi legali, ai sensi dell'art. 3 del
 decreto-legge  16   settembre   1987,   n.   379,   convertito,   con
 modificazioni,  nella legge 14 novembre 1987, n. 468, in applicazione
 della sentenza della Corte costituzionale  n.  1  del  1991,  che  ha
 dichiarato  incostituzionale  il precitato art.  3 nella parte in cui
 non disponeva a favore  dei  dirigenti  statali  collocati  a  riposo
 anteriormente  al 1 gennaio 1979 la riliquidazione, a decorrere dal 1
 marzo 1990,  della  pensione  sulla  base  degli  stipendi  derivanti
 dall'applicazione  del  decreto-legge  27  settembre  1982,  n.  681,
 convertito con modificazioni dalla legge 20 novembre  1982,  n.  869,
 della legge 17 aprile 1984, n. 79, del decreto-legge 11 gennaio 1985,
 n.  2,  convertito con modificazioni dalla legge 8 marzo 1985, n. 72,
 del decreto-legge 10 maggio 1986, n. 154 convertito con modificazioni
 dalla legge 11 luglio 1986, n. 341.
   Con memoria depositata in data 17 ottobre 1997 la ricorrente ha poi
 affermato di avere avuto  riliquidata  la  pensione  in  applicazione
 della  sentenza  n. 1/1991 della Corte costituzionale e di avere gia'
 riscosso i relativi arretrati, per cui, dovendo ritenersi cessata per
 questa parte la materia del contendere, ha  chiesto  la  prosecuzione
 del  giudizio  per quanto riguarda il riconoscimento del diritto alla
 rivalutazione monetaria automatica nonche' alla corresponsione  degli
 interessi  legali  sulle  differenze tra ratei dovuti e corrisposti a
 decorrere dalle relative scadenze al saldo.
   Il Ministero delle finanze si e' costituito in giudizio con memoria
 presentata il 23 dicembre 1997, nella  quale  ha  precisato  di  aver
 applicato   la   sentenza   della   Corte  costituzionale  n.  1/1991
 comunicando alla  competente  Direzione  provinciale  del  tesoro  di
 Bologna   (nota   n.   22767  del  3  aprile  1993),  ai  fini  della
 riliquidazione della pensione di riversibilita' a favore della sig.ra
 D'Ambrosio, l'importo della pensione teorica diretta di  annue  lorde
 lire  41.411.100  che sarebbe spettata al dante causa alla data del 1
 marzo 1990, sulla base dello stipendio pensionabile  annuo  lordo  di
 dirigente  generale; per quanto, concerne, poi, la richiesta relativa
 alla corresponsione di rivalutazione monetaria e interessi legali, ha
 fatto presente che l'Amministrazione, a seguito  della  deliberazione
 n.  75/1997 della sezione del controllo di questa Corte dei conti, ha
 richiesto  apposito  parere  al  Ministero  del  tesoro,   Ragioneria
 generale  dello  Stato  in  merito  all'applicazione  immediata della
 stessa.
   Nell'odierna pubblica udienza  il  dott.  Lorenzo  De  Lorenzis  ha
 chiesto che venga dichiarata cessata la materia del contendere.
                         Considerato in diritto
   Sulla  base di quanto riportato in narrativa, rileva la sezione che
 in ordine alla riliquidazione della pensione di riversibilita'  della
 ricorrente, in applicazione della sentenza della Corte costituzionale
 n.   1/1991,   l'Amministrazione   resistente  ha  gia'  adottato  un
 provvedimento completamente satisfattivo  delle  richieste  formulate
 dalla parte privata.
   Ne  consegue  che, sia pure limitatamente alla sorte capitale, deve
 dichiararsi la cessazione della materia del contendere.
   Per cio' che attiene agli accessori del credito principale, la loro
 cognizione appartiene alla giurisdizione di questa Corte dei conti ex
 artt. 13, r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e 60, r.d. 3  marzo  1938,  n.
 680,  ancorche' la relativa domanda sia stata proposta autonomamente,
 ovvero in assenza di ogni contestazione sul trattamento definitivo di
 pensione liquidato all'interessato (cfr. Corte dei  conti  -  sezione
 III,  pensioni  civili  n.  61541  del 4 marzo 1988; Cass., ss.uu., 1
 febbraio 1990, n. 646).
   Cio' premesso, antecedentemente all'entrata in vigore  della  legge
 23  dicembre 1998, n. 448, contenente "misure di finanza pubblica per
 la stabilizzazione e lo sviluppo", questa sezione non avrebbe  potuto
 che  richiamare  l'indirizzo  seguito  dalla giurisprudenza di questa
 Corte  in  materia di rivalutazione monetaria e interessi sui crediti
 pensionistici (cfr. ss.rr. 27 gennaio 1987, n.  525/A;  Sezione  III,
 pensioni  civili  4  marzo 1988, n. 61541 citata, 6 dicembre 1988, n.
 62532, 2 maggio 1990, n. 63736), indirizzo al quale questa sezione si
 e' conformata in precedenti sentenze e  che  puo'  sintetizzarsi  nei
 seguenti principi: i crediti di pensione dei pubblici dipendenti sono
 soggetti  al principio della rivalutazione automatica di cui all'art.
 429  c.p.c.,  e  l'amministrazione  erogatrice  del  trattamento   di
 quiescenza  deve,  in  caso  di  ritardato  pagamento,  corrispondere
 d'ufficio rivalutazione e interessi, trattandosi  non  gia'  di  meri
 accessori  del  diritto, ma di elementi che realizzano, in unione col
 credito originario, il tantundem della prestazione pensionistica,  il
 cui  valore deve essere identico a quello originario, quali che siano
 i  tempi  dell'adempimento;  gli  oneri  anzidetti   vanno   comunque
 calcolati   a   prescindere   dalla   ragione  del  ritardo,  essendo
 completamente   svincolati   da    ogni    presupposto    di    colpa
 dell'amministrazione liquidatrice e concernendo il mancato pagamento,
 alle   singole   scadenze,   delle  somme  effettivamente  dovute  al
 pensionato; essi spettano a decorrere da ciascuna scadenza debitoria,
 effettuandosi il calcolo degli interessi sulle somme rivalutate.
   Peraltro, prima dell'odierna camera di consiglio, il legislatore e'
 intervenuto in materia di accessori del credito pensionistico con una
 disposizione di carattere generale la quale,  di  per  se',  conferma
 l'esistenza  nel nostro ordinamento del generale diritto ad interessi
 e rivalutazione monetaria per  tutti  i  crediti  diversi  da  quelli
 specificamente contemplati dal legislatore.
   Dispone  infatti  il  comma  4  dell'art.  26 della citata legge n.
 448/1998  che:  "le  somme  corrisposte  al  personale  del  comparto
 ministeri  per effetto dell'inquadramento definitivo nelle qualifiche
 funzionali ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11  luglio
 1980  n.   312, e le somme liquidate sui trattamenti pensionistici in
 conseguenza   dell'applicazione   della    sentenza    della    Corte
 costituzionale  n.  1  del  1991  non  danno luogo ad interessi ne' a
 rivalutazione monetaria".
   Questa  sezione,  pertanto,  non  puo'   non   applicare   siffatta
 disposizione  legislativa,  intervenuta prima dell'odierna decisione,
 ma e' indotta a  meditare  sulla  compatibilita'  della  disposizione
 medesima  derogatoria  del piu' generale principio sopra indicato con
 l'ordinamento generale e, soprattutto, con i principi affermati negli
 artt. 3 e 24 della Costituzione.
   Invero appaiono del tutto incomprensibili i motivi per i  quali  il
 legislatore  sia  addivenuto  al  convincimento  di  dover operare la
 suddetta deroga proprio nei confronti di un ristrettissimo numero  di
 appartenenti   ad   una  categoria,  quale  quella  dei  titolari  di
 trattamento  pensionistico  ordinario  rideterminato  a  seguito  del
 ritardo,    in    alcuni    casi   ultradecennale,   con   il   quale
 l'amministrazione   ha   provveduto   alla    riliquidazione    della
 retribuzione  spettante  in  attivita'  di  servizio  (art. 4, quarto
 comma, legge n. 312 del 1980) ovvero quella, come nella  fattispecie,
 dei  dirigenti,  o  loro aventi causa, ai quali e' stata tardivamente
 applicata la sentenza n. 1 del 1991 della Corte costituzionale.
   Peraltro la deroga investe anche coloro che avevano tempestivamente
 lamentato  l'omessa  applicazione  nei loro confronti dei benefici di
 cui alla legge  n.  468/1987  proponendo  apposito  ricorso  in  sede
 giurisdizionale.    Solo le more del giudizio pensionsionistico hanno
 comportato che sia nel frattempo intervenuta la predetta sentenza  n.
 1   del  1991  cui  hanno  fatto  seguito,  a  distanza  di  anni,  i
 provvedimenti  amministrativi  satisfattivi   delle   pretese   degli
 interessati  solo per cio' che concerne la sorte capitale del credito
 vantato  dagli  stessi,  nulla  disponendo  in  merito  ai   relativi
 accessori.
   Nell'ulteriore mora processuale interviene la ripetuta disposizione
 che  penalizza  allo  stesso  modo sia quanti siano stati fino ad ora
 inerti di fronte alle omissioni dell'amministrazione  ed  ai  ritardi
 della   giustizia   pensionistica,   sia   quanti   si  siano  invece
 tempestivamente attivati per conseguire quanto ad  essi  dovuto,  con
 conseguente   violazione   anche  dell'art.  24  della  Costituzione,
 venendosi cosi' a privare i ricorrenti della tutela loro  offerta  da
 questa  norma dopo che il giudizio e' stato regolarmente introdotto e
 senza che possano essere accampati interessi o bisogni collettivi  il
 cui   soddisfacimento   giustifichi   la   compressione   di  diritti
 costituzionalmente garantiti ai singoli.
   La norma derogatrice appare quindi palesamente  irrazionale,  anche
 nella  considerazione che la ormai limitatissima entita' numerica dei
 soggetti  cui  essa  si  riferisce  impedisce  che  i  risultati  che
 conseguirebbero   dalla   sua  applicazione  possano  in  alcun  modo
 contribuire alla stabilizzazione ed allo sviluppo del Paese; peraltro
 appare non meno irrazionale la circostanza  che  i  soggetti  di  cui
 trattasi  vengano  discriminati  non gia' sulla base di comportamenti
 inerziali  bensi'  del  casuale  iter,  piu'  o  meno  rapido,  della
 giustizia pensionistica.
   La  disposizione appare poi violare macroscopicamente i principi di
 cui  all'art.   3   della   Costituzione,   in   quanto   differenzia
 immotivatamente  soggetti  che si trovano nelle medesime situazioni e
 condizioni, andando ad incidere,  per  di  piu',  solo  sugli  ultimi
 ancora  soggetti  all'inerzia dell'amministrazione o dell'ordinamento
 giurisdizionale pensionistico, con salvezza di quanti hanno  ottenuto
 tempestivamente  sia  il  provvedimento di riconoscimento del diritto
 alla sorte capitale, sia la decisione in  via  giurisdizionale  della
 spettanza,  insieme  alla  stessa,  anche degli accessori del credito
 vantato.
   Per  quanto  sopra  esposto,  quindi,   le   modifiche   introdotte
 nell'ordinamento  dalla  disposizione  richiamata appaiono rendere il
 sistema incompatibile con l'ordinamento generale e con  il  principio
 di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.
   La  questione  di costituzionalita' del comma 4 dell'art. 26, della
 legge n. 448 del 23 dicembre 1998, appare a questo Collegio rilevante
 ai fini del decidere, atteso che la conferma della legittimita' dello
 stesso conduce necessariamente al rigetto in parte qua del ricorso in
 esame,   mentre   l'eventuale    declaratoria    di    illegittimita'
 costituzionale consentirebbe l'accoglimento del gravame.
   Questa  sezione  ritiene, pertanto, di dover sollevare d'ufficio la
 questione, ritenendola non manifestamente infondata.