ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 28 della legge
 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
 pubblica), promossi con ordinanze emesse  il  24  marzo  1998  (n.  2
 ordinanze)  dalla Commissione tributaria provinciale di Ancona, il 17
 febbraio 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Pisa, il 29
 aprile 1998 dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, il
 6 giugno 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, l'11
 luglio 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di  Viterbo,  il
 22  aprile  1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e
 il 30  ottobre  1998  dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di
 Genova,  rispettivamente iscritte ai nn. 476, 485, 508, 581, 688, 739
 e 859 del registro ordinanze 1998 ed al n. 71 del registro  ordinanze
 1999  e  pubblicate nella Gazzetta ufficiale della Repubblica nn. 27,
 28, 36, 40, 41 e 48, prima serie speciale, dell'anno  1998  e  n.  8,
 prima serie speciale, dell'anno 1999.
   Visto  l'atto  di  costituzione di Paternoster Giovanni nonche' gli
 atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  14  aprile  1999  il  giudice
 relatore Annibale Marini.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  due  ordinanze di identico contenuto emesse il 24 marzo
 1998, la Commissione tributaria provinciale di Ancona  ha  sollevato,
 in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  53  e  102 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28 della legge  27
 dicembre  1997,  n.  449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
 pubblica), che cosi' recita: "Il primo  comma  dell'art.  36-bis  del
 decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600,
 nel testo da applicare sino alla  data  stabilita  nell'art.  16  del
 decreto  legislativo  9 luglio 1997, n. 241, deve essere interpretato
 nel   senso  che  il  termine  in  esso  indicato,  avendo  carattere
 ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza".
   Basata la rilevanza della questione sull'assunto che  i  giudizi  a
 quibus  hanno  ad  oggetto  ricorsi  avverso  cartelle  di  pagamento
 fondati, tra l'altro, sull'eccepita  decadenza  dell'amministrazione,
 per  inosservanza  del termine di cui all'art. 36-bis del decreto del
 Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  600  (Disposizioni
 comuni  in  materia  di  accertamento  delle imposte sui redditi), la
 Commissione rimettente osserva che, nella giurisprudenza  tributaria,
 a  partire  dal  1994,  si  sarebbe  andato consolidando un indirizzo
 interpretativo nel senso del carattere perentorio del termine di  cui
 si   tratta.   Indirizzo  successivamente  avallato  dalla  Corte  di
 cassazione che nelle sentenze 29 luglio 1997, n. 7088, e 24 settembre
 1997, n.  12442,  avrebbe  altresi'  ribadito  la  riferibilita'  del
 termine  in  questione  all'iscrizione  a  ruolo,  e  non  alla  mera
 liquidazione, delle imposte che risultano dovute in base al controllo
 "formale" delle dichiarazioni.
   La norma impugnata  -  intervenuta  pochi  mesi  dopo  le  suddette
 pronunce  del  giudice  di  legittimita' e destinata ad operare quasi
 esclusivamente per  il  passato,  in  quanto  applicabile  solo  alle
 dichiarazioni  presentate  fino  a  tutto l'anno 1997 (recte: 1998) -
 sarebbe percio', ad avviso del giudice a quo in primo  luogo  lesiva,
 secondo  l'insegnamento  contenuto  nelle sentenze di questa Corte n.
 155 del 1990, n. 397 del 1994 e n. 14 del 1995, delle prerogative del
 potere giudiziario, perche' sostanzialmente  intesa  a  risolvere  in
 senso  favorevole  all'amministrazione  finanziaria  le  migliaia  di
 ricorsi  pendenti  aventi  il  medesimo  oggetto.      Il   carattere
 innovativo, e non meramente interpretativo, della norma risulterebbe,
 infatti,  evidente  dal  fatto  che questa non si limita a dichiarare
 l'ordinatorieta' del  termine,  del  quale  la  giurisprudenza  aveva
 definitivamente  stabilito  la  perentorieta', ma giunge ad escludere
 che la sua inosservanza possa dare luogo a decadenza, laddove  invece
 dovrebbe  ritenersi  pacifico  che anche l'inosservanza di un termine
 ordinatorio, se non  prorogato  prima  della  scadenza,  comporta  il
 verificarsi della decadenza.
   Ritiene  il  rimettente  che  la  norma  denunciata sia altresi' in
 contrasto con il  principio  di  eguaglianza,  tutelato  dall'art.  3
 Cost., per la disparita' di trattamento che si verrebbe a determinare
 fra  tre  diverse  categorie  di  contribuenti: quelli che hanno gia'
 ottenuto con una sentenza passata  in  giudicato  il  riconoscimento,
 secondo  il  ricordato  orientamento giurisprudenziale, del carattere
 perentorio del termine di cui all'art. 36-bis; quelli che  hanno  una
 lite  pendente  incentrata  sulla  dedotta  perentorieta' del termine
 stesso,  il  cui   esito   risulterebbe   compromesso   dalla   norma
 asseritamente  interpretatrice;  quelli, infine, in futuro perseguiti
 dall'amministrazione, ex art.   36-bis per  errori  formali  commessi
 anche molti anni prima e che, avendo fatto legittimamente affidamento
 sulla  perentorieta' del termine de quo potrebbero non essere piu' in
 grado di opporre  la  prova  cartolare  del  loro  buon  diritto.  In
 relazione  alla  situazione  di questi ultimi la norma, ad avviso del
 giudice a quo va scrutinata anche con riferimento ai parametri di cui
 agli artt. 24 e 53 Cost., in quanto da un lato risulterebbe  leso  il
 loro diritto di difesa e, dall'altro, si effettuerebbe un illegittimo
 recupero  di una capacita' contributiva della quale tali contribuenti
 "erano si' garanti, ma solo nei termini di legge".
   1.1.  -  E'  intervenuto  in  entrambi  i giudizi il Presidente del
 Consiglio dei Ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
   Ricorda  innanzitutto  l'Avvocatura  che, secondo la giurisprudenza
 della Corte costituzionale, le norme interpretative non sono  di  per
 se'  illegittime,  purche' non si pongano in contrasto con i principi
 costituzionali ovvero  con  altri  fondamentali  valori  di  civilta'
 giuridica,  quali  il principio generale di ragionevolezza, la tutela
 dell'affidamento,  la  coerenza  e   la   certezza   dell'ordinamento
 giuridico, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
 potere giudiziario.
   Con riferimento, quindi, alla norma impugnata, l'Avvocatura ritiene
 che  non  possa  revocarsi  in  dubbio  la sua natura interpretativa,
 atteso che il carattere ordinatorio e non perentorio del  termine  di
 cui  all'art.  36-bis  del d.P.R. n. 600 del 1973 era gia' certamente
 compatibile col tenore letterale della norma ed altresi' coerente con
 l'intenzione del legislatore, quale desumibile dalle  connesse  norme
 sulla  iscrizione  a ruolo delle imposte liquidate e dalla evoluzione
 della normativa in materia,  dalla  sua  originaria  formulazione  ad
 oggi, dettagliatamente ricostruita nella memoria.
   Dovrebbe    d'altro    canto    escludersi,    ad   avviso   ancora
 dell'Avvocatura,  la   violazione,   mediante   la   suddetta   norma
 interpretativa,  di  altri  principi  costituzionali.  La  norma  non
 comporta, infatti, violazione di giudicati ne' e' diretta ad incidere
 su concrete  fattispecie  sub  iudice  ne'  determina  ingiustificate
 disparita'  di  trattamento  o  violazione  di legittimi affidamenti.
 L'intervento del legislatore e' stato insomma dettato  esclusivamente
 dalla preoccupazione di evitare il consolidarsi di un'interpretazione
 suscettibile  di  arrecare  grave  danno  alle  finanze  pubbliche  e
 palesemente contrastante con il principio di  ragionevolezza,  stante
 l'impossibilita',  per  gli uffici finanziari, di procedere nel breve
 termine di cui al  citato  art.  36-bis  al  controllo  di  tutte  le
 dichiarazioni.
   2.  -  Con ordinanza del 17 febbraio 1998 la Commissione tributaria
 provinciale di Pisa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97
 e 113 Cost., questione di legittimita'  costituzionale  della  stessa
 norma.
   Il  giudice  rimettente,  premessa  la  rilevanza della questione e
 ricordato che la giurisprudenza di merito e di legittimita' era ormai
 orientata nel senso della perentorieta'  del  termine  in  questione,
 ritiene  in primo luogo che la norma denunciata violi l'art. 3, primo
 comma, della Costituzione "sotto il profilo della ragionevolezza, che
 impone il rispetto di un rapporto  di  uguaglianza  delle  parti  nel
 rapporto tributario".
   La  stessa norma determinerebbe inoltre una "grave compressione del
 diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., e piu' specificamente
 della tutela  giurisdizionale  dei  diritti  contro  gli  atti  della
 pubblica amministrazione, incondizionatamente garantita dall'art. 113
 della  Costituzione,  (...)  sproporzionata  rispetto all'esigenza di
 consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento dei  propri
 compiti"   e   tale   da   assumere   "il   carattere  di  privilegio
 ingiustificato".
   La  norma  risulterebbe, infine, in palese contrasto con l'art. 97,
 primo comma, Cost., posto a tutela  del  principio  di  imparzialita'
 dell'amministrazione,  cui  "debbono necessariamente collegarsi tutte
 le norme, anche tributarie, che disciplinano i rapporti dei cittadini
 con il fisco che deve ad essi garantire la legittimita'  del  proprio
 operato e la parita' di trattamento".
   2.1.  -  La  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  per  mezzo
 dell'Avvocatura generale dello  Stato,  e'  intervenuta  in  giudizio
 concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.
   In   aggiunta   alle  considerazioni  gia'  svolte  negli  atti  di
 intervento depositati  nei  giudizi  precedentemente  instaurati,  la
 parte pubblica rileva che la norma censurata non limita in alcun modo
 l'impugnabilita'  degli atti della pubblica amministrazione, e dunque
 non viola l'art.  113 della Costituzione, ne' lede  il  principio  di
 imparzialita'    dell'amministrazione,   in   quanto   il   carattere
 (perentorio o ordinatorio) del termine e' comunque tale per  tutti  i
 contribuenti e per tutti gli uffici dell'amministrazione.
   3.  -  Con  ordinanza  emessa  il  29  aprile  1998  la Commissione
 tributaria di primo grado di  Trento  ha  sollevato,  in  riferimento
 all'art.    3   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale della stessa norma, con argomentazioni simili a quelle
 esposte nelle precedenti ordinanze di rimessione.
   3.1.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  e'  intervenuta  nel
 giudizio  per  la Presidenza del Consiglio dei ministri mediante atto
 di contenuto analogo ai precedenti.
   4. -  Con  ordinanza  emessa  il  6  giugno  1998,  la  Commissione
 tributaria  provinciale  di  Parma  ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 3, 97, primo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma e 108,
 secondo  comma,  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale della stessa norma.
   Il  giudice  rimettente,  precisata  la  rilevanza della questione,
 osserva  che  sia  la  giurisprudenza  della  Commissione  tributaria
 centrale  sia  quella  della  Corte  di  cassazione  si  erano  ormai
 orientate ad attribuire al termine di cui all'art. 36-bis del  d.P.R.
 n.  600  del  1973  carattere  perentorio,  sanzionato  quindi con la
 decadenza. La Corte di cassazione, nella sentenza 29 luglio 1997,  n.
 7088,  aveva  anzi affermato l'esistenza di un principio di carattere
 generale secondo cui i termini posti  alla  pubblica  amministrazione
 per   l'esercizio  dei  suoi  poteri,  indipendentemente  dalla  loro
 qualificazione come perentori o ordinatori, devono ritenersi posti  a
 pena  di  decadenza, a tutela del buon andamento e dell'imparzialita'
 dell'amministrazione.  L'inutile decorso dei termini  ordinatori  non
 prorogati  prima  della  scadenza  produce d'altro canto - secondo la
 prevalente  giurisprudenza  di  legittimita'  -  gli  stessi  effetti
 preclusivi di quelli perentori.
   Cio'  premesso,  secondo  il  giudice a quo la norma impugnata - in
 quanto non si limita a qualificare come  ordinatorio  il  termine  in
 questione,  ma dispone altresi' che la sua inosservanza non dia luogo
 a decadenza - verrebbe a dettare per il solo termine di cui  all'art.
 36-bis  una  disciplina  speciale  diversa da quella applicabile agli
 altri  termini  ordinatori  posti  a  carico  dello  stesso  soggetto
 pubblico,  ed in tal modo sarebbe lesiva del principio di eguaglianza
 in danno dei destinatari di quella attivita' alla quale il termine in
 questione si riferisce.
   La medesima norma sarebbe poi in contrasto con il principio di buon
 andamento  dell'amministrazione,  tutelato  dall'art.  97  Cost.,  in
 quanto  dal  suddetto  principio  discende  -  come  si  legge  nella
 menzionata  sentenza  del  giudice  di  legittimita' - che "i termini
 posti  a  presidio  della  tempestivita'  dell'azione  amministrativa
 (soprattutto  quando sono posti nell'interesse del cittadino sotto il
 profilo della certezza  e  stabilita'  dei  rapporti  giuridici)  non
 possono  non  essere  tali  da  comportare, se violati, l'invalidita'
 dell'esercizio  del  potere,  non  apparendo  sufficiente  tutela  la
 possibilita'   di  perseguire  disciplinarmente  i  responsabili  del
 ritardo".
   La norma in questione, infine, violerebbe gli  artt.  101,  secondo
 comma,  102,  primo  comma,  e 108, secondo comma, della Costituzione
 essendo  palesemente   intesa   a   prevenire   l'ormai   inevitabile
 dichiarazione  di  decadenza  di  tutti gli atti impositivi emessi in
 base all'art.  36-bis e sottoposti al vaglio del giudice  tributario,
 "interferendo  decisamente  nella  sfera  del  potere giudiziario con
 l'imposizione di una soluzione dettata non gia' da principi  generali
 ma da un provvedimento determinato a valere per una singola ipotesi e
 non per casi analoghi".
   4.1.  -  L'Avvocatura  generale dello Stato e' intervenuta anche in
 questo giudizio per la Presidenza del Consiglio dei ministri mediante
 atto di contenuto analogo ai precedenti.
   In relazione alla asserita lesione del  principio  di  eguaglianza,
 sotto  il  profilo,  specificamente  denunciato dal rimettente, della
 diversita' di disciplina tra il termine di cui all'art. 36-bis e  gli
 altri  termini  ordinatori  imposti  alla  pubblica  amministrazione,
 l'Avvocatura, pur negando, in linea di principio,  che  ogni  termine
 posto  all'attivita'  della  pubblica  amministrazione sia sanzionato
 dalla illegittimita' dell'atto emanato dopo la scadenza,  rileva  che
 il  legislatore  puo'  in ogni caso legittimamente chiarire che ad un
 dato termine non e' collegato alcun effetto di decadenza,  senza  per
 questo  dovere  necessariamente dettare analoga disposizione per ogni
 altro termine imposto alla pubblica amministrazione.
   5.  -  Con  ordinanza  emessa  l'11  luglio  1998,  la  Commissione
 tributaria  provinciale  di Viterbo ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, questione  di  legittimita'
 costituzionale della stessa norma.
   Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la qualificazione, con norma
 interpretativa, come ordinatorio del termine di cui all'art. 36-bis -
 nonostante l'ormai consolidata giurisprudenza in  senso  contrario  -
 sarebbe irrazionale e lesiva del diritto di agire e di difendersi dei
 contribuenti.  La  norma impugnata violerebbe inoltre il principio di
 buon  andamento  e  imparzialita'  dell'amministrazione   e   sarebbe
 altresi'  in  contrasto  con il principio di eguaglianza tra le parti
 del rapporto tributario.
   5.1. - E' intervenuta in giudizio la Presidenza del  Consiglio  dei
 ministri per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato.
   Rileva  l'Avvocatura  che la Commissione rimettente non contesta il
 carattere interpretativo della norma  ed  appare,  per  altro  verso,
 consapevole   delle   "devastanti"   conseguenze   che  deriverebbero
 all'erario dalla interpretazione dell'art. 36-bis accolta dal giudice
 di  legittimita'.    Ritiene,  pertanto,  contraddittoria  con   tali
 premesse  la  questione di costituzionalita' sollevata e ne chiede la
 declaratoria di infondatezza sulla base di argomentazioni analoghe  a
 quelle svolte nei giudizi gia' pendenti.
   6.  -  Con  ordinanza  emessa  il  22  aprile  1998, la Commissione
 tributaria provinciale di Torino ha sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  3  e  101,  secondo  comma,  della  Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale della stessa norma.
   Ritiene la Commissione rimettente che alla norma  denunciata  debba
 attribuirsi  natura  innovativa,  e non interpretativa, difettando il
 presupposto indispensabile del contrasto giurisprudenziale, in quanto
 sia i giudici di merito sia quelli di  legittimita'  sarebbero  stati
 ormai  concordi  nel  riconoscere  al  termine di cui all'art. 36-bis
 carattere perentorio. Per la  sua  efficacia  retroattiva,  la  norma
 risulterebbe     percio'    lesiva    dei    valori    costituzionali
 dell'affidamento e della certezza dei rapporti giuridici, nonche' del
 principio della ragionevolezza degli atti legislativi,  alla  stregua
 di  quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale nelle sentenze
 n. 187 del 1981 e n. 155 del 1990. L'intento del legislatore  sarebbe
 stato,  in  definitiva,  solo  quello di "favorire" l'amministrazione
 finanziaria nelle numerose controversie in corso.
    6.1.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  e'  intervenuta  in
 giudizio  per  la Presidenza del Consiglio dei Ministri mediante atto
 di contenuto analogo ai precedenti.
   7. - Con ordinanza  emessa  il  30  ottobre  1998,  la  Commissione
 tributaria   provinciale  di  Genova  ha  sollevato,  in  riferimento
 all'art.   3   della   Costituzione,   questione   di    legittimita'
 costituzionale della stessa norma.
   Rileva  la  Commissione  rimettente  che  la  norma,  da  ritenersi
 innovativa e non meramente  interpretativa,  avrebbe  sostanzialmente
 mutato le "regole del gioco" a favore di una delle parti del rapporto
 tributario,  dilatando  in  suo  favore  i  tempi per provvedere, con
 violazione  sia  del  principio   di   ragionevolezza,   "a   cagione
 dell'equiparazione   della   piu'  blanda  infrazione  connessa  alla
 violazione di norme formali ad ipotesi di  piu'  incisive  violazioni
 tributarie",   sia   del   principio   della  certezza  del  diritto,
 "conseguenza   del   consolidamento   delle   situazioni   giuridiche
 ricollegato al decorso del tempo".
   7.1  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto di
 contenuto analogo ai precedenti.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Le  otto  ordinanze  di  rimessione  contestano   tutte   la
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  28  della  legge 27 dicembre
 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza  pubblica),
 a  tenore  del quale "Il primo comma dell'art. 36-bis del decreto del
 Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nel  testo  da
 applicare   sino   alla  data  stabilita  nell'art.  16  del  decreto
 legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere interpretato nel senso
 che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non e'
 stabilito a pena di decadenza".
   Quanto ai parametri, tutte le ordinanze fanno riferimento  all'art.
 3   della   Costituzione.  Vengono  altresi'  evocati  gli  artt.  24
 (Commissioni tributarie provinciali di Viterbo, di Ancona e di Pisa),
 53 (Commissione tributaria provinciale di  Ancona),  97  (Commissioni
 tributarie  provinciali di Parma, di Viterbo e di Pisa), 101, secondo
 comma (Commissioni tributarie provinciali di Parma e di Torino),  102
 (Commissioni  tributarie  provinciali  di  Parma  e  di Ancona), 108,
 secondo comma (Commissione tributaria provinciale di  Parma),  e  113
 della  Costituzione  (Commissioni tributarie provinciali di Viterbo e
 di Pisa).
   2. - Nonostante la diversita' delle prospettazioni, la questione di
 legittimita'  costituzionale,  sollevata  dalle  otto  ordinanze   di
 rimessione, si presenta in termini fondamentalmente comuni, in quanto
 la  norma  denunciata  viene  fatta  oggetto  di  censura  per  avere
 attribuito, con efficacia retroattiva, carattere di ordinatorieta' ad
 un termine, quello di cui all'art. 36-bis  del  d.P.R.  29  settembre
 1973,  n.  600,  che  la  giurisprudenza della Commissione tributaria
 centrale e della Corte di cassazione aveva  invece  qualificato  come
 perentorio.
   I  giudizi  vanno  pertanto  riuniti  per  essere  decisi con unica
 sentenza.
   3. - La questione non e' fondata.
   Secondo i giudici a quibus in buona sostanza,  la  norma  impugnata
 non   potrebbe   dirsi  realmente  interpretativa,  quanto  piuttosto
 retroattivamente innovativa rispetto alla  precedente  disciplina  ed
 emanata,  in  contrasto  con il generale principio di ragionevolezza,
 con l'unica intenzione  di  incidere  sui  giudizi  in  corso,  cosi'
 violando  valori  costituzionalmente  tutelati,  di  volta  in  volta
 individuati dai medesimi  rimettenti  nell'autonomia  della  funzione
 giudiziaria,  nel  diritto  di difesa e di tutela giurisdizionale nei
 confronti   della    pubblica    amministrazione,    nel    principio
 dell'affidamento,  nel  principio  della capacita' contributiva ed in
 quello del buon andamento della pubblica amministrazione.
   A tale riguardo va subito chiarito - sgombrando cosi' il  campo  da
 un equivoco nel quale sembrano essere caduti quasi tutti i rimettenti
 -  che non e' affatto decisivo verificare se la norma censurata abbia
 carattere  effettivamente  interpretativo  ovvero   sia   una   norma
 innovativa   con  efficacia  retroattiva.  Questa  Corte  ha  infatti
 ripetutamente precisato che il divieto di retroattivita' della  legge
 -  pur  costituendo  fondamentale  valore  di  civilta'  giuridica  e
 principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve in linea
 di principio attenersi - non e' stato  tuttavia  elevato  a  dignita'
 costituzionale,  se  si  eccettua  la  previsione dell'art. 25 Cost.,
 limitatamente alla legge penale (ex plurimis,  sentenze  n.  397  del
 1994,  n.  155  del  1990, n. 13 del 1977). Il legislatore ordinario,
 pertanto, nel rispetto del suddetto limite, puo'  emanare  norme  con
 efficacia  retroattiva, interpretative o innovative che esse siano, a
 condizione pero' che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione
 sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con  altri
 valori  ed  interessi  costituzionalmente  protetti  (ancora,  tra le
 tante, sentenze n. 432 del 1997, n. 376 del 1995, n. 153 del 1994).
   Ed e' proprio sotto l'aspetto del controllo di  ragionevolezza  che
 puo'  venire  in  considerazione  la c.d. funzione di interpretazione
 autentica che  una  norma  sia  chiamata  a  svolgere  con  efficacia
 retroattiva.
   4. - Nella specie, lo scrutinio della norma denunciata alla stregua
 del criterio di ragionevolezza deve prendere necessariamente le mosse
 dalla constatazione dell'esistenza di una significativa divergenza di
 opinioni,  manifestatasi  tanto nella giurisprudenza di merito quanto
 in dottrina, sulla natura  del  termine  per  la  liquidazione  delle
 imposte  che  risultano  dovute  in base al controllo "formale" delle
 dichiarazioni, previsto dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del  1973,
 come   modificato  dall'art.  1  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 27 settembre 1979,  n.  506  (Disposizioni  integrative  e
 correttive  dei  decreti del Presidente della Repubblica 29 settembre
 1973, n. 600 e n. 602, concernenti l'accertamento  e  la  riscossione
 delle  imposte  sui  redditi),  e riguardo al coordinamento tra detta
 norma e l'art. 17, primo comma,  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione
 delle imposte sul reddito), concernente i termini per l'iscrizione  a
 ruolo  delle  imposte liquidate in base alle dichiarazioni presentate
 dai contribuenti.
   Non compete evidentemente  a  questa  Corte  esprimere  valutazioni
 sulla fondatezza delle diverse tesi. Cio' che importa sottolineare e'
 la non univocita' degli orientamenti emersi - tale da indurre qualche
 commissione  tributaria  ad auspicare, nella stessa motivazione della
 propria decisione, un intervento chiarificatore del legislatore  -  e
 la considerazione che il contrasto interpretativo, ancora persistente
 nei   mesi   immediatamente   precedenti   l'emanazione  della  norma
 impugnata,  non  poteva  certo  dirsi   definitivamente   risolto   -
 diversamente  da  quanto  i  rimettenti  mostrano  di  ritenere - per
 effetto  delle  uniche  due  pronunce  della  Corte   di   cassazione
 intervenute in materia a breve distanza di tempo l'una dall'altra.
   La norma denunciata trova, dunque, la giustificazione della propria
 efficacia  retroattiva,  sotto il profilo della ragionevolezza, nella
 esistenza di un obiettivo dubbio ermeneutico sulla natura del termine
 previsto  dal  citato  art.  36-bis  nella   gravita',   piu'   volte
 sottolineata  anche dalla dottrina, delle conseguenze che da siffatta
 incertezza derivavano in una materia delicata  quale  e'  quella  dei
 controlli  sulle  dichiarazioni  dei redditi, e nella circostanza che
 l'interpretazione imposta dal legislatore risulta compatibile con  il
 testo  della  norma  ed  anzi  conforme  ad  una  delle  letture gia'
 prospettate dalla giurisprudenza.
   5. - La norma scrutinata non si pone d'altro canto in conflitto con
 altri valori costituzionalmente tutelati.
   5.1.  -  La  rilevata  sussistenza  di   un   obiettivo   contrasto
 interpretativo   in   sede  giurisdizionale  induce  innanzitutto  ad
 escludere  la  violazione  del  principio  dell'affidamento.   Nessun
 legittimo  affidamento  poteva  infatti  sorgere  sulla  base  di una
 interpretazione della norma tutt'altro che pacifica e consolidata  ed
 anzi fortemente contrastata nella giurisprudenza di merito.
   Per  altro  verso,  deve  considerarsi  che  l'art.  36-bis oggetto
 dell'interpretazione  autentica,  non  ha  contenuto  precettivo  nei
 confronti  dei  contribuenti  ma pone, come si e' visto, un termine a
 carico dell'amministrazione finanziaria  per  la  liquidazione  delle
 maggiori  imposte  accertate  a  seguito di controllo "formale" delle
 dichiarazioni, cosicche'  il  preteso  affidamento  dei  contribuenti
 stessi  dovrebbe  riguardare  non  gia' la legittimita' della propria
 condotta ma l'intervenuta decadenza dell'amministrazione  dal  potere
 di iscrivere a ruolo somme che siano risultate effettivamente dovute,
 a  titolo  di  imposta,  a  seguito  del  suddetto controllo. Il che,
 evidentemente, porta ad escludere che la situazione soggettiva  degli
 interessati  possa,  sotto  tale  aspetto,  ritenersi  meritevole  di
 tutela.
   5.2. - La norma denunciata non e' nemmeno lesiva delle attribuzioni
 del  potere giudiziario (artt. 101, 102 e 108 Cost.). Questa Corte ha
 infatti ripetutamente affermato che l'attivita' del legislatore,  pur
 se  diretta  a  stabilire  il  significato di una norma preesistente,
 opera su un piano diverso dall'interpretazione in senso  proprio  del
 giudice,  in quanto mentre la prima "interviene sul piano generale ed
 astratto del significato delle fonti normative,  quella  del  giudice
 opera sul piano particolare come premessa per l'applicazione concreta
 della  norma  alla  singola  fattispecie  sottoposta  al  suo  esame"
 (sentenze n. 432 del 1997, n. 311 del 1995, n. 397 del 1994,  n.  402
 del 1993).  L'efficacia retroattiva della norma non viene ad incidere
 dunque  sulla  potestas iudicandi bensi' sul modello di decisione cui
 l'esercizio della suddetta potesta' deve attenersi.
   5.3. - Le medesime considerazioni portano altresi' ad escludere  la
 violazione  del  diritto  di  difesa (art. 24 Cost.) e del diritto di
 tutela   giurisdizionale   avverso   gli    atti    della    pubblica
 amministrazione (art. 113 Cost.).
   5.4.  -  Non sussiste nemmeno la lamentata violazione del principio
 della   capacita'   contributiva,   prospettata   dalla   Commissione
 tributaria  provinciale  di  Ancona sul rilievo che i contribuenti, i
 quali avessero fatto affidamento sulla perentorieta' del  termine  di
 cui  all'art.  36-bis, si troverebbero ora costretti a recuperare una
 capacita' contributiva che ritenevano di non dover piu' garantire.
   Si e' gia' visto, infatti, che nella fattispecie non ricorrevano  i
 presupposti  per  la  formazione  di un legittimo affidamento. A cio'
 deve aggiungersi che, secondo la giurisprudenza di questa  Corte,  il
 principio  sancito  dall'art.  53  della  Costituzione  ha  carattere
 oggettivo,  riferendosi  ad  indici   concretamente   rivelatori   di
 ricchezza   e   non  gia'  a  stati  soggettivi  di  affidamento  del
 contribuente (sentenza n. 143 del 1982, ordinanza n. 542 del 1987).
   5.5. - Per quanto riguarda  l'asserita  lesione  del  principio  di
 eguaglianza,  per  la  diversita' di trattamento che si realizzerebbe
 tra quei contribuenti, i cui  ricorsi,  fondati  sulla  eccezione  di
 decadenza dell'amministrazione finanziaria per il decorso del termine
 di  cui  all'art.  36-bis, sono stati accolti con sentenza passata in
 giudicato e gli altri, le cui controversie sono ancora pendenti o che
 saranno oggetto in futuro di pretesa fondata su  controllo  "formale"
 delle  dichiarazioni,  e'  sufficiente  rilevare  che  la  denunciata
 diversita' non e' determinata dalla legge interpretativa,  ma  deriva
 dal necessario rispetto del giudicato (v. ordinanza n. 167 del 1996).
   5.6.  -  Va  da  ultimo  escluso  che  la  norma  denunciata sia in
 contrasto con l'art. 97 della  Costituzione.  Il  principio  di  buon
 andamento   ed   imparzialita'  della  pubblica  amministrazione  non
 comporta, infatti, necessariamente, che  tutti  i  termini  a  questa
 imposti  per  il  compimento  delle  proprie  attivita' debbano avere
 carattere perentorio. Va ricordato d'altro canto che l'art. 28  della
 legge  27  dicembre  1997, n. 449, nel riconoscere come ordinatorio e
 non posto a pena di decadenza il termine di cui all'art.  36-bis  del
 d.P.R.  n.  600  del  1973,  non lascia priva di termini decadenziali
 l'attivita' di  controllo  "formale"  delle  dichiarazioni,  trovando
 comunque applicazione l'art. 17 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
 secondo  il  quale  le  imposte  liquidate in base alle dichiarazioni
 presentate dai  contribuenti  (e  dunque  anche  quelle  liquidate  a
 seguito  di  controllo  "formale")  devono essere iscritte a ruolo, a
 pena  di decadenza, nel termine previsto dal primo comma dell'art. 43
 del d.P.R. n. 600 del 1973.