ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, del
 decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
 previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
 fiscali),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 14 novembre
 1992, n. 438, e dell'art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre  1993,
 n.  537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), giudizi promossi
 con due ordinanze emesse il 9 maggio 1997 dal pretore di  Torino  nel
 procedimento civile vertente tra Di Tanna Mario e altri e le Ferrovie
 dello  Stato  S.p.a.,  e il 21 aprile 1998 dal pretore di Bologna nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Certoma' Giuliano e altri  e
 le  Ferrovie  dello Stato S.p.a., rispettivamente iscritte al n.  651
 del registro ordinanze 1997 e al n. 473 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  41  -  prima
 serie  speciale,  dell'anno  1997  e  n.  27,  prima  serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visti gli atti di costituzione di Di Tanna Mario e  altri  e  delle
 Ferrovie  dello  Stato  S.p.a.  nonche'  gli  atti  di intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Udito nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice  relatore
 Francesco Guizzi.
   Uditi  l'avvocato Franco Carinci per le Ferrovie dello Stato S.p.a.
 e l'avvocato  dello  Stato  Luigi  Mazzella  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Alcuni dipendenti convenivano le Ferrovie dello Stato S.p.a.
 dinanzi al pretore di Torino  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,
 chiedendo  la  condanna  di esse al pagamento d'una somma di denaro a
 titolo di corrispettivo per  lavoro  straordinario  prestato,  e  non
 retribuito.
   Le   Ferrovie,   costituendosi,   sostenevano  di  aver  retribuito
 regolarmente detto lavoro,  aggiungendo  pero'  che  i  compensi,  in
 applicazione  dell'art.    7, comma 5, del decreto-legge 19 settembre
 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di  sanita'  e
 di  pubblico  impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito, con
 modificazioni, nella legge 14 novembre  1992,  n.  438,  erano  stati
 erogati,  nel  1993,  nella  stessa  misura  prevista  per il 1992; e
 precisavano che il "blocco" dei compensi  per  lo  straordinario  era
 stato   successivamente  prorogato  sino  al  31  dicembre  1999,  in
 applicazione dell'art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993,  n.
 537  (Interventi correttivi di finanza pubblica) e dell'art. 1, comma
 66, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica).
   Trattenuta  la  causa  in  decisione,  il  pretore ha sollevato, in
 riferimento all'art. 36 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 7, comma 5, del  decreto-legge  n.  384  del
 1992,  nella  parte in cui non prevede che le retribuzioni per lavoro
 straordinario (in quanto comprensive, per legge o per  contratto,  di
 una  quota  dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge n.
 324 del 1959, ovvero dell'indennita' di contingenza prevista  per  il
 settore  privato, o che siano comunque rivalutabili in relazione alle
 variazioni del costo della vita) vengano corrisposte per l'anno  1993
 nella stessa misura del 1992. In proposito il rimettente osserva che,
 in  tema  di  lavoro  straordinario,  costituisce  principio generale
 dell'ordinamento la disposizione contenuta nell'art.  2108 del codice
 civile, secondo cui la retribuzione per il lavoro straordinario  deve
 essere   superiore  a  quella  stabilita  per  il  lavoro  ordinario.
 Tuttavia, qualora la retribuzione  ordinaria  comprenda  piu'  "voci"
 (che  e' quanto si verifica per i ferrovieri composta com'e', per una
 quota  rilevante,  dalla   "indennita'   di   utilizzazione"),   tale
 disposizione non imporrebbe che tutte le "voci" siano aumentate nella
 medesima  misura.  Essa  sembrerebbe  infatti richiedere unicamente -
 qualunque sia il criterio di calcolo della  maggiorazione  -  che  il
 risultato  finale  produca  l'effetto  di  garantire,  per  il lavoro
 straordinario, un compenso orario maggiore di quello  dovuto  per  il
 lavoro ordinario.
   2.  - Premesso cio' in diritto, il pretore rileva in fatto che, nel
 caso di specie, il contratto collettivo  nazionale  sottoscritto  dai
 dipendenti  delle  Ferrovie  dello  Stato,  per il biennio 1990-1992,
 prevedeva un aumento  della  retribuzione  per  lavoro  straordinario
 nella  misura del ventuno per cento, da computarsi pero' non su tutte
 le  "voci",  bensi'  soltanto  su  una  parte  di  esse:   stipendio,
 indennita' integrativa speciale e rateo della tredicesima mensilita'.
   Posto   a   garanzia   della   maggiore   retribuzione  del  lavoro
 straordinario, questo meccanismo di computo sarebbe stato "intaccato"
 dall'art.  7, comma 5, del decreto-legge  n.  384  del  1992:  norma,
 questa,   che   -   statuendo   il  "blocco"  d'ogni  automatismo  di
 perequazione per il 1993, successivamente prorogato  al  31  dicembre
 1999  -  avrebbe  congelato  non  solo  la  componente  per il lavoro
 straordinario, costituita dall'indennita'  integrativa  speciale,  ma
 tutto  il  compenso  per  detto  lavoro.  Si'  che, per effetto della
 concomitante crescita della retribuzione ordinaria, sin dal 1994,  si
 sarebbe gradualmente ridimensionata la differenza fra la retribuzione
 dell'ora  di  lavoro  ordinario  (non  toccata dal "blocco") e quella
 dell'ora   per   lavoro   straordinario   che   ha   invece   subito,
 integralmente,  le  conseguenze  del  "blocco".  Il  divario circa la
 misura  delle  due  retribuzioni,  riducendosi,   sarebbe   scomparso
 nell'ottobre  1994,  e  da tale data - cosi' conclude su questo punto
 l'ordinanza  di  rimessione  -  la  retribuzione  oraria  del  lavoro
 straordinario avrebbe superato l'altra.
   Interpretato  in  tal  senso il quadro normativo di riferimento, il
 giudice a quo osserva come esso sia in contrasto con l'art. 36  della
 Costituzione  che  a'ncora  la  retribuzione  alla  qualita'  e  alla
 quantita' del lavoro prestato, mentre nel caso di  specie  l'art.  7,
 comma 5, del decreto-legge n. 384 del 1992 ha di fatto stabilito che,
 dall'ottobre  1994,  l'ora  di lavoro straordinario - da considerarsi
 piu' faticosa - venga retribuita meno di quella del lavoro ordinario.
 Con  riguardo  alla  rilevanza,  il  rimettente sostiene che la norma
 censurata ha consentito alle Ferrovie dello Stato di non tener conto,
 nel calcolo retributivo  del  lavoro  straordinario,  della  crescita
 della  retribuzione  base  per quello ordinario. Si' che, caducata la
 norma, riprenderebbe vigore l'art. 2108 del  codice  civile,  con  il
 conseguente   obbligo   per  le  Ferrovie  di  retribuire  il  lavoro
 straordinario in misura maggiore rispetto a quello ordinario.
   3. - Fattispecie analoga e' quella che ha dato origine alla censura
 mossa dal pretore di Bologna. Anche in questo caso, alcuni dipendenti
 hanno chiesto giudizialmente  la  condanna  della  societa'  Ferrovie
 dello Stato al pagamento d'una somma di danaro a titolo di differenze
 del  compenso per lavoro straordinario prestato negli anni 1993-1995.
 Le Ferrovie, costituendosi, hanno eccepito che i  compensi  liquidati
 per  il  lavoro  straordinario  erano stati erogati tenendo conto del
 "blocco" previsto, dapprima, dall'art. 7, comma 5, del  decreto-legge
 n. 384 del 1992 e, quindi, dall'art. 3, comma 36, della legge n.  537
 del  1993  (il  pretore  di  Bologna  ha  sollevato  la questione con
 riferimento non soltanto all'art. 7, comma 5, ma  anche  all'art.  3,
 comma 36, il quale ha prorogato  l'efficacia del "blocco").
   Il  rimettente  osserva  che  la pretesa azionata dai ricorrenti si
 sarebbe dovuta rigettare sulla base delle norme da ultimo citate,  ma
 esse  sarebbero  in  contrasto  con  l'art. 36 della Costituzione, in
 quanto volte a  "limitare  od  impedire  l'aumento  delle  paghe  dei
 lavoratori".  Tuttavia  nell'ordinanza  non si indica se, nel caso in
 esame, la retribuzione per lavoro  straordinario  sia  divenuta,  per
 effetto  del  decorso  del  tempo, minore di quella dovuta per lavoro
 ordinario.
   4. - Va preliminarmente rilevata,  in  rito,  la  tardivita'  della
 costituzione  dei  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo e la conseguente
 irricevibilita' degli atti depositati.
   4.1. - Si e' costituito in entrambi i giudizi l'ente Ferrovie dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza sulla base di  due  motivi  che
 sinteticamente si espongono.
   In   primo   luogo,   le   Ferrovie  ricordano  che  l'art.  7  del
 decreto-legge n. 384 del 1992 ha bloccato  per  l'anno  1993  sia  la
 contrattazione,   sia   l'adeguamento   automatico  dei  compensi  in
 qualunque modo legati alla indennita' integrativa speciale o a quella
 di   contingenza;   che,   successivamente,   il    "blocco"    della
 contrattazione  (comma  1)  e'  stato  revocato,  mentre quello degli
 aumenti retributivi legati a meccanismi automatici di  indicizzazione
 (commi  5 e 6) e' stato prorogato al 31 dicembre 1999; e, infine, che
 la proroga di cui ai predetti commi 5 e 6 non  avrebbe  alcun  senso,
 ne'  efficacia  pratica,  se  ogni  aumento  stipendiale  rinegoziato
 potesse riverberare effetti anche sui compensi che, come  quello  per
 lavoro  straordinario, includevano nella base di computo l'indennita'
 integrativa speciale. Avendo il legislatore inteso inequivocabilmente
 evitare la crescita dei compensi per lavoro straordinario  a  seguito
 dell'aumento  del  costo della vita, si deve concludere che l'art. 7,
 comma 5, del citato decreto-legge n. 384 abbia introdotto una  deroga
 all'art.  2108  del  codice  civile,  da  ritenere costituzionalmente
 legittima in quanto temporanea  e  resa  necessaria  dalla  superiore
 esigenza di garantire l'equilibrio di bilancio.
   In secondo luogo, la difesa delle Ferrovie osserva che il principio
 di   adeguatezza   della  retribuzione,  di  cui  all'art.  36  della
 Costituzione, non puo' essere  formulato  in  riferimento  a  singole
 "voci",  ma  si  deve valutare in "via forfetaria" e sulla base di un
 apprezzamento complessivo della qualita' delle prestazioni effettuate
 dal lavoratore.  Non vi sarebbe percio' violazione dell'art. 36 della
 Costituzione,   in   quanto   il   "blocco"   dell'incremento   della
 retribuzione   per   lavoro   straordinario   era   stato  ampiamente
 compensato,  per  i  ferrovieri,  dalla   notevole   crescita   della
 retribuzione  ordinaria,  si'  che questa doveva ritenersi adeguata e
 sufficiente,  nel  suo  complesso,  come  prevede   la   disposizione
 invocata.   D'altronde,   fermo   il   principio  dell'adeguatezza  e
 sufficienza  della  retribuzione  complessiva,  non  esisterebbe,  ad
 avviso  delle  Ferrovie,  alcuna  norma costituzionale che imponga di
 retribuire il lavoro svolto oltre i limiti  contrattuali  dell'orario
 stabilito, a meno che esso non sia particolarmente gravoso.
   5.  -  E'  intervenuto  in  entrambi  i  giudizi  il Presidente del
 Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  dello
 Stato,  eccependo  preliminarmente l'inammissibilita' della questione
 sollevata dal pretore di Torino. E'  infatti  lo  stesso  rimettente,
 secondo  l'interventore,  a  dichiarare  che  il  compenso per lavoro
 ordinario ha superato l'altro soltanto a partire  dall'ottobre  1994,
 per cui la censura si sarebbe dovuta appuntare sull'art. 3, comma 36,
 della  legge  n.  537 del 1993, il quale ha prorogato fino al 1996 il
 "blocco" previsto dall'art.  7, comma 5, del decreto-legge n. 384 del
 1992.  L'Avvocatura  eccepisce,   altresi',   che   l'interpretazione
 adottata  dal pretore (e sospettata di illegittimita' costituzionale)
 non e' l'unica possibile ne' puo' configurarsi come diritto  vivente.
 In  subordine,  la  difesa  del  Governo conclude per l'infondatezza,
 essendo  l'art.  7,  comma  5,  norma  eccezionale,  giustificata  da
 esigenze di riequilibrio del bilancio statale.
                         Considerato in diritto
   1.  - Il pretore di Torino dubita, in riferimento all'art. 36 della
 Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5,
 del decreto-legge n. 384 del  1992,  convertito,  con  modificazioni,
 nella  legge  14  novembre  1992,  n.  438,  nella  parte  in  cui  -
 precludendo la possibilita' di  corrispondere  aumenti  automatici  -
 consente   che   la   retribuzione   oraria   dovuta  per  il  lavoro
 straordinario sia inferiore a quella per il lavoro ordinario.
   Questione analoga e' sollevata dal pretore  di  Bologna,  il  quale
 peraltro  denuncia  anche  l'art. 3, comma 36, della legge n. 537 del
 1993 che ha prorogato nel tempo l'efficacia  dell'art.  7,  comma  5,
 teste' richiamato.
   2. - La questione sollevata dal pretore di Bologna e' inammissibile
 per  difetto  di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Questa
 Corte  ha  infatti  piu'   volte   affermato   che   la   motivazione
 dell'ordinanza  di  rimessione  deve essere autosufficiente, e non e'
 possibile ricorrere a motivazioni per relationem con rinvio ad  altri
 atti  o  provvedimenti  (sentenze  nn.  79  del  1996 e 451 del 1989;
 ordinanze nn. 411 del 1994, 513 del 1993, 405 del 1991).
   Nel caso di  specie,  il  pretore  ha  motivato  la  non  manifesta
 infondatezza facendo ricorso a tre argomenti:
     la  circostanza  che  analogo  incidente di costituzionalita' era
 gia'  stato  sollevato  dal   pretore   di   Torino      (circostanza
 espressamente  definita  "fatto  che  appare  idoneo  a  far ritenere
 l'eccezione non manifestamente infondata");
     l'affermazione  secondo cui il giudizio di costituzionalita' puo'
 essere compiuto soltanto dalla Corte costituzionale, "una  volta  che
 appaia  prospettabile (...) la possibilita' della lesione dei criteri
 e dei principi" posti dalla norma costituzionale;
     l'affermazione in base alla quale la questione "va sollevata  per
 consentire   ai   difensori   dei   lavoratori   di  poter  sostenere
 adeguatamente  le  ragioni  dell'eccezione  di  fronte   alla   Corte
 costituzionale".
   Le   tre   argomentazioni,   seppure  unitariamente  valutate,  non
 costituiscono adeguata motivazione  del  giudizio  di  non  manifesta
 infondatezza  che  deve  consistere  in  una  sommaria,  ma esaustiva
 prospettazione dei profili di conflitto  fra  la  norma  censurata  e
 quella costituzionale.
   3.  -  Venendo  all'esame  della questione sollevata dal pretore di
 Torino va preliminarmente rigettata l'eccezione  di  inammissibilita'
 avanzata  dall'Avvocatura  dello  Stato, secondo cui il giudice a quo
 avrebbe erroneamente individuato la norma, censurando soltanto l'art.
 7, comma 5, del decreto-legge n. 384 del 1992, e non le norme che  ne
 hanno  prorogato  il  vigore  nel  tempo,  per effetto delle quali la
 vigenza dell'art. 7 e' stata prorogata fino al 31 dicembre 1999 (art.
 3, comma 36, della legge n. 537 del 1993, e art. 1, comma  66,  della
 legge n. 662 del 1996).
   L'eccezione e' infondata.
   Il  pretore  ha  esattamente  riferito,  con  ampia  motivazione, i
 termini della questione: e, cioe', se sia conforme a Costituzione  la
 possibilita'   di   retribuire  il  lavoro  straordinario  in  misura
 inferiore   a   quello   ordinario.   Tale    possibilita',    stando
 all'interpretazione  fatta  propria  dal giudice a quo, e' consentita
 dall'art. 7, comma 5, ovvero dalla norma correttamente individuata ai
 fini della censura. Cio' premesso,  nell'ordinanza  si  osserva  come
 questa   Corte  abbia  ripetutamente  affermato  che  l'eccezione  di
 inammissibilita' per erronea individuazione della norma  va  respinta
 in  tutti i casi in cui il giudice a quo abbia indicato correttamente
 non la disposizione, bensi' la norma cui e'  imputata  la  violazione
 dei  parametri  costituzionali. Il che e' avvenuto nel caso di specie
 (sentenze nn. 310 del 1996, 27 del 1995, 155 del 1992).
   4. - Nel merito la questione non e' fondata.
   La norma censurata dispone  che  "tutte  le  indennita',  compensi,
 gratifiche  ed  emolumenti  di  qualsiasi  genere,  comprensivi,  per
 disposizione di legge o atto amministrativo previsto dalla  legge,  o
 per disposizione contrattuale, di una quota di indennita' integrativa
 speciale  di  cui  alla  legge  27  maggio 1959, n. 324, e successive
 modificazioni, o  dell'indennita'  di  contingenza  prevista  per  il
 settore privato o che siano, comunque, rivalutabili in relazione alla
 variazione  del  costo  della  vita, sono corrisposti per l'anno 1993
 nella stessa misura dell'anno 1992". Questo  tipo  di  norma  non  e'
 ignoto  al nostro ordinamento: in passato, il legislatore aveva fatto
 ricorso, piu' volte, a simili meccanismi di  "blocco"  al  dichiarato
 fine   di   contenere  la  dinamica  salariale  e  prevenire  effetti
 inflazionistici o, come accadde nel 1992,  per  contenere  una  spesa
 pubblica   dai  livelli  esorbitanti,  e  tale  da  porre  a  rischio
 l'equilibrio di bilancio (si vedano l'art.  7, comma 16, della  legge
 22  dicembre  1984, n. 887, e l'art. 6, comma 8, della legge 28 marzo
 1986,  n.  41). Norme simili, nel cui genus rientra quella censurata,
 sarebbero  in  contrasto  con  l'art.  36   della   Costituzione   se
 consentissero   di   retribuire   un'ora   di  lavoro  straordinario,
 notoriamente piu' gravosa, in misura inferiore rispetto a  un'ora  di
 quello ordinario.
   A  tal  riguardo  si deve pero' osservare che, dinanzi a una scelta
 interpretativa suscettibile di determinare un contrasto fra la  norma
 censurata e la Costituzione, l'interprete deve ricercarne una diversa
 che  eviti  il  supposto  conflitto;  e  nel caso di specie l'opzione
 interpretativa del rimettente non era l'unica plausibile.
   Con il decreto-legge n. 384 del 1992 il legislatore si e'  prefisso
 di  contenere  la  spesa  pubblica agendo lungo due direttrici: da un
 lato, impedire la stipulazione di nuovi accordi economici collettivi;
 dall'altro, far cessare la crescita automatica delle retribuzioni per
 effetto dei meccanismi di indicizzazione. Poiche' tale crescita  puo'
 avvenire   in   seguito  a  una  nuova  contrattazione  o  attraverso
 l'indicizzazione, il legislatore ha dunque mirato  a  precludere  sia
 l'una che l'altra.
   Tuttavia,   mentre   l'art.   7,   comma  1,  impeditivo  di  nuove
 contrattazioni, non e' stato prorogato, lo e' stato invece l'art.  7,
 comma  5,  che  si  applichera'  sino  al  31  dicembre 1999. L'esame
 diacronico del "blocco", determinato dalle norme sin  qui  esaminate,
 dimostra  che  il  legislatore  ha  inteso inibire aumenti automatici
 della retribuzione, e non quelli contrattati.
   5. - La  possibilita'  di  "ricontrattare"  la  retribuzione  base,
 consentita  dallo spirare del termine di efficacia dell'art. 7, comma
 1, del decreto-legge n. 384 del 1992, riverbera effetti sul  compenso
 per  lavoro  straordinario. Quest'ultimo e' infatti determinato - nel
 caso dei ferrovieri - applicando una maggiorazione  del  ventuno  per
 cento  ad  alcune  delle  voci  che compongono la "retribuzione base"
 ordinaria, per cui l'aumento di essa ha un effetto di "trascinamento"
 sul compenso per lavoro straordinario. Diversamente argomentando,  si
 perverrebbe   a  equiparare,  quanto  al  trattamento  inibitorio  di
 adeguamenti contrattuali, l'indennita' di contingenza e la paga base:
 esito,  questo,  in  contrasto  con  la  volonta'   manifestata   dal
 legislatore  che  non ha reiterato l'efficacia della norma preclusiva
 di nuove contrattazioni.
   L'art. 7, comma 5, citato, va pertanto interpretato nel  senso  che
 la   norma   ha  riguardo  unicamente  ai  meccanismi  automatici  di
 indicizzazione e soltanto su questi ultimi  ha  prodotto  effetti  di
 "blocco".  In  quei  casi, invece, in cui la dinamica retributiva sia
 agganciata non a voci  indicizzate,  ma  a  voci  contrattate  (come,
 appunto,  nel caso del compenso per lavoro straordinario) la crescita
 di queste, che non e'  vietata  dal  citato  art.  7,  comma  1,  non
 impedisce  neppure la crescita del compenso per lavoro straordinario.
 In questo senso, del resto, si e' consolidata la giurisprudenza della
 Corte di cassazione, formatasi con riferimento a  norme  di  identico
 contenuto rispetto a quella di cui dubita il pretore di Torino.
   La  ritenuta  infondatezza  della censura non tocca, ovviamente, la
 diversa questione circa la validita' di  eventuali  norme,  contenute
 nel  C.C.N.L.  dei  ferrovieri  in  vigore  all'epoca  dei fatti, che
 abbiano derogato all'art. 7, comma 5, del decreto-legge  n.  384  del
 1992,  impedendo crescite (anche contrattate) del compenso per lavoro
 straordinario.