ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di ammissibilita'  del  conflitto  di  attribuzione  tra
 poteri dello Stato sorto a seguito degli artt. 4, comma 2, 7, 28, 31,
 32  e 33, comma 3, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle
 persone  e  di  altri  soggetti  rispetto  al  trattamento  dei  dati
 personali),  promosso  dal  giudice di pace di Scandiano, con ricorso
 depositato il 14 gennaio 1999 ed iscritto  al  n.  106  del  registro
 ammissibilita' conflitti.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 maggio 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto che il giudice  di  pace  di  Scandiano,  nella  veste  di
 coordinatore dell'ufficio, ha sollevato conflitto di attribuzione nei
 confronti  del  Parlamento, in relazione alla legge 31 dicembre 1996,
 n. 675  (Tutela  delle  persone  e  di  altri  soggetti  rispetto  al
 trattamento dei dati personali), per violazione degli artt. 81, primo
 comma,   100,   secondo   comma,   104,  primo  comma,  e  105  della
 Costituzione;
     che il ricorrente, ritenuta la propria legittimazione  attiva  ad
 essere parte del conflitto, "in quanto organo competente a dichiarare
 definitivamente  la  volonta'  del potere cui appartiene", nonche' la
 legittimazione passiva delle Camere del Parlamento  per  il  medesimo
 motivo, lamenta la lesione - derivante dagli artt. 4, comma 2, 7, 28,
 31  e  32 della legge n. 675 del 1996 - della "piena indipendenza che
 gli compete quale organo giurisdizionale" poiche' l'organo  istituito
 dalla  citata  legge  n.  675  del  1996, denominato poi, con decreto
 legislativo correttivo  9  maggio  1997,  n.  123,  "Garante  per  la
 protezione  dei  dati  personali",  dotato  di potere di indagine sui
 magistrati, titolari di uffici giudiziari, e di potere  sanzionatorio
 nei  loro confronti, si sovrapporrebbe "agli organi di controllo e di
 vigilanza   previsti   dalla   Costituzione   nei   confronti   della
 magistratura",  con  violazione  degli  artt. 104, primo comma, e 105
 della Costituzione;
     che il ricorrente censura altresi'  l'art.  33,  comma  3,  della
 stessa  legge  n.  675  del  1996, che violerebbe   l'autonomia della
 magistratura perche', imponendo ai titolari degli  uffici  giudiziari
 "di  fare  un uso improprio dei fondi loro assegnati dallo Stato", li
 obbligherebbe a trasferire al Garante parte dei  medesimi  fondi,  in
 violazione  degli  artt.  81, primo comma, 100, secondo comma, e 104,
 primo comma, della Costituzione;
     che lo stesso  ricorrente,  ricordate  le  definizioni  di  "dato
 personale"  (art.  1,  comma 2, lettera c), di "trattamento" (art. 1,
 comma 2, lettera b) e di "titolare" (art. 1,  comma  2,  lettera  d),
 contenute  nella legge oggetto del ricorso, si duole del fatto che il
 Garante avrebbe autonomi poteri di controllo, indagine e vigilanza su
 qualunque persona fisica e giuridica ("cui competono le decisioni  in
 ordine  alle  finalita'  ed  alle  modalita'  del trattamento di dati
 personali", art. 1, comma 2, lettera d) e quindi anche  sui  titolari
 di  uffici  giudiziari, i quali sarebbero altresi' soggetti ai poteri
 ispettivi di accertamento e di verifica del medesimo Garante, che  si
 avvale  della collaborazione di altri organi dello Stato (carabinieri
 e altre forze di polizia);
     che quindi la legge n. 675  citata,  sottoponendo  il  magistrato
 titolare di ufficio giudiziario alla possibilita' di essere "indagato
 e  sanzionato"  dal Garante nel caso che abbia "omesso" di fornire le
 informazioni e di esibire i documenti da questo richiesti,  lederebbe
 l'indipendenza   degli   organi   giurisdizionali   e   degli  uffici
 giudiziari;
     che infine l'obbligo, derivante  dall'art.  33,  comma  3,  della
 legge,  a  carico  dei magistrati di "effettuare la notifica dei dati
 prevista dagli artt. 7 e 28 allegando la ricevuta del  versamento  di
 L.   25.000"   su   di   un  conto  corrente  intestato  al  Garante,
 confliggerebbe con  l'autonomia  contabile  degli  uffici  giudiziari
 sull'uso delle somme loro assegnate, creando una illegittima gestione
 "fuori-bilancio"  e  distogliendo  i  fondi dell'ufficio dall'uso cui
 sono destinati (spese proprie dell'ufficio); il  tutto  in  contrasto
 con  gli  artt.  81,  primo  comma,  100, secondo comma, e 104, primo
 comma, della Costituzione.
   Considerato che nella presente fase del giudizio, a norma dell'art.
 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  questa
 Corte  e'  chiamata  a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso
 sia ammissibile, nel concorso dei requisiti soggettivi  prescritti  e
 in quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
 alla   sua   competenza,   restando   impregiudicata  ogni  ulteriore
 decisione;
     che,   sotto   il   profilo   soggettivo,    la    giurisprudenza
 costituzionale  e'  costante nel ritenere legittimati ad essere parti
 di conflitti di attribuzione i  singoli  organi  giurisdizionali,  in
 relazione  al  carattere  diffuso  che  contrassegna il potere di cui
 fanno parte e alla loro competenza a  dichiarare  definitivamente  la
 volonta'  del potere cui appartengono, ma limitatamente all'esercizio
 dell'attivita' giurisdizionale (ordinanza n. 87 del 1978),  assistita
 da garanzia costituzionale;
     che,  nel  caso  di  specie,  il  giudice  di  pace ricorrente e'
 manifestamente privo di legittimazione attiva, in  quanto  agisce  in
 qualita'  di "coordinatore" dell'ufficio, alla stregua e con i poteri
 di cui all'art. 15 della legge 21 novembre 1991, n. 374  (Istituzione
 del   giudice   di   pace),   e   non   nell'esercizio   di  funzioni
 giurisdizionali;
     che pertanto il ricorso, per carenza del requisito soggettivo, e'
 inammissibile.