ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dellart. 197  del  codice
 di  procedura  penale,  promosso  con ordinanza emessa il 26 febbraio
 1998 dal tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico  di  I.
 B.,  iscritta  al  n.  807   del registro ordinanze 1998 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  44,  prima   serie
 speciale,
  dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  25  maggio  1999  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che  il  tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento
 agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 102, primo comma,  e  112  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  197
 del  codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in cui parifica la
 posizione del soggetto  gia'  imputato  di  reato  connesso.  o  gia'
 coimputato,  nei  cui  confronti  sia  stata  applicata  la  pena  su
 richiesta ex art.   444  cod.  proc.  pen.,  con  pronuncia  divenuta
 irrevocabile,  al  soggetto  gia'  imputato  di reato connesso o gia'
 coimputato, nei cui  confronti  sia  stata  pronunciata  sentenza  di
 condanna divenuta irrevocabile;
     che  il  tribunale  di  Napoli dubita, sotto altro profilo, della
 conformita'   della   norma   censurata   agli   evocati    parametri
 costituzionali,  in  quanto  la  previsione di "incompatibilita'" con
 l'ufficio di testimone, in collegamento con  l'art.  513  cod.  proc.
 pen., non consentirebbe che sia data lettura, in difetto del consenso
 delle  parti, delle dichiarazioni rese dal coimputato o dall'imputato
 di reato connesso che, esaminato ex art.  210  cod.  proc.  pen.,  si
 avvalga della facolta' di non rispondere;
     che  ad avviso del giudice rimettente il divieto probatorio posto
 dall'art. 197 cod.  proc.  pen.,  costituendo  una  forma  di  tutela
 dell'attendibilita'  e  genuinita' della prova, sarebbe assolutamente
 ingiustificato con riferimento al soggetto che ha definito la propria
 posizione processuale ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., poiche'
 la richiesta di applicazione della pena e' una forma di ammissione di
 responsabilita' da parte dell'imputato,  il  quale  implicitamente  e
 volontariamente rinuncerebbe alla presunzione di non colpevolezza e a
 far valere eccezioni o pretese;
     che  gli  artt.  3, 24 e 112 della Costituzione sarebbero inoltre
 violati   in   quanto,   per   effetto   della    estensione    della
 incompatibilita'  con  l'ufficio  di  testimone  al  soggetto nei cui
 confronti sia stata emessa sentenza ex art. 444 cod. proc.  pen.,  le
 parti   private,   mediante   il  dissenso  alla  acquisizione  delle
 dichiarazioni in precedenza rese, ovvero, alternativamente, la  parte
 pubblica,  con  l'insindacabile  scelta  di  procedere separatamente,
 disponendo della prova finirebbero  per  disporre  anche  dell'azione
 penale;
     che  in  tal  modo  non  solo si determinerebbe una irragionevole
 disparita' di trattamento tra chi sia raggiunto solo da una fonte  di
 prova  "disponibile"  e  chi,  invece, da altri elementi di prova non
 disponibili, ma sarebbe anche compromesso l'effettivo esercizio della
 giurisdizione penale ed eluso  il  fine  primario  del  processo  che
 consiste nella ricerca della verita';
     che  inoltre  la  disposizione censurata si porrebbe in contrasto
 con gli artt. 3, 24, 25  e  102  Cost.  in  quanto,  in  mancanza  di
 consenso   di   alcuno   degli   imputati  alla  utilizzazione  delle
 dichiarazioni  precedentemente  rese  dal  soggetto  cui  sia   stata
 applicata  la  pena  con  sentenza  divenuta  irrevocabile  e  che in
 dibattimento si sia avvalso della facolta' di non rispondere, sarebbe
 irragionevolmente leso il diritto di difesa degli imputati  che  tale
 consenso abbiano, invece, prestato: anche nei confronti di costoro la
 valenza  di  tali dichiarazioni dovrebbe, infatti, essere depurata da
 riferimenti a fatti o a contesti relativi alle altre  posizioni,  con
 la  conseguenza  che  verrebbero  ad  essere svuotati di contenuto il
 diritto di azione, in particolare delle vittime  del  delitto,  ed  i
 principi  di  indefettibilita'  della giurisdizione e di legalita', i
 quali postulano che la garanzia del giusto processo non impedisca  al
 giudice  di  conoscere  il  fatto-reato e di attuare il suo dovere di
 applicare la legge;
     che la questione risulta sollevata nel corso del dibattimento  in
 relazione  alle  dichiarazioni rese, in una precedente udienza, da un
 soggetto che aveva riferito sui rapporti intercorsi tra se  medesimo,
 un altro soggetto e l'imputato del giudizio a quo;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione venga dichiarata manifestamente
 infondata, in quanto il divieto posto  dalla  disposizione  impugnata
 che  discenderebbe  dalla situazione di "coinvolgimento" nel processo
 del soggetto che si vuole assumere come testimone, troverebbe ragione
 anche in relazione alla posizione del soggetto che ha definito la sua
 situazione processuale con  sentenza  di  patteggiamento,  attesa  la
 equiparazione,   a  tutti  gli  effetti  non  esplicitamente  esclusi
 dall'art. 445 cod. proc. pen., di tale  pronuncia  alla  sentenza  di
 condanna.
   Considerato   che   dall'ordinanza   non   risulta  individuata  la
 situazione processuale in relazione alla quale  assume  rilevanza  la
 disposizione censurata;
     che,  infatti,  il  tribunale  rimettente  omette  di chiarire se
 l'imputato di reato connesso, nei cui confronti e'  stata  emessa  la
 sentenza  di  applicazione  della  pena divenuta irrevocabile, sia il
 soggetto indicato come colui che ha gia' reso tali  dichiarazioni  in
 dibattimento,   ovvero   il   soggetto   a  cui  in  quelle  medesime
 dichiarazioni si fa riferimento, ma del quale in  nessun  modo  viene
 indicata la posizione processuale, e del quale neppure e' chiarito se
 sia  stato  sentito  o  se  si  sia  avvalso della facolta' di non di
 rispondere;
     che, in definitiva, dall'ordinanza  di  rimessione  non  e'  dato
 desumere  se  e quando sia stato esaminato il dichiarante al quale si
 vorrebbe estendere il trattamento dei testimoni, ne' se,  non  avendo
 egli  risposto,  vi sia stato dissenso delle parti alla utilizzazione
 delle sue precedenti dichiarazioni;
     che, inoltre, non e' dato comprendere se oggetto della  questione
 concernente  le  dichiarazioni  rese  dall'imputato di reato connesso
 siano le regole per l'acquisizione, ovvero il regime di utilizzazione
 e di valutazione, di tali dichiarazioni;
     che  pertanto   la   questione   va   dichiarata   manifestamente
 inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.