ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio promosso con ricorso del  tribunale  di  Roma  sez.  10a
 penale, notificato il 13 luglio 1998, depositato in cancelleria il 17
 successivo,  per  conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato
 sorto a seguito della delibera  della  Camera  dei  deputati  del  22
 ottobre  1997,  con  la  quale e' stata dichiarata l'insindacabilita'
 delle opinioni espresse dall'on. Tiziana Parenti  nei  confronti  del
 dott. Paolo Ielo, ed iscritto al n. 20 del registro conflitti 1998;
   Visto  l'atto  di  costituzione  della  Camera dei deputati nonche'
 l'atto di intervento del dott. Paolo Ielo;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1998 il giudice relatore
 Cesare Mirabelli;
   Udito l'avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.
                           Ritenuto in fatto
   Il tribunale di Roma ha proposto -  con  ordinanza  emanata  il  23
 gennaio  1998  nel corso di un giudizio penale promosso nei confronti
 dell'on. Tiziana Parenti per il reato di diffamazione a mezzo  stampa
 in   danno  del    dott.  Paolo  Ielo  -  ricorso  per  conflitto  di
 attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della  Camera  dei
 deputati   chiedendo  l'annullamento  della  deliberazione,  adottata
 dall'Assemblea  nella  seduta  del  22  ottobre 1997, con la quale e'
 stata dichiarata l'insindacabilita' di dichiarazioni rese alla stampa
 dalla stessa parlamentare e per le quali si procedeva penalmente.
   Il tribunale di Roma ritiene  che  la  Camera  dei  deputati  abbia
 illegittimamente    esercitato    il    proprio   potere,   valutando
 arbitrariamente  il  presupposto  del  collegamento  delle   opinioni
 espresse dall'on. Parenti con la funzione parlamentare; chiede quindi
 che  si  dichiari  che  non spettava alla Camera la valutazione della
 condotta  attribuita  alla  parlamentare,  in  quanto  estranea  alla
 previsione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   Le  critiche che l'on. Parenti avrebbe rivolto alle motivazioni con
 le  quali  il  sostituto  procuratore  della  Repubblica  presso   il
 tribunale  di Milano, dott. Ielo, aveva chiesto l'archiviazione di un
 procedimento penale, conterrebbero apprezzamenti  sulla  correttezza,
 professionalita'   ed   onesta'  nella  conduzione  di  un  specifica
 inchiesta penale  istruita  in  passato  dalla  stessa  parlamentare.
 Queste   dichiarazioni   non  sarebbero  state  rese  nell'ambito  di
 un'attivita' parlamentare  tipica,  ne'  in  una  occasione  connessa
 all'attivita'  parlamentare  tipica,  mentre costituirebbero, invece,
 critiche mosse nell'ambito di una polemica  tra  un  parlamentare  ex
 magistrato ed un magistrato.
   Ad  avviso  del  tribunale  ricorrente,  anche  se  si seguisse una
 interpretazione ampia dell'art. 68 della Costituzione,  nel  caso  in
 esame  non  si  tratterebbe di opinioni espresse nell'esercizio delle
 funzioni parlamentari, bensi' di affermazioni  prive  di  retroterra,
 finalita'  e  addentellati  parlamentari  o  politici.  La Camera dei
 deputati, deliberando  l'insindacabilita'  di  queste  dichiarazioni,
 avrebbe  esercitato  illegittimamente  il  proprio  potere ed avrebbe
 valutato  arbitrariamente  il  presupposto  del  collegamento   delle
 opinioni  espresse  con la funzione parlamentare. In tal modo sarebbe
 stato leso il  potere  di  esercitare  le  funzioni  giurisdizionali,
 costituzionalmente  garantite,  impedendo  al  tribunale  di  Roma di
 decidere nel merito delle  imputazioni  mosse  all'on.  Parenti.  Per
 porre  rimedio a tale lesione, il tribunale ha sollevato conflitto di
 attribuzione.
   2. - Nel giudizio preliminare di delibazione in camera di consiglio
 (art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87)  il
 conflitto  e'  stato  dichiarato ammissibile (ordinanza n. 254 del 30
 giugno 1998).
   Dopo l'avvenuta notifica alla Camera dei  deputati,  il  13  luglio
 1998, ed il deposito in cancelleria, il 17 luglio 1998, il ricorso e'
 stato  pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  38 -
 prima serie speciale - del 23 settembre 1998.
   3. - Si e' tempestivamente costituita in  giudizio  la  Camera  dei
 deputati, chiedendo che il ricorso sia rigettato.
   La  Camera  avrebbe  esercitato  correttamente le sue attribuzioni,
 agendo nei limiti delle proprie funzioni e senza estendere  in  alcun
 modo  l'area  di insindacabilita' prevista dall'art. 68, primo comma,
 della Costituzione.
   Dovendosi considerare insindacabili le opinioni espresse  non  solo
 all'interno   della   Camera,   ma   nell'esercizio   delle  funzioni
 parlamentari, solo l'Assemblea di  appartenenza  potrebbe  stabilire,
 nei singoli casi, se si siano ecceduti i limiti delle funzioni cui il
 singolo  parlamentare  e'  legittimato  in forza del mandato ricevuto
 dagli elettori.
   Spetterebbe  soltanto  alla  Camera di appartenenza individuare, in
 concreto, i  limiti  nei  quali  il  parlamentare  si  deve  attenere
 nell'esercizio  del suo mandato, e questa valutazione potrebbe essere
 superata solo in caso di manifesta arbitrarieta'.
   In relazione al fatto addebitato all'on. Parenti, la  deliberazione
 adottata  dalla  Camera non sarebbe implausibile o arbitraria, ne' vi
 sarebbe stato eccesso dalle funzioni parlamentari. La relazione della
 Giunta per le autorizzazioni a procedere avrebbe, difatti,  esaminato
 in  modo  approfondito  i  termini  nei  quali  si era espressa l'on.
 Parenti,  rilevando  che  le  sue  dichiarazioni  rientravano  in  un
 contesto  politico  e nell'esercizio delle funzioni parlamentari:  si
 sarebbe trattato di una critica nei confronti del potere giudiziario,
 che in quel lasso di tempo aveva dato adito a censure svolte anche in
 sede parlamentare circa il  corretto  uso  dei  poteri  di  indagine,
 rivolti  spesso  verso determinate fazioni o partiti politici e senza
 intaccare altre aree politiche.
   La diffusione degli apprezzamenti espressi attraverso  i  mezzi  di
 informazione  non  comporterebbe  un  eccesso  rispetto  al  corretto
 esercizio del mandato parlamentare, che, in quanto mandato  politico,
 va  svolto  anzitutto  parlando,  anche  attraverso  gli strumenti di
 comunicazione sociale, a coloro che  l'hanno  conferito,  cioe'  agli
 elettori ed al popolo cui appartiene la sovranita'.
   La  funzione  parlamentare  di controllo e di indirizzo politico si
 svolgerebbe anche attraverso  le  critiche  ritenute  necessarie  per
 migliorare  il  funzionamento  delle  istituzioni. Questa funzione di
 controllo deve poter essere svolta in piena indipendenza,  altrimenti
 risulterebbe   impedita,  perche'  se  venisse  meno  l'immunita'  il
 parlamentare sarebbe portato ad astenersi.
   L'on. Parenti, con le sue critiche, avrebbe  inteso  difendere  una
 fondamentale   istanza   di   giustizia   ed   il  suo  comportamento
 rientrerebbe  nell'esercizio  del  mandato  politico   insindacabile,
 diretto a riaffermare l'istanza di una giustizia uguale per tutti.
   4.  -  Il  dott.  Paolo Ielo ha depositato, il 18 novembre 1998, un
 atto di intervento, chiedendo preliminarmente che esso  sia  ritenuto
 ammissibile,  nonostante  si  tratti di un giudizio per conflitto tra
 poteri dello Stato, in quanto l'intervento e' proposto  dal  soggetto
 che e' parte nel processo pregiudicato dal conflitto.
   La  parte  privata intenderebbe, attraverso l'intervento, difendere
 un suo bene giuridico fondamentale, la dignita'  e  l'onore  lesi  da
 espressioni    ritenute   diffamatorie,   la   cui   tutela   sarebbe
 irrimediabilmente compressa dalla dichiarazione di  insindacabilita'.
 L'intervento  adesivo del terzo, che non e' parte "costituzionale" ma
 e' parte del processo penale ed  ha  interesse  nella  contestazione,
 dovrebbe  essere  ammesso in base al regolamento di procedura innanzi
 al Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (art.  37  del  regio
 decreto  17  agosto  1907,  n. 642), al quale rinviano le norme sulla
 Costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale (art.  22
 della legge 11 marzo 1953, n.  87).
   Nel  merito la parte privata sostiene che le dichiarazioni dell'on.
 Parenti sono estranee alla funzione parlamentare, essendo inserite in
 una polemica tra un  ex  magistrato  ed  un  magistrato.  Inoltre  la
 deliberazione della Camera dei deputati difetterebbe di motivazione e
 sarebbe    viziata    da   sviamento   del   potere   di   dichiarare
 l'insindacabilita'.
   5.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  difesa  della Camera dei
 deputati  ha  depositato  una  memoria  per   sostenere,   anzitutto,
 l'inammissibilita'   dell'intervento   del  dott.  Ielo,  perche'  il
 giudizio per conflitto di attribuzione riguarda  solamente  sfere  di
 potesta'  costituzionali  e non gli interessi di un privato, sia esso
 pure il querelante o la parte civile nel giudizio pendente dinanzi al
 tribunale  che  ha  sollevato  il  conflitto.  Ne'  potrebbe  trovare
 applicazione  l'art.    37  del  regolamento  di procedura innanzi al
 Consiglio di Stato, che ammette l'intervento di chi ha  un  interesse
 nella  contestazione,  perche' nel processo amministrativo le parti e
 gli intervenienti sono portatori  di  interessi  propri,  mentre  nei
 conflitti  di  attribuzione  si  discute  di  sfere  di potesta' e di
 funzioni determinate  da  norme  costituzionali.  La  qualita'  degli
 interessi  di  cui  sono  portatori i soggetti legittimati ad agire e
 resistere in  giudizio  escluderebbe  che  possano  essere  presi  in
 considerazione  atti di intervento di singoli individui. In ogni caso
 l'intervento del dott. Ielo sarebbe tardivo, perche' depositato  dopo
 la  scadenza  dei  termini previsti dall'art. 37, quinto comma, della
 legge n. 87 del 1953, che rinvia agli artt. 23, 25 e 26 della  stessa
 legge.
   Nel  merito  la  difesa  della  Camera dei deputati sostiene che la
 funzione ispettiva del parlamentare puo' consistere in  una  pubblica
 denuncia,  senza  che  questa  debba  assumere  particolari forme per
 rientrare nell'area dell'insindacabilita': e' sufficiente che rimanga
 nei limiti del  controllo  che  il  rappresentante  del  popolo  puo'
 esercitare,  specialmente  attraverso la pubblica denuncia dei fatti,
 sull'attivita' degli altri poteri  dello  Stato.  Se  si  negasse  la
 legittimita'  di queste denunce, verrebbe meno uno degli aspetti piu'
 significativi  del  mandato  politico,  che  esprime   rappresentanti
 interposti  tra  la  comunita'  e  gli  apparati, con una funzione di
 cerniera,  tale  da  assicurare  la  continuita'  del   collegamento,
 indispensabile    per   dare   reali   contenuti   alle   istituzioni
 democratiche.
   Se il parlamentare non potesse denunciare all'opinione pubblica che
 l'iniziativa per  l'azione  penale  di  un  determinato  ufficio  del
 pubblico  ministero  gli  risulta  orientata  in una certa direzione,
 verrebbe  meno  una  garanzia  reale  di  buon  funzionamento   della
 giustizia,  sotto  il  profilo  dell'imparzialita'  e  dell'effettivo
 esercizio dell'azione penale.   L'on. Parenti avrebbe  esercitato  il
 diritto di ogni parlamentare di criticare le disfunzioni di qualsiasi
 tipo di istituzione, denunciando, nell'ambito dell'attivita' politica
 condotta  sui  temi  della giustizia nel corso della sua attivita' di
 deputato, la unidirezionalita' delle iniziative  di  una  determinata
 procura.    Inoltre l'unica condizione per l'insindacabilita' sarebbe
 costituita dall'accertamento, da parte della Camera di  appartenenza,
 della   riferibilita'   del   comportamento  del  proprio  componente
 all'esercizio delle  attribuzioni  del  potere  legislativo  e  della
 funzione  parlamentare; questa non si risolve solo negli atti tipici,
 giacche' l'attivita' del parlamentare sarebbe libera  nel  fine,  non
 essendo  configurabili a priori scopi e forme degli interventi che di
 volta in volta l'esercizio del mandato politico possa richiedere.  La
 Giunta per le autorizzazioni a procedere avrebbe posto  in  evidenza,
 nella  sua  motivata relazione approvata dall'Assemblea, che l'azione
 svolta  dall'on.  Parenti va inquadrata nell'esercizio della funzione
 parlamentare di controllo, trattandosi di una  critica  politica  nei
 confronti  del potere giudiziario circa il corretto uso del potere di
 indagine.
                         Considerato in diritto
   1. - Il conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato  riguarda
 la  deliberazione  con  la quale la Camera dei deputati, nella seduta
 del 22 ottobre 1997, ha dichiarato che i fatti per  i  quali  era  in
 corso  il procedimento penale dinanzi al tribunale di Roma concernono
 opinioni espresse dalla parlamentare Tiziana  Parenti  nell'esercizio
 delle  sue  funzioni  e quindi coperte dall'insindacabilita' prevista
 dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   Il tribunale di Roma ritiene  che  questa  deliberazione  violi  la
 sfera  di  attribuzioni  del  potere  giurisdizionale,  giacche'  non
 spettava alla Camera  dei  deputati  la  valutazione  della  condotta
 attribuita  all'on. Parenti. Difatti le dichiarazioni per le quali si
 procedeva  penalmente,  con  l'imputazione   di   diffamazione,   non
 sarebbero  state rese nell'ambito di un'attivita' parlamentare tipica
 ne' in occasione di un'attivita' connessa all'attivita'  parlamentare
 tipica:  la Camera dei deputati avrebbe fatto un uso non corretto del
 proprio   potere   di    dichiararne    l'insindacabilita',    avendo
 arbitrariamente   valutato  il  presupposto  del  collegamento  delle
 opinioni espresse con la funzione  parlamentare.  Di  conseguenza  il
 tribunale  ricorrente  chiede  che  sia annullata la deliberazione di
 insindacabilita' adottata dalla Camera.
   2. - L'intervento del dott. Paolo Ielo e' irricevibile.
   Difatti, ancor prima di valutare se  possa  essere  legittimato  ad
 intervenire  nel  giudizio  per  conflitto di attribuzione tra poteri
 dello Stato un soggetto che non rivesta tale qualita', ma che  assuma
 di  essere  titolare  di  una  situazione  giuridica  che puo' essere
 pregiudicata dalla decisione del conflitto, e' da rilevare che l'atto
 con il quale il dott. Ielo  e'  intervenuto  nel  giudizio  e'  stato
 depositato  tardivamente,  il  18  novembre  1998,  oltre  i  termini
 previsti dalle norme che disciplinano il giudizio dinanzi alla  Corte
 costituzionale  (art.  25  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87, cui
 espressamente rinvia, per i giudizi sui conflitti  tra  poteri  dello
 Stato, l'art. 37 della stessa legge).
   3. - Il ricorso proposto dal tribunale di Roma non e' fondato.
   L'art.  68,  primo comma, della Costituzione, nello stabilire che i
 membri del Parlamento "non possono essere chiamati a rispondere delle
 opinioni  espresse",   prevede   una   immunita'   ma   ne   delimita
 immediatamente    la   estensione,   restringendola   alle   opinioni
 manifestate dai parlamentari "nell'esercizio  delle  loro  funzioni".
 Tale  prerogativa  non  costituisce una condizione della persona, sia
 essa  pure  investita  delle  piu'  elevate  funzioni  elettive,  che
 conferiscono  la  rappresentanza  della  Nazione  (art. 67 Cost.); se
 cosi' fosse vi sarebbe incoerenza con il principio  fondamentale  che
 afferma  la pari dignita' di tutti ed esclude ogni diseguaglianza tra
 cittadini basata su condizioni personali e sociali  (art.  3  Cost.).
 L'immunita'  si caratterizza, invece, come una oggettiva garanzia per
 l'esercizio delle funzioni parlamentari, espressione  di  sovranita',
 da  svolgere senza remore o vincoli da parte di chi ne sia investito,
 in modo da assicurare la liberta' politica del  Parlamento  (sentenza
 n. 379 del 1996).
   Il  divieto di chiamare a rispondere i membri del Parlamento per le
 opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni non si  atteggia
 dunque come un privilegio personale, ma configura una garanzia per il
 libero esercizio della funzione parlamentare. Ma perche' la immunita'
 non  si  trasformi,  da  esenzione  da  responsabilita'  legata  alla
 funzione, in condizione personale, essa deve trovare  il  suo  limite
 nella  stessa  ragione che la giustifica: l'atto o le opinioni per le
 quali non si puo'  essere  chiamati  a  rispondere  devono  integrare
 manifestazioni  dell'esercizio di funzioni parlamentari, le quali non
 si estrinsecano in  ogni  attivita',  sia  essa  pure  politica,  del
 soggetto  titolare  di quelle funzioni (sentenze n. 375 del 1997 e n.
 289 del 1998).
   Cio' implica e presuppone come  indispensabile,  perche'  immunita'
 possa  esservi, il collegamento tra la manifestazione dell'opinione e
 la funzione parlamentare; collegamento che se non dipende da  criteri
 formali, propri dell'atto nel quale la opinione si manifesta, d'altro
 lato  non  sussiste  per  ogni  dichiarazione, giudizio o critica che
 abbia una connotazione politica  (da  ultimo,  sentenza  n.  329  del
 1999).
   Il discrimine tra i giudizi e le critiche che anche il parlamentare
 manifesta  nel  piu'  esteso  ambito  dell'attivita' politica, per le
 quali non vale l'immunita', e le opinioni coperte da  tale  garanzia,
 e'  dunque  costituito  dalla  inerenza  delle opinioni all'esercizio
 delle funzioni parlamentari.
   4.  -  Nel  valutare  la  inerenza  all'esercizio  delle   funzioni
 parlamentari delle dichiarazioni per le quali  l'on. Parenti e' stata
 chiamata  a  rispondere penalmente, la Giunta per le autorizzazioni a
 procedere in giudizio ha messo in evidenza, nella  relazione  scritta
 il  cui  contenuto  e'  stato  ribadito in Assemblea dal relatore, il
 complessivo contesto parlamentare nel quale erano  state  manifestate
 le  espressioni  di  critica  nei confronti del potere giudiziario in
 relazione all'uso dei poteri  di  indagine.  E'  stato  in  tal  modo
 sottolineato che la dichiarazione dell'on. Parenti e' stata enunciata
 nel  corso di un dibattito politico, anche in replica all'attacco che
 le era stato recato, in sede di Commissione  parlamentare  antimafia,
 nella  sua  qualita' di presidente di quella Commissione. Circostanze
 queste  che  hanno  fatto  non   irragionevolmente   considerare   le
 dichiarazioni  dell'on.  Parenti come rientranti nell'esercizio delle
 funzioni  proprie  della   parlamentare.   Sussistendo,   quindi,   i
 presupposti  previsti dall'art.  68, primo comma, della Costituzione,
 spettava alla Camera dichiararne la insindacabilita'.