ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito del potere del Consiglio superiore della magistratura di deliberare provvedimenti di decadenza e dispensa per i giudici di pace, promosso dal giudice di pace di Scandiano, con ricorso depositato il 4 maggio 1999 ed iscritto al n. 117 del registro ammissibilita' conflitti. Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 1999 il giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto che il giudice di pace di Scandiano, quale coordinatore dell'ufficio, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento, nelle persone dei Presidenti pro-tempore della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per violazione degli artt. 24, 101, 102 e 105 della Costituzione, in relazione all'art. 9, comma 3, della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), nella parte in cui prevede che "i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 (decadenza e dispensa dal servizio dei giudici di pace) sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura."; che il ricorrente ritiene sussistere la propria legittimazione attiva ad essere parte del conflitto quale "organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene", e ancora che egli per lo stesso motivo ritiene sussistere la legittimazione passiva del Parlamento; che ad avviso del giudice di pace di Scandiano dal combinato disposto degli artt. 24, 101 e 102 della Costituzione e dell'art. 1 dell'Ordinamento giudiziario si evincerebbe che le attribuzioni di ciascun organo giudiziario derivano, "non solo genericamente, ma specificatamente", dalla Costituzione, e che l'ufficio giudiziario dovrebbe esercitare effettivamente la sua funzione, essendo essa indefettibile e dovendo dare tutela ai diritti ed agli interessi legittimi; che il ricorrente lamenta la lesione delle sue attribuzioni operata dalla disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 9 della legge n. 374 del 1991, in particolare osservando che il Consiglio superiore della magistratura, con le sue deliberazioni in materia, esercita un potere di decadenza dei giudici di pace non compreso fra quelli indicati dall'art. 105 della Costituzione; che il giudice di pace coordinatore di Scandiano assume che il Parlamento, avendo inserito nel terzo comma dell'art. 9 cit. le parole: "previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura", avrebbe conferito a tale organo un potere "che va oltre quelli tassativamente previsti dall'art. 105 della Costituzione", ed avrebbe in tal modo attribuito ai provvedimenti del Consiglio un carattere decisionale e non semplicemente propositivo, "con modalita' che portano alla paralisi dell'attivita' di organi giurisdizionali e conseguentemente alla violazione di attribuzioni costituzionalmente garantite"; che secondo il ricorrente la lesione si sarebbe in concreto verificata in quanto il Consiglio superiore della magistratura, con deliberazione del 17 febbraio 1999 - senza aver considerato l'art. 2 del d.-l. 1 febbraio 1999, n. 16, convertito dalla legge 1 aprile 1999, n. 84 (che ha disposto che i giudici di pace in servizio alla data di entrata in vigore del d.-l. continuino ad esercitare le loro funzioni sino alla nomina di altro giudice o alla loro conferma, in esito alle procedure previste dalla legge) -, ha dichiarato la decadenza dall'ufficio dello stesso coordinatore, per raggiunti limiti di eta'; che il giudice di pace di Scandiano, in conclusione, chiede alla Corte di voler dichiarare l'incostituzionalita' dell'art. 9, terzo comma, della legge n. 374 del 1991, nella parte in cui prevede la "previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura", per violazione dell'art. 105 della Costituzione. Considerato che le modifiche apportate all'art. 9 della legge n. 374 del 1991 dall'art. 7 della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace. Delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace e modifica dell'art. 593 del codice di procedura penale) non influiscono sulla materia del presente conflitto; che nella presente fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte e' chiamata a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso per conflitto di attribuzione sia ammissibile, nel concorso dei requisiti soggettivi prescritti e in quanto esista la materia di un conflitto la cui decisione appartenga alla sua competenza, restando impregiudicata ogni altra decisione; che, sotto il profilo soggettivo, questa Corte ha piu' volte affermato come i singoli organi giurisdizionali siano legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, ma che tale legittimazione sussiste limitatamente all'esercizio dell'attivita' giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale (ordinanze nn. 244 e 340 del 1999); che nel caso di specie il ricorrente e' manifestamente privo della legittimazione attiva, in quanto agisce quale "coordinatore" dell'ufficio, secondo quanto dispone l'art. 15 della legge 21 novembre 1991, n. 374, e non nell'esercizio di funzioni giurisdizionali; che percio' il ricorso e' inammissibile per carenza del requisito soggettivo.