ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
 sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati in  data  25
 giugno  1998  relativa  alla insindacabilita' delle opinioni espresse
 dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti della dott.ssa Gemma Cotti
 Cometti, promosso con atto del Tribunale di Bergamo, notificato il  3
 maggio  1999,  depositato in Cancelleria il 19 successivo ed iscritto
 al n. 18 del registro conflitti 1999.
   Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1999 il giudice relatore
 Piero Alberto Capotosti;
   Udito l'avv. Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il Tribunale di Bergamo, II sezione penale, ha proposto -  con
 ordinanza  in  data  8  ottobre  1998,  nel  corso di un giudizio nei
 confronti del deputato Vittorio Sgarbi per il reato  di  diffamazione
 aggravata  in  danno  della dr.ssa Gemma Cotti Cometti - conflitto di
 attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della  Camera  dei
 deputati,  chiedendo  l'annullamento  della  deliberazione,  adottata
 dall'Assemblea nella seduta del 25 giugno 1998, con la quale e' stata
 dichiarata   l'insindacabilita'   delle   dichiarazioni   rese    dal
 parlamentare.
   1.1.  -  Il  Tribunale  di  Bergamo premette che si procede in sede
 penale  nei  confronti  del   deputato   Vittorio   Sgarbi   per   le
 dichiarazioni   da   lui   rese   nel  corso  del  programma  "Sgarbi
 quotidiani", trasmesso dall'emittente televisiva  Canale  5,  con  le
 quali  egli  avrebbe  affermato  che  la dott.ssa Cotti Cometti aveva
 "prosciolto il magistrato Romeo Simi De Burgis con sentenza resa  per
 mero  favoritismo verso il collega, ''per solidarieta''' nella logica
 della  ''tutela  reciproca''  e  ''nel  clima  in   cui   i   giudici
 proteggevano  i  giudici'', contrapponendo alla stessa dott.ssa Cotti
 Cometti  il   sostituto   procuratore   dott.   Francesco   Piantoni,
 strumentalmente presentato come "paladino della giustizia giusta" per
 aver proposto appello contro tale sentenza".
   Ad  avviso  del  Tribunale  non esisterebbe nessuna connessione tra
 dette dichiarazioni e l'attivita' parlamentare del deputato  Vittorio
 Sgarbi  e,  quindi, mancherebbe il nesso funzionale tra le prime e la
 seconda che, secondo la giurisprudenza di questa  Corte,  costituisce
 condizione  dell'insindacabilita'  delle  opinioni ai sensi dell'art.
 68, primo  comma,  della  Costituzione.  In  tal  senso,  secondo  il
 Collegio,  avrebbe  particolare  importanza  la considerazione che il
 nesso  funzionale  e'  stato  escluso  dalla  stessa  Giunta  per  le
 autorizzazioni a procedere, che ha proposto di dichiarare che i fatti
 per  i  quali  e'  in  corso  il  procedimento  penale non concernono
 opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
 funzioni. In particolare, la Giunta aveva sottolineato che, "anche ad
 ammettere la possibile partecipazione  alla  trasmissione  televisiva
 nella  duplice qualita' di parlamentare e di conduttore" tuttavia nel
 caso in  esame  il  deputato  Vittorio  Sgarbi  "aveva  mosso  accuse
 specifiche  gratuite ed immotivate, non suffragate da alcun riscontro
 e senza alcun rilevante collegamento  con  l'attivita'  parlamentare.
 Nel  corso  della  trasmissione,  infatti, egli, senza alcun concreto
 riferimento al dibattito politico in atto  sulla  Giustizia,  si  era
 limitato  a dare lettura di brani estrapolati" da un libro, nel quale
 erano contenute affermazioni riguardanti la dott.ssa  Cotti  Cometti,
 che  apparivano  gravi  e  da "riportare a intenti polemici del tutto
 avulsi dalla funzione parlamentare, anche se latamente intesa".
   1.2. - Secondo il Tribunale, la delibera sarebbe viziata in quanto,
 nel  respingere  la   motivata   proposta   della   Giunta   per   le
 autorizzazioni  a  procedere,  la  Camera non avrebbe considerato che
 l'insindacabilita'  non  riguarderebbe  tutta  l'attivita'   politica
 svolta  dal  parlamentare, pena la vanificazione del nesso funzionale
 stabilito dall'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione  ed  "il
 rischio  di  trasformare la prerogativa in privilegio personale". Nel
 caso in esame, a suo  avviso,  le  dichiarazioni  rese  dal  deputato
 costituirebbero  meri  apprezzamenti personali espressi, alla stregua
 di un qualunque privato cittadino, in riferimento ai protagonisti  di
 una  specifica  vicenda  giudiziaria.    Inoltre, anche ritenendo che
 l'insindacabilita' possa concernere opinioni  espresse  al  di  fuori
 delle  Camere,  la  partecipazione del parlamentare alla trasmissione
 televisiva comunque  non  configurerebbe  un'attivita'  riconducibile
 all'esercizio   delle   funzioni  parlamentari.     Infatti,  precisa
 testualmente l'ordinanza, egli e' intervenuto alla trasmissione quale
 "conduttore/entertainer  di  un   programma   televisivo   denominato
 ''Sgarbi  quotidiani'',  nel  corso  del quale egli aveva l'obbligo -
 sulla  base  di  uno  specifico  contratto  stipulato  con  la   Reti
 Televisive  Italiane  S.p.a. cui fa capo ''Canale 5'' - di commentare
 ed esprimere le proprie opinioni su  argomenti  di  attualita'  e  su
 quanto  riportato  dalla  stampa  in generale", sicche', sottolineano
 ancora testualmente i giudici, "poiche'  per  tali  prestazioni  era,
 altresi',  contrattualmente  prevista  una determinata retribuzione",
 dovrebbe ritenersi che egli ha partecipato  alla  trasmissione  quale
 privato cittadino.
   2.   -  Nel  giudizio  preliminare  di  delibazione  in  camera  di
 consiglio, il conflitto e' stato dichiarato ammissibile (ordinanza n.
 130 del 16 aprile 1999).
   Dopo l'avvenuta notifica alla Camera  dei  deputati,  il  3  maggio
 1999,  ed  il deposito in cancelleria, il 19 maggio 1999, l'ordinanza
 e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  33,
 prima serie speciale, del 18 agosto 1999.
   3. - La  Camera  dei  deputati  si  e'  ritualmente  costituita  in
 giudizio, chiedendo che il conflitto sia dichiarato infondato.
   Secondo  la  difesa  della  Camera,  lo  stesso capo di imputazione
 formulato  nei  confronti  del  parlamentare  dimostrerebbe  che   le
 dichiarazioni   da  lui  rese  non  riguardano  vicende  private,  ma
 costituiscono  oggetto  della  denuncia  di  un   fatto   costituente
 esercizio  di  funzione pubblica, nella specie giudiziaria, sul quale
 il controllo parlamentare, anche sotto forma  di  pubblica  denunzia,
 non  puo'  ritenersi interdetto.  Il deputato, con riferimento ad una
 vicenda   giudiziaria,   si   sarebbe    limitato    ad    apprezzare
 l'atteggiamento   del   P.m.  ed  a  criticare  quello  del  giudice,
 formulando una critica che, ad avviso della Camera, "non  era  andata
 oltre la media delle cose".
   Secondo  la  resistente,  la  condotta del deputato Vittorio Sgarbi
 risulta chiarita dalla discussione in Assemblea  e,  in  particolare,
 dall'intervento  del deputato Michele Saponara, specie nella parte in
 cui questi ha sottolineato che, qualora un  parlamentare  esprima  un
 giudizio,  sottoponendo all'attenzione dell'opinione pubblica il modo
 in cui i  magistrati  giudicano  altri  magistrati,  egli  tiene  una
 condotta   che   non   puo'   non  essere  ricondotta  alla  funzione
 parlamentare.
   Le critiche, sostiene la difesa della Camera, hanno  riguardato  la
 condotta  di  funzionari  pubblici  e sono percio' riconducibili alla
 funzione parlamentare, anche perche' la circostanza che  il  deputato
 Vittorio  Sgarbi  riceveva  "un  emolumento  per  le  sue  conferenze
 televisive non sembra far venire meno la competenza della Camera".  A
 suo  avviso,  il nesso di funzione non viene meno nel caso in cui "il
 parlamentare si esprime attraverso un quotidiano o la  televisione  e
 riceve  una  retribuzione,  in  quanto  la  prestazione tecnica della
 redazione dell'articolo o della conduzione  della  trasmissione,  ben
 puo'  essere pagata, senza inquinare di interessi privati la funzione
 pubblica, la quale, come funzione parlamentare si caratterizza per  i
 contenuti  del  colloquio  che  stabilisce  o  tenta di stabilire con
 l'opinione pubblica;  contenuti  che  possono  essere  di  iniziativa
 politica,  di  esercizio  di  funzione  ispettiva,  di  mera denuncia
 diretta a provocare un dibattito politico e cosi' via".
   3.1.  -  La  difesa  della  resistente  sostiene  che,  secondo  la
 giurisprudenza costituzionale, spetta alla Camera di appartenenza del
 parlamentare  il  potere  di  valutare  la  condotta contestata ad un
 proprio membro, al  fine  di  accertarne  l'insindacabilita'  e,  nel
 giudizio promosso dall'autorita' giudiziaria, la Corte deve accertare
 se sia stato o meno seguito un procedimento corretto ovvero manchino,
 o   siano   stati   arbitrariamente  valutati,  i  presupposti  della
 dichiarazione d'insindacabilita', tra essi  quello  del  collegamento
 delle  opinioni  espresse  con  la funzione parlamentare. Nel caso in
 esame, non si verterebbe in nessuna di queste  ultime  ipotesi,  dato
 che  sarebbe  stato  accertato  che il deputato Vittorio Sgarbi aveva
 affrontato  il  tema  della  trasparenza  nella  celebrazione  di  un
 processo  che  vedeva  un  magistrato  quale  imputato  e, quindi, la
 delibera impugnata  ha  correttamente  affermato  che  rientra  nella
 funzione parlamentare la critica del mancato rinvio a giudizio.
   3.2. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la difesa della Camera
 dei  deputati  ha  depositato  memoria  con  la  quale insiste per il
 rigetto del conflitto.
   Secondo la resistente, nella fattispecie in esame  il  parlamentare
 avrebbe  agito  denunciando la violazione dei principi costituzionali
 che  stabiliscono  l'obbligo  della  motivazione  dei   provvedimenti
 giudiziari    -   strumentale   alla   trasparenza   della   funzione
 giurisdizionale - e l'obbligatorieta' dell'azione penale. La denuncia
 rientrerebbe "nell'ambito  del  mandato  parlamentare  del  quale  fa
 parte", sempre a suo avviso, anche la funzione ispettiva. Inoltre, la
 prerogativa  dell'insindacabilita'  riguarderebbe  comunque  l'intera
 attivita'  politica  del parlamentare e quest'ultima "va identificata
 nei fatti in  cui  si  svolge  ed  i  limiti  vanno  ricercati  nelle
 esperienze  gia'  acquisite,  nei  fini che vengono via via rilevati,
 nella plausibilita' delle censure e delle proposte, nelle circostanze
 che di volta in volta possono averla  ispirata  e  persino  imposta".
 Denunce  quale  quella  contestata  al  deputato  Vittorio Sgarbi non
 potrebbero, quindi, ritenersi  interdette;  esse  realizzerebbero  la
 funzione  di  controllo  attribuita al parlamentare e costituirebbero
 uno dei modi con i quali questi esercita  il  suo  diritto-dovere  di
 richiamare  l'attenzione  dei cittadini sulle eventuali irregolarita'
 degli apparati dello Stato, attraverso un colloquio con gli  elettori
 su  fatti  reali. Nel quadro di tali principi, l'atto con il quale e'
 stato  sollevato  il  conflitto  sarebbe  carente,  in   quanto   non
 conterrebbe  una  puntuale  esplicitazione  della  vicenda  che lo ha
 originato, ma si limiterebbe a sintetizzare le fasi del processo.
   La Camera dei deputati conclude, infine,  chiedendo  che  la  Corte
 "dichiari   l'appartenenza   alla  Camera  dei  deputati  del  potere
 esercitato, perche' ha agito nei limiti  delle  sue  funzioni,  delle
 previsioni  dell'art.  68,  primo  comma,  della Costituzione e degli
 estremi  di  fatto  legittimamente  acquisiti"  e,  conseguentemente,
 annulli  l'ordinanza  con  la  quale e' stato sollevato il conflitto,
 dichiarando che l'azione penale non puo' essere proseguita.
                        Considerato in diritto
   1. - Il conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato  ha  ad
 oggetto  la  deliberazione con la quale la Camera dei deputati, nella
 seduta del 25 giugno 1998, ha dichiarato che i fatti per i quali  era
 in  corso  innanzi  al  Tribunale  di  Bergamo, II sezione penale, il
 giudizio  per  diffamazione  aggravata  nei  confronti  del  deputato
 Vittorio  Sgarbi  riguardano  opinioni  espresse nell'esercizio delle
 funzioni parlamentari e, conseguentemente, sarebbero insindacabili ai
 sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   Il Tribunale di Bergamo sostiene che detta deliberazione violerebbe
 la propria sfera di attribuzioni,  costituzionalmente  garantita,  in
 quanto la Camera dei deputati non avrebbe correttamente esercitato il
 potere  ad  essa  spettante,  di  dichiarare l'insindacabilita' delle
 dichiarazioni rese dal deputato  Sgarbi.  A  suo  avviso,  la  Camera
 avrebbe  arbitrariamente  ritenuto  insindacabili  le  dichiarazioni,
 omettendo di considerare che esse costituirebbero meri  apprezzamenti
 personali  e  che  non  sarebbe "riscontrabile alcuna connessione con
 atti tipici  della  funzione  parlamentare"  e  neppure  "un  qualche
 intento    divulgativo    di    una    scelta   o   di   un'attivita'
 politico-parlamentare" come ha riconosciuto la stessa Giunta  per  le
 autorizzazioni   a   procedere,  sottolineando  che  esse  erano  "da
 riportare  a  intenti  polemici  del  tutto  avulsi  dalla   funzione
 parlamentare,  anche  se  latamente  intesa". Il Tribunale di Bergamo
 chiede,  quindi,  che  la   Corte   annulli   la   deliberazione   di
 insindacabilita' adottata dalla Camera.
   2.  -  In linea preliminare deve essere confermata l'ammissibilita'
 del conflitto di attribuzione in esame,  gia'  dichiarata  da  questa
 Corte  in  sede  di  sommaria  delibazione con l'ordinanza n. 130 del
 1999.
   Sotto il profilo dei requisiti soggettivi, devono infatti ritenersi
 legittimati ad essere parti del presente conflitto sia  il  Tribunale
 di  Bergamo, in quanto organo giurisdizionale competente a dichiarare
 definitivamente la volonta' del potere cui appartiene,  in  posizione
 di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, sia la Camera dei
 deputati, dato che essa e' competente a dichiarare in modo definitivo
 la  volonta'  del potere che rappresenta in ordine all'applicabilita'
 ai suoi componenti dell'art. 68, primo comma, della Costituzione (tra
 le piu' recenti, sentenze nn. 417, 329 del  1999  e  289  del  1998).
 Sotto il profilo oggettivo, avendo il Tribunale denunciato la lesione
 della  propria  sfera  di  attribuzioni costituzionalmente garantita,
 parimenti sussiste la materia del conflitto (ex plurimis sentenza  n.
 11 del 2000).
   La forma dell'ordinanza utilizzata dalla seconda sezione penale del
 Tribunale di Bergamo non puo', infine, di per se' sola, comportare la
 irricevibilita'  del  conflitto,  in  quanto l'atto, possedendo nella
 specie tutti i requisiti stabiliti dagli artt. 37 della legge n.   87
 del  1953  e  26  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
 Corte, puo' considerarsi, per le ragioni indicate nelle decisioni  n.
 10 e n. 11 del 2000 di questa Corte, idoneo a conseguire lo scopo cui
 e'   preordinato   e   a   consentire  la  valida  instaurazione  del
 contraddittorio.
   3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
   Il conflitto  di  attribuzioni  in  esame  si  incentra  su  alcune
 dichiarazioni  rese  dal  deputato  Sgarbi  nel corso di un programma
 televisivo e per le quali e' pendente il giudizio  per  il  reato  di
 diffamazione aggravata.
   Secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  ad  essa  spetta di
 esaminare, come giudice  dei  conflitti,  non  certo  il  merito  del
 giudizio  penale,  ma  piuttosto,  trattandosi  di  un  conflitto per
 menomazione, se dal potere esercitato dalla Camera di appartenenza in
 base all'art. 68, primo comma, della Costituzione sia derivata o meno
 la lamentata, illegittima interferenza nella  sfera  di  attribuzione
 dell'autorita' giudiziaria ricorrente.
   In  particolare, trattandosi, nella specie, di opinioni espresse al
 di  fuori  dell'ambito  dei  lavori  parlamentari,   va   riscontrata
 l'esistenza del nesso funzionale, che deve consistere non gia' in una
 semplice  forma  di  collegamento  - di argomento o di contesto - fra
 attivita' parlamentare e dichiarazioni, ma  piu'  precisamente  nella
 "identificabilita'  della  dichiarazione  stessa quale espressione di
 attivita' parlamentare"  (sentenza  n.  10  del  2000).  Pertanto  la
 riproduzione  all'esterno delle Camere di dichiarazioni gia' espresse
 in un atto parlamentare e' insindacabile "solo ove sia  riscontrabile
 corrispondenza  sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non
 essendo  sufficiente  a  questo  riguardo  una  mera   comunanza   di
 tematiche" (sentenza n. 11 del 2000).
   In questo senso, nella vicenda in esame, si era mossa la Giunta per
 le  autorizzazioni  a  procedere della Camera dei deputati, la quale,
 nella seduta del 12 settembre 1996, aveva approvato  la  proposta  di
 dichiarare  che  le  opinioni  del  deputato  Sgarbi  non erano state
 espresse nell'esercizio delle proprie funzioni, poiche'  "si  era  in
 presenza  di  affermazioni  gravi da riportare a intenti polemici del
 tutto avulsi dalla funzione parlamentare anche se latamente  intesa".
 Vero  e'  pero'  che tale proposta era stata respinta dall'Assemblea,
 nella seduta del  25  giugno  1998,  senza  peraltro  che  risultasse
 un'esplicita   argomentazione   contraria,   se   non  quella  di  un
 componente,  il  quale  appunto   riteneva   apprezzabile   che   "un
 parlamentare  possa esprimere un giudizio e sottoporre all'attenzione
 dell'opinione pubblica il modo in cui i  magistrati  giudicano  altri
 magistrati;  si  tratta  di  una  presa di posizione che non puo' non
 essere ricondotta alla funzione di parlamentare".
   Da  queste  delibere  emerge  comunque  in  modo  chiaro   che   le
 dichiarazioni  in questione, rese fuori delle Camere, non riproducono
 il contenuto di nessuno specifico atto  parlamentare,  cosicche'  non
 sono  identificabili  come  espressione di attivita' parlamentare del
 deputato  Sgarbi.  Manca   dunque,   ai   fini   del   riconoscimento
 dell'insindacabilita', il requisito del nesso funzionale tra opinioni
 espresse  dal  parlamentare  ed  esercizio  delle  relative funzioni;
 "requisito che, come piu' volte affermato da questa Corte costituisce
 l'indefettibile  presupposto  di  legittimita'  della   deliberazione
 parlamentare di insindacabilita'" (sentenza n.  329 del 1999).
   Per  queste  ragioni  le  opinioni  espresse,  nella fattispecie in
 esame, dal deputato Sgarbi non possono ritenersi rese  nell'esercizio
 delle  funzioni  parlamentari  e  quindi  rispetto  ad  esse  non  e'
 applicabile l'immunita', ai sensi dell'art. 68,  primo  comma,  della
 Costituzione.   La Camera dei deputati, adottando la deliberazione in
 oggetto ha pertanto interferito, in modo illegittimo, nella sfera  di
 attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente e conseguentemente
 deve essere disposto l'annullamento della predetta deliberazione.