ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1957  del
cod.civ.,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  27 febbraio 1999 dal
pretore  di  Venezia  nel  procedimento civile vertente tra Bortolato
Alessandro  e  l'Unione  Sportiva  Trivignano  ed  altri, iscritta al
n. 294  del  registro  ordinanze  1999  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 21,  prima serie speciale, dell'anno
1999.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che  il  pretore di Venezia, in funzione di giudice del
lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha reputato rilevante e
non  manifestamente  infondata,  in  riferimento all'art.36 Cost., la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.1957 del codice
civile,  nella parte in cui consentirebbe che il termine entro cui il
creditore   deve  proporre  le  sue  domande,  per  ottenere  che  la
responsabilita'  del  fideiussore  permanga,  debba  decorrere  -  in
contrasto  con il principio affermato dalla Corte costituzionale, con
la sentenza n.63 del 1966 - dalla scadenza della singola obbligazione
e  non invece dalla cessazione del rapporto, anche nel caso in cui si
tratti  di  credito  retributivo,  fondato  su  un rapporto di lavoro
subordinato  non  assistito da stabilita' e fatto valere solidalmente
nei  confronti  di un datore di lavoro, costituito da un'associazione
riconosciuta,  e  dei  soggetti che abbiano agito in nome e per conto
della  stessa  e  che  siano  percio'  responsabili - con un'asserita
qualificazione  di  fideiussori  ex lege dell'associazione - ai sensi
dell'art. 38 del codice civile;
        che  dall'ordinanza  si  apprende  che  la questione e' stata
sollevata  nel  giudizio promosso da un dipendente di un'associazione
non  riconosciuta,  licenziato  oralmente,  per  l'accertamento della
nullita'  del licenziamento e la conseguente reintegrazione nel posto
di  lavoro,  nonche'  per  la  condanna  solidale,  al  pagamento  di
differenze salariali maturate nel periodo anteriore al licenziamento,
dell'associazione  e dei responsabili ex art. 38 del codice civile, i
quali  -  sulla  premessa  che,  secondo  concorde giurisprudenza, la
responsabilita'  prevista  da detta norma a carico di chi abbia agito
in  nome e per conto di un'associazione non riconosciuta, deriverebbe
da  una  fideiussione  ex  lege  -  avrebbero  eccepito l'intervenuta
decadenza  del lavoratore dall'azione proposta contro di loro, quando
era  ormai  "trascorso  il termine semestrale" di cui all' art. 1957,
primo comma, del codice civile;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e' intervenuto con
memoria   il   Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  sostenendo
l'irrilevanza   e   comunque   l'infondatezza   della   questione  di
legittimita' costituzionale.
    Considerato   che   -   indipendentemente   dall'esattezza  della
riconducibilita' della posizione dei soggetti di cui all'art. 38 cod.
civ. alla figura della fideiussione ex lege (affermata l'ultima volta
in  epoca non recente nella giurisprudenza di legittimita', la quale,
invece,  ha  recentemente  escluso  il ricorso a quella figura quanto
alla non dissimile posizione dei soci illimitatamente responsabili di
societa'   di  persone,  cosi'  lasciando  intravedere  un  possibile
mutamento  di  indirizzo)  -  la  motivazione dell'ordinanza circa la
rilevanza della sollevata questione appare palesemente insufficiente;
        che,  infatti,  non  indicando  l'ordinanza il dies a quo dal
quale i soggetti convenuti ai sensi dell'art. 38 cod. civ. pretendono
di  far  decorrere il termine decadenziale, il riferimento al decorso
dalla   scadenza   dell'obbligazione   principale   e  la  successiva
precisazione   che   i  crediti  azionati  dal  lavoratore,  maturati
mensilmente,  sarebbero  scaduti  da  tempo non avendo egli agito nel
semestre  previsto  dall'art. 1957,  sembrerebbero  suggerire che sia
stato  eccepito  il  decorso  del  termine  dalla scadenza di ciascun
credito   retributivo,  ma  tale  implicazione  appare  contraddetta,
laddove l'ordinanza osserva che "a causa della prospettata non ancora
intervenuta  cessazione del rapporto (stante il licenziamento orale),
una  dichiarazione  di  incostituzionalita'  nel senso sopra chiarito
comporterebbe   il   persistere   dell'obbligazione   dei   convenuti
equiparati ai fideiussori", facendo cosi' pensare che come dies a quo
della  decadenza  sia  stata  eccepita la data dell'estromissione del
lavoratore avvenuta con il fatto del licenziamento;
        che   la  mancanza  di  piu'  precisi  riferimenti  circa  lo
svolgimento  del  processo  ed  in  particolare  sul  dies  a quo con
riferimento al quale l'eccezione di decadenza sarebbe stata proposta,
si  risolve  in  insufficienza  di  motivazione sulla rilevanza della
questione,  in  quanto  non consente di comprendere se l'eccezione di
decadenza - al cui rigetto, secondo il Pretore, l'eventuale pronuncia
di   accoglimento  sarebbe  funzionale  -  sia  stata  sollevata  dai
convenuti  facendo decorrere il termine dalla cessazione del rapporto
in  fatto  per  effetto  del  licenziamento  oppure  dalle  anteriori
scadenze dei singoli crediti retributivi;
        che  tale  insufficienza di motivazione appare di particolare
rilievo,  poiche'  -  ove  la  decadenza  fosse  stata effettivamente
eccepita  assumendo come dies a quo il licenziamento - la valutazione
di  rilevanza  della  questione  avrebbe dovuto essere svolta tenendo
nella  dovuta considerazione la circostanza che la sentenza n. 63 del
1966  di  questa  Corte  ha  ritenuto  non conforme a Costituzione il
decorso  della  prescrizione durante il rapporto di lavoro in ragione
del  timore  del licenziamento che grava sul lavoratore fin tanto che
il  rapporto  sia  in corso, ravvisando in questo metus ( considerato
non  piu'  configurabile  dalla  sentenza n. 174 del 1972 nel caso di
rapporto  di  lavoro  stabile) un ostacolo materiale, che provoca nel
lavoratore  una  situazione  psicologica  idonea ad indurlo a non far
valere  - fino a quando il relativo potere datoriale sia esercitabile
- il proprio diritto al salario;
        che,    pertanto,   la   questione   deve   essere   ritenuta
manifestamente  inammissibile  per difetto di sufficiente motivazione
sulla rilevanza.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.