ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 12-sexies del
d.-l.  8 giugno  1992,  n. 306,  convertito  in  legge 7 agosto 1992,
n. 356  (Modifiche  urgenti  al  nuovo  codice  di procedura penale e
provvedimenti  di  contrasto alla criminalita' mafiosa), promossi con
ordinanze  emesse  il 28 gennaio e l'8 giugno 1999 dal giudice per le
indagini  preliminari  presso  il  Tribunale di Firenze sulle istanze
proposte  da  L.  R. e da B.M. F. ed altro, iscritte ai nn. 172 e 462
del  registro  ordinanze  1999  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 13 e 38, prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 marzo 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che con ordinanza 28 gennaio 1999 (r.o. n. 172 del 1999)
il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  27, terzo comma, della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 12-sexies   del   decreto-legge   8 giugno   1992,   n. 306
(convertito   dalla   legge   7 agosto   1992,   n. 356),  introdotto
dall'art. 2  del  decreto-legge  20 giugno  1994,  n. 399 (convertito
dalla  legge  8 agosto  1994, n. 501), nella parte in cui esclude, in
caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato
di  cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ove ricorra la
circostanza attenuante di cui al comma 5 della medesima disposizione,
la  confisca  dei valori che costituiscono il profitto dell'attivita'
di spaccio di sostanze stupefacenti;
        che  il  rimettente - premesso di essere chiamato a decidere,
in  qualita'  di  giudice  dell'esecuzione,  su  di  una richiesta di
restituzione  di una somma di denaro sequestrata a persona alla quale
era  poi  stata  applicata la pena su richiesta per il delitto di cui
all'art. 73,  commi 1 e 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 - rileva che la
somma  in questione, pur essendo il frutto della cessione di sostanze
stupefacenti, non e' sottoponibile a confisca, ammessa dall'art. 445,
comma  1, cod. proc. pen. solo nelle ipotesi di confisca obbligatoria
ex   art. 240,   secondo  comma,  cod.  pen.,  mentre  nella  specie,
trattandosi  del  profitto del reato, si versa in un caso pacifico in
cui la misura e' facoltativa;
        che,  d'altro  canto,  il  giudice  a quo rileva che non puo'
farsi  ricorso all'applicazione della confisca del denaro, dei beni o
delle  altre  utilita'  di cui il condannato non puo' giustificare la
provenienza,  prevista dall'art. 12-sexies del d.-l. n. 306 del 1992,
in  quanto espressamente esclusa nel caso in cui ricorra l'attenuante
di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;
        che  il  rimettente  precisa  di avere gia' sollevato analoga
questione   di   legittimita'   costituzionale  nei  confronti  degli
artt. 445  cod.  proc.  pen. e  12-sexies  del d.-l. n. 306 del 1992,
dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza di questa Corte
n. 378  del  1998  perche'  prospettata in maniera ancipite e perche'
interventi   additivi   del   tipo   di   quello  richiesto  spettano
esclusivamente alla discrezionalita' del legislatore;
        che, preso atto di tale decisione, il giudice a quo ripropone
ora  la  questione  nei  confronti  del solo art. 12-sexies del d.-l.
n. 306  del  1992, ritenendo cosi' di superare sia la natura ancipite
della  questione  sollevata  in precedenza, sia il carattere additivo
della  pronuncia richiesta alla Corte, in quanto "la conformita' alla
Costituzione  potra'  essere  ripristinata  semplicemente  eliminando
l'inciso  "esclusa  la  fattispecie  di  cui  al  comma  5" contenuto
nell'art. 12-sexies citato;
        che,  richiamandosi  integralmente alle argomentazioni svolte
nella  precedente  ordinanza, il rimettente ritiene che la disciplina
censurata contrasti con il principio della funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto lo spacciatore
sarebbe   "incoraggiato  a  proseguire  l'attivita'  illecita"  dalla
restituzione  del  denaro  proveniente  dallo  spaccio,  nonche'  con
l'art. 3  Cost.,  apparendo  "irragionevole,  e  contraria  al comune
sentire  e  alla  morale,  la  definitiva  acquisizione  dei profitti
illeciti,  tanto  piu'  laddove  provenienti  da  un'attivita'  cosi'
dannosa per la societa' come lo spaccio dell'eroina";
        che  con  successiva ordinanza 8 giugno 1999 (r.o. n. 462 del
1999)   il   medesimo   giudice  ha  sollevato  nel  corso  di  altro
procedimento, sempre in qualita' di giudice dell'esecuzione, identica
questione,   sulla   base   delle   stesse   argomentazioni   esposte
nell'ordinanza n. 172 del r.o. del 1999.
    Considerato  che  le  due  ordinanze  di  rimessione sollevano la
identica  questione,  per  cui  deve  essere disposta la riunione dei
relativi giudizi di costituzionalita';
        che  mediante  la questione di legittimita' costituzionale il
rimettente   vorrebbe  in  sostanza  ottenere  da  questa  Corte  una
decisione che consenta di disporre la confisca del denaro, dei beni o
delle  altre  utilita'  di cui il condannato non puo' giustificare la
provenienza  anche  ove  si  tratti  dei  profitti  dello  spaccio di
stupefacenti attenuato per la lieve entita' del fatto;
        che  tale forma di confisca, prevista dall'art. 12-sexies del
d.-l.  n. 306  del  1992  anche in caso di applicazione della pena su
richiesta delle parti per alcuni reati di particolare gravita', tra i
quali  rientrano  i  delitti di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990,  e' espressamente esclusa ove ricorra la circostanza attenuante
configurata dal comma 5 di tale disposizione;
        che   questa   Corte  ha  avuto  ripetutamente  occasione  di
occuparsi  sia  della  disciplina  generale  della operativita' della
confisca  a  seguito  della  sentenza  di  applicazione della pena su
richiesta  delle  parti,  sia  della  particolare ipotesi di confisca
disposta dall'art. 12-sexies del d.-l. n. 306 del 1992;
        che  con riguardo all'art. 445, comma 1, cod. proc. pen., che
ammette  la confisca solo nei casi in cui tale misura e' obbligatoria
a norma dell'art. 240, secondo comma, cod. pen. (tra i quali rientra,
per  quanto  qui  interessa, il prezzo, ma non anche il profitto, del
reato),  questa  Corte  ha dichiarato manifestamente inammissibili le
questioni di legittimita' costituzionale che miravano ad estendere la
sfera di applicazione di tale misura al profitto del reato, rilevando
che  la relativa richiesta ha natura solo apparentemente demolitoria,
ma  in  realta'  si sostanzia in un intervento additivo di competenza
del  legislatore,  cui  spetta  esclusivamente, nell'ambito della sua
discrezionalita',  purche'  non  arbitrariamente  esercitata, operare
scelte  derogatorie  rispetto a quelle previste in via generale dalla
disciplina  dell'istituto  dell'applicazione  della pena su richiesta
(v.  ordinanza  n. 334  del 1994, in tema di profitto derivante dallo
spaccio di sostanze stupefacenti, nonche' ordinanze nn. 371 e 282 del
1995);
        che, in relazione alla specifica ipotesi di confisca, oggetto
del     presente     giudizio    di    costituzionalita',    prevista
dall'art. 12-sexies  del  d.-l.  n. 306  del  1992,  questa  Corte ha
ribadito (ordinanza n. 378 del 1998) che in materia penale interventi
additivi   del   tipo   richiesto   spettano   al  solo  legislatore,
richiamandosi  alle  argomentazioni  svolte nell'ordinanza n. 334 del
1994;
        che non vi sono ragioni per discostarsi da questo consolidato
orientamento  giurisprudenziale,  in  quanto la richiesta del giudice
rimettente  di  abolire il mero inciso "esclusa la fattispecie di cui
al  comma  5"  dell'art. 73  del  d.P.R.  n. 309  del 1990, contenuto
nell'art. 12-sexies  del d.-l. n. 306 del 1992, non varrebbe a mutare
il carattere additivo dell'intervento richiesto a questa Corte;
        che,  comunque, nel caso di specie il rimettente non ha preso
in  considerazione  la  possibilita'  di  respingere  la richiesta di
restituzione  sulla  base  della  giurisprudenza  di  legittimita' in
materia,  che  ai  fini dell'accoglimento ritiene necessaria la prova
dello  ius possidendi in capo al richiedente, cioe' dell'esistenza di
una  posizione  giuridica  soggettiva  tutelata dall'ordinamento, non
configurabile  nella  situazione  di  fatto prospettata dal giudice a
quo;
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.