Ricorso   della   regione   Veneto,  in  persona  del  presidente
  pro-tempore    della   giunta   regionale,   autorizzato   mediante
  deliberazione  della  giunta  stessa  n. 791 in data 10 marzo 2000,
  rappresentata  e  difesa,  per mandato a margine del presente atto,
  dagli  avvocati  prof.  Mario Bertolissi del foro di Padova e Luigi
  Manzi  del foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio
  dell'avv. Luigi Manzi, in Roma, via F. Confalonieri n. 5;
    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del
  Presidente in carica, per regolamento di competenza, in relazione:
        al  decreto,  in  data  18  giugno  1999,  del giudice per le
  indagini  preliminari presso il tribunale di Monza, con il quale il
  consigliere  regionale  Fabrizio  Comencini  e'  stato  rinviato  a
  giudizio  per  diffamazione  aggravata a mezzo stampa (n. 574/1999,
  r.g.,  g.i.p.  Airo'),  quale  autore dell'articolo dal titolo "Dai
  sindaci  al  Nordest,  altro  flop per Cacciari. Che porti jella?",
  pubblicato   sul   quotidiano  "La  Padania"  il  29  luglio  1998,
  considerato offensivo della reputazione di Luca Casarin.

                              F a t t o

    1. - La  vicenda  di cui qui si tratta, della quale la regione e'
  venuta solo ora a conoscenza, lungi dal rappresentare l'espressione
  di una polemica politica di quart'ordine, si iscrive nell'ambito di
  un  dibattito  che  ha  interessato  il Veneto e la regione Veneto,
  investendo partiti politici e istituzioni per un non breve periodo.
  Infatti,  e'  massima  d'esperienza  che di Nordest si e' parlato a
  lungo,  a  livello  sia locale sia nazionale, a causa dei propositi
  riformatori che si erano manifestati e delle attese maturate.
    Tra   l'altro,   la  societa'  civile  aveva  prodotto  ulteriori
  soggettivita', operanti quali movimenti: tra essi, si e' segnalato,
  per  le  discussione  suscitate, le personalita' che ne hanno fatto
  parte e gli obiettivi perseguiti, il Movimento del Nordest (per una
  chiara illustrazione delle premesse, cui si riportano le brevissime
  considerazioni  suesposte,  vedi, ad esempio, Diamanti, Il male del
  Nord-Lega,   localismo,  secessione,  Roma,  1996,  nonche',  dello
  stesso,  gli  innumerevoli articoli comparsi in Il Sole 24 ORE e Il
  Gazzettino;  vedi,  altresi',  le acute puntualizzazioni, formulate
  con  cultura profonda, da Schiavone, Italiani senza Italia, Torino,
  1998,  e  la  denuncia  spietata di un male istituzionale, che pare
  irreversibile, di Cassese, Lo Stato introvabile, Roma, 1998).

    2. - Per  facilitare,  ad  un tempo, la comprensione degli eventi
  accennati  e  del  fatto  specifico  che  ha dato luogo al giudizio
  penale,  al quale si riporta questo conflitto di attribuzioni, vale
  le  pena di riprendere pari pari l'articolo scritto dal consigliere
  Fabrizio Comencini, apparso su "La Padania" del 29 luglio 1998: "Si
  sfascia  il  Movimento  del  Nordest.  Da un anno questa iniziativa
  politica aveva avviato un singolare laboratorio guidato dal sindaco
  ulivista   di   Venezia   Massimo  Cacciari  e  da  Mario  Carraro,
  imprenditore di successo.
    La  convergenza  di  personaggi  cosi'  diversi  tra  loro  si e'
  trasformata  in  scontro  aperto  tra  i  due, consumato vuoi sulle
  pagine  della  stampa  locale, vuoi durante assemblee organizzative
  dove  alla  fine la conta dei voti ha sancito nei fatti il divorzio
  assegnando  la  leadership  del movimento a Cacciari tramite il suo
  braccio operativo, l'ex socialista Rigo.
    La  lacerazione  nasce, paradossalmente ma non troppo, proprio da
  quegli  elementi  innovativi  che  il movimento portava con se': il
  coinvolgimento  in  prima  persona della classe imprenditoriale, la
  serrata  critica  allo  stato  e  agli  apparati  dei  partiti,  la
  necessita'  di  rinnovare  la politica e i suoi metodi. Punto forte
  condiviso   da   tutti,  poi,  la  valorizzazione  dell'autonomismo
  espresso nell'appoggio ad una autentica riforma federale.
    Carraro  ci  credeva  al  punto  tale  da  essersi  preso un anno
  sabbatico  dal  proprio lavoro per dedicarsi anima e corpo a questa
  creatura  politica. Ma alla fine, sulle speranze dell'imprenditore,
  hanno  prevalso  le  logiche  di  parti e il Movimento del Nordest,
  lungi   dall'essere  un  laboratorio  nuovo  e  dirompente,  si  e'
  trasformato in una strana realta' che sembra riproporre sotto nuova
  formula e con qualche aggiustamento, l'esperienza dell'Ulivo.
    Cacciari  e' persona scaltra. Sa bene che le critiche da sinistra
  alla  coalizione governativa non potranno essere sopite a lungo. Sa
  bene  che il grido di Nanni Moretti - Dateci un segnale di sinistra
  -  rivolto  al governo diventera' dapprima uno slogan rischiando di
  trasformarsi  poi  in un'ondata di protesta nei cortei se l'autunno
  che si avvicina sara' veramente caldo come si pensa.
    Cacciari  sa  bene  i  limiti che avvolgono Prodi e compagni: non
  c'e'  solo  una  gestione  economica  restrittiva,  che penalizza i
  lavoratori  compensata, per altro, dagli obiettivi europei: ci sono
  i  silenzi sul malaffare, sullo stragismo, sulla corruzione, mentre
  sul   fronte   della   solidarieta'   ritornano   vecchie   ricette
  democristiane,   come  l'assistenzialismo  nel  Mezzogiorno,  o  la
  riduzione   dell'orario  lavorativo  e  blocco  degli  straordinari
  vissuti come una iattura da imprenditori e operai.
    Cacciari,  davanti  a  tutto  cio',  sa bene che bisogna dare una
  risposta   di   sinistra:   in  caso  contrario  le  contraddizioni
  esplodono.  Eccolo  allora  impegnato  a  dar  vita  ad un soggetto
  eterogeneo e, all'apparenza, non ortodosso, che comprenda le spinte
  dell'estrema  sinistra,  individuata  nelle  "riserve  indiane" dei
  centri  sociali che per altro rappresentano solo se stessi e non un
  malessere   diffuso,   conciliandole   con   le   ambizioni   degli
  ambientalisti  e  l'operaismo  stemperato,  il  tutto  con l'avallo
  dell'imprenditoria  illuminata  e  l'appoggio  dell'associazionismo
  cattolico   e  l'imprimatur  di  vecchi  e  nuovi  riciclati  della
  politica.  Un  mix  ben calibrato a sinistra, capace di dare spazio
  alle  ambizioni  e  agli  interessi  personali. Un progetto a medio
  termine,  in  altre parole, pronto a sostituirsi all'Ulivo nel caso
  in  cui  le  contraddizioni  intestine  a  questo raggruppamento lo
  faranno  esplodere,  oppure destinato a supportare in chiave locale
  l'alleanza  di  centro-sinistra conferendole una patina di nobilta'
  culturale e di localismo.
    Ma  questo  non era esattamente cio' a cui puntava Carraro. Dando
  voce  ad una parte della societa' veneta, l'imprenditore pensava ad
  un  partito  interclassista,  coeso  attorno  alla ricerca del bene
  comune  per  la  realta'  veneta:  autonomia  si',  perche' essa e'
  funzionale  ad  una  societa'  moderna, federalismo subito, per non
  perdere  ulteriore tempo, infrastrutture e servizi non come gentile
  concessione dello Stato padre-padrone ma in quanto opere necessarie
  e,  soprattutto,  abbondantemente  ripagate  dal  gettito prodotto,
  abbandono  netto  dell'assistenzialismo e drastico taglio a sussidi
  immotivati.
    Un  esperimento  da  esportare poi nel resto d'Italia. Due lingue
  diverse   coesistevano  nel  Movimento  del  Nordest,  due  disegni
  strategici  lontani  tra  loro,  che non potevano non cozzare l'uno
  contro l'altro.
    Il  tutto  condito  da  presenze  inquietanti  come il leader dei
  centri  sociali  veneti,  tal  Luca  Casarin, che vanta non solo un
  curriculum  da  autonomo  di  tutto  rispetto,  ma  anche singolari
  raccomandazioni  da far invidia ai vecchi dorotei democristiani che
  lo  hanno  portato  ad essere consulente del Ministero degli affari
  sociali,  ad  avere  in passato anche qualche collaborazione con la
  Rai,  ad essere nominato nei fatti portavoce oggi del Movimento del
  Nordest oltre che consigliere personale di Cacciari.
    E'  questo  in chiave darwiniana l'anello mancante tra la prima e
  la  seconda  Repubblica?  Oppure  e'  il senatore ex socialista, ex
  autonomista, ex quel che volete ma sempre senatore e sempre a galla
  Mario Rigo?
    Con  questi  compagni  di  strada  anche  la  realpolitik  di  un
  imprenditore viene incrinata. Cosi' Carraro ha dovuto prendere atto
  di  persona  del  trasformismo  e  non  se  l'e'  sentita ancora di
  avallare  ancora  con  la  sua  presenza  una  struttura con i suoi
  obiettivi  sono, nei fatti, molto diversi dai suoi. Sara' un caso o
  una coincidenza.
    Ma   questa   non  e'  la  prima  volta  che  Cacciari  riesce  a
  disinnescare e a snaturare un esperimento politico che, in potenza,
  aveva delle spinte propositive.
    Anche  il  movimento  dei  sindaci  nacque con un forte carattere
  dirompente:  s'impantano' quando Cacciari volle assumerne la guida.
  Proprio  come  capita  oggi  con  il  Movimento del Nordest. Che il
  sindaco di Venezia porti jella?" (doc. 1).

    3. - Ove  si rifletta, anche un istante, sulle premesse suddette,
  non  pare  dubbio  che  il consigliere regionale del Veneto, con lo
  scritto in esame, ha inteso partecipare alla discussione di un tema
  politico  all'ordine  del  giorno,  illustrare  il proprio punto di
  vista di consigliere regionale (attento alle mutazioni prospettiche
  del   quadro   politico)  e  prospettare  le  proprie  valutazioni,
  coinvolgenti  anche  Luca  Casarin,  che non era - come non e' - un
  quivis  de  populo, ma un personaggio noto, esponente di spicco dei
  "centri  sociali"  operanti  in  ambito  regionale, impegnato nella
  politica e, dunque, esposto ai giochi della politica, che prevedono
  la  polemica,  la  provocazione, la sollecitazione anche forte alle
  responsabilita'    che    seguono   l'attribuzione   di   incarichi
  istituzionali e no.

    4. - Naturale  -  dato  un simile contesto - che la regione abbia
  ritenuto  "l'iniziativa  dell'autorita'  giudiziaria" incidente "in
  via  diretta  sull'autonomia  di un consigliere regionale ed in via
  mediata  sulla  stessa autonomia costituzionalmente garantita della
  regione,  violando  gli  artt.  121,  122  e 123, Cost., e, piu' in
  generale,  il principio secondo il quale l'esercizio delle funzioni
  di  consigliere  regionale  non  puo'  essere  sindacato  da organi
  giurisdizionali"  ricorrendone  - come ricorrono - i presupposti di
  cui all'art. 122, quarto comma, Cost. (doc. 2).

                            D i r i t t o

    1. - Non  v'e'  dubbio  che,  ove si considerino testi e contesti
  della  vicenda  di  cui trattasi, la fattispecie poc'anzi descritta
  configura  la  piu' classica delle violazioni dell'art. 122, quarto
  comma,  Cost.,  secondo  cui  "i  consiglieri regionali non possono
  essere  chiamati  a  rispondere  delle opinioni espresse e dei voti
  dati  nell'esercizio delle loro funzioni": in analogia con cio' che
  dispone - peraltro in una piu' ampia prospettiva - l'art. 68, primo
  comma, Cost., per i parlamentari nazionali.
    Infatti,  nel  caso  in questione e' stata violata "la piu' ampia
  liberta'  di  valutazione  e di decisione" (per dirla con Martines,
  Diritto costituzionale, Milano, 1994, p. 294) riservata ad un tempo
  al  membro  del  Parlamento  e  del  consiglio  regionale;  ne'  il
  consigliere  di  cui trattasi ha "commesso un fatto materiale" (op.
  cit., p. 294), senz'altro perseguibile in sede penale.
    E'   evidente,   altresi',  come,  attraverso  la  lesione  delle
  prerogative  stabilite  dall'art.  122,  quarto  comma, siano state
  violate  ulteriori  disposizioni  della  Costituzione: quelle degli
  artt. 121 e 123, poiche' l'alterazione delle attribuzioni accordate
  dalla  legge  fondamentale  al  consigliere  regionale  che esprime
  opinioni  e  da'  i  voti  si  riverbera sull'intera organizzazione
  dell'ente   e  sull'esercizio  delle  relative  funzioni,  entrambi
  costituzionalmente protetti.

    2. - Per  rendersi  conto  della  fondatezza  dell'assunto, basta
  considerare,  infatti,  il contenzioso costituzionale cui ha finora
  dato luogo l'applicazione dell'art. 122, quarto comma, Cost. Stando
  ad  esso,  ci  si  avvede  che, pregiudiziale ad ogni pronuncia, e'
  stato  il  confronto  di  "tale norma con le piu' ampie guarentigie
  concesse  ai membri del Parlamento dall'art. 68 della Carta". Dette
  guarentigie,  "eccezionali  deroghe  all'attuazione  della funzione
  giurisdizionale,     considerate    necessarie    a    salvaguardia
  dell'esercizio  delle  funzioni  sovrane  spettanti  al Parlamento,
  risultano  legittime  in  quanto  sancite  dalla  Costituzione.  Le
  attribuzioni   dei   consigli   regionali  si  inquadrano,  invece,
  nell'applicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non
  si  esprimono a livello di sovranita'" (Corte cost., sent. 25 marzo
  1975, n. 81, in Giur. cost., 1975, p. 786).
    Questa  prima significativa precisazione e' stata successivamente
  ripresa  ed  ancor  meglio  ribadita  dal  giudice dei conflitti di
  attribuzione,  la'  dove  ha  affermato che "invero la guarentigia"
  delle opinioni espresse e dei voti dati "dai consiglieri regionali,
  nel  sistema  costituzionale, trae fondamento e trova il suo ambito
  in  un  determinato  modello  di  funzioni  dei consigli regionali,
  ritenuto   meritevole   e   bisognoso   della  tutela  privilegiata
  apprestata   dall'art.   122,  quarto  comma,  Cost.  L'esonero  da
  responsabilita'   dei   componenti   dell'organo   (sulla  scia  di
  consolidate  giustificazioni  dell'immunita' parlamentare) e' vista
  funzionale   alla   tutela   delle   piu'   elevate   funzioni   di
  rappresentanza   politica,   in  primis  la  funzione  legislativa,
  volendosi  garantire  da  qualsiasi interferenza di altri poteri il
  libero processo di formazione della volonta' politica".
    E  codesta  Corte  ha  aggiunto  -  significativamente  - che "la
  giustificazione razionale della guarentigia poggia, pertanto, sulla
  corrispondenza  fra  il  livello  costituzionale  della guarentigia
  stessa,  ed  il livello costituzionale del tipo di funzioni, il cui
  esercizio  si  e'  eccezionalmente  ritenuto opportuno sottrarre al
  controllo   giudiziario.  Quello  che  la  Costituzione  ha  inteso
  proteggere,  con disposizioni derogatorie rispetto al comune regime
  di  responsabilita',  e'  un  modello funzionale che essa stessa ha
  delineato   ed   appunto  percio'  ha  potuto  valutare  meritevole
  dell'eccezionale  protezione"  (Corte  cost.,  sent. 20 marzo 1985,
  n. 69, in Giur. cost., 1985, pp. 493-494).
    Dunque   -  ha  precisato  la  Corte  -  "la  carenza  di  potere
  giurisdizionale   si  traduce  ...  in  un'alterazione  dell'ordine
  costituzionale   delle   compentenze,   posto  che  la  pretesa  di
  esercitare  poteri  siffatti  comporta  l'invasione  della sfera di
  autonomia costituzionalmente riservata alla regione ..., alla quale
  esclusivamente  spetta  l'esercizio delle funzioni che i magistrati
  hanno  inteso  condizionare"  (Corte  cost.,  sent.  20 marzo 1985,
  n. 70, in Giur. cost., 1985, p. 516).

    3. - A ben vedere, sono i postulati dell'eguaglianza a fondare il
  sistema  delle  guarentigie dei consiglieri regionali, postulati di
  cui  codesto  ecc.mo  collegio  si  e'  fatto  interprete quando ha
  sottolineato   la  circostanza  che  "l'ampliamento  della  portata
  dell'immunita'  risultante  dall'ampliamento,  rispetto  al modello
  costituzionale,  delle  funzioni  riservate  al consiglio regionale
  puo'  essere  operato,  ove consentito, soltanto con la legge dello
  Stato,  perche'  soltanto  il  legislatore statale puo' assicurare,
  come  e'  costituzionalmente  necessario,  una uguale protezione ai
  consiglieri  di  tutte  le  regioni  nell'esercizio  delle medesime
  funzioni  e  perche'  soltanto  una  sua scelta sarebbe conforme al
  principio  di  legalita' che regge compiutamente il sistema penale"
  (Corte cost., sent. n. 69/1985, cit., pag. 495).
    In  buona  sostanza, la disposizione dell'art. 122, quarto comma,
  Cost., va interpretata tenendo conto del fatto:
        a) che essa non e' pienamente assimilabile a quella contenuta
  nell'art.  68, primo comma, Cost., dal momento che le immunita' dei
  membri  del  Parlamento  ineriscono alla sovranita' dello Stato, di
  cui il Parlamento stesso e' organo;
        b) che  essa esprime, relativamente ai componenti dell'organo
  legislativo  della  regione, aspetti dell'autonomia di quest'ultima
  ...;
        c) la  quale  non  soltanto  tollera, ma addirittura implica,
  affinche'  sia  assicurata "una uguale protezione ai consiglieri di
  tutte  le regioni" (Corte cost., sent. n. 69/1985, cit., pag. 495),
  che  ogni  allargamento  delle  immunita'  sia  deliberato con atto
  normativo dello Stato.

    4. - Quanto alle fonti abilitate a disciplinare legittimamente le
  immunita'  spettanti  ai  consiglieri  regionali ai sensi dell'art.
  122,  quarto  comma,  Cost.,  codesta  Corte ha precisato "la ratio
  decidendi della pronuncia del 1975": infatti, "l'affermazione della
  insindacabilita'   delle   opinioni  e  dei  voti  dei  consiglieri
  regionali  nell'esercizio  della funzione di organizzazione interna
  dell'organo non fa che sviluppare coerentemente il parallelismo con
  le guarentigie dei membri del Parlamento, di cui all'art. 68, primo
  comma,   Cost.,   in   relazione  al  nucleo  essenziale  comune  e
  caratterizzante delle funzioni degli organi "rappresentativi" dello
  Stato  e  delle  regioni:  accanto  alla  funzione primaria, quella
  legislativa, ed alla funzione di indirizzo politico e di controllo,
  la    funzione    di   autorganizzazione   interna,   pacificamente
  riconosciuta  al  consiglio  regionale  al pari che ai due rami del
  Parlamento" (Corte cost., sent. n. 69/1985, cit., p. 493).
    Quanto  alle  predette  funzioni  -  da  determinarsi, come si e'
  accennato,  nel  rispetto  delle  esigenze di uniformita' di regime
  giuridico  imposte  dal  principio  costituzionale di eguaglianza -
  esse  debbono  trovare la loro fonte regolatrice nella Costituzione
  oppure  in  un  atto  normativo dello Stato, non dovendosi reputare
  abilitate  a  disciplinare  fattispecie  rilevanti  ai  fini  delle
  immunita'  di  cui  all'art. 122, quarto comma, Cost., ne' la legge
  regionale  e  neppure  lo  statuto  (Corte  cost.,  sent.  n. 69  e
  n. 70/1985, cit.). Ma - quanto alla fonte statutaria - il carattere
  rigido  dell'esclusione  va  temperato  la'  dove  si  consideri la
  funzione di autorganizzazione interna.
    5.   -   Sul   piano   pratico  sono  sorti,  peraltro,  numerosi
  interrogativi  soprattutto  per  guanto riguarda le fonti in cui si
  estrinsecano  le  funzioni  di consigliere regionale, ben potendosi
  articolare, oltre che in atti legislativi, in atti amministrativi.
    In proposito, e' opportuno dare conto degli orientamenti espressi
  da  codesta ecc.ma Corte costituzionale, che rappresentano un punto
  di  arrivo imprescindibile, del quale ci si limita - normalmente ed
  autorevolmente  -  a prendere atto (v., per tutti, Paladin, Diritto
  regionale, Padova, 1992, p. 322 ss.).
    Ebbene,  se  in  un  primo  momento  il  giudice dei conflitti di
  attribuzione    ha   semplicemente   affermato   come   "la   forma
  amministrativa  che  connota  le  deliberazioni  consiliari ... non
  valga  ad escludere l'irresponsabilita' di coloro che le adottarono
  nell'esercizio  di  competenze  spettanti  al  consiglio"  (Corte .
  cost.,  sent.  n. 81/1975,  cit.,  p.  786)  -  con cio' chiarendo,
  comunque,  che  pure  l'attivita' amministrativa, e non solo quella
  legislativa,  puo'  essere  coperta  da  immunita'  - in un secondo
  momento  ha  precisato  che  una  simile massima "non implicava una
  affermazione   generale   di   insindacabilita'  in  riferimento  a
  qualsiasi  atto  consiliare  in  forma amministrativa, bensi', piu'
  specificamente,   l'insufficienza   della   "forma   amministrativa
  dell'atto  ai  fini  di escludere la guarentigia per atti attinenti
  allo   stato   giuridico   dei   consiglieri,   e   in   definitiva
  all'autoorganizzazione  del  consiglio  stesso" (Corte cost., sent.
  n. 69/1985, cit., p. 493).
    Di   piu',   e'  proprio  in  riferimento  all'adozione  di  atti
  amministrativi rilevanti ai fini dell'art. 122, quarto comma, Cost.
  che   codesta  Corte  ha  avuto  modo  di  precisarne  i  caratteri
  relativamente  agli  atti  che  esprimono la giurisdizione, essendo
  indubbio  "che, nel sistema costituzionale, funzione amministrativa
  e  funzione  giurisdizionale  sono  concepite e devono svolgersi in
  posizione  di  reciproca  separazione"  (art. 97, commi 1 e 2, 102,
  comma 1, 104, comma 1, 113, u.c.).
    In  particolare - ha osservato la Corte nella sentenza n. 150 del
  1981   -   l'art. 113,   u.c.,  Cost.,  "rinviando  alla  legge  la
  determinazione  degli  organi giudiziari abilitati ad annullare gli
  atti  della  pubblica  amministrazione", "con cio' stesso" "esclude
  che  spetti  alle  autorita' giudiziarie ordinarie di annullare gli
  atti  amministrativi  in  mancanza di una previsione di legge; ed a
  piu'   forte  ragione  comporta  che  tali  autorita'  non  possano
  contrapporsi   o   sovrapporsi   alle   autorita'   amministrative,
  arrogandosi  poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo,
  in forme e con procedimenti prefissati.
    Alla stregua di tali principi deve (parimenti) negarsi che spetti
  ad   organi   giudiziari   ...   dettare  le  linee  dell'indirizzo
  amministrativo  regionale  nella materia de qua (inquinamento delle
  acque ...),  in cio' sostituendosi agli organi regionali competenti
  nella  determinazione  sia  degli  strumenti  di intervento che dei
  tempi  e  modi  di  attuazione  di  tale  indirizzo  ed addirittura
  prescrivendo  gli  atti  specifici  che  si  ritiene debbano essere
  adottati" (Corte cost. sent. n. 70/1985, cit., p. 516).
    6.  - E' possibile, a questo punto, formulare alcune notazioni di
  sintesi,   strumentali   ad   una   migliore   rappresentazione   e
  comprensione del caso di specie.
    Si   puo'  affermare,  pertanto,  che  l'ambito  di  operativita'
  dell'art. 122.  quarto comma, Cost. (interpretato secondo i criteri
  enunciati) e' delimitato, quanto al titolo normativo:
        a) dalla Costituzione;
        b) dalla legge e dagli atti aventi forza di legge dello Stato
  (non - verosimilmente - da atti normativi statali subprimari, quali
  i  regolamenti,  quantomeno  la'  dove  si versi in materia penale:
  Corte  cost.;  sentenza  n. 69/1985, cit., p. 495); non dalla legge
  regionale e dallo statuto.
    Quanto alle funzioni, tale ambito di operativita' riguarda:
        a) la funzione legislativa;
        b) la funzione di indirizzo politico e di controllo;
        c) la funzione di autoorganizzazione interna.
    Le  funzioni suddette possono estrinsecarsi in atti aventi natura
  formalmente:
        a) legislativa;
        b) amministrativa.
    7.  - L'ampia ripresa della giurisprudenza di codesto Collegio ha
  come  scopo  precipuo,  da  un  lato,  di inquadrare nitidamente la
  fattispecie  e,  d'altro  lato, di evitare l'insorgere di equivoci,
  sempre  possibili  quando  rimangono  in  ombra elementi senz'altro
  qualificanti  l'istituto  delle  guarentigie  di  cui all'art. 122,
  quarto comma, Cost.
    Ora,  prescindendo  da  un'indagine  incentrata  sulla  qualifica
  soggettiva dell'autorita' precedente (magistrato penale, magistrato
  investito   dei   giudizi  di  responsabilita'  amministrativa)  ed
  altresi'  dalla  minuta  analisi della tipologia piu' ricorrente di
  funzioni   svolte  dai  consiglieri  regionali,  vale  la  pena  di
  soffermarsi  un  istante  sulla funzione di indirizzo politico e di
  controllo,   cui   codesta   Corte   ha  ricondotto  -  nell'ottica
  dell'art. 122,  quarto  comma,  della  Costituzione  - le attivita'
  ispettive,  quelle  che  si  concretizzano  nella  partecipazione a
  commissioni   di   inchiesta   o   che  si  traducono  comunque  in
  comportamenti  preordinati  al controllo politico (da ultimo, Corte
  cost.,  sent.  n. 209/1994),  che  hanno sicura base costituzionale
  (nelle  disposizioni  che disciplinano la forma di governo nei suoi
  tratti  essenziali),  quindi  svolta  a  livello  statutario  e  di
  regolamento  d'assemblea  (s'intende,  in  ogni caso, che il titolo
  normativo    che    radica   l'immunita'   e'   quello   di   rango
  costituzionale).
    Pertanto,  vanno riferite alle funzioni de quibus, ad esempio: la
  decisione - squisitamente politica - di prendere in esame oppure no
  un  disegno  o  progetto  di  legge  regionale;  il  giudizio circa
  l'ammissibilita'   dei  referendum  proposti  si  sulla  scorta  di
  specifiche  leggi  regionali, ma innanzi tutto in ragione di guanto
  dispone  l'art. 123,  primo  comma, Cost.; le attivita' preordinate
  alla  approvazione dei bilanci e dei piani economici della regione:
  sia  quando  si  estrinsecano in atti di legislazione sia quando si
  svolgono  in  forma  amministrativa,  dal momento che concretizzano
  senz'altro  manifestazioni della funzione di indirizzo politico; le
  indagini  conoscitive  e  le  inchieste consiliari, le quali ultime
  esprimono   un  "potere  connaturato  e  implicito  nelle  funzioni
  spettanti ai consigli medesimi" (Corte cost., sent. 28 aprile 1966,
  n. 29, in Giur. cost., 1966, I, p. 300).
    Sicche',   quantomeno   in   questo  caso,  la  guarentigia  deve
  considerarsi operante pur in difetto di una clausola costituzionale
  espressa  facoltizzante l'istituzione di commissioni di tal genere;
  gli    atti    di    nomina    alle    piu'    importanti   cariche
  dell'amministrazione   regionale  e  pararegionale,  poiche'  nelle
  regioni  di  diritto  comune  l'autonomia  politica implica che "la
  competenza  consiliare  abbraccia  una  vasta  e  mutevole serie di
  provvedimenti del caso concreto", tra i quali vanno inclusi appunto
  gli  atti  di nomina suddetti (Paladin, Diritto regionale, cit., p.
  354).
    Quanto  alla  funzione  di  controllo  attribuita  al  consiglio,
  l'immunita' si estende ovviamente ad ogni intervento attuato in via
  legislativa  (ad  esempio:  con  legge  di  approvazione di piani e
  programmi),  e  copre  senz'altro  le  questioni  poste  attraverso
  interrogazioni,  interpellanze,  mozioni,  risoluzioni,  ordini del
  giorno  e via discorrendo, quando questi ineriscono - come nel caso
  in questione - all'esercizio di competenze spettanti alla regione.
    8.  -  Quale  naturale  sviluppo  delle puntualizzazioni poc'anzi
  accennate,  riferite  specificamente alla condizione di consigliere
  regionale,  si  pone  la giurisprudenza di codesto Collegio, stando
  alla  quale  "sarebbe, peraltro, riduttivo ritenere che la funzione
  di  rappresentanza  politica,  garantita  dalla citata disposizione
  (dell'art. 122, quarto comma, Cost.), si risolva negli atti tipici.
  In  tal  senso  depone  l'orientamento  espresso,  recentemente, da
  questa  Corte  in  tema  di immunita' parlamentare, evidenziando il
  nesso  funzionale  che in presenza di attivita' oggetto di indagine
  penale,   rende   operante   la   prerogativa  dell'art.  68  della
  Costituzione (sentenza n. 289 del 1998)".
    A  parere  della Corte, "tale orientamento, nonostante la diversa
  posizione  dei  componenti  delle camere rispetto ai componenti dei
  consigli  regionali,  appare  estensibile  al  caso qui in esame, a
  fronte  dell'analogo  tenore,  per  entrambe  le  categorie,  della
  disposizione  sull'irresponsabilita'  per le opinioni espresse ed i
  voti dati nell'esercizio delle funzioni.
    Il   che   porta  conclusivamente  a  ritenere  che,  nell'ambito
  dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, rientrino non solo
  le attivita' nelle quali si estrinseca il diritto di interrogazione
  o   di   interpellanza,  ma,  altresi',  gli  elementi  conoscitivi
  utilizzati  ai fini dell'esercizio di quel diritto e che si pongono
  in  funzionale  connessione  con  il  medesimo" (cosi' Corte cost.,
  sent.  n. 382/1998,  cui  adde  sent.  n. 391/1999).     9. - Fermo
  restando  quanto  si  e' esposto in sede di definizione delle linee
  generali  dell'istituto  dell'insindacabilita' di cui all'art. 122,
  quarto  comma, Cost., e ferme restando, altresi', le considerazioni
  conclusive  che si prospetteranno tra un istante, e' indispensabile
  chiarire  come  la  fattispecie  de qua debba misurarsi con le piu'
  recenti  massime rese dal giudice delle leggi: si allude alle sent.
  n. 10, n. 11 e n. 56/2000.
    Per   limitarsi  a  quest'ultima,  non  sfugge  a  questa  difesa
  l'assunto secondo cui "occorre ... che la prerogativa trovi una sua
  delimitazione   funzionale:  senza  di  essa  la  prassi  attuativa
  trasformerebbe  l'istituto  in  una  sorta di privilegio personale,
  conferendo  a  deputati e senatori (e ai consiglieri regionali) uno
  statuto  personale  di  favore  circa  l'ambito  e  i  limiti della
  liberta'  di  manifestazione del pensiero. Con evidente distorsione
  del principio di eguaglianza e di pari opportunita' fra i cittadini
  nella  dialettica politica". Ne consegue che "la semplice comunanza
  di  argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di comunicazione o
  in  dibattiti  pubblici e le opinioni espresse in sede parlamentare
  non  basta  a  estendere alla prima l'insindacabilita' che copre le
  seconde.  Ne'  si  puo'  invocare  a  tal  fine  l'esistenza  di un
  "contesto  politico  in cui la dichiarazione si inserisca, giacche'
  siffatto  tipo di collegamenti non vale, di per se', a conferire il
  carattere  di  attivita'  parlamentare a manifestazioni di pensiero
  oggettivamente  estranee  ad  esse".  Cio'  che  conta e' che "deve
  esservi, dunque, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e
  l'attivita'   parlamentare":  nesso  funzionale  che  sussiste  (a)
  "quando   le   dichiarazioni   siano  sostanzialmente  riproduttive
  dell'opinione sostenuta in sede parlamentare" oppure (b) in ragione
  del  "contenuto storico" dell'opinione espressa, accompagnata dalla
  pubblicita' della medesima (Corte cost., sent. n. 56/2000).
    10.  -  Cosi'  predeterminati  i  confini  al cui interno possono
  collocarsi  le  "opinioni  espresse"  e  i  "voti  dati",  si  deve
  osservare  come,  nel caso di specie, senz'altro sussiste il "nesso
  funzionale" richiesto.
    Da   un  lato,  infatti,  ancorche'  manchino  un'interrogazione,
  un'interpellanza,  una  mozione,  una  risoluzione,  un  ordine del
  giorno  o  altro  ancora  che  radichino formalmente ex ante ad una
  espressione   tipica   della  funzione  di  indirizzo  politico  la
  manifestazione   del   pensiero   di  cui  trattasi,  nondimeno  e'
  impensabile - perche' intrinsecamente irrazionale - ritenere che la
  pura e semplice formulazione di un simile atto, tipico appunto, sia
  idonea  a  concretizzare  l'immunita'  di  cui all'art. 122, quarto
  comma,  Cost.: in ogni caso, si dovra' esaminare il contenuto della
  manifestazione del pensiero del consigliere regionale allo scopo di
  determinare  la sussistenza del nesso funzionale richiesto. D'altra
  parte,  come  si  e'  visto, codesta ecc.ma Corte ha escluso che la
  garanzia "si risolva negli atti tipici" (sent. n. 382/1998, cit.).
    D'altro  lato, una volta che sia escluso altresi' che l'immunita'
  sia  destinata  ad  operare  puramente  e  semplicemente nella sede
  consiliare  ed  in occasione dei lavori dell'organo assembleare, va
  da  se'  che  l'art. 122,  quarto  comma,  della  Costituzione deve
  trovare  applicazione  quando  le manifestazioni del pensiero siano
  oggettivamente   correlabili   alla   posizione  istituzionale  del
  consigliere  stesso:  il quale - alla regione appare indubitabile -
  deve  poter  esprimere, in ragione del suo status e dei compiti che
  gli  sono  assegnati  dall'ordinamento,  le  valutazioni  di ordine
  politico  sia  particolare  sia  generale  incidenti sulla concreta
  struttura e sul funzionamento dell'ente di cui fa parte.
    Ora,  anche  se  a  prima  vista  e superficialmente, si potrebbe
  ritenere  lo  scritto  "incriminato"  riconducibile  ad  un'area di
  fenomeni  non  coperti dall'art. 122, quarto comma, Cost., tuttavia
  ad un esame soltanto un po' piu' approfondito non puo' sfuggire che
  le  relative  manifestazioni  del  pensiero,  il  tono  polemico  e
  finanche   irriverente  (ma  riconducibili  a  un  modo  comune  di
  intendere l'attribuzione di incarichi pubblici e professionali, che
  non   infrequentemente  dipendono  dalla  militanza)  espressi  dal
  consigliere Comencini si sono iscritti nel contesto di un dibattito
  riguardante la vigente e, soprattutto, prospettica composizione del
  consiglio  regionale  del  Veneto:  non  a  caso,  il Movimento del
  Nordest  e'  attualmente  un  soggetto politico schierato, in vista
  delle elezioni regionali del 16.04.2000, e Massimo Cacciari (di cui
  si parla diffusamente nell'articolo apparso su "La Padania") e' uno
  dei  candidati  alla  presidenza della regione Veneto (per non dire
  del  sen. Rigo  e  della  sua azione di sostegno prescelta) (v., al
  riguardo,  Il  movimento  Nordest:  non  appoggiamo  Galan,  in  Il
  Gazzettino, 12 aprile 2000: doc. 3).
    Probabilmente,  quella  di  cui qui si discute e' una fattispecie
  non  riconducibile  in  modo puntuale ad altre precedenti esaminate
  dalla  Corte;  ma,  pare  a questa difesa, che essa non si discosti
  dalla  ratio  dell'art. 122, quarto comma, Cost., per come e' stata
  via  via  ricostruita  e definita tra l'altro con le sentenze sopra
  richiamate.
    Ove  si ritenesse il contrario, ne sarebbe gravemente mutilato il
  dibattito politico, che oggi sembra collocarsi, il piu' delle volte
  e  salvo rare eccezioni, su livelli non propriamente elevati. Sotto
  questo  profilo  e  con  i  toni  polemici espressi, il consigliere
  Comencini  ha offerto un quadro di sintesi, utile per discorrere e,
  si  ripete,  prospettico  rispetto ad eventi che proprio ora stanno
  disegnando  le  linee  portanti  della futura legislatura regionale
  2000-2005.      Da  cio',  con  evidenza,  la  violazione,  attuata
  dall'atto indicato in epigrafe, dell'art. 122, quarto comma, e, suo
  tramite,    degli    artt. 121   e   123   Cost.,   di   disciplina
  dell'organizzazione e delle funzioni dei supremi organi regionali.