ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 1 del r.d.
30  dicembre  1923,  n. 3282  (Approvazione  del  testo  di legge sul
gratuito  patrocinio),  promosso  con  ordinanza emessa il 5 dicembre
1998  dal  Presidente  delegato  del Tribunale di Foggia, iscritta al
n. 139  del  registro  ordinanze  1999  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 11,  prima serie speciale, dell'anno
1999;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
    Ritenuto  che con ordinanza in data 5 dicembre 1998 il Presidente
delegato  del  Tribunale  di Foggia ha sollevato, in riferimento agli
articoli  2,  parte  seconda,  3, primo comma, 10, primo comma, e 35,
primo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'articolo  1  del  r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282
(Approvazione  del  testo  di  legge sul gratuito patrocinio), "nella
parte in cui considera onorifico il patrocinio a favore dei poveri";
        che  il  remittente premette di essere chiamato a decidere su
un  ricorso  con  il  quale il difensore, nominato a una persona gia'
ammessa  al  gratuito  patrocinio  in  un giudizio di separazione tra
coniugi  (iniziato  in  sede  giudiziale  e conclusosi in separazione
consensuale  omologata  dal tribunale), in via principale ha chiesto,
ai  sensi  degli  artt. 1  e  12  della  legge 30 luglio 1990, n. 217
(Istituzione  del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti),
la liquidazione dell'onorario e dei diritti per l'attivita' difensiva
prestata,    e,    in   subordine,   ha   eccepito   l'illegittimita'
costituzionale   di   queste   ultime  disposizioni,  per  violazione
dell'art. 3  della  Costituzione, poiche' tutelerebbero gli interessi
dei  cittadini  stranieri  non  abbienti  e  non quelli dei cittadini
italiani;
        che,  respinta  l'eccezione in quanto relativa a disposizioni
non  applicabili  nel  giudizio  a  quo  il remittente ritiene invece
rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del
r.d.  n. 3282  del  1923,  poiche'  "qualora dovesse essere eliminato
l'aggettivo  onorifico,  potrebbe  trovare  applicazione analogica la
stessa  legge  n. 217  del  1990  o  altra che regola il patrocinio a
favore dei poveri in controversie civili";
        che,  a  suo avviso, la disposizione censurata contrasterebbe
con  l'art. 2,  parte  seconda, della Costituzione, in quanto il peso
della  difesa  dei  non  abbienti non dovrebbe essere sostenuto dalla
classe  forense,  ma  dovrebbe  essere  assunto  dallo  Stato, tenuto
all'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale ed economica;
        che,  secondo  il  remittente,  l'art. 1 del r.d. n. 3282 del
1923  violerebbe  l'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,  per
l'ingiustificata    disparita'    di    trattamento   di   situazioni
sostanzialmente  omogenee,  poiche',  a  parita' di impegno, mentre i
difensori  dei  non abbienti nei procedimenti penali sarebbero sempre
retribuiti dallo Stato, quelli che ne assumono la difesa nei processi
civili,   salvo   eccezioni   specificamente  previste  dalla  legge,
presterebbero  la  loro  attivita' gratuitamente, potendo contare sui
cosiddetti   "onorari  della  vittoria"  (art. 11  del  citato  r.d.)
soltanto  in  caso di condanna della controparte e non potendovi fare
affidamento nei procedimenti che si concludono, come quello in esame,
con la compensazione delle spese;
        che,   infine,  la  disposizione  censurata,  imponendo  agli
avvocati   una   prestazione   lavorativa  tendenzialmente  gratuita,
violerebbe  l'art. 10,  primo  comma,  della  Costituzione, in quanto
sarebbe  in  contrasto  con l'art. 5, lettera b), ultima parte, della
Risoluzione   del   Comitato  dei  ministri  del  Consiglio  d'Europa
sull'assistenza giudiziaria in data 2 marzo 1978, che raccomanda "una
remunerazione  adeguata al difensore ufficioso", e confliggerebbe con
l'art. 35,  primo  comma,  della  Costituzione,  che  tutelerebbe non
soltanto il lavoro subordinato, ma anche quello autonomo;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    Considerato  che  il  remittente  e'  chiamato  a  decidere su un
ricorso  di  un  avvocato,  il  quale  chiede  che le sue prestazioni
professionali  a favore di una persona ammessa al gratuito patrocinio
in  base  al r.d. n. 3282 del 1923 siano liquidate dal Presidente del
Tribunale  e  poste  a carico dello Stato ai sensi degli artt. 1 e 12
della legge n. 217 del 1990;
        che  il  medesimo  remittente ritiene di non poter applicare,
alla  luce  della disciplina attualmente vigente, la legge n. 217 del
1990,  che assicura ai non abbienti il patrocinio a spese dello Stato
unicamente   nei   procedimenti  penali  e  nei  procedimenti  civili
relativamente all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno
e  le  restituzioni  derivanti  da  reato,  poiche'  nella  specie si
controverte  degli  onorari  e  dei  diritti  relativi a una causa di
separazione  tra  coniugi,  iniziata  come  separazione  giudiziale e
conclusasi come separazione consensuale omologata;
        che  tuttavia, a suo avviso, affinche' nel giudizio a quo sia
applicabile,  seppure  in  via  analogica,  la legge n. 217 del 1990,
sarebbe  sufficiente che con sentenza di questa Corte venisse rimosso
l'aggettivo  "onorifico"  che  qualifica, nell'art. 1 del citato r.d.
del 1923, l'ufficio della difesa giudiziaria dei poveri;
        che  la  questione,  nei  termini  in  cui e' prospettata, e'
manifestamente inammissibile;
        che l'ordinanza di remissione muove in sostanza dall'idea che
una sentenza della Corte costituzionale, semplicemente eliminando una
parola  nella  disposizione  censurata,  possa  sortire  l'effetto di
rendere  assimilabile  l'ammissione  al gratuito patrocinio, disposta
dalla  speciale commissione prevista dall'art. 5 del r.d. n. 3282 del
1923,  all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in relazione
alla  quale  e'  prevista, dalla legge n. 217 del 1990, la competenza
del  giudice  che  procede,  nonche'  quello di rendere applicabili i
benefici  contemplati  da  quest'ultima legge a tutte le controversie
civili;
        che   ulteriore   effetto   dell'auspicata  pronuncia,  nella
prospettazione  del  giudice  a  quo sarebbe la nascita di un modello
procedimentale  affatto  nuovo,  nel quale la composizione collegiale
dell'organo  decidente  in  sede  di  omologazione  delle sentenze di
separazione  personale  tra  coniugi  cederebbe  il passo a decisioni
presidenziali  monocratiche  di  liquidazione  degli onorari a carico
dello  Stato  per  la  difesa  delle  persone  ammesse  al "gratuito"
patrocinio;
        che   questo   insieme  di  conseguenze  non  potrebbe  certo
scaturire  da  una sentenza della Corte che si limitasse ad eliminare
dalla   disposizione   censurata  il  termine  "onorifico":  solo  il
legislatore,  e  non gia' con la semplice soppressione di una singola
parola,  ma  attraverso  un  complessivo  riordinamento  del sistema,
potrebbe assimilare istituti diversi per presupposti, procedimento ed
effetti,  e  che  rimandano  ad accezioni differenti del principio di
solidarieta';
        che  sotto  un  diverso  aspetto  trascenderebbe largamente i
limiti  della  giustizia  costituzionale  non  solo disporre un cosi'
imponente  intervento riformatore ma addirittura orientarlo nel senso
di  attribuire  ai  capi  degli uffici giudiziari o ai loro delegati,
quando  si  versi  in  tema  di  onorari per la difesa dei poveri, la
specifica   competenza   liquidatoria   della   quale  il  remittente
implicitamente assume di essere titolare.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.